IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
QUARTA
PARTE: LA LEGGENDA
CAPITOLO
SEDICESIMO
Alle una e quindici del pomeriggio, quando il campanello nell'atrio
manda il suo squillo, il professor Sutherland ha appena finito di
rigovernare. Ha da molto tempo acquisito l'abitudine a provvedere
da solo ai propri esigui bisogni, e la sua compagna quotidiana, la
solitudine, è ormai divenuta parte della sua vita.
Quando, quasi dieci anni prima, un cancro si era portata via la sua
Martha, gli era sembrato impossibile poterle sopravvivere e si era
adattato all'idea che, in breve tempo, l'avrebbe seguita. Poi, poco
a poco, la vita che pareva averlo abbandonato per sempre, era rientrata
dalla finestra, attraverso il suo lavoro, i suoi libri, la sua passione
per la storia, e lui, quasi senza rendersene conto, era tornato al
mondo e aveva ripreso la sua esistenza. Certo, era stata dura, tornare
a casa la sera e non sentire l'acciottolìo dei piatti nel lavello,
o il volume sempre troppo alto del televisore a causa dell'incipiente
sordità di sua moglie, ad accoglierlo. Ma il momento più
duro di tutta la giornata, veniva all'ora di andare a dormire. Il
letto matrimoniale con la sovraccoperta tirata via solo a metà,
lo riempiva sempre di una nostalgia infinita. Alla fine aveva ceduto
e il letto a due piazze era stato sostituito da uno più stretto,
ad una piazza e mezzo, e anche quell'ultimo ricordo era stato relegato
nel passato, insieme a tutti gli abiti e agli oggetti appartenuti
a lei che aveva dato in beneficenza.
"La vita continua." Era il ritornello che, passata la fase
delle condoglianze e degli sguardi bassi, si sentiva ripetere più
spesso da amici e conoscenti. E, alla resa dei conti, doveva ammettere
che era proprio vero. Così, col denaro ricavato dall'assicurazione
sulla vita che avevano stipulato reciprocamente, si era comprato una
villetta in campagna, a pochi chilometri dalla città, dove
passava qualche weekend e dove meditava di trasferirsi definitivamente
di lì a qualche anno, non appena avesse smesso di lavorare.
Con la pensione che gli sarebbe spettata, i suoi risparmi, più
quello che avrebbe incassato dalla vendita dell'appartamento cittadino,
pensava, avrebbe trascorso gli anni che gli rimanevano in beata tranquillità.
Certo, la tranquillità era l'ultima cosa che aveva provato
in quelle ore. Uno stato di eccitazione crescente che era iniziato
dalla singolare visita della psicologa della Procura, fino a quando
aveva posato gli occhi su quella rivista la sera prima in quel bar,
aveva permeato ogni singolo minuto di quei pochi giorni. Anche l'ultima
notte, l'aveva trascorsa in un sottile stato di agitazione, che riteneva
non dovesse essere molto diverso da quello provato dai suoi allievi
la notte prima di un difficile e determinante esame. L'attesa per
il colloquio di oggi era divenuta quasi insostenibile e si era sorpreso
più volte a lanciare occhiate ansiose all'orologio sulla mensola
del salotto, a quello da parete della cucina, o al moderno orologio
da polso, dono dei suoi colleghi per il suo sessantesimo compleanno,
due anni prima.
Quella mattina, per prima cosa, era corso alla vicina edicola e aveva
fatto incetta di tutti i quotidiani e le riviste su cui era riuscito
a mettere le mani, ignorando quasi gli ultimi numeri, ancora freschi
di stampa, del NATIONAL GEOGRAPHICS e dello SCIENTIFIC AMERICAN, delle
cui collezioni andava invece fiero, e che il suo giornalaio non mancava
mai di mettergli da parte. L'uomo, un arzillo vecchietto sempre pronto
alla battuta, l'aveva visto, con suo grande stupore, impilare una
sull'altra, riviste d'informazione e scandalistiche, oltre a quotidiani
d'ogni tipo e ispirazione, e l'effetto doveva essere stato notevole
perché aveva incassato senza riuscire a spiccicare parola.
