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IDENTITA`SEPOLTA


ROMANZO DI A. SCAGLIONI

BASATO SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"

CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT

E SVILUPPATA DA R.J.STEWART

Xena and all characters and names related are owned by and copyright © 1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.

UNDICESIMO CAPITOLO

TERZA PARTE:LA DONNA CON LA SPADA


Giunta di fronte alla porta in fondo al corridoio, come le ha indicato la signora Stone, Jennifer bussa piano. Le ci è voluto del bello e del buono per convincere Carruthers a lasciarla entrare da sola, ma ritiene che sia meglio così. Il tenente non è particolarmente portato a trattare con i bambini, per cui spesso si è servito di lei in casi dei quel genere, ma ora anche solo la sua presenza, pensa Jennifer, potrebbe rivelarsi controproducente, per cui preferisce avere un colloquio a quattrocchi con Melissa.
Ha appena bussato, che la maniglia della porta si abbassa e un visetto un po' intimorito, fa capolino. La bambina doveva essere stata fino ad allora ad origliare. Chissà quanto aveva sentito della loro conversazione.
-Ciao. - la saluta con un sorriso Jennifer.
Melissa Stone, un grazioso musetto lentigginoso coronato da una gran massa di riccioli biondo rossicci, su un corpo forse un po' gracile per una bambina di quell'eta, la guarda probabilmente preoccupata di non sapere bene come considerarla.
-Ciao. - risponde. - Tu sei della polizia?
-No, mi chiamo Jennifer. Sono una psicologa.
-Io mi chiamo Melissa. - dice la bambina educatamente.
-Ciao, Melissa. Vorrei parlarti, se non ti dispiace. Mi fai entrare?
Senza rispondere la piccola apre del tutto la porta e va a sedersi sul suo lettino. Jennifer entra, chiude la porta e si avvicina al piccolo scrittoio dove sono ancora aperti alcuni quaderni e un libro di lettura.
-Vedo che stavi studiando. Non ti ho disturbata, vero?
Melissa scuote la testa agitando i riccioli biondi.
-Di che cosa vuoi parlare? - chiede.
-Posso? - Jennifer prende la sedia accanto allo scrittoio e la posa vicino al letto, mettendosi a sedere di fronte alla bambina. Quelli erano i momenti più delicati. Bastava una frase sbagliata, una pressione eccessiva per rovinare tutto. - Melissa, qualche giorno fa ti è capitata una cosa brutta.
Gli occhi della bambina la scrutano senza tregua. Jennifer si sente quasi a disagio sotto quello sguardo.
-Mi potresti raccontare com'è andata?
-Un uomo voleva rapirmi. - risponde Melissa all'improvviso, cogliendo Jennifer quasi impreparata.
-Tu lo conoscevi?
-No, non l'avevo mai visto. Mi ha detto che la mamma non si sentiva bene e che doveva portarmi da lei.
-E tu lo hai seguito.
-Sì.
-E poi?
-Mi ha portata per una stradina. Io glielo ho detto che non si andava al negozio della mamma di là, ma lui ha detto che conosceva una scorciatoia.
-E invece?
-C'era una macchina dietro l'angolo. Mi ha detto di entrare che facevamo prima.
-E tu?
-Io non volevo. Non mi piaceva quell'uomo, ma lui mi ha spinta dentro ed è partito. Allora ho capito che era tutta una bugia. Ho cominciato a piangere, ma lui ha detto che se non stavo zitta mi ammazzava.
Nel raccontare quei momenti, la voce della bambina si fa concitata e due lacrimoni le spuntano all'angolo degli occhi. Jennifer è combattuta tra la paura di risvegliarle un trauma e la voglia di sentire il resto.
