IDENTITA`SEPOLTA


ROMANZO DI A. SCAGLIONI

BASATO SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"

CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT

E SVILUPPATA DA R.J.STEWART

Xena and all characters and names related are owned by and copyright © 1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.

 

Un altro tempo, un altro luogo

-Una vita di viaggi ti ha portata fino alle terre piu` lontane, agli estremi confini del mondo.
-…E nel posto dove restero` per sempre… il tuo cuore.
E ora, dove andremo?
-Penso che dovremmo andare nella terra dei Faraoni. Ho sentito che hanno bisogno di una fanciulla con un chakram.
-Ovunque tu vada, io saro` al tuo fianco.
-Sapevo che l'avresti detto.


PRIMA PARTE: IL SOGNO


PRIMO CAPITOLO


La foresta e` folta e oscura. Gli alberi cosi` fitti da non mostrare traccia di sentiero tra di essi.
E la nebbia. Una densa foschia attraverso la quale pare che il cammino sia piu` faticoso e lento.
La fanciulla dai corti capelli biondi vi si muove con circospezione. Non conosce quel posto. Eppure, e` come se in fondo al suo cuore lo conoscesse da sempre. Questa strana sensazione rende tutto ancor piu` inquietante. La ragazza abbassa lo sguardo per osservarsi. Guarda gli abiti che indossa. Un leggero corsetto che le lascia spalle e ventre scoperti, un gonnellino che arriva appena a coprirle la parte superiore delle cosce, e due (calzari)
sandali con lunghi lacci intrecciati che l'avvolgono fin sotto al ginocchio. Ma nonostante i vestiti leggeri, lei non avverte freddo. Anzi, di momento in momento, il tepore di quel luogo le appare sempre piu` invitante.
E quel silenzio. Assoluto. Totale. Non si sente nessuno dei tipici rumori della foresta. Nessun canto di uccelli, nessun rapido movimento tra i cespugli o i rami alti sopra di lei.
Poi, in distanza, un suono. Lento, cadenzato.
Zoccoli.
Un cavallo.
Ancora lontano, ma perfettamente udibile nel silenzio circostante, il fruscio provocato dall'animale che attraversa la vegetazione. Il suono sembra provenire una volta da dietro di lei, una volta di lato. La nebbia stessa lo fa rimbalzare tutto intorno rendendo difficile individuarne la provenienza.
Ma e` sempre piu` vicino. Ora le sembra cosi` vicino, da darle l'impressione che voltandosi possa addirittura toccare l'animale.
E lo fa.
Si volta, gli occhi spalancati attraverso la nebbia, senza paura. Perche` sa cosa vedra`.
E chi.


