IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
SECONDO
CAPITOLO
-OK, amico. - dice il barista mettendo davanti a Mark l'ennesimo boccale.
- Questa e` l'ultima.
-Ehi, ma che storia e`questa? Io pago e ho il diritto di restare a
bere quanto voglio.
Mark e` gia` parecchio su di giri e le ultime parole gli escono di
bocca in modo biascicato.
Il barista lo guarda e sospira. Ormai l'esperienza gli ha insegnato
che alzare la voce con individui in quello stato serve a poco, anzi,
spesso causa danni che il rompiscatole di turno non rifonde mai.
-Ascolta, amico
-Non sono tuo amico. - dice Mark, lanciandogli un occhiataccia, mentre
sorseggia placido la sua birra.
-Va bene, come vuoi. Come ti chiami?
-Bowers. Mark Bowers.
-OK, Mark
-Signor Bowers, per te. - e Mark riaffonda la faccia nel boccale per
suggere l'ultimo sorso.
-D'accordo, "signor Bowers". - Con uno sforzo sovrumano,
il barista riesce a tenere bassa la voce. - Adesso io le daro` ancora
una birra. L'ultima, e gliela offro io. Dopodiché ci saluteremo,
perche` io non posso tenere il locale aperto oltre la mezzanotte.
Mark fissa il barista, che sta cominciando chiaramente a innervosirsi
e che sta sempre di piu` rendendosi conto che questo non e` uno dei
soliti ubriachi, turbolenti ma tutto sommato innocui, che capitano
di tanto in tanto. Questo "signor Bowers" e` un autentico
attaccabrighe, e il barista vuole avere il meno possibile a che fare
con lui. Ha appena formulato questo pensiero che Mark sbatte con violenza
il boccale vuoto sul bancone.
-Te la puoi tenere la tua birra. - sibila alzandosi. -Non voglio elemosine,
ne` condiscendenza. - E si alza dal suo sgabello, allontanandosi.
- Tanto e` uno SCHIFO!!! - urla, tirandosi dietro la porta con tutte
le forze e facendo vibrare pericolosamente il cristallo.
Nel locale ormai deserto, il barista tira un gran sospiro di sollievo.
In strada, Mark si guarda intorno. Non e` lontano da casa, non piu`
di un paio di isolati. Solo un paio di isolati ancora prima di riabbracciare
la sua dolce mogliettina.
Quando Mark fa il suo ingresso nel soggiorno di casa, trova esattamente
quello che si era aspettato di trovare. Joyce addormentata sul divano
e la cena ormai fredda. Nonostante il passo un po' incerto e la testa
che sembra una cassa di risonanza in cui i suoni riecheggiano all'infinito,
ha badato ad entrare senza fare rumore. Non vorrebbe mai perdersi
il risveglio di sua moglie. Quella gratificante, rassicurante ombra
di terrore che le cala sullo sguardo, quando posa gli occhi su di
lui.
E` sempre stato uno pronto a menare le mani fin dall'infanzia. Aveva
le sue vittime preferite anche allora. I piu` timidi, i piu` deboli,
se poi portavano anche gli occhiali, allora si` che andava in sollucchero.
Sentire le loro lenti frantumarsi sotto la suola delle scarpe, l'aveva
sempre ritenuto il massimo della goduria.
Almeno fino al giorno in cui aveva cominciato a somministrare la "medicina"
a Joyce e aveva visto per la prima volta il suo sguardo terrorizzato
puntato su di lui.
Non sarebbe riuscito a spiegarlo neanche a se stesso, ma una cosa
era certa: non c'era di meglio. Pestarla era perfino molto meglio
che scoparla. E quello era rapidamente diventato il suo gioco preferito,
il suo festino privato e personale.
Con il passo felpato di una belva che ha appena avvistato una preda
succulenta, Mark si avvicina al viso addormentato di Joyce e la osserva.
Sua moglie ha il sonno agitato. Le sue palpebre si muovono incessantemente,
e dagli angoli degli occhi cominciano a scorrerle delle lacrime, mentre
la sua bocca formula parole silenziose.
Mark non si sofferma a riflettere sulla cosa. Non se ne cura. Evidentemente
il terrore di lui e` cosi` forte che lei ne avverte la presenza anche
nel sonno.
Quasi in risposta a questi pensieri, proprio in quel momento, Joyce
si sveglia di colpo e spalanca gli occhi nel trovarsi il viso di suo
marito a pochi centimetri dal suo.
-Ciao, cara, ti ho svegliata?
Il saluto in apparenza cordiale, non si accorda con lo sguardo freddo
che l'accompagna.
Lei non risponde. Sente la bocca secca, priva di ogni salivazione.
Passare dal silenzio incantato del sogno alla sua angosciante realtà`
quotidiana e` stato traumatico come non mai.
-Oh, come mi dispiace. - continua lui con quell'odioso tono ironico,
che da` alla sua voce impastata dall'alcool, la parvenza di una cantilena.
- Ma tu capisci, amore, quando un uomo torna distrutto dal lavoro,
il minimo che possa sperare di trovare, e` una minestra calda e una
moglie ansiosa di alleviare le sue fatiche. - E qui fa una pausa teatrale,
prima di voltarsi di nuovo verso di lei. - E` chiedere troppo, secondo
te?