-Ascolta, Melissa. Se non te la senti, lasciamo perdere. Me la racconterai un'altra volta. - dice, accarezzandole i capelli per rassicurarla.
-Non vuoi sapere di quella donna? - chiede la bambina, tirando su col naso. Il cuore di Jennifer dà un balzo.
-La mamma non vuole che ne parli. Dice che l'ho sognata, ma non è vero. Io l'ho vista. Lei era là.
Con il respiro reso lievemente affannoso dall'ansia di una rivelazione imminente, Jennifer si avvicina ancora di più a Melissa, fissandola negli occhi.
-Che cosa hai visto, Melissa?
La bambina per la prima volta distoglie lo sguardo da lei e lo posa sulla parete di fronte come se con gli occhi della mente vi rivedesse proiettate le immagini di ciò che sta raccontando. A Jennifer in quel momento, ricorda tanto Joyce. Una Joyce tornata per magia all'infanzia.
-Quell'uomo mi ha portata in una stradina buia. Mi ha messo una mano sulla bocca e mi si è buttato addosso. Non potevo respirare. Credevo di morire. E' stato allora che l'ho vista.
Jennifer per timore di interrompere il flusso dei ricordi, resta in silenzio ad ascoltare.
-Era così bella. Credevo che fosse un angelo che era venuto a prendermi, proprio come dice il pastore la domenica. Ho chiuso gli occhi, e poi ho sentito quell'uomo urlare. Allora ho guardato. La donna era dietro di lui. Aveva una spada e la teneva sul suo collo. Ha detto qualcosa, ma non ho capito. Ma quell'uomo è scappato via subito e io sono rimasta lì con lei. Allora lei mi è venuta vicina, mi ha presa in braccio e mi parlava, ma io non riuscivo proprio a capire. Vedevo solo che mi sorrideva. Teneva in mano un cerchio dorato. Io volevo toccarlo, ma lei se lo è messo alla cintura, mi ha presa per mano e mi ha portata via di là. Poi abbiamo sentito dei cani che abbaiavano e delle voci. La donna mi ha detto qualcosa ancora, mi ha dato un bacio sulla fronte e poi ha fatto un salto altissimo ed è sparita. Io sono rimasta lì finchè non mi ha trovata un cane poliziotto.
Come ipnotizzata dal racconto di Melissa, Jennifer è quasi riuscita a vedere la sequenza degli avvenimenti che la bambina ha descritto. Una sola figura rimane nebulosa, indecifrabile.
-Melissa, - chiede - saresti capace di descrivermela? Quella donna, voglio dire.
La piccola come destata a sua volta dal suo sogno ad occhi aperti, la fissa.
-Allora mi credi?
-Certo. - fa Jennifer posandole una mano sul braccio. - Certo che ti credo.
-Era bellissima. - dice la bambina sorridendo. - Aveva i capelli neri e gli occhi azzurri. Era alta e portava un'armatura.
-Un'armatura? - chiede Jennifer perplessa. - Vuoi dire come quella dei cavalieri medievali, come i cavalieri della tavola rotonda?
-No, più piccola. Aspetta, ti faccio vedere.
Melissa salta giù dal lettino e corre agli scaffali della sua piccola libreria. Cerca tra i libri ordinatamente disposti e trovato quello che cerca, lo prende, lo apre su una pagina e lo porge a Jennifer.
-Ecco, - dice - come questa.
L'immagine sulla pagina scelta da Melissa, mostra l'arcangelo Gabriele armato di spada che incombe sul demonio. L'angelo indossa una specie di armatura dorata e leggera che gli copre il torace, finendo in frange di pelle intorno alla vita.
-Non è bella? - chiede Melissa, guardando da sopra la spalla di Jennifer.
-Bellissima. - risponde lei.
-+, no? - dice la bambina.
Jennifer chiude il libro, voltandosi a fissarla e con una mano le accarezza il viso.
-Forse. - risponde sorridendo.