Il telefono continua a squillare nel soggiorno. Joyce apre gli occhi e fissa perplessa il soffitto. Batte gli occhi ancora assonnati, mentre aspetta che il cervello riprenda il contatto con la realtà` e la riporti alla piena coscienza.
Il sogno, ancora una volta. E` la seconda negli ultimi tre giorni. Non lo faceva piu`dall'adolescenza. Perche` e` tornato dopo tanti anni, e cosa significa?
Intanto il suo corpo cerca di reagire all'indolenza del risveglio. Nel sollevarsi dal letto una fitta violenta al
fianco destro, la riporta istantaneamente al presente, scacciando ogni residuo di sonno. E` li` che Mark l'ha colpita, l'ultima volta. L'ultima di un numero ormai incalcolabile di volte. Un calcio violento, mentre lei era a terra. Il dolore era stato talmente forte da farle temere di avere qualcosa di rotto. Perfino Mark si era spaventato. E l'aveva portata in ospedale. Non lo stesso a cui ricorreva di solito. In quello la conoscevano e diventava sempre piu` difficile inventare nuove scuse. Ma anche al pronto soccorso del St. Mary, li avevano guardati in modo strano, e il medico di turno le aveva fatto un sacco di domande, dopo aver chiesto a suo marito di attendere fuori.
-Signora Bowers, mi dica la verita`, cosa le e` successo?
Era un giovane, probabilmente laureato da poco,e sbattuto dai suoi colleghi piu` anziani a fare l'orario peggiore nel peggiore dei reparti di un ospedale.
-Niente, gliel'ho detto. Sono caduta. Mio marito mi dice sempre di non mettere quelle stupide scarpe con i tacchi a spillo. Non le so portare. Continuo a perdere l'equilibrio.
Era riuscita perfino a fare una risatina. Ma il dottorino aveva continuato a fissarla dritta negli occhi, costringendola ad abbassare i suoi.
-Lei ha una brutta ecchimosi su un fianco. Forse una costola incrinata. Dovro` farle una radiografia.
-Se crede. - aveva risposto lei a fil di labbra.
-Ma non e` tutto qui. Lei ha lividi e contusioni in varie parti. Alcuni vecchi di settimane, altri recenti. Cade spesso, signora Bowers?
Joyce lo aveva guardato. Era cosciente della presenza di Mark fuori dalla porta, quanto di quella del medico davanti a lei.
Nella sua mente era passato un pensiero, rapido come un lampo.
"Ecco, ora gli dico tutto. Gli dico tutto, e forse sara` finita. Finita finalmente."
Invece era riuscita a tirare fuori con le sue ultime forze un sorriso.
-Gliel'ho detto. Sono una sbadata.
Con un sospiro, il giovane medico si era voltato e si era diretto verso la macchina per le radiografie.
-Mi scusi, se glielo chiedo, signora, ma quanti anni ha? - le aveva domandato mentre preparava gli strumenti.
-Ventitre. - aveva risposto lei.
Lui si era nuovamente voltato per guardarla. Nel suo sguardo rassegnato, lei aveva letto un senso di pena ed impotenza.
-Io non posso costringerla a dire cio` che non vuole. Ma mi creda, in questo mestiere, nonostante la mia eta`, ne ho viste diverse come lei. Non gli permetta di rovinarla. Mi dia ascolto.
Lei aveva retto il suo sguardo, radunando tutto il coraggio di cui era capace.
-Mi scusi, ma proprio non capisco cosa vuole dire. - aveva risposto con un sorriso tirato.
Il medico con un ultimo sospiro, si era sistemato dietro i suoi strumenti.
-Lo immaginavo. - aveva detto. - Si distenda.


Con uno sforzo Joyce si solleva dal letto, proprio mentre il telefono, dopo una pausa, riprende a squillare. Con passo malfermo si dirige verso la porta, la apre e immediatamente i suoi occhi si richiudono di riflesso davanti alla luce violenta del sole pomeridiano che invade il soggiorno dalle ampie finestre, dopo l'oscurita` rassicurante della stanza da letto. Il telefono e` li`, davanti a lei, sinistro e stridente, col suo squillo che le penetra nel cervello. Tende la mano e afferra il ricevitore per farlo tacere, anche se sa che la voce che sentira`dall'altro capo del filo sara` altrettanto inquietante.
