IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
DICIASETTESIMO
CAPITOLO
La domanda sembra rimanere sospesa nell'aria
per un tempo indefinito, mentre Jennifer cerca di dominare quel tremito
nella sua voce, che le pare insostenibile e l'innervosisce, ma con
l'unico risultato di renderlo ancora più accentuato.
-Credo
credo che non sia mai stata provata su alcuna base scientifica.
- tenta di rispondere - Naturalmente, so che sono stati scritti migliaia
di libri sull'argomento, ma al di là di ciò che vi si
afferma
-Dottoressa, - l'interrompe Sutherland - non mi riferivo ai quintali
di ciarpame in proposito che si possono trovare in qualsiasi libreria.
No, lo so benissimo che non ci sono prove, se per prova intendiamo
un'osservazione oggettiva e rigidamente controllabile del fenomeno,
tuttavia molte dottrine, soprattutto orientali, la considerano come
un fatto naturale, una logica evoluzione dell'anima verso più
alti stati di coscienza. Io stesso ho studiato con molta attenzione
la cosa per anni, anche se mi sono ben guardato dal farne partecipi
i miei esimi colleghi. No, grazie. Non ci tengo affatto ad essere
additato come "quel vecchio idiota di Sutherland". So benissimo
che la scienza, quella togata, quella delle aule universitarie, è
la più miope delle discipline. Ci vogliono a volte secoli,
perché tesi innovative con tonnellate di prove a sostegno,
riescano a scalzare dogmi ormai incancreniti, ma profondamente radicati
nella convenzione generale. Ma io non l'ho mai pensata così.
Secondo me, la scienza, quella vera, non può permettersi di
negare nulla per partito preso, ma ha il dovere, il DOVERE - e sottolineando
con enfasi questa parola Sutherland si alza come se si stesse rivolgendo
ad un aula piena di studenti - di esaminare nel dettaglio ogni tesi
nuova che le si ponga davanti.
Il vecchio professore, che preso dal suo discorso, ha ricominciato
a percorrere a grandi passi il salotto, sembra rendersi conto solo
ora del modo in cui Jennifer lo sta guardando, profondamente impressionata
dalla forza vibrante con cui sostiene le sue argomentazioni, quasi
come se, dopo anni di silenzio accondiscendente, finalmente stesse
dando libero sfogo alla sua reale personalità.
-Mi scusi, mia cara, non intendevo travolgerla così. Devo essermi
un po' lasciato trascinare dall'entusiasmo. Capisco il suo stato d'animo.
Anche se, come penso, lei aveva già intuito qualcosa, sentirsi
gettare in faccia una cosa come questa tutta insieme, non deve essere
facile da mandare giù.
-Professore, - azzarda Jennifer, quasi timidamente, - lei crede che
Joyce
-Su quelle pergamene - continua Sutherland, con più calma -
il legame tra Xena e Olimpia è descritto come indissolubile,
al di là della vita e della morte, quelle che si dicono anime
gemelle. Forse oggi, dopo duemila anni, quelle anime si sono incontrate
di nuovo.
-Xena e Olimpia. - dice Jennifer, quasi rivolta a se stessa. - Due
guerriere. Non ce la vedo Joyce, in un ruolo simile.
-Beh, Olimpia non era proprio una guerriera, almeno all'inizio. Anche
se stando con Xena, deve aver imparato presto a combattere. Erano
tempi duri, quelli. Chi non era in grado di difendersi non sarebbe
sopravvissuto a lungo. Lei era più portata per l'arte. Era
nota come poetessa, per questo credo che quei manoscritti siano opera
sua.