Più tardi dopo essersi congedati dalla famiglia Stone, madre e figlia, Jennifer è in auto con Carruthers.
-Allora? - fa il tenente, - Che ti ha detto?
Jennifer esita. Le confidenze della piccola Melissa sono nitidissime ancora nelle sue orecchie (Forse era davvero un angelo) e lei non ha ancora deciso se farne partecipe completamente Carruthers. In realtà non ne ha molta voglia.
-Che c'è scritto nel rapporto sul rapimento? - chiede, guardando la strada davanti a sè, senza voltarsi verso di lui.
-Beh, tutto quello che ci ha raccontato la madre. La bambina era ancora sconvolta e abbiamo preferito non interrogarla.
-E cioé? - insiste Jennifer.
-Che l'uomo che l'aveva rapita era stato messo in fuga da una donna intervenuta all'improvviso e che se ne era poi andata subito prima dell'arrivo della polizia.
-Nient'altro?
-No. Nulla.
Jennifer tace continuando a fissare la strada oltre il parabrezza.
-Insomma, - sbotta Carruthers, - me lo vuoi dire o no, cosa ti ha raccontato la bambina?
-Ha detto - decide infine Jennifer, - che le è sembrato che la donna avesse una spada.
-Le è "sembrato"? - chiede il tenente, guardandola. La domanda pone l'accento sull'ultima parola in modo polemico.
-Sì, sì. Le è sembrato! - ribadisce Jennifer, seccata da quell'atteggiamento. Come poteva comunicare a un tipo pragmatico fino al cinismo come Carruthers le sensazioni che avvertiva dentro? - Cosa pretendi da lei? - prosegue con rabbia. - E' solo una bambina ed era sconvolta, l'hai detto anche tu. E' logico che i suoi ricordi siano confusi.
Carruthers ferma la macchina ad un angolo di strada e la fissa.
-Perche` non mi hai permesso di parlarle? A che gioco stai giocando, Rowles? Cerca di non fare la furba con me.
-Sei stato tu a chiamarmi. - dice Jennifer.
-Certo, ma non per vedermi escluso da un interrogatorio. Dovevi solo assistermi. Da quando in qua conduci tu le indagini?
-Qui non si trattava di un interrogatorio, ma solo di un colloquio informale con una minore vittima di un reato. Cerca di non scordarlo. E questo è più compito mio che tuo. - ribatte Jennifer, sostenendone lo sguardo risolutamente. - E ora, per favore, vuoi accompagnarmi a casa o devo scendere a cercarmi un taxi?
Carruthers la guarda ancora per un momento, quindi si volta e rimette in moto.
-Sei sicura che la bambina non ti abbia detto nient'altro? - chiede reimmettendosi nel traffico.
-Niente d'importante.
-Ti dispiacerebbe lasciarlo decidere a me, cosa è importante? E quella storia del cerchio dorato?
Jennifer si lascia tentare per un istante dall'idea di negare anche quel dettaglio, ma poi decide di non esagerare, e opta per una via di mezzo.
-Non sa. Non ricorda bene. Chissà in realtà cosa ha visto. Piuttosto, che mi dici del rapitore? - aggiunge, anche per cambiare argomento.
-Nulla. Nessuna traccia, come al solito.
-La bambina dice che l'ha portata via con una macchina.
-Ah, - fa Carruthers sarcastico, - allora qualcosa ha detto. Comunque non abbiamo trovato auto abbandonate. E' probabile che quel tizio sia tornato a recuperarla.
-Avete fatto un identikit?
-E con cosa? Ci hai parlato solo tu. Ti sei fatta fare una descrizione?
-Francamente no. - ammette Jennifer.
-Ci avrei giurato. - mormora il tenente a mezza bocca.
-In quale strada esattamente, è stata ritrovata la bambina?
-Corner Street. E' poco più di un vicolo,alla periferia sud della città. Ah, ecco una cosa strana. - dice Carruthers.
-Cosa?
-E' a non più di un paio d'isolati da dove abbiamo ritrovato la tua amica svenuta. Un quartierino movimentato, eh?
-Potrebbe essere solo una coincidenza.- minimizza Jennifer.
-Certo, come no? Coincidentale come la notte dopo il tramonto. - risponde con una risatina Carruthers. - Scendi, sei arrivata.
L'auto aveva imboccato il vialetto della loro residenza provvisoria, senza che lei neanche se ne fosse accorta, tanto era concentrata nella conversazione.
-Domani la porto via di qua. - butta lì Jennifer scendendo.
-Cosa? - chiede il tenente. - E che aspettavi a dirmelo? - Il tono è tornato pericolosamente irritato.
-La porto a casa mia. Il procuratore ti comunicherà i dettagli in serata. - dice freddamente Jennifer. Le spiace usare un tono simile con un vecchio amico, ma l'atteggiamento di lui l'ha indispettita.
-Ma certo, dottoressa. Ai suoi ordini. - risponde Carruthers con tono amaro. - Ritorno subito nei miei ranghi.
Jennifer si sta allontanando verso la casa, quando il tenente la richiama.
-Ehi, Rowles. - fa fissandola dal finestrino dell'auto. - Lo sai, vero, che posso tornare a interrogare la piccola Melissa, se voglio, e questa volta da solo?
-Fai come vuoi, - risponde lei, - ma non otterrai molto. Ora scusami, ma devo andare.
Con il passo deciso, Jennifer oltrepassa il cancelletto del giardino, mentre sente alle sue spalle il rumore del motore che riparte. Una sgommata un po' troppo decisa testimonia dello stato d'irritazione di Carruthers.
Ora che lui non può vederla, Jennifer si lascia un po' andare con un sospiro. Certo che sa che il tenente può nuovamente interrogare Melissa, ma sa anche che la bambina non gli dirà niente.
-Melissa, - le aveva chiesto Jennifer, prima di lasciarla - ora devi giurarmi una cosa, croce sul cuore.
La bambina l'aveva guardata, tutta compresa dell'importante incarico che quella signora così gentile pareva sul punto di affidarle.
-Chiunque ti faccia domande su quella donna, tu non devi dire mai più ciò che hai detto a me. Dirai che non ti ricordi bene, che eri troppo spaventata. Me lo giuri?
-E' una cosa importante, vero? - aveva chiesto Melissa.
-Molto importante.
-Vogliono arrestarla? Vogliono chiuderla in prigione? - Le lacrime erano tornate ad affacciarsi nei suoi occhi. -Ma se lei è un angelo? Non si può mettere in prigione un angelo.
-E non ci riusciranno, se tu non dirai nulla. - aveva risposto Jennifer. - Me lo giuri, allora?
-Croce sul cuore, che possa morire. - aveva detto Melissa, facendo seguire alle parole il rituale segno sul petto.
Anche questa è stata un'idea improvvisa, come quella della registrazione, come quella del trasferimento. In quella storia si stava facendo trascinare un po' troppo dall'istinto, ma è più forte di lei. E' come se una forza sconosciuta la stesse spingendo in una direzione che ancora non riesce neanche a immaginare. Una forza a cui è inutile resistere, e forse neanche lo vuole.