-Dov'eri?
Tutto qua. Una domanda secca. Non un saluto o il tono apprensivo di un marito che telefona a casa e non riceve risposta dalla moglie che dovrebbe esserci. Niente di tutto questo. Solo una domanda in cui l'irritazione si mescola al sospetto con un sottofondo di minaccia, come un lontano brontolio di temporale in avvicinamento.
-Ero… ero sul letto, a riposare un po'. Non mi sento bene.
Dio, come si odiava, quando avvertiva nella sua voce quel tremito, eppure non poteva evitarlo. Anche solo a sentirlo al telefono, tutto il suo corpo reagiva in preda ad un terrore strisciante.
-E` almeno mezz'ora che sto provando a chiamare.
-Scusami. Devo essermi addormentata.
Dall'altra parte un lungo silenzio, al punto che Joyce teme quasi che sia caduta la linea.
"Oddio, e se lui ora credesse che sia stata io a riattaccare?"
L'idea le attraversa la mente rapida, mescolando nel suo animo paura e vergogna di se`, ma un attimo dopo la voce di Mark riprende a parlare con un tono piatto, come se non avesse neanche ascoltato cio` che lei gli aveva detto.
Oh, ma l'ha fatto, invece. Eccome se l'ha fatto. Ha ascoltato ogni mia parola, ogni mio tremito, ogni mia pausa. Se ne e` abbeverato come a una fonte. Gli piace troppo sentirmi terrorizzata quando mi parla.
-Faro` tardi stasera. Quel bastardo di Fletcher mi ha assegnato del lavoro extra.
Joyce manda un sospiro e un ringraziamento mentale al cielo. Ogni attimo di piu` che le e` concesso vivere lontano da suo marito, ogni momento di solitudine in piu`, sono un insperato regalo.
-Oh. - riesce a dire, cercando di camuffare il suo stato d'animo. - E a che ora pensi di tornare?
-Che vuoi che ne sappia? Potrei averne anche fino a tarda sera! - e` la risposta rabbiosa, e d'un tratto, Joyce non e` piu` cosi` sicura che il ritardo imprevisto di Mark sia una buona notizia.
"Di che umore tornera`?" pensa. E intanto si accorge di star reggendo in mano un telefono muto. Lui ha riattaccato. Cosi`, semplicemente. Allora, posa il ricevitore e cade a sedere sul divano accanto.
Mark odia quel lavoro, odia il cantiere, odia il suo capo, odia quella vita da cui tanto si aspettava e che cosi` poco, secondo lui, gli aveva dato. E odia lei. Solo che su di lei, puo` avere la rivincita.
Al contrario delle altre componenti della sua vita, sua moglie e` sempre disponibile, pronta ad essere battuta come un tappeto. E ultimamente non ha neanche bisogno di sforzarsi troppo a trovare un pretesto. Basta un niente, una camicia stirata male, la cena in ritardo, il televisore non sintonizzato sul suo canale, qualunque scusa e` buona.
Joyce appoggia la testa sullo schienale e si scosta una ciocca di capelli dal viso. La`, dove usava lasciarli cadere negli ultimi tempi, per nascondere un livido sopra l'occhio piu` tenace del solito a scomparire.
E questo gesto automatico la riporta per un attimo al ricordo ormai sempre piu` vago del sogno.
"Avevo i capelli piu` corti." pensa senza quasi rendersene conto. E quando il pensiero le giunge alla porta cosciente della mente, resta come interdetta.
Come ha potuto un semplice sogno, inserirsi nelle preoccupazioni del tutto materiali della sua vita? Il suo problema non e` ricordare come portava i capelli o gli abiti che indossava in quel luogo di nebbie e di foreste. Il suo problema e` attendere il ritorno a casa di suo marito, e sperare di sopravvivere.