Appena a casa, il professore aveva cominciato a spulciare pagina per
pagina, articolo per articolo, non trascurando nulla, neanche le inserzioni
pubblicitarie, i giornali acquistati. Era un lavoro che gli aveva
preso oltre un'ora, ma alla fine aveva richiuso soddisfatto anche
l'ultimo. Niente. Nessun quotidiano o rivista sembrava aver preso
in minima considerazione la notizia dell'INSIDE VIEW. La cosa era
tutt'altro che anormale, sicuramente. L'INSIDE VIEW non doveva raccogliere
molta credibilità neanche tra i suoi diretti concorrenti, e
tuttavia Sutherland, per motivi che avrebbe faticato a spiegare anche
a se stesso, aveva constatato con sollievo la cosa. L'istinto gli
diceva che si trovava davanti ad un caso così straordinario,
che riteneva di estrema importanza che meno persone possibili potessero
venirne a conoscenza. Che la cosa fosse giunta all'orecchio di qualcuno
era grave, ma finché restava confinata in quelle pagine, tra
rapimenti di extraterrestri e apparizioni miracolistiche, il danno
sarebbe rimasto limitato.
Il resto della mattinata era trascorso nelle correzioni di alcune
relazioni, che però aveva subito interrotto, quando si era
reso conto che le sue correzioni risultavano più confuse degli
errori stessi, col sottofondo della tv accesa sui vari notiziari,
( ma anche qui nessuna notizia in proposito), e nel tentativo di prepararsi
uno sformato di verdura, piatto che prediligeva e che sperava gli
avrebbe fatto dimenticare, almeno per un po', la sua tensione. Ma
anche questa operazione non era destinata a raccogliere molto successo.
Lo sformato pareva completamente privo di sapore, al punto che Sutherland
era stato colto dal dubbio di aver dimenticato di metterci il sale.
Aveva comunque cercato eroicamente di ingoiare qualche altro boccone,
fino a che più della metà della sua fatica culinaria
era finita nella spazzatura. Ed era appunto intento a sciacquare piatto
e bicchiere quando lo squillo del campanello lo aveva fatto sobbalzare.
Il professore lancia una rapida occhiata all'orologio sulla parete:
le una e quindici. Francamente non credeva che la dottoressa avrebbe
mandato l'auto a prenderlo tanto presto. Comunque meglio così.
Sutherland si libera velocemente del grembiule da cucina e si dirige
ad ampi passi verso la porta d'ingresso.
-Arrivo, arrivo. - dice ad alta voce, mentre il campanello squilla
ancora. - Sono pronto. Lasciate che mi butti su una giacca e
Dottoressa!
Sulla soglia, c'e Jennifer, sola, con le mani nelle tasche del soprabito,
che lo sta guardando.
-Credo che sia venuta l'ora di fare due chiacchiere, professore. -
dice.
Passata la prima sorpresa, il professor Sutherland si fa da parte
per farla passare.
-Si accomodi. Non mi aveva detto che sarebbe venuta di persona. Spero
che questo non significhi che dovremo nuovamente rimandare il nostro
incontro.
Jennifer entra e si volta verso di lui.
-No, non tema. Oggi lei parlerà con la ragazza.
-A proposito, - l'interrompe lui - non mi ha ancora detto il suo nome.
Non sarà un segreto anche quello, spero.
-Joyce. Si chiama Joyce.
-Joyce. - ripete Sutherland, gustandosi quel nome quasi come per trarne
un sapore.
-Ma prima, professore, come le dicevo, credo che sia meglio avere
un colloquio tra noi due, a quattrocchi, per così dire. Per
questo sono venuta qui personalmente, da sola e in anticipo. Anzi,
la prego di scusarmi. Spero di non avere interrotto il suo pranzo.