Joyce è seduta sul divano del salotto, la testa appoggiata all'indietro con gli occhi che fissano il soffitto senza vederlo. Oggi non si è mai addormentata. Nei giorni passati, il sonno e i sogni che venivano a visitarla erano stati una specie di rifugio da quel mondo d'incubo che la circondava, ma dalla notte prima anche questo era cambiato. Essersi svegliata ed aver visto quella forma scura che la guardava dalla finestra (ma lei aveva capito subito che era Mark) era stata la cosa peggiore tra i pur tanti brutti momenti che aveva passato. Ora pensare di riaddormentarsi col rischio al risveglio di ritrovarsi di nuovo davanti suo marito la terrorizzava.
"Il nostro appuntamento è solo rimandato." le aveva sibilato il "mostro" prima di sparire nel buio. E' incredibile, come adesso, attraverso il ricordo, le sembri quasi che Mark avesse assunto davvero le fattezze di un autentico mostro. Avrebbe giurato che quando si era voltato verso di lei, pronunciando quelle parole, i suoi occhi fossero gialli, come quelli di un rettile. Un mostruoso rettile umano che poteva strisciare lungo i muri per raggiungere la finestra della sua stanza. E del resto, lei non si trovava forse al piano superiore? Come aveva fatto ad arrivare lassù?
-Smettila, Joyce! - si era detta più volte durante quel lungo giorno, quando la sua fantasia minacciava di rompere gli argini, facendola precipitare nel panico. Ma ora, guarda al trascorrere delle ore con un timore crescente, mentre il rosso del tramonto lascia improrogabilmente il posto alle prime tenebre. Fuori i poliziotti sono sempre al solito posto. Se ne è assicurata molto spesso, scrutando attraverso le tende l'auto ferma nel vialetto. Così, cercando disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi, in attesa del ritorno di Jennifer, per tenere lontana la paura, il suo pensiero è corso alla voce e all'immagine confusa che vi si cela dietro. Ci ha pensato spesso in questi giorni, ed è giunta alla conclusione che forse non è esatto. Non è l'immagine che si cela a lei, ma lei stessa che per qualche ragione non riesce a scorgerla. L'immagine è lì, non chiede di meglio che di precisarsi, di divenire perfettamente distinguibile ai suoi occhi. E' lei, solo lei che non la vede. Come se qualcosa nella sua mente avesse posto un pesante sipario tra lei e il suo ricordo. E quella voce, così aliena e sconosciuta ed allo stesso tempo così familiare e amata, le era tornata anche in sogno, con quel suono caldo e preoccupato insieme. Poteva forse sfuggirle il significato esatto di ciò che diceva
(Ma non nel sogno. Non nel sogno!)
però il tono era inequivocabile: esprimeva dolore, partecipazione, amore.
E così, mentre l'immagine di suo marito la respingeva e le faceva ribrezzo, quell'altra immagine tanto oscura e indefinibile da doverle apparire altrettanto inquietante, invece l'affascinava e l'attraeva in modo inspiegabile.
Con un profondo sospiro Joyce si copre il volto con le mani.
Ah, se solamente fosse riuscita a ricordare.


