IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
DODICESIMO
CAPITOLO
Jennifer, appena rientrata, aveva comunicato subito a Joyce la sua
intenzione di trasferirla nuovamente, e questa volta a casa sua. La
ragazza non aveva fatto obiezioni. Chiaro segno che dopo quello che
era accaduto, l'idea di lasciare quella casa non le dispiaceva affatto.
-Vedrai, - le aveva detto Jennifer - il mio appartamento non è
grande, ma è all'ultimo piano di un condominio con tutte le
finestre sul davanti. Per i poliziotti sarà più facile
da sorvegliare e tu passerai comunque più inosservata.
Joyce le aveva rivolto un sorriso stanco.
-Jen, - le aveva chiesto - quanto andrà avanti questa storia?
Non potrai proteggermi per tutta la vita.
-Non ce ne sarà bisogno. Risolveremo la situazione. - aveva
risposto lei.
-Lo spero tanto, ma non riesco a crederci.
E così dicendo, Joyce si era guardata intorno più smarrita
che mai. Allora Jennifer le si era avvicinata.
-Tesoro, vai a dormire. Devi essere stanca, se mi hai detto che non
hai chiuso occhio tutto il giorno. Domattina ti aiuterò a fare
i bagagli.
La giovane si era alzata dal divano e si era diretta verso le scale,
ma prima di salire si era voltata verso Jennifer.
-Jen, io devo riuscire a ricordare cosa mi è successo quella
notte. Non puoi aiutarmi? Ci deve essere un modo.
Jennifer l'aveva guardata e l'aveva raggiunta aiutandola a salire.
-Vedrai, ricorderai tutto. Solo non devi avere fretta. - le aveva
detto conducendola al piano superiore.
Joyce era stata sul punto di dirle qualcosa. Jennifer l'aveva chiaramente
intuito, ma ancora una volta quel segreto che custodiva dentro di
sé, era rimasto sigillato nel suo scrigno. L'aveva lasciata,
augurandole la buonanotte e quindi era tornata giù ad assicurarsi
che la sorveglianza fuori della casa fosse sempre al suo posto. Nel
momento in cui rientrava, i due uomini che avevano terminato il loro
turno stavano lasciando il posto ai loro sostituti e lei li aveva
informati che la mattina dopo avrebbero lasciato la casa, senza però
comunicargli la nuova destinazione. Gliela avrebbe detta a tempo e
luogo, meglio eccedere in prudenza.
Ora seduta da sola nel salottino, sta cercando da qualche minuto di
mettere un po' di ordine tra le informazioni che ha ricevuto nelle
ultime ore.
Una donna guerriera di duemila anni fa.
Portava un armatura.
Forse era davvero un angelo.
La storia che le ha raccontato Melissa Stone deve per forza essere
in relazione con quanto era accaduto a Joyce.
Lei non ricorda quasi nulla tranne la spada, e Melissa ha parlato
proprio di una spada. Inoltre come le ha fatto notare Carruthers,
la bambina era stata ritrovata a pochi isolati da dove era stata aggredita
Joyce stessa. Una simile catena di coincidenze è impensabile.
Ha preferito non farne menzione con la ragazza, ma ora quasi le dispiace.
Forse sapere che quello che crede di aver visto non è completamente
frutto della fantasia avrebbe potuto esserle d'aiuto. L'indomani,
decide, le dirà tutto. Joyce deve sapere che il problema, qualunque
sia, non è nella sua mente.
In quel momento, il suo cellulare comincia a squillare e Jennifer
se lo porta all'orecchio.
-Pronto?
-Dottoressa Rowles?
-Professore. - Jennifer è quasi sorpresa di sentire la sua
voce. Evidentemente Sutherland deve essere ancora più ansioso
di quanto credesse di parlare con Joyce.
-Dottoressa, ho bisogno di vederla. - dice subito il suo interlocutore
senza darle neanche il tempo di salutarlo.
-Cosa c'è? E' successo qualcosa?
-Non lo so. Forse. Vorrei fosse lei a dirmelo.
Jennifer resta interdetta di fronte alle strane parole del docente.
-Mi scusi, ma credo proprio di non capire.
-Se lei non può venire da me, verrò io da lei. Basta
che mi dica dove e quando.