-No, no. In realtà, io mangio abbastanza poco, e i miei pasti
non mi prendono mai troppo tempo. Ma venga in salotto, staremo più
comodi.
Jennifer segue l'anziano docente in una piccola stanza con due poltrone,
un televisore e una libreria.
-Come vede, non sono abituato a ricevere ospiti. Temo di avere poco
da offrirle. Un caffè?
-Andrà benissimo.
Sutherland con un sorriso, si dirige verso la cucina e torna dopo
un paio di minuti con due grandi tazze di caffè nero fumante.
-Ho dovuto riscaldarlo. Tutto quello che avevo era freddo. - si scusa.
Jennifer, che è rimasta in piedi accanto alla libreria, scorrendo
i titoli dei volumi disordinatamente accatastati, prende la tazza
che le offre e comincia a sorseggiarlo.
-Va benissimo, grazie. - Poi, come se avesse preso una decisione definitiva,
posa il caffè sul tavolino al centro della stanza e fissa Sutherland.
- Professore, stanno succedendo strane cose, e ritengo proprio che
sia giunto il momento per me e per lei di parlarci con molta franchezza.
Sutherland posa a sua volta la tazza e si mette a sedere su una delle
due poltrone.
-Sì, credo che abbia ragione. - dice.
-Innanzitutto, perché mi ha chiamata ieri sera?
Il professore si alza, si dirige alla libreria, e da sopra alcuni
volumi, estrae la rivista acquistata il giorno prima e gliela tende.
-Per questo. - risponde.
Jennifer lancia un'occhiata all'ormai ben nota copertina.
-Sì, lo so. L'ho letto. - dice, restituendogliela.
-Parlando di sincerità, dottoressa, non crede che dovrebbe
essere lei a dirmi qualcosa, prima.
Sutherland la fissa attraverso le lenti dei suoi occhiali, quasi con
severità. Jennifer non può fare a meno di pensare a
come devono sentirsi i suoi allievi sotto quello sguardo.
-Non mi sento autorizzata a dirle tutto. C'è ancora un'inchiesta
in corso. Comunque, la ragazza di cui le parlavo, Joyce, sta molto
male. Le ho detto che ha subito un'aggressione, qualche giorno fa.
-Quindi, è proprio lei la ragazza di cui parla quell'articolo?
-Sì.
-Quegli uomini
sì, intendo il "testimone" e
l'amico, hanno cercato di violentarla?
-Sul suo corpo non sono state trovate tracce di violenza sessuale,
ma è probabile che sia perché non ne hanno avuto il
tempo.
-Cosa vi ha detto la ragazza?
-Lei non ricorda quasi nulla. Era sotto shock. Rammenta solo dei flash,
dei frammenti di ciò che le è successo.
Sutherland si china a riprendere la sua tazza e termina di bere, prima
di tornare a parlare.
-Avete provato con l'ipnosi?
-E' troppo pericoloso. - Jennifer si passa una mano tra i capelli.
- Ieri sera, ho provato io. - dice. - Solo un pò. Lei non se
ne era neanche accorta.
-Vuol dire - chiede Sutherland, fissandola - che ha cercato di farle
rivivere il suo trauma?
-Non proprio. Joyce ha un sogno ricorrente, e io volevo
Al diavolo!
Non so neanche io cosa volevo. Ma insomma, ha avuto una reazione che
mi ha spaventata a morte.
Il professore si china in avanti sulla poltrona e guarda Jennifer.
-Che ne direbbe se provassi io? Oh, non io personalmente, s'intende.
- si affretta a chiarire subito Sutherland, nel vedere lo sguardo
sorpreso della psicologa. - Non ho i numeri, né la capacità
per fare una cosa del genere. Ma conosco molto bene una persona che
potrebbe fare al caso nostro.
Jennifer sembra meditare per qualche secondo, poi scuote il capo perplessa.
-No, professore. Non me la sento di sottoporre Joyce a una cosa simile.
Le ho gia detto come ha reagito.