Il tenente Carruthers entra nel suo ufficio, sbattendosi la porta alle spalle. I pochi uomini seduti alle loro scrivanie hanno imparato con l'esperienza che quando il loro capo è di quell'umore è meglio lasciarlo stare. Anche le grane peggiori è meglio che attendano il loro turno. Non è proprio il caso di aggiungere benzina al fuoco.
Per questo Andrew Lloyd non osa avvicinarsi alla porta e rimane sulla sua poltrona con la rivista in mano. I suoi occhi vagano dal titolo di copertina all'insegna sul vetro che indica che quello è l'ufficio del tenente Carruthers.
Lloyd esita ancora un momento, poi raccoglie tutto il suo coraggio e sotto gli sguardi allibiti dei colleghi bussa alla porta.
-Avanti! - tuona dall'interno la voce di Carruthers.
Con tutta la determinazione che gli è possibile, Lloyd abbassa la maniglia ed entra.
Il tenente non è alla scrivania come si era aspettato, ma in piedi di fronte alla finestra a scrutare un panorama che è evidentemente lontanissimo dal godersi.
-Beh, che c'è? - fa brusco, voltandosi appena verso il suo sottoposto.
-Ehm, capo - mormora Lloyd avvicinandosi con la rivista in mano. - mi dispiace disturbarla, ma credo che sia meglio che veda questo. - E gli tende il giornale col grande titolo di testa rivolto verso di lui.
Nel posare lo sguardo su quelle parole, la testa di Carruthers si gira a tal punto da far temere a Lloyd che possa svitarsi e cadere in terra.
-Oh, cazzo! - impreca il tenente strappandogli letteralmente il giornale di mano.
Su un disegno chiaramente realizzato al computer che mostra una donna in abiti succinti armata di un gigantesco spadone e sotto il nome della testata INSIDE VIEW scritto in un bel rossofuoco, quello che salta agli occhi è un titolo enorme che copre quasi l'intera copertina.