-No, aspetti un momento, professor Sutherland. Non so cosa sia successo,
ma se lei ha davvero urgenza di vedermi, potremo incontrarci domani
nel pomeriggio. Le va bene al parco?
-Sarebbe bene che vedessi anche la sua amica.
-Professore, non so se
-Mi creda, è importante.
La tensione nella voce di Sutherland è perfettamente avvertibile,
tanto che a Jennifer pare quasi di vederlo con la cornetta stretta
in mano e premuta sull'orecchio.
-Va bene, - cede lei - facciamo così. Lei resti a casa in pomeriggio.
Le manderò una macchina che la porterà da noi. Mi spiace,
ma non posso dirle quando ancora..
-Non importa. - risponde il professore. - Sarò ad attenderla.
L'indirizzo lo conosce. La ringrazio.
Il secco scatto del telefono riattaccato pone fine alla comunicazione
prima che Jennifer possa porre altre domande. La donna fissa il suo
cellulare con sguardo interrogativo quasi come se si aspettasse che
possa rispondere da solo ai mille quesiti che l'improvvisa chiamata
di Sutherland le ha acceso nella mente.
Che diavolo poteva essere successo per gettare un uomo posato e tranquillo
come il professore in quello stato di agitazione? Che la storia in
cui lei l'aveva coinvolto lo eccitasse enormemente non dubitava, ma
ora dal suo tono pareva quasi che fosse diventata una questione vitale.
Poteva aver saputo qualcosa che non aveva voluto dirle. Ma cosa?
"Parli proprio tu" pensa Jennifer con una risatina "che
ti stai comportando come un agente segreto in missione." Ancora
le dispiace il modo brusco con cui ha trattato Carruthers, e non riesce
neanche a spiegarselo tutto sommato. Anche se si fosse confidata con
lui, non era il tipo da andare a sbandierare la cosa ai quattro venti,
soprattutto se gli avesse espressamente chiesto la riservatezza.
Ora, però, ha altro a cui pensare. Portare l'indomani Joyce
a casa del professore, o addirittura incontrarsi all'aperto è
fuori questione. Troppo pericoloso e troppo esposto. Inoltre i poliziotti
che le scortano potrebbero farsi delle domande, e ancora lei preferisce
tenere il professor Sutherland fuori da questa storia. Così
anche inviargli una macchina della polizia non la convince per gli
stessi motivi. La cosa migliore è mandarlo a prendere magari
da un semplice taxi, che attirerebbe meno l'attenzione e presentare
la cosa come la visita di uno specialista, che poi sarebbe anche parzialmente
vero. Sì, l'idea le piace e già sta pensando a come
metterla in pratica quando il suo cellulare squilla di nuovo. Questa
volta la persona all'altro capo non le dà nemmeno il tempo
di dire pronto.
-Indovina un po', Rowles. - dice il tenente Carruthers.
-George. - Jennifer decide di togliersi subito il pensiero. In fondo
la telefonata di Carruthers arriva al momento giusto. - Ascolta, mi
dispiace per questa sera. Non intendevo comportarmi così. Sarà
il nervosismo che questa vicenda
-Sì, sì, OK. - l'interrompe il tenente - Non hai nulla
da scusarti. Anch'io non mi sono comportato in maniera esemplare,
ma ora non ha importanza. C'è di peggio.
A queste parole il cuore di Jennifer manca un battito.
-Che cosa è successo? - chiede, mentre dietro i suoi pensieri
si affaccia un sinistro presentimento.
-La frittata è fatta. - esclama perentorio Carruthers. -La
stampa è sulla storia.
Jennifer si lascia cadere di peso sulla poltrona più vicina.
-Oddio.- mormora.
-Sì, beh, è più o meno quello che ho detto io,
quando mi hanno portato questa spazzatura. - risponde il tenente.
-Cosa dicono i giornali?
-I giornali nulla per ora. Ho fatto controllare. L'unica che ne ha
avuto sentore è l'INSIDE VIEW. Sai, quella rivista zeppa di
donnine nude e di marziani che spuntano dalla tazza del cesso. Sulla
copertina
Ma preferirei non parlarne al telefono. Vengo da te
se non ti dispiace, così potrai vederlo con i tuoi occhi.
-Sì, forse è meglio. - dice Jennifer. - Ti aspetto.
Spento il cellulare, la donna appoggia la testa allo schienale della
poltrona.