-Sa, professore, la cosa che più mi stupisce è che si
trattasse di due donne. La storia e la mitologia sono piene di eroi,
ma eroine
-Eh, temo che la storia sia un po' diversa da come c'è stata
sempre raccontata. D'altra parte, non è forse recentissima
la scoperta di diari e cronache che hanno permesso di guardare da
una nuova prospettiva l'importanza avuta dal popolo nero nella conquista
del west? Solo di recente abbiamo capito quanti pistoleri di colore
siano esistiti, mentre i libri di storia si erano sempre ben guardati
dal citarli E se una cosa del genere è stata possibile per
avvenimenti di appena un secolo fa, non pensa che sia ancora più
facile con quelli che distano da noi così tanto? E per restare
nel west, cosa mi dice di Calamity Jane o Annie Oakley? O magari della
pirata Mary Read? E le antiche leggende sulle Valkirie o sulle Amazzoni?
Sono davvero solo frutto di fantasia, o posano le loro basi su personaggi
reali? E che mi dice della regina celtica Boadicea che tenne testa
all'esercito di Roma? E se le dicessi che recentemente in Gran Bretagna
sono state ritrovate le ossa di quella che quasi sicuramente era una
gladiatrice? Inoltre, scommetto che non sa che durante la seconda
guerra mondiale, una squadriglia aerea americana era costituita da
sole donne. Mi creda, Jennifer, nella storia del mondo non c'è
categoria di guerrieri, avventurieri, soldati che non abbia avuto
le sue rappresentanti femminili, solo che sono state sempre molto
opportunamente "dimenticate", e quando qualche volta se
ne è parlato, lo si è sempre fatto considerandole niente
di più di una nota di colore.
Nonostante sia ancora un po' sottosopra, Jennifer non può fare
a meno di sorridere.
-Non credevo che lei fosse un così acceso femminista, professore.
Un po' imbarazzato, Sutherland sorride a sua volta.
-Non è questo, solo mi rifiuto di uniformarmi a verità
dogmatiche e precostituite. Mi comporto unicamente come ogni vero
ricercatore dovrebbe fare in qualunque disciplina: mi pongo continuamente
dei dubbi e non li scarto soltanto perché non rientrano nei
comuni parametri della visione del mondo.
Jennifer e Sutherland restano per qualche secondo senza parlare, guardandosi.
Il silenzio si è fatto così profondo che diviene perfettamente
udibile, nonostante sia molti piani sotto, il rumore del traffico
sulla strada, e il ticchettio dell'orologio sulla mensola riempie
la stanza completamente. E' la donna a romperlo.
-Forse ora lo prenderei volentieri un po' di quel brandy.
-Ma certo. - Il professore esce dalla stanza e vi rientra un attimo
dopo con una bottiglia piena a metà e due bicchieri. - Trovo
sempre che sia molto maleducato lasciar bere da solo un ospite. -
dice, e versa il contenuto della bottiglia nei bicchieri, tendendone
poi uno a Jennifer.
-Cosa ne fu di Xena e Olimpia? - chiede lei, prendendolo. - Quei manoscritti
dicono nulla?
-Le ultime pergamene decifrate - risponde Sutherland, sedendosi, col
suo bicchiere in mano, - raccontano in termini un po' vaghi di Olimpia
che parte da sola per le terre dei Faraoni.
-L'Egitto. Proprio dove sono stati trovati i manoscritti.
-Esattamente. Ma almeno in quelli ritrovati, non si dice che cosa
ne è stato di Xena. In alcuni frammenti precedenti si parla
di un viaggio nel paese del Sol Levante, il Giappone evidentemente,
e là deve essere successo qualcosa. Ma è rimasto troppo
poco per poterne trarre delle deduzioni anche approssimative.
-Ma lei si sarà fatta un'idea.
-Beh, secondo me, Xena deve essere morta laggiù, forse in battaglia.
E Olimpia, distrutta dal dolore, è fuggita il più lontano
possibile dai suoi ricordi.
-E poi?
-Chissà? Olimpia deve essere rimasta in Egitto, molti anni.
Forse vi è morta, e la tomba in cui sono state trovate le pergamene
potrebbe essere proprio la sua. Ma due anime gemelle non possono restare
divise per sempre. E' nel loro destino ritrovarsi. Prima o poi, i
loro sentieri s'incroceranno di nuovo.