AMAZZONE GUERRIERA SCATENATA IN CITTA'

-Oh, cazzo! Cazzo!! CAZZO!!! - urla il tenente facendo volare la rivista con un gran sventolio di fogli contro la parete. Con altrettanta celerità, Lloyd ha già lasciato la stanza, prima ancora che l'improvvisato proiettile, rimbalzando, tocchi il suolo.


Per una singolare coincidenza, quasi nello stesso momento in cui un intimidito Lloyd si chiede se mostrare o meno al suo capo la rivista che tiene in mano, il professor Michael Sutherland entra nel bar adiacente al palazzo dell'università. Quel giorno non aveva avuto lezioni. Avrebbe dovuto esserci l'incontro a cui teneva moltissimo con la misteriosa protetta della dottoressa Rowles, ma tutto con suo grande disappunto era saltato per ragioni ancora sconosciute, almeno a lui. Ripensandoci, Sutherland si era detto che non conosceva nemmeno il suo nome. Quella storia lo intrigava moltissimo, così visto che non aveva niente da fare, aveva deciso di recarsi alla biblioteca dell'università a rinfrescarsi la memoria su alcuni dettagli che il suo vecchio cervello faticava a ricordare. La visita era risultata estremamente istruttiva. Vi aveva trovato un paio di testi che non aveva mai letto e che seppur molto generici sul tema che lo interessava, gli avevano permesso di chiarirsi alcuni dubbi. Il tempo era passato così velocemente che l'ora della chiusura lo aveva colto totalmente impreparato. Se avesse dovuto dar retta al suo orologio interiore, avrebbe detto di non aver trascorso all'interno di quelle sale più di un paio di ore al massimo, ma il grande pendolo all'ingresso stava suonando le cinque del pomeriggio. Il che significava due cose: che lui era lì dentro da sei ore e che senza accorgersene aveva anche saltato il pranzo. Proprio in quel momento il suo stomaco, ai cui richiami era rimasto sordo fino ad allora, gli aveva mandato il suo ultimo cavernoso avvertimento. Così il professore si era deciso a riporre i volumi che aveva avidamente consultato ed era partito alla ricerca di qualcosa che potesse soddisfare anche i bisogni un po' più terreni del suo corpo.
Poco dopo seduto al tavolo del bar, sta per addentare il cheeseburger che il cameriere gli ha appena servito quando l'occhio gli cade sulla rastrelliera dei giornali e delle riviste appesa alla parete di fronte. Ormai la sua vista non è più così perfetta come solo fino a qualche anno prima, ma la copertina dell'ultimo numero dell' INSIDE VIEW gli appare più chiara e visibile di un'insegna al neon. Sono soprattutto le prime due parole a tutta pagina che attirano la sua attenzione completamente.

AMAZZONE GUERRIERA

Completamente dimentico del suo pasto, con grandi inascoltate proteste del suo ventre, Sutherland si alza e corre, per quanto glielo consente la sua età, alla rastrelliera, afferra la rivista e s'immerge letteralmente nell'immagine sulla copertina. Sullo sfondo del grande titolo

AMAZZONE GUERRIERA SCATENATA IN CITTA'

si vede la figura di una donna che il fantasioso autore ha disegnato quasi in costume da bagno, con lunghi capelli al vento e una grande spada stretta in mano. Dietro di lei un cielo tempestoso la illumina di lampi e saette, conferendole un aspetto estremamente minaccioso. Col giornale stretto tra le dita, il professore fa per allontanarsi, quando una voce lo richiama.
-Ehm, professore. Professor Sutherland.
Ancora totalmente assorbito da quanto ha appena visto, il professore guarda quasi stranito il cameriere accanto alla rastrelliera che non aveva neanche notato.
-Mi scusi, - dice l'uomo, - ma il giornale è in vendita. Vuole che glielo metta in conto?
-Eh? Ah, no. Lo pago subito. - risponde Sutherland cercando distrattamente il portafoglio. - Quant'è?
-In tutto quattro dollari.
-Quattro dollari? - chiede il professore perplesso.
-Si`, - risponde il cameriere, - inclusi il panino e la Sprite.
-Panino? Oh, sì, certo. Il panino. - Preso da una frenesia insostenibile, Sutherland estrae dalla tasca un biglietto da cinque dollari e lo mette in mano al cameriere. - Ecco, tenga il resto. -E con la rivista stretta in pugno si affretta verso l'uscita.
-Professore, - lo richiama l'uomo, quando è già sulla soglia. - e la sua consumazione?
Sutherland lancia un'occhiata al cheeseburger che ha ormai assunto un aspetto malinconico.
-Ora non ho tempo, - dice chiudendosi la porta alle spalle. - lo mangi lei.