"Ecco fatto." pensa "Che idiota. Come hai potuto pensare
che questa storia non venisse fuori prima o poi? E ora, come posso
continuare a proteggere Joyce? E cosa dirà Ballister?"
Poi il suo pensiero corre alla telefonata sibillina del professor
Sutherland. Ora forse capisce perché il professore le è
apparso così teso. Ma è inutile continuare a tormentarsi.
Carruthers arriverà da un momento all'altro, e potrà
così confrontarsi con l'effettiva dimensione del problema.
Ancora una volta la foresta. Ancora una volta la nebbia. La ragazza
si gira intorno scrutando quello strano luogo che è ormai l'unico
in cui si sente tranquilla, in pace (protetta?). Non vorrebbe lasciarlo.
Dentro di sé crede che quel posto esiste solo nella dimensione
del sogno, in una landa oscura, in una terra di nessuno dove la separazione
tra la vita e la morte è quasi annullata. Ma i suoi sensi le
trasmettono sensazioni diverse. E nel tentativo di stabilire un legame
più solido, tocca gli alberi che la circondano, sente sotto
le dita la corteccia ruvida delle piante e sotto i piedi la morbidezza
del manto erboso e il crocchiare delle foglie cadute. In quel luogo
deve essere autunno. Poi le sue mani scorrono sul suo stesso corpo.
Incontrano i capelli corti sul collo e sulle tempie, la morbidezza
di quegli abiti semplici, fatti a mano eppure così perfetti
su di lei, come mai nessun abito nella sua vita reale. Come è
possibile che quello sia un sogno, un semplice sogno? Tutto le appare
troppo concreto, troppo realistico. I suoi stessi sensi le paiono
esaltati, acutissimi. Lei non si limita a vedere quel luogo, a sentirlo.
E' come se fosse parte di sé, come se ogni singolo albero,
ogni singolo suono o silenzio le appartenesse. Anche il secco rumore
degli zoccoli, lento, cadenzato, che sente avvicinarsi lo avverte
come "suo", e così la figura alta che svetta sulla
sagoma del cavallo, ancora vaga, imprecisa, eppure tanto nitida e
riconoscibile agli occhi del sogno
ed ecco che, di nuovo, come se la sua coscienza venisse strappata
via, si sente trascinare in un vortice e d'improvviso tutto si oscura.
Il suo corpo è scosso da sussulti. Non riesce a respirare.
Non può vedere. I suoi occhi sono chiusi, ma sente intorno
a lei voci, tante voci. Alcune parlano in tono sommesso, come se fossero
in un luogo sacro, altre più concitate, ma una su tutte che
grida con quanto fiato ha in gola. Urla un nome, un nome che risuona
nelle sue orecchie con un eco ben conosciuta. La voce continua a gridarlo,
mentre a intervalli sente due labbra che si premono sulle sue soffiandole
aria nei polmoni e colpi violenti dati a pugni chiusi sul suo petto,
finché quello stato di abbandono e soffocamento la lascia e
l'aria fluisce nuovamente libera nella sua gola. I suoi occhi si aprono.
E, davanti a lei, c'è un volto, due occhi terrorizzati che
scrutano nei suoi, e mentre quel nome viene urlato un'ultima volta
la
sua coscienza riprende possesso di lei riportandola alla realtà.
Joyce si guarda intorno, istupidita dal brusco risveglio. La sua stanza
ancora immersa nel buio della notte. Ma questa volta non ha fatto
da sola il viaggio di ritorno.
L'ultimo suono che ha sentito nel sogno l'ha accompagnata. Quel nome
urlato così a lungo e così disperatamente dalla voce,
le riecheggia ancora nelle orecchie.
Olimpia.
TREDICESIMO
CAPITOLO
"COOPER:
Ci potrebbe raccontare esattamente come sono andate le cose?
A.: Certo. Io e il mio amico stavamo passeggiando. Eravamo passati
da almeno un paio dei nostri bar preferiti e quindi, beh, è
chiaro, no?
COOPER: Eravate alticci o proprio ubriachi?
A.: No, no. Sia io che B., il mio amico, reggiamo
reggevamo
bene l'alcool. Non ubriachi, diciamo allegri.
COOPER: E cosa avete visto?
A.: Beh, in un angolo di quella strada senza uscita, c'era una ragazza.