-Ma perché dopo duemila anni, e proprio qui?
-E perché no? E comunque, chi dice che non si siano reincarnate
altre volte, in altri posti, in altri secoli, ma senza riuscire ad
incontrarsi, forse senza neanche avere memoria l'una dell'altra? Vivendo
vite normali, anche felici in apparenza, ma con un indefinibile retrogusto
di vuoto. Non capita forse a tutti noi, di sentirci a volte insoddisfatti,
senza saperne neanche il motivo? C'è un'antica leggenda, è
riportata sia pur in modo diverso in molte culture, che racconta come
milioni di anni fa, gli esseri umani vivessero in forma di puri spiriti.
Erano esseri perfetti, in cui coesistevano pace ed armonia, ma gli
Dèi invidiosi di questa sublime felicità scissero quelle
anime e le condannarono su questo mondo, a rimanere divise, alla perpetua
ricerca della loro altra metà. Ma se le due metà si
incontrano, allora niente più riuscirà a separarle per
sempre e le loro vite s'intrecceranno in eterno, ancora , ancora ed
ancora.
-E' una storia suggestiva.
-E spiegherebbe alcune cose. Ad esempio, i cosiddetti colpi di fulmine.
Due persone che non si sono mai viste prima, incontrandosi sentono
l'una per l'altra una irresistibile attrazione. La scienza ha cercato
di spiegarle con i feromoni ed altre astruse teorie, ma questa a me
pare molto più suggestiva.
-Anche a me. - dice Jennifer. Le parole del professore le hanno riportato
alla mente alcune frasi che Joyce le ha detto.
E' come se avessero strappato una parte di me, e io avessi sempre
vissuto senza rendermene conto. E solo ora ne fossi consapevole. Sento
un vuoto terribile, Jen, dentro, nel profondo. E non so perché.
Se il professore le avesse udite, le sue convinzioni si sarebbero
rinsaldate ancora di più, e molti "forse" sarebbero
scomparsi dal suo discorso.
Eppure lei, che per prima (adesso è disposta ad ammetterlo)
aveva intuito quella possibilità, ora non riesce ad accettarla
del tutto. Il professore aveva ragione di nuovo. Non è facile,
dopo quasi trent'anni di vita a base di positivismo e razionalità,
sentirsi travolgere da una dimensione sconosciuta, da leggi di un
universo in cui all'improvviso,niente più sembra ciò
che era prima. Nell'ultima ora, il baricentro della sua esistenza
è stato rovesciato di 180 gradi e niente potrebbe riportarlo
nella sua posizione originale.
-E ora, mia cara dottoressa, non perdiamo altro tempo, - dice Sutherland
alzandosi. - Non crede anche lei, che un colloquio con la sua giovane
amica s'imponga?
Con un sospiro, Jennifer si alza a sua volta.
-Andiamo pure, professore. Joyce ci sta aspettando. Però dovremo
chiamare un altro taxi. Quello con cui sono venuta qui, l'ho lasciato
andare. Immaginavo che la conversazione sarebbe stata lunga.
Mentre l'auto sta percorrendo il tragitto verso la casa della psicologa,
Jennifer riaccende il cellulare e l'apparecchio immediatamente inizia
a squillare.
-Pronto?
-Dove diavolo ti eri cacciata? - tuona la voce del tenente Carruthers
dall'auricolare.
-George, calmati. L'ho lasciato spento senza accorgermene, e comunque
potevi lasciare un messaggio sulla segreteria. - risponde lei, quasi
complimentandosi con se stessa per la disinvoltura che sta acquisendo
nel mentire.
-Sai bene che detesto quegli stupidi messaggi elettronici, e poi avevo
bisogno di parlarti di persona. - fa lui. - Devo dirti un paio di
cose. Primo, sono un idiota. Avrei dovuto darti ascolto.