-Stupida troietta!
Mark Bowers guarda con astio il telefono appena sbattuto giu`.
-Bowers!
La voce proveniente da dietro di lui lo fa voltare di scatto.
-Vuoi deciderti a venire? Stiamo aspettando solo te.
-Va bene, va bene. Sto arrivando.
-Sara` bene, o dovrai cercarti un altro lavoro. Sarebbe la terza volta nell'ultimo anno, o sbaglio?
"Vaffanculo, bastardo." pensa quasi distrattamente Mark. "Prega soltanto di non trovarti mai da solo con me su una di quelle impalcature."
Non sopporta il caposquadra Fletcher, come non sopporta niente di quel mestiere odioso, ma ora la cosa che piu' concentra la sua attenzione e` la bottiglia di birra che l'attende nel mini-freezer chiuso nel suo armadietto. L'arsura di quella interminabile giornata e` ancora piu` insopportabile di tutto il resto.


Il cavallo e` li`. Tra gli alberi dietro di lei. Puo` quasi avvertirne l'odore. Lentamente si volta.

Joyce si sveglia di soprassalto, guardandosi intorno.
"Non e` possibile," pensa "adesso mi sono addormentata sul divano."
E il sogno. Ancora. Due volte in un giorno.
"Ma che mi sta succedendo?"
La foresta, il cavallo, quegli strani abiti… E la persona a cavallo? Chi era? Si sveglia sempre prima di riuscire a vederla, ma sa che c'e`. E` consapevole della sua presenza, come di tutto cio` che la circonda. Nessun sogno e` mai stato cosi`. E anche quando l'aveva fatto nella sua infanzia, era vago, impreciso e svaniva pochi attimi dopo il suo risveglio. Ma ora no. Ora riusciva a ricordarne per molto tempo anche da sveglia le sensazioni, i rumori, perfino gli odori della foresta e della nebbia.
Joyce se ne sente spaventata, ma anche stranamente eccitata, come se la sua mente fosse sull'orlo di un ricordo sepolto in profondita`.
Poi, il suo sguardo cade sull'orologio appeso alla parete e la sua realtà` quotidiana le ripiomba addosso.
Sono le nove e mezzo passate. Ha dormito praticamente tutto il pomeriggio. Mark potrebbe tornare da un momento all'altro e lei non ha preparato niente per cena.
Male. Malissimo. Suo marito usa perdere la calma per molto meno.
Joyce si alza in fretta, e ignorando le fitte che sente ancora al fianco, si precipita in cucina. Se fara` velocemente, riuscira` ad apparecchiare e cucinare qualcosa in pochi minuti. Mark non deve capire che lei ha
trascorso tutte le ultime ore tra il letto e il divano, o finirebbe male.
Mentre tira giu` dagli scaffali tovaglia e suppellettili, il suo pensiero corre ancora al passato. A come una vita possa trasformarsi in un inferno in soli due anni.
Due anni, certe volte non riesce a credere che possano essere trascorsi solo due anni da quando lei e Mark si sono sposati. E ancor di piu` non riesce a credere, come possa aver pensato di amarlo.
Mark Bowers, il miglior atleta del liceo di Milford, ma anche il peggior figlio di puttana di tutto il circondario, come le aveva fatto notare sua madre, quando le aveva detto che Mark le aveva chiesto di sposarlo e che lei intendeva accettare.
-Joyce! Sei pazza?!? E come diavolo pensi che vivrete? Siete solo due ragazzini!
-Per l'amor di Dio, mamma! Ho ventun'anni!
-E ti sembrano abbastanza?
-Mark ha un lavoro. Glielo ha trovato suo zio. Un posto da fattorino. All'inizio ci stabiliremo da lui, ma poi anch'io lavorero` e metteremo insieme il denaro per comprarci una casa nostra.
-Mark Bowers non ha mai messo insieme abbastanza denaro per comprarsi una confezione da sei, senza dover chiedere un prestito.
-Mamma!!
-Ascoltami piccola, quell'uomo e` un delinquente, credimi. Qualunque lavoro gli abbia trovato suo zio non durera`, come non e` mai durato niente nella sua vita. E neanche tu, durerai.
Lei l'aveva fissata senza riuscire a spiccicare una risposta e poi se ne era andata sbattendo la porta, senza immaginare che non l'avrebbe rivista viva.
Quella stessa sera aveva sposato Mark in casa di un giudice di pace sulla strada per la citta` e non era mai piu` tornata al suo paese.
Naturalmente, le facili profezie di sua madre si erano puntualmente avverate.
Joyce si era presto resa conto che tutti i buoni propositi costruiti insieme, non erano nient'altro che fragili castelli di carte, pronti a crollare al primo alito di vento.
Evidentemente fare il fattorino in una ditta di spedizioni era un mestiere che non gratificava l'ego di Mark che non ci aveva messo neanche un mese a mandare al diavolo il lavoro e suo zio. Naturalmente questi, dopo uno scambio di opinioni piuttosto vivace (che aveva costretto il buon uomo a ricorrere alla cassetta del pronto soccorso) non aveva piu` voluto saperne del nipote. E il sospetto di Joyce era che ne avesse voluto sapere poco anche prima, ma che avesse ceduto alle insistenze piu` per rispetto alla memoria del fratello, che per fiducia in quello scapestrato del nipote.
E cosi`, il risultato era stato che si erano ritrovati senza una casa e senza un lavoro e con solo duemila dollari sul suo libretto bancario. I risparmi che sua madre le aveva accantonato in tutta una vita. E il ricordo di lei, morta un anno prima per infarto, le faceva crescere immancabilmente un groppo in gola. Specialmente al pensiero che la sua fuga non fosse del tutto estranea all'insorgere delle sue difficoltà cardiache. E certo aver evitato accuratamente di farsi vedere alle esequie non aveva migliorato le cose.