Avrà avuto poco più di vent'anni. Aveva l'aria sbattuta,
si muoveva in modo strano, indeciso, come se non sapesse neanche dove
si trovava. All'inizio, io e B. abbiamo pensato che fosse una drogata
e già stavamo per tirare in lungo, quando lei si è voltata
e allora abbiamo visto che aveva il vestito macchiato di sangue.
COOPER: E allora, cosa avete fatto?
A.: Beh, abbiamo pensato che forse era stata aggredita e ci siamo
avvicinati per chiederle se avesse bisogno di aiuto. Ma lei è
caduta a terra e non si è mossa. Allora, B. si è chinato
per rialzarla ed è in quel momento che è successo.
COOPER: Che cosa?
A.: All'inizio abbiamo sentito solo un sibilo
e qualcosa è
volato a pochi centimetri da noi, ha battuto con un rumore metallico
contro i muri e
ed è tornato indietro nella direzione
da cui era stato lanciato, come un boomerang.
COOPER: E cos'era? Chi l'aveva lanciato?
A.: E chi lo sa? Ma qualche metro sopra di noi, su una scala antincendio,
c'era una donna. Non riuscivamo a vederla bene, ma proprio mentre
stavamo guardandola, lei ha fatto un salto incredibile. Una specie
di salto mortale, non mi intendo di atletica, ma di quelle cose che
si vedono alle olimpiadi o al circo ed è atterrata sulle gambe,
come un gatto, davanti a noi.
COOPER: Allora l'avrà vista bene?
A.: Beh, sa, proprio non saprei. Come le ho detto era buio. E all'inizio,
non riuscivo nemmeno a credere ai miei occhi. Ma lei era lì.
Sarà stata alta non meno di un metro e ottantacinque, forse
un metro e novanta. Aveva lunghi capelli scuri che le coprivano la
faccia, e una specie di
armatura sulla parte superiore del corpo.
Al fianco portava uno strano cerchio di ferro. Le gambe invece erano
nude fino a sotto il ginocchio dove indossava un paio di lunghi stivali.
E wow, che gambe.
COOPER: Capisco. E cosa avete pensato, lei e il suo amico?
A.: Pensato? E chi ce l'ha avuto il tempo di pensare? Quel demonio
in gonnella ci si è scagliato addosso sguainando uno spadone
e urlando come un ossessa. Allora io e B. abbiamo estratto i nostri
coltelli e
COOPER: E voi ve ne andate in giro con i coltelli?
A.: Per difesa. Solo per difesa. Quei quartieri sono postacci. Dietro
ogni angolo ci può essere un drogato pronto a tagliarti la
gola per pochi spiccioli. La gente onesta deve pur potersi difendere.
COOPER: Certo. E allora?
A.: B. le ha gridato di andarsene e per farle paura si è sporto
in avanti puntandole la lama verso la gola. Ma non aveva neanche finito
di accennare il gesto che quella tizia ha fatto un'altra delle sue
capriole e un secondo dopo ce l'avevamo alle spalle. E tutte le volte,
lanciava una specie di grido, un grido strano che dava i brividi.
Pareva un "apache" sul sentiero di guerra. Allora B. ha
provato di nuovo a mandarla via agitandole la punta del coltello davanti
al viso, ma quella ha appena mosso la mano con la spada e il mio amico
è caduto in terra col braccio mozzato.
COOPER: Mi sta dicendo che quella donna ha tagliato il braccio del
suo amico con un colpo di spada?
A.: Certo! Lei cosa ha capito?
COOPER: E' incredibile!
A.: Può dirlo forte.
COOPER: E lei cosa ha fatto?
A.: Beh, non c'è da vantarsene, ma ero talmente terrorizzato
che in pochi attimi ero già lontano. Mentre scappavo mi è
parso di sentire quella specie di selvaggia che mi inseguiva, ma sono
riuscito a seminarla. Altrimenti ora non sarei qui.
COOPER: E' comprensibile. Deve essere stata un'esperienza terribile.
Del suo amico cosa ne è stato?
A.: Ho saputo che è morto poche ore dopo. Dissanguato.
COOPER: Orribile. Lei è andato alla polizia?
A.: E a fare che? So che non sono stati capaci di trovare niente,
come al solito del resto. E poi ho troppa paura. L'unica cosa che
voglio è andarmene di qui al più presto.