-A che ti riferisci?
-Sono andato a trovare quella donna, la giornalista dell'INSIDE che
ha scritto quell'articolo. Non solo non ho ottenuto nulla, come tu
avevi previsto, ma accidenti! sembrava che mi leggesse nella mente.
Ho fatto la figura del cretino. Avresti dovuto sentirmi. Chissà
le risate che ti saresti fatta.
-Deve essere davvero una donna speciale, se è riuscita a metterti
sotto.
-Adesso non esagerare, tu ci riesci molto meglio.
-Già. - ridacchia Jennifer. - E così ora avrà
rizzato le antenne.
-Puoi dirlo. E ha tutta l'aria di essere una che non molla facilmente.
-E la seconda cosa?
Carruthers esita un attimo, e Jennifer sente l'aria raffreddarsi intorno
a lei.
-Gli uomini di guardia credono di avere visto qualcuno sul tetto di
fronte a casa tua.
-Chi? Ne sono sicuri?
Il tono della voce di Jennifer sale a tal punto, che il professore
seduto accanto a lei la fissa preoccupato.
-No, naturalmente. Ho detto "credono". - risponde Carruthers,
con una voce in cui l'irritazione suona evidente. - Ma quando sono
saliti a controllare, non hanno trovato nessuno. Potrebbe anche essere
un falso allarme.
-Joyce si è accorta di nulla?
-No, non penso, per fortuna. Ma giusto per prudenza, ho dato ordine
che da ora in poi, uno di loro stazioni permanentemente su quel tetto.
-Non sei in grado di procurarmene un altro?
-Vuoi scherzare? Già ho dovuto fare i salti mortali per averne
due. - risponde il tenente quasi urlando. - E c'è di più.
Non so fino a quando potrò assicurarteli. Perché non
provi tu a chiederli al Procuratore, visto che siete pappa e ciccia?
-Non posso, George. Mi farebbe troppe domande. E' già tanto
che mi lasci fare senza interferire. Mi sembra quasi troppo bello
per essere vero.
Dall'altra parte, Jennifer avverte una pausa prolungata, come se Carruthers
stesse per dirle qualcosa, ma poi il tenente la saluta rapidamente
e riattacca, senza neanche darle il tempo di rispondere al suo saluto.
Perplessa, la donna spenge il cellulare e lo ripone in tasca, accorgendosi
solo in quel momento dello sguardo che il professore ha continuato
a tenerle addosso fino ad allora, e sorride per rassicurarlo.
-Problemi? - chiede lui.
-Come al solito, professore. Ma li risolveremo. - risponde, proprio
mentre il taxi si ferma davanti al suo indirizzo.
-Joyce,
ti presento un mio vecchio amico e docente universitario, il professor
Michael Sutherland.
L'uomo si china a prendere tra le sue, la mano che la ragazza gli
ha teso sorridendo.
- E' un piacere conoscerla, professore. - dice lei.
-Oh, la prego di credermi, mia cara, - risponde Sutherland - il piacere
è tutto mio. La sua amica mi ha parlato a lungo di lei, tanto
che mi pare già di conoscerla.
Un po' imbarazzata dall'atteggiamento cerimonioso del professore,
ma ancor di più dalla sua evidente sincerità, Joyce
si rivolge a Jennifer.
-Ti dispiace? Mentre il professore si accomoda, potresti venire ad
aiutarmi con le tazze? Ho preparato del tè.
Jennifer segue la ragazza in cucina e, appena dentro, questa la prende
in un angolo.
-Jen, cosa gli hai raccontato di me?
-Non devi preoccuparti. Il professore è qui per aiutarti e,
credimi, è proprio la persona che fa al caso nostro.
-Sì, ma
-Devi fidarti di me. Non mi sarei rivolta a lui, se non avessi pensato
che fosse la migliore soluzione.
Joyce la guarda ancora un po' indecisa, poi sembra rilassarsi.
-Mi fido di te. - dice.