Col senno di poi (di cui si dice siano piene le fosse), la loro disavventura con lo zio di Mark, avrebbe dovuto rappresentare per lei un bel campanello d'allarme, se solo lo avesse capito in tempo. Ma ormai si erano spinti troppo avanti. Ritornare al suo paese con la coda tra le gambe, era fuori discussione. Cosi` aveva deciso che finche` Mark non avesse trovato qualcos'altro, avrebbe lavorato lei e in qualche modo, sarebbero riusciti a tirare avanti, pagando l'affitto del piccolo appartamento che avevano preso.
Nei mesi seguenti, mentre si spaccava la schiena e le gambe facendo la cameriera in un localino frequentato per lo piu` da operai e impiegati, Mark era passato da un lavoro all'altro (e da una birra all'altra), senza che nessuno degli impieghi intrapresi, di cui ormai Joyce aveva perso il conto, lo avesse mai soddisfatto. Alla fine, riusciva sempre a litigare con qualcuno, a fare a pugni, a mettersi nei guai, ed immancabilmente a farsi buttare fuori.
Anche il lavoro che aveva adesso, in quel cantiere, e che lei stessa gli aveva procurato, conoscendo gli impiegati
della ditta edile che andavano a fare pausa al caffe` in cui lavorava lei, non sarebbe durato molto. Ne era certa, come era certa che se non si fosse sbrigata alla svelta a terminare di preparare la cena, Mark si sarebbe prodotto nell'unica attivita`, oltre al bere birra, che sembrava riempirlo di soddisfazione: il pugilato, con lei nel ruolo del sacco.
Ormai Joyce stentava quasi a ricordare quando fosse accaduto la prima volta. Una sera in cui suo marito era particolarmente ubriaco (si era appena licenziato dal suo secondo lavoro, in un negozio di ferramenta), lei aveva avuto la pessima idea di contraddirlo su una cosa che aveva detto. Non ricordava neanche di cosa si trattasse. L'aveva fatto quasi senza accorgersene e un attimo dopo, era distesa sul pavimento della cucina con un labbro sanguinante.
Poteva aver dimenticato il motivo della discussione, ma gli occhi furenti di Mark e la rabbia montante nella sua voce, non li avrebbe dimenticati mai.
-Non ti azzardare piu` a contraddirmi.- le aveva sibilato lui con gelido furore, e mentre ancora stava cercando di capire cio` che era accaduto, l'aveva afferrata per il polso tirandola su` di peso, e tenendola per il collo a pochi centimetri dal suo volto, aveva ripetuto: - Mai piu`!
Lei non era riuscita a dire niente, mentre la sorpresa cedeva il posto lentamente al terrore. L'uomo che la fissava in quel momento, avrebbe potuto ucciderla e poi scendere al bar a farsi un bicchiere senza un pensiero.
Ed essere riuscita a mantenere il controllo, sia pur a causa della paura, l'aveva probabilmente salvata da ulteriori danni. Quella volta se l'era cavata con un labbro gonfio e un polso slogato, ma altre volte non era stata cosi` fortunata.
Nei mesi successivi, le era capitato spesso di dover ricorrere alle cure dei pronto soccorso ospedalieri e di inventare scuse sempre meno credibili su quanto fosse sbadata e maldestra. Aveva perso molte giornate di lavoro, rischiando anche il licenziamento in piu` di un'occasione (che poi era comunque arrivato, "per esubero" le avevano detto), pur di non doversi presentare in giro con gli occhiali neri per nascondere occhi pesti,
ma non aveva mai trovato il coraggio di raccontare a nessuno cio` che le stava capitando.
Ne` nessuno di coloro che conosceva si era mai interessato piu` di tanto alle vere ragioni dei suoi continui "incidenti". Joyce aveva presto imparato che in una grande citta`, qualunque cosa succeda all'interno delle pareti domestiche e` strettamente privato.
Cosi` Mark aveva potuto continuare a coltivare il suo hobby in tutta tranquillità`.
Spesso si dava della stupida, fissando nello specchio l'immagine di una ragazza cui gli occhi azzurri e i lunghi capelli biondi non riuscivano piu` a conferire l'aspetto solare che generalmente vi viene associato, con quello sguardo cupo e l'espressione triste che ormai ne permeavano perennemente il viso, e allora cercava di trovare il coraggio per reagire. Ma poi il terrore che le ispirava suo marito, la bloccava dall'opporre qualunque resistenza.
E d'altro canto, lui badava bene a non "esagerare" mai troppo, al punto che fosse difficile spiegare contusioni o lividi come semplici effetti di una caduta.
Anche se ultimamente le cose stavano degenerando. Due mesi prima, le aveva battuto la testa contro il muro, quasi provocandole una commozione cerebrale e la settimana precedente, l'ultima impresa, con la costola incrinata che le doleva a distanza di giorni anche solo a respirare.
Con un ultimo sforzo, Joyce finisce di riempire i piatti e poi cade a sedere con un sospiro. Le dieci e venti. E Mark non e` ancora tornato. Non osa pensare di che umore sara`. Fino a un attimo prima, pregava perche` non tornasse troppo presto, trovandola ancora ad apparecchiare. Ora, prega perche` non torni troppo tardi, con la cena ormai fredda nei piatti.
-Dio, come mi sono ridotta. - mormora.