COOPER: Teme che quella donna sia ancora sulle sue tracce?
A.: E chi può dire come ragiona una pazza del genere? Potrebbe
essere.
COOPER: Ancora un paio di domande. Lei ha idea del perché vi
abbia attaccati?
A.: Chi lo sa? Forse era stata lei a ferire quella povera ragazza
e temeva che noi potessimo portarle via la preda.
COOPER: Ha saputo più niente di lei, della ragazza, intendo?
A.: No, ma può stare certa che se è finita nelle mani
di quella diavolessa, non la troveranno più. Non intera, almeno.
COOPER: Se lei fosse corso subito a denunciare l'aggressione, non
crede che la polizia avrebbe potuto salvarla?
A.: Senta, io ho accettato di rilasciarle un'intervista. Non sono
qui per una lezioncina morale. Avrei voluto vedere lei, in quella
situazione.
COOPER: D'accordo, d'accordo, non s'inquieti. Ma lei riuscirebbe a
riconoscerla questa donna con la spada?
A.: Io, in quel momento, non sarei riuscito a riconoscere neanche
mia madre. Quella donna potrebbe entrare proprio adesso e sedersi
davanti a me e io non la riconoscerei. Lo scriva chiaro.
Termina
qui la nostra esclusiva col testimone, che su sua specifica richiesta,
ha deciso di rimanere anonimo, dell'incredibile episodio avvenuto
alcune notti fa in una strada della nostra città. Una donna
armata di spada e abbigliata come una selvaggia amazzone di un lontano
passato, scorrazza quindi in mezzo a noi, in questo ventunesimo secolo
appena iniziato? Realtà? Fantasia? Il terrore negli occhi del
nostro testimone ci è parso però troppo reale perché
fosse tutto frutto d'invenzione. Comunque sia, questo giornale e la
vostra Cheryl Cooper continueranno a tenervi informati se ci saranno
sviluppi in questa strana vicenda."
Terminato di leggere, Jennifer richiude la rivista e resta a fissare
la suggestiva copertina.
-Che ne dici? - chiede Carruthers, seduto davanti a lei. -Un bel casino,
no?
-Poteva essere peggio. - risponde lei.
-Ma davvero? - dice perplesso il tenente, guardandola stupito. - E
mi spiegheresti come?
-Beh, se qualcuno doveva venire a sapere di questa storia, meglio
loro che l'OBSERVER o il TRIBUNE. Non vanno particolarmente famosi
per la credibilità delle loro inchieste.
-Forse, ma hanno comunque una diffusione di quasi un milione di copie
solo nella nostra città. Mi sono informato. Il che significa
che a una stima ottimistica almeno tre volte tante persone si troveranno
nei prossimi giorni a scorrere quell'articolo.
-Hai detto bene, - l'interrompe Jennifer - a scorrerlo, per poi passare
subito alla fandonia successiva.
-Beh, speriamo che tu abbia ragione. Ma non pensi che dovrei fare
una visitina alla giornalista che ha fatto l'intervista, quella Cooper?
O potrei addirittura farla convocare come testimone informata dei
fatti. In fondo questa è sempre un'indagine di polizia.
-Non credo che sia una buona idea, George. Si attaccherebbe come un'ostrica
alla libertà di stampa, alla deontologia professionale. Non
le tireresti fuori di bocca il nome del suo informatore e otterresti
solo di aumentare la sua curiosità. Se intervenisse la polizia,
le faresti capire che è una cosa seria, ed è ciò
che dobbiamo impedire con tutte le forze.
Il tenente fa un sorrisetto, guardandola di sottecchi.
-Bel discorso. Non fa una grinza. A meno che la nostra "amazzone"
giustiziera non decida di tornare a farsi viva. E allora, cosa faremmo?
Ad ogni modo, non ho certo bisogno della Cooper per sapere il nome
del signor A.
-Pensi che sia quell'Arzunian, il socio di Bixby?
-E chi altri? Puoi scommetterci tutto quello che hai che è
lui, così come puoi scommettere che il nostro amico, in questo
momento, è in volo per località ignota, ma sicuramente
lontanissima da qui. - Carruthers fa per alzarsi, ma ripiomba a sedere
sulla poltrona e si sporge verso Jennifer. - Piuttosto, dimmi una
cosa. Non mi sembri molto colpita da questo racconto.