-Così va bene. - le sorride Jennifer. - Vedrai, tesoro, ti
farà solo qualche domanda. E potrai evitare di rispondere,
se non ti sentirai di affrontare certi argomenti. Ora torniamo di
là.
E preso il vassoio con le tazze e la teiera fumante, le due donne
tornano in salotto.
Poco dopo nella stanza si è stabilita un atmosfera tranquilla
e rilassata. Jennifer guarda un po' stupita Joyce che dopo la timidezza
dei primi momenti, si è sciolta e adesso conversa con Sutherland
perfettamente a suo agio, come se i due si conoscessero da anni. La
psicologa non può fare a meno di ammirare l'abilità
dell'anziano professore nel riuscire a conquistarsi subito la fiducia
della giovane. Abilmente, era partito parlando di sé, della
sua vita, poi si era sperticato in lodi sulla bravura di Joyce nel
preparare un ottimo infuso e, piano piano, la conversazione si era
spostata su di lei. Quasi senza accorgersene, Joyce si era ritrovata
a parlare di se stessa, della sua infanzia e della serenità
di quei giorni per cui provava ancora nostalgia.
-Eh, sì. Lei ha perfettamente ragione, cara Joyce, mi permette
di chiamarla Joyce, vero? Anch'io amo molto la vita di campagna. Ho
anche una piccola casa fuori città e conto di passarci serenamente
i miei ultimi anni. E tuttavia, è anche naturale per una ragazza
giovane come lei, sentire il richiamo della metropoli.
-Beh, per la verità, - dice Joyce - io sono venuta qua con
mio marito.
-Oh, lei è sposata? La sua amica non me lo aveva detto. - e
il professore lancia uno sguardo di rimprovero a Jennifer, seduta
di fronte a loro.
-Ho pensato che fosse meglio che lei stessa le raccontasse la sua
storia nei dettagli, se lo desiderava. - dice quest'ultima, sentendosi
quasi in colpa.
-Non direi che un matrimonio sia un dettaglio. - le risponde Sutherland,
tornando subito ad occuparsi di Joyce. - E suo marito, dov'è?
Lo sguardo della ragazza s'incupisce.
-Naturalmente, se non desidera parlarne
- s'affretta a dire
il professore.
-No, non è un problema. Non più. - risponde risoluta
Joyce. - Mio marito è un sadico, professore. Un individuo pericoloso
che per due anni mi ha tenuta sotto il suo piede, picchiandomi a sangue
ogni volta che gliene veniva voglia. E dove sia ora non lo so, ma
spero tanto di non rivederlo mai più, anche se non riesco a
crederci.
-Mi dispiace. - Adesso è la volta di Sutherland di sentirsi
imbarazzato. - Non immaginavo.
Jennifer s'inserisce nella conversazione, quasi per prendersi una
rivincita sul rimprovero che il professore le aveva velatamente mosso
un minuto prima.
-Il marito di Joyce è ricercato per aggressione nei suoi confronti,
ma è tutt'ora latitante. La polizia, anche su mia richiesta,
ha organizzato un servizio di sorveglianza su di lei. Joyce si trovava
in quel vicolo proprio dopo essere sfuggita a lui.
E qui Jennifer si ferma, omettendo volutamente di parlare dell'accoltellamento
dell'uomo, e lanciando un'occhiata a Joyce, nel timore che aggiunga
qualcosa lei. Ma la ragazza non sembra intenzionata a riprendere l'argomento.
-Capisco. - dice il professore, al quale è sfuggito completamente
quel gioco di sguardi, fissando la giovane con profonda pena. - Sono
davvero spiacente di averle causato dell'altro dolore, riaprendo questa
ferita.
-Non è nulla, professore. - risponde Joyce. -Questa è
una parte del mio passato con cui ho imparato a fare i conti. Ma lei
non è qui per questo, vero?
Spiazzato dalla domanda diretta della giovane, e sotto il suo sguardo
tormentato ma fermo, Sutherland decide di rompere gli indugi.