-Sì, ma mi ha anche detto che l'ha ipnotizzata a sua insaputa,
e questo, mi perdoni se glielo faccio osservare, credo che sia stato
l'errore. La persona che ho in mente io, è forse il massimo
esperto vivente nel settore e se c'è qualcuno con cui la sua
amica non correrebbe alcun rischio, è lui.
-E chi sarebbe?
-Il professor John Irving. Ne avrà sentito parlare, credo.
Jennifer non puo evitarsi di sobbalzare al nome fattogli da Sutherland.
-Il professor Irving? - dice. - Ma è la massima autorità`
mondiale nel campo dell'ipnoterapia.
-Oltre che saggista, conferenziere. - aggiunge Sutherland. - Negli
ultimi vent'anni, tutti i più importanti testi scritti sull'ipnosi
applicata alla psicoanalisi portano la sua firma.
La donna resta in silenzio, ma nei suoi occhi sembra brillare una
nuova luce.
-Il professor Irving. - ripete quasi a se stessa. - Devo ammettere
che sarebbe una grande tentazione vederlo al lavoro.
-Mi creda, Jennifer, posso chiamarla così, vero? La ragazza
potrebbe trarne un grande giovamento.
-Ma credo, comunque, che dovremmo prima parlarne con lei, visto che
è il soggetto dell'esperimento, no? - dice Jennifer.
-Certamente. Se lei non accettasse, non potremmo fare nulla. Ma faccia
del suo meglio per convincerla.
-No, professore. Non farò proprio nulla per convincerla. -
dice Jennifer, decisa. - Spiegherò esattamente a Joyce cosa
le sarà fatto e dovrà decidere lei e per sua libera
scelta.
Sutherland guarda Jennifer un po' contrariato, ma poi annuisce.
-Sì, ha ragione. Non possiamo giocare sulla pelle di quella
poveretta. D'accordo, le spiegheremo tutto e sarà lei a decidere.
Ora, se vogliamo
- e parlando, il professore compie l'atto di
alzarsi dalla poltrona, ma Jennifer lo blocca.
-Un momento, professore. Io, per quanto possibile, le ho detto la
mia parte. Che ne direbbe ora di fare altrettanto? Non crede di dovermi
qualche spiegazione anche lei? Fin'ora, è stato anche troppo
sibillino.
Il professore si alza e, dopo aver percorso pensieroso il salotto
un paio di volte, si ferma davanti a lei.
-Cosa vuole sapere? - chiede.
-Tutto quello che sa su Xena, la donna che continua a ritornare nei
sogni di Joyce.
Sutherland la fissa attento.
-La ragazza sogna di lei? Questo non me lo aveva detto.
-Le ho accennato a un sogno ricorrente, ma preferirei che fosse la
stessa Joyce a parlargliene, se vorrà.
-Non se ne sa molto, anzi quasi nulla. - comincia a spiegare il professore.
- Come ebbi modo di dirle al telefono, fino a poco tempo fa, pareva
solo una figura leggendaria, come Hercules o Ulisse, anche se io mi
chiedo
ma non divaghiamo. Poi, in una caverna tra le montagne
dell'Egitto, in una tomba senza nome, vennero rinvenuti alcuni manoscritti
su pergamena. La cosa singolare era che erano scritti in greco arcaico.
Erano ridotti a poco più che frammenti, ma il nome di Xena
vi ricorreva spesso.
-Che cosa c'era scritto?
-Da quel poco che se ne poté ricavare, sembravano racconti
delle gesta di Xena di Amphipoli, la principessa guerriera, come veniva
definita nel testo, e della sua inseparabile compagna di avventure,
Olimpia di Potidea, una poetessa divenuta a sua volta guerriera e
principessa delle amazzoni, a cui, tra l'altro, credo si possano attribuire
gli stessi manoscritti.
Jennifer ha un brivido lungo la spina dorsale. Sente il suo cuore
battere furiosamente.
-Amica inseparabile? Olimpia? - chiede. Le parole le escono di bocca
quasi automaticamente, mentre altre le riemergono improvvise nel cervello.