-Perche` dovrei? - si schermisce Jennifer. - E' più o meno
ciò che sapevamo da Joyce, no?
-No, direi di no. La Bowers ricorda pochissimo, a quel che dice, di
ciò che le è successo. Una donna, forse, una spada,
una voce. Nient'altro a quanto so io - e a Jennifer sembra che Carruthers
marchi particolarmente la parola "io" - mentre qui invece,
abbiamo una donna con un'armatura, forte, agile come un atleta, e
armata, oltre che di una spada, di una specie di cerchio di metallo.
-aggiunge il tenente sfogliando l'articolo. Poi alza lo sguardo su
di lei. - Una visione piuttosto inconsueta, che però non ti
ha sorpreso molto, direi.
Con un sospiro, Jennifer si alza e va al mobile bar, versandosi una
generosa dose di whisky.
-D'accordo, George. Ho fatto abbastanza a pugni con la mia coscienza,
per stasera. Ascolta.
E così Jennifer comincia a parlare, raccontando a Carruthers
per filo e per segno ciò che la piccola Melissa Stone le ha
detto, il rapimento, l'intervento della donna in armatura, la fuga
del rapitore e la donna che dopo aver consolato la bambina spaventata,
l'aveva lasciata a pochi metri dai cani poliziotto che la cercavano,
scomparendo nella notte. Ma ancora una volta decide di tenere per
sé il coinvolgimento del professor Sutherland, e ancor di più
il suo appuntamento con lui per l'indomani.
Dopo averla ascoltata attentamente in silenzio, il tenente si alza
a sua volta per versarsi da bere.
-Tu permetti? - chiede, riempiendosi un bicchiere. - In questa città,
c'era già di tutto, ma francamente avrei preferito che i supereroi
restassero confinati ai fumetti. Un angelo, eh? - dice, ingoiando
in un solo sorso il liquore. - Non ci mancava altro.
Jennifer scoppia in una risatina.
-Nessuna traccia di ali, a quanto mi risulta, George. E' solo una
fantasia di bambina.
-Già, speriamo. - risponde il tenente. - Beh, ora devo andare.
Comunque penso che una visitina informale alla signorina Cooper la
farò. Cercherò di mantenere un profilo basso alla faccenda,
non temere. - e sta per aprire la porta di casa, quando si volta di
nuovo. - Dimmi una cosa. Secondo te, la Stone è una che legge
roba come questa? - chiede, agitando la rivista stretta in mano.
-Non lo so, - risponde Jennifer - ma direi di no.
-Meglio così. Comunque sarebbe bene accertarsi che questa Cooper
non venga mai a sapere di loro. Potrebbe essere un guaio.
-La bambina non parlerà. - dice Jennifer, senza neanche guardarlo,
lo sguardo fisso sul bicchiere che ancora stringe.
Carruthers le lancia un'occhiata inquisitrice e ironica nello stesso
tempo.
-"La bambina non parlerà!" - ripete con enfasi. -
Che affermazione decisa. E molto impegnativa, anche. - E scoppia in
una risata. - Tu la sai lunga, Rowles, molto lunga. Ci vediamo.
La porta si è appena chiusa alle spalle del tenente, e Jennifer
sta tornando alla poltrona, assorta nei pensieri che la visita di
Carruthers le ha lasciato, quando sente uno strano suono. Una specie
di singhiozzo che sul momento non riesce ad individuare. Perplessa,
posa il bicchiere e si dirige verso la soglia del salotto che porta
alle scale. Il suono le sembra provenire proprio di là e appena
girato l'angolo, si ferma stupefatta.
Ai piedi delle scale, con la schiena appoggiata alla parete, c'è
Joyce. La ragazza ha le mani sul volto e piange con tanta forza che
il suo corpo ne è scosso completamente.
"Oddio," pensa Jennifer "è di nuovo sonnambula."
Con estrema cautela, si china su di lei e le sfiora delicatamente
il braccio, ma Joyce sentendosi toccare, abbassa le mani e Jennifer
realizza che la ragazza è perfettamente sveglia. I suoi occhi
colmi di lacrime la fissano.
-Jen, - dice - allora è vero. Non sono pazza . Lei esiste.
-Joyce, - dice Jennifer, prendendola tra le braccia - ma di che stai
parlando, tesoro?