-E' vero, Joyce. Jennifer, la dottoressa Rowles, mi ha chiesto d'intervenire
in suo aiuto in questa strana vicenda, e mi creda, io non chiedo di
meglio che di poterle essere utile.
Come qualcuno che abbia ormai preso una decisione irrevocabile per
il proprio futuro, tesa, ma anche con un senso di sollievo, Joyce
si adagia contro la spalliera del divano con gli occhi sempre fissi
sul professore.
-Mi chieda ciò che vuole sapere. - dice.
-Per il momento, mi basterebbe sapere qualcosa di più su uno
di quei "dettagli" nei quali la dottoressa non ha voluto
addentrarsi. - Jennifer coglie l'occhiatina ironica che le lancia
Sutherland, con un pizzico d'irritazione. - Mi ha accennato ad un
sogno ricorrente. Le sarei grato se potesse spiegarmi di che si tratta.
Sotto lo sguardo comprensivo del professore, Joyce torna con la mente
al suo rifugio onirico e, come le accade sempre, immediatamente il
ricordo acquista concretezza. Le pare quasi di sentire la fresca umidità
della nebbia, il silenzio totale che la circonda e vedere le fronde
immobili degli alberi sopra di lei. E così racconta.
Racconta della fisicità del sogno, di quell'impressione di
trovarsi in un luogo totalmente sconosciuto eppure inquietantemente
familiare. Dell'attesa del rumore di zoccoli, che immancabilmente
sa che udrà, e per cui tuttavia avverte sempre una strana angoscia
nel timore di non sentirlo. E poi l'arrivo della misteriosa figura
a cavallo, che non riesce mai a scorgere dietro i tronchi degli alberi,
all'ombra dei rami dalle grandi foglie.
-Perché quella persona non si avvicina mai, Joyce? Nonostante
desideri che lei la veda, è chiaro. Se lo è mai chiesto?
-Sempre, professore, continuamente. - risponde Joyce con la voce rotta
che tenta disperatamente di mantenere ad un tono normale. - Ma lei
non si avvicina. Non può.
-Non può? Beh, questa è un'osservazione interessante.
Perché non può? - chiede Sutherland senza staccare gli
occhi dal viso di Joyce, che comincia a rigarsi di lacrime. Jennifer,
nel vederla in quello stato, si avvicina.
-Joyce, vuoi
?
Ma il professore, con un gesto imperioso della mano, la costringe
a tornare a sedersi e continua a rivolgersi alla ragazza come se l'interruzione
non ci fosse stata.
-Mi dica, cara, perché non può?
-Non lo so, ma è così, lo sento.
-Da quanto tempo fa questo sogno?
-Più o meno un mese, ma mi era già capitato da bambina.
-Esattamente lo stesso?
-Sì, quasi. Allora non vedevo nessuna figura. Sentivo solo
il rumore del cavallo, senza arrivare mai a scorgere nessuno.
- Riesce a ricordare a quanti anni le è capitato, la prima
volta?
-No, non ricordo esattamente. Otto o nove, credo.
-E per quanto è durato?
-Non saprei. Qualche anno. Ma comunque non così spesso come
ora. Mi capitava solo qualche volta.
-Era associato anche a crisi di sonnambulismo?
-Sì, mia madre era costretta a chiudermi in camera la notte.
Sutherland si ferma un attimo a meditare, come per permettere al suo
cervello di elaborare e incasellare i dati che sta via via assumendo.
-Senta, Joyce, potrebbe descrivermi che abiti indossa nel sogno, e
se ha mai l'impressione di sentirsi fuori dal suo corpo e di vedere
se stessa come se fosse un'altra persona?
Joyce lo guarda, un po' confusa dalla domanda.
-Vuol dire un po' come capita in certi sogni, quando pur essendo noi
stessi, ci sembra di osservare le cose da una certa distanza?