Non riesco a ricordarlo. Iniziava con una "o", mi pare.
Il professore le lancia un'occhiata senza rispondere, poi prosegue.
-Integrando le antiche leggende con i passi ancora decifrabili delle
pergamene, si è riusciti a ricostruire almeno parzialmente
la storia. Tra parentesi, pare anche che negli anni quaranta in Macedonia,
fossero stati rinvenuti altri scritti, ma se è così,
sono forse andati perduti, perché non se ne é più
parlato. Comunque sia, Xena e Olimpia nell'epoca Micenea, devono aver
percorso per anni le terre che dalla Grecia arrivavano fino all'estremo
Oriente, e dalle gelide pianure del nord fino ai deserti africani,
sempre insieme, vivendo avventure ai limiti del credibile e ben al
di là. Combattendo spietati tiranni, ma anche innominabili
esseri degli Inferi e creature ritenute da sempre leggendarie. Insomma
non si riesce a capire dove finisca la realtà e inizi la fantasia,
ma dal tono di quelle cronache emerge sopra ogni altra cosa il forte,
indissolubile legame che univa le due donne.
Jennifer continua ad ascoltare, in uno stato d'animo in cui il fascino
del racconto si contrappone alle preoccupazioni sempre più
incalzanti che il racconto stesso le evoca, mentre l'anziano professore,
continuando a parlare apparentemente ignaro di tutto ciò, cammina
incessantemente su e giu per la stanza.
-Un altro elemento interessante in quegli scritti è il riferimento
a una strana arma che Xena usava con grande perizia. Viene chiamata
"chakram", ed è descritta come un cerchio di metallo
affilatissimo ed estremamente robusto, forse di origini divine. Quando
lei lo scagliava, il cerchio tornava sempre nelle sue mani, dopo aver
compiuto la sua opera.
Jennifer comincia a sentire la testa girarle convulsamente e frasi
udite e lette le si sovrappongono nella mente come echi inarrestabili.
Qualcosa è volato a pochi centimetri da noi, ha battuto
con un rumore metallico contro i muri e come un boomerang è
tornato indietro, nella direzione da cui era stato lanciato
In mano aveva un cerchio dorato. Io volevo toccarlo, ma lei se lo
è messo alla cintura
volato come un boomerang
cerchio dorato
se lo è messo alla cintura
boomerang cerchio dorato boomerang dorato dorato cerchio cerchio
-Che ha Jennifer, si sente male?
La donna si scuote e fissa confusa il professore che la sta scrutando
preoccupato.
-Cosa? Oh, no, sto bene. Stavo solo pensando.
-Accidenti, - fa il professore, - mi è parso quasi che stesse
per svenire. E' diventata bianca come un lenzuolo. Aspetti, dovrei
avere del whisky, o magari anche del brandy. Non ne faccio un grande
uso, ma qualche volta
E così dicendo, Sutherland si dirige verso la porta.
-No, professore, davvero, non occorre. Forse è soltanto un
po' di stress dovuto a questi ultimi giorni. - lo ferma Jennifer.
- La prego, continui.
-Beh, - Il professore torna indietro, lanciandole un'occhiata ancora
un po' preoccupato. - non c'è molto altro da dire. E' più
o meno tutto quello che sapevamo, almeno fino a quando lei mi ha portato
quel nastro.
Jennifer resta per un po' in silenzio, osservando quasi però
senza vederlo, il professor Sutherland, che smesso di percorrere la
stanza, si è fermato di fronte a lei e continua a guardarla
perplesso. Imbarazzata dallo sguardo attento di lui, la psicologa
prova a ridarsi un tono, cercando di assumere l'aria più professionale
che le sia possibile.
- Lei che idea si fatta, ascoltandolo? - chiede.