"I passeggeri del volo 432 per Los Angeles sono pregati di presentarsi al cancello d'imbarco numero sette."
La voce metallica proveniente dagli altoparlanti della sala d'aspetto riscuote dai suoi pensieri "Rolly" Arzunian, seduto in una delle tante poltroncine. Intorno a lui, al richiamo appena giunto, qualche persona in attesa si alza raccogliendo il bagaglio a mano e dirigendosi verso l'uscita indicata. Ma Arzunian resta a sedere, quasi inchiodato alla poltrona. La ragione della sua momentanea paralisi gli giace in grembo. L'ultimo numero di INSIDE VIEW, appena acquistato al chiosco dell'aeroporto. L'uomo fissa quasi ipnotizzato, da non sa neanche lui quanto, la copertina della rivista. E' quella che contiene l'articolo di Cheryl Cooper, quello che lei ha scritto sulla base delle sue dichiarazioni. Ma a lui non interessa l'articolo. Non ha neanche aperto il giornale. E neanche gli interessa il grande titolo a caratteri di scatola che copre quasi interamente la copertina. L'unica cosa che assorbe tutta la sua attenzione è l'immagine dietro il titolo. L'immagine della donna con la spada.
Non c'è che dire, il disegnatore ha fatto davvero un buon lavoro. Per la verità il volto è confuso e il costume non assomiglia neanche lontanamente a quella specie di armatura leggera che lui aveva descritto accuratamente alla giornalista, ma immagina che ai dipendenti di una rivista come INSIDE VIEW sia consentito, forse addirittura consigliato, di prendersi delle libertà d'interpretazione per solleticare il più possibile le fantasie morbose del loro pubblico. Con quella specie di costumino leopardato, la donna sembrava più una reduce di un film sull'età della pietra che un'amazzone guerriera. Anche la spada non somigliava affatto a quella che aveva visto. Troppo larga e tozza. E non vi era traccia di quello strano cerchio rotante. Evidentemente l'autore non l'aveva ritenuto abbastanza interessante. Forse perché non se lo era sentito sibilare accanto alle orecchie. Eppure…
Eppure, in quel disegno c'era qualcosa. Qualcosa di indefinibile, d'inquietante. Poteva trattarsi di quei fulmini, così realistici che alle sue spalle ne disegnavano quasi la sagoma, come se "l'amazzone" fosse giunta direttamente dal cielo in groppa ad uno di essi. O poteva essere a causa della posizione assunta dalla figura su quella copertina patinata, tesa, pronta a saltare fuori da quella dimensione di carta per tagliargli la gola con la sua lama. Qualunque cosa fosse, l'autore era davvero riuscito a catturare qualcosa dell'originale e a trasmetterlo perfino in quella versione così poco fedele. O forse era solo la sua paura, che quell'immagine aveva risvegliato, a renderla così concreta ai suoi occhi.
"I passeggeri del volo 432 per Los Angeles sono pregati di presentarsi al cancello d'imbarco numero sette. Ultimo avviso."
Il messaggio degli altoparlanti risuona drastico e senza appello nella sala d'aspetto ormai deserta.
Arzunian si alza, tastando nella tasca interna alla ricerca del biglietto. Nella stessa tasca avverte il rassicurante rigonfiamento del denaro riscosso in banca, che insieme ai suoi "risparmi", non farà forse la cifra che aveva in mente per mettersi a riposo sulle coste della California, ma gli permetterà comunque di lasciarsi alle spalle definitivamente i suoi brutti ricordi e le sue paure. Con un alzata di spalle, l'uomo si allontana. Sulla poltroncina che occupava, resta solo la rivista abbandonata. Sotto la luce fredda della sala, la spada disegnata sembra quasi mandare sinistri baluginii.





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