-Non avrei saputo esprimerlo meglio. - le risponde Sutherland con
un sorriso soddisfatto.
-No. - dice Joyce concentrandosi sulla risposta. - Anzi, credo di
poter dire che mai come in quel sogno, mi sento me stessa, totalmente
me stessa. Talvolta mi pare che quel luogo sia l'unico posto reale
dell'universo.
-Magnifico, mia cara, magnifico! - esplode con singolare entusiasmo
Sutherland, tanto che Jennifer crede per un momento che l'anziano
professore stia per abbracciare la ragazza. Poi, l'uomo ritrova un
certo contegno.
-Mi dica degli abiti, adesso. - chiede.
-Beh, indosso una specie di corsetto, poco più che un reggiseno,
e un gonnellino corto, ma non ho mai freddo. Ai piedi porto dei sandali
con dei lunghi lacci intrecciati fin sotto il ginocchio.
Gli occhi del professore brillano di una strana luce e la sua bocca
continua a stendersi in un sorriso che riesce a soffocare a stento,
come se fosse continuamente sul punto di scoppiare in grasse risate.
Jennifer, la cui attenzione è gradatamente passata dall'ansia
per Joyce a quella per lo strano atteggiamento di Sutherland, lo scruta
perplessa, guardandosi bene però dall'intervenire.
-Lei mi ha detto che faceva pressappoco lo stesso sogno anche da bambina.
Rammenta come si vedeva allora nel sogno? Come una bambina? O come
una adulta?
A questa domanda, la ragazza si blocca e fissa il professore con sorpresa.
-Sa, non ci avevo mai pensato, ma è vero. Nel sogno, allora,
mi vedevo già grande. Una donna, come mi vedo adesso. E c'è
un'altra cosa
- aggiunge, scrutando Sutherland come a cercarne
l'incoraggiamento - Non so se è importante.
-Mi dica, cara. - fa il professore, interessato. - Tutto può
essere utile a capire meglio ciò che le accade.
-Io, in vita mia, ho sempre portato i capelli lunghi, ma in quel sogno,
li ho corti. Mi passo le mani sulla testa e li sento corti sul collo.
Anche se sono proprio i miei, biondi come sempre.
-E in quel luogo, in cui si trova, ricorda un qualche corso d'acqua,
un torrente, un laghetto? - chiede abbastanza curiosamente il vecchio,
dopo aver meditato un attimo sulle parole di Joyce.
-No - risponde la ragazza - non mi pare. Niente del genere.
-Bene. - Con un sospiro soddisfatto, Sutherland si adagia sulla poltrona.
- Credo che possa bastare, per adesso.
-Non vuol sapere altro? - chiede Joyce, quasi delusa.
-Non voglio stancarla, e poi mi creda, lei mi ha detto molte più
cose di quanto pensi.
-Ma io non sono affatto stanca. Perché tutti si ostinano a
credere che abbia continuamente bisogno di riposare? - protesta la
ragazza.
-Oh, no, non è questo. Ma i prossimi giorni saranno un vero
"tour de force" per lei, mia giovane amica, ed è
bene che li affronti in piena forma. - risponde Sutherland sorridendole.
-Che cosa ha in progetto per me? - chiede Joyce, incuriosita.
-Fra un paio di giorni, sempre con l'assistenza della dottoressa Rowles,
conto di portare qui qualcuno che ci sarà di grande aiuto,
e così cercheremo di chiarire questo enigma.
-Professore, - interviene Jennifer - avevamo detto
-Sì, lo so, - l'interrompe lui - non tema. Ora, o meglio dopo
aver terminato di consumare questo eccellente tè, spiegheremo
dettagliatamente alla nostra cara Joyce le nostre intenzioni nei suoi
riguardi, e lei deciderà. Ma sono certo che saprà prendere
la decisione giusta.
E con l'ormai usuale sorriso soddisfatto sul volto, Sutherland si
porta alle labbra la tazza ancora fumante.