-Non ho problemi ad ammettere che mi ha nello stesso tempo sbalordito
ed eccitato. - risponde il professore. - Ascoltare quella voce, quei
suoni, è stato come fare un viaggio nel tempo, indietro di
duemila anni. All'inizio non riuscivo a crederci. Ho ascoltato quelle
parole tante e tante di quelle volte che alla fine ero in grado di
anticiparne ogni ansito o minima variazione di tono.
-E' riuscito a tradurle completamente?
-No, non del tutto. Credo che sia impossibile. La voce è troppo
alterata, sconvolta dai singhiozzi, e inoltre alcune parole mi risultano
incomprensibili, come se fossero mischiate a forme colloquiali di
altre lingue.
-Io ho fatto un pò di greco a scuola, - interrompe Jennifer,
- ma non ero stata in grado nemmeno di riconoscere la lingua.
-Non me ne stupisco. Quella non è certo la lingua che si insegna
nelle aule. All'epoca, il greco, come peraltro tutti gli altri idiomi,
era imbastardito dal continuo intersecarsi di popoli che venendo a
contatto tra loro, finivano per creare un gergo a se stante. Comunque,
la sostanza di ciò che si sente sul nastro, è la continua
ed ossessiva invocazione di qualcuno che la sua amica chiama Xena.
-"Xena, torna da me, ti prego" - cita Jennifer.
-Sì, - conferma Sutherland, - ma anche "Non riesco a vederti",
"Perche` mi hai lasciata sola?". Ho segnato tutto quello
che sono riuscito a decifrare su questo taccuino. - aggiunge, estraendo
da uno scaffale della libreria, un blocco. Jennifer lo prende e ne
sfoglia le prime pagine, zeppe di segni che i suoi lontani ricordi
scolastici, identificano con i vocaboli del greco antico.
-Professore, - chiede, indicando una delle pagine, - qui, c'è
una parola che lei ha cerchiato di rosso. Come mai?
Sutherland riprende il blocco, dà un'occhiata, poi lo richiude
e lo ripone sullo scaffale.
-E' una parola che viene ripetuta solo un paio di volte e di cui non
sono sicuro, ma potrebbe essere proprio il nome dell'altra donna.
Di Olimpia.
Jennifer, a questo punto, sente come se le gambe le cedessero sotto
il peso del corpo e si affretta a risedersi. Sta cercando disperatamente
di ancorarsi alla realtà, alla sua razionalità o ai
pochi brandelli di essa che ancora resistono.
-Non capisco, professore, che c'entra Joyce in questa storia? Che
rapporti ci possono essere tra una giovane donna di oggi e delle guerriere
di duemila anni fa?
Sutherland si siede di fronte a lei, guardandola dritta negli occhi.
-E' proprio sicura di non capire? Io credo invece che lei abbia intuito
la possibile risposta da molto tempo. Perché altrimenti avrebbe
registrato le frasi dette da Joyce e le avrebbe portate a me? E come
si potrebbe spiegare che la ragazza pronunci nel sonno parole in una
lingua morta, che invochi una donna di cui non dovrebbe sapere nulla,
e per di più piangendo e disperandosi a quel modo?
Jennifer non sa cosa rispondere a quelle domande incalzanti che Sutherland
le sta sottoponendo. Ma ormai le sue ultime resistenze stanno cedendo.
-Cosa sta cercando di dirmi, professore? - mormora Jennifer, mentre
sente che ormai il momento è arrivato. Il momento di affrontare
ciò che all'inizio non sapeva neanche come considerare, che
la sua mente aveva assunto solo come una remotissima ipotesi che la
più flebile ventata di raziocinio avrebbe spazzata via come
una foglia in autunno. Ma dentro di sé, sapeva. Sutherland
aveva ragione. Quella parte del suo cervello che agiva per puro istinto,
aveva capito, e quando si era tuffata in quel gorgo senza fondo che
era diventata la vita di Joyce, era perfettamente consapevole che
la risposta finale non poteva essere che quella.
-Lei crede nella reincarnazione, dottoressa? - chiede Sutherland,
continuando a fissarla come per imprimersi nella memoria ogni sua
più piccola espressione davanti a quella domanda.