-Lei! - urla quasi la ragazza, afferrandole le mani e stringendole
convulsamente fin quasi a farle male. - Lei! La donna con la spada.
La donna che mi ha salvata.
Jennifer guarda con attenzione il viso sconvolto dell'amica.
-Ti ricordi? Hai ricordato cosa ti è successo?
-Nooo. E` ancora tutto così confuso, - si dispera Joyce - ma
quella bambina di cui parlavi, e quel giornale. Non possono essere
coincidenze. Lei esiste. Esiste.
Jennifer aiuta Joyce ad alzarsi in piedi e la conduce verso il divano.
-Vieni, hai bisogno di sdraiarti un attimo.
-Smettila, Jen! Per favore! - La ragazza si libera con uno strattone
e la fissa con una furia negli occhi ancora arrossati che quasi spaventa
la psicologa. - Non sono fatta di cristallo. Non mi rompo. In questi
giorni non ho fatto altro che sdraiarmi e riposare. Ora basta! Voglio
riprendere in mano la mia vita. Voglio sapere, Jen. E` vero tutto
quello che vi siete detti?
-Da quanto ci ascoltavi?
-Dall'inizio. Dormivo, ma
beh, vi ho sentito di sotto. Ho riconosciuto
la voce del tenente. Non volevo che mi vedesse, quindi sono scesa
piano piano e così ho potuto ascoltare la vostra conversazione.
Perché non me lo hai detto, Jen? Perché non mi hai detto
che qualcun altro l'aveva vista?
Nel suo tono di voce, Jennifer avverte quasi un rimprovero. Come se
lei si sentisse tradita da qualcuno in cui aveva riposta la sua fiducia.
-Perdonami, Joyce, - risponde - hai ragione. L'ho fatto per proteggerti,
ma probabilmente ho sbagliato. Anche se non è vero che ti considero
fragile. Credo invece che tu sia una donna molto forte. Non so quanti
avrebbero resistito al tuo posto. Volevo soltanto evitarti altri traumi,
ma te l'avrei detto. Anche domani stesso, te l'assicuro.
Joyce si siede e le indica il posto accanto a lei. Sembra più
quieta.
-Ti credo. Scusami tu, se ho reagito così. Siediti, ora. C'è
qualcosa che anch'io devo dirti.
Jennifer si accomoda accanto a lei senza parlare.
-Forse non ho il diritto di prendermela con te, se non mi hai detto
tutto, - prosegue la giovane - perché anch'io non sono stata
del tutto sincera.
Mentre parla Joyce comincia ad assumere quell'espressione che Jennifer
ormai conosce molto bene. Quasi come se il suo sguardo riuscisse a
spingersi oltre le pareti della casa.
-Quando ho avuto la crisi di sonnambulismo, ti ho detto che mi era
già capitato da bambina, ed è vero. Ma non ti ho mai
parlato del sogno. Non mi riferisco agli incubi che ho avuto in questi
ultimi giorni, ma a qualcosa che mi ha accompagnato fin dalla mia
infanzia.
-Che sogno? - chiede Jennifer quasi senza volere.
-Erano anni che non lo facevo più, ma poi all'improvviso è
tornato qualche giorno prima che Mark
sì, insomma, hai
capito.
Evidentemente in preda alla tensione per ciò che sta raccontando,
Joyce si alza e va verso la grande finestra a vetri, aprendola e sporgendosi
fuori, respirando aria a grandi boccate.
Dall'auto appostata nel giardino, spunta una sagoma e risuona la voce
di uno dei poliziotti.
-Che succede là? Tutto bene, dottoressa?
Jennifer si precipita alla finestra
-E` tutto a posto, grazie. Volevamo solo prendere un po' d'aria. Rientriamo
subito.
-E` meglio, - risponde l'agente - non è prudente.
-Ha ragione. Ci scusi. - E Jennifer richiude la finestra, riportando
Joyce verso il divano. - Fai un bel respiro. So che non è facile,
ma vedrai che poi andrà meglio.
La ragazza chiude gli occhi, respira profondamente due o tre volte,
quindi li riapre.
-Sto meglio ora. Grazie.
-Se non te la senti
- fa per dire Jennifer.
-No, - la interrompe Joyce - non posso continuare così. Devo
dirlo a qualcuno, o impazzirò davvero.
Jennifer si appoggia allo schienale del divano, fissandola.
-Ti ascolto. - dice.