-Scu
scusa. - Le parole le vengono fuori in un balbettio confuso,
accendendo ancora di piu` la rabbia e il disgusto dentro di lei. -
Io
io ti ho aspettato tanto, poi credo di essermi assopita.
-Credi?! Questa si` che e` buona. Quando sono arrivato ronfavi della
grossa, al punto che neanche mi hai sentito, nonostante ti abbia chiamata
due volte.
Ecco, il tono comincia a salire. Sicuro preludio al gran finale che
di li` a poco sarebbe arrivato.
-E questa roba e` talmente fredda che pare provenire dall'era glaciale.
- prosegue Mark, sbattendo con violenza il piatto sul tavolo, spargendo
brodo dappertutto. Quindi, lentamente, si dirige verso Joyce. Lo sguardo
nei suoi occhi e` inequivocabile.
-Questo, mia cara signora Bowers, significa che non hai fatto la dovuta
attenzione alle precedenti lezioni e che necessiti urgentemente di
un ripasso.
-NO!
La parola esplode nel piccolo soggiorno come una bomba, nonostante
Joyce l'abbia poco piu` che sussurrata.
Mark la osserva come se d'improvviso non la riconoscesse piu`.
-Come hai detto?
Sua moglie sembra non meno sorpresa di lui, ma la voce le viene fuori
quasi senza pensare, come se nemmeno le appartenesse.
-Ho detto no! Basta, Mark. Basta! Non mi picchierai piu`.
Il sorriso sulle labbra dell'uomo sembra un po' congelato ora, ma
gli occhi continuano ad essere gelidamente furiosi.
-Tu, stupida troia, non azzardarti mai piu` a dirmi quello che devo
fare.
E la mano parte, aperta in un manrovescio, pronta a colpire quella
bocca insolente
Ma per trovare solo il vuoto.
La ragazza, con un riflesso fulmineo, si e` spostata di lato, e Mark
sbilanciato dall'inattesa reazione, quasi perde l'equilibrio. Riacquistatolo
a fatica, guarda sbalordito la snella figuretta che accanto al tavolo,
brandisce un affilato coltello puntato contro di lui.
-Vattene, Mark. Non voglio farti del male. Non mi costringere.
Ma lo sbalordimento iniziale sta ormai lasciando il posto ad una furia
cieca, e incurante dell'arma, lui le si scaglia contro con tutto il
peso del proprio corpo.
La violenza dell'impatto scaraventa da un lato il tavolo, spargendo
intorno piatti e bicchieri, mentre i due corpi avvinghiati rotolano
fino alla parete opposta.
-Tu non vuoi farmi del male?!? TU non vuoi farmi del male?!?
Mark ora preme con tutto il suo peso su Joyce, schiacciandola al suolo.
-Piccola, quando avro` finito con te, - dice quasi rantolando, - non
ci sara` piu` nessuno che
Ma la frase resta monca, mentre gli occhi dell'uomo corrono al suo
petto, dove spunta il manico insanguinato del coltello che Joyce stringeva
nel pugno un attimo prima. La lama gli e` penetrata per parecchi centimetri
e larghe gocce rosse stanno cadendo sull'abito bianco di sua moglie
sotto di lui.
Joyce lo fissa incredula. La velocita` dell'azione le ha impedito
di capire cosa e` accaduto e solo ora, col volto improvvisamente sbiancato
di Mark a pochissima distanza dal suo, che si guarda gli abiti insanguinati,
comincia vagamente a realizzare.
-Oddio, - pensa, - l'ho ucciso, l'ho ucciso davvero.- proprio mentre
il corpo di suo marito le crolla definitivamente addosso senza piu`
muoversi.
Il primo impulso di Joyce e` di liberarsi dal peso dell'uomo che le
grava sopra come un macigno. Facendo appello a tutte le sue forze
riesce a sollevarlo abbastanza da scivolargli di sotto. Mark, spostato
di lato, ricade come un sacco a faccia in su`.
Joyce resta per un attimo li`, china su di lui, ad osservarlo.
Il viso pallido, immobile, con gli occhi chiusi e la larga macchia
di sangue che si espande sempre di piu` sul torace. Lo spostamento
del corpo ha fatto scivolare fuori dalla ferita il coltello che ora
giace sul pavimento.
La testa di Joyce gira come una trottola. Il soggiorno le ruota intorno,
mentre a fatica si tira lentamente in piedi, e immediatamente deve
sorreggersi al tavolo per non cadere di nuovo. Una nausea violenta
le sale d'improvviso alla gola, costringendola a precipitarsi con
passi affrettati e incerti verso il bagno.
Rimane appoggiata per lunghi attimi alla tazza del water, mentre il
suo cervello confuso cerca disperatamente di ridare ordine al turbinio
di avvenimenti succedutisi negli ultimi minuti, senza riuscirci. L'unico
pensiero che continua a rimbalzarle nella testa come una pallina da
flipper impazzita e` "L'ho ammazzato! E` morto! L'ho ammazzato!"
Poi, sollevandosi sulle gambe ancora tremanti, torna in soggiorno.
Il corpo di Mark giace nella posizione in cui l'ha lasciato. Gli occhi
spalancati, inchiodati su di lui, Joyce mette un piede dopo l'altro,
con circospezione, come si fa in presenza di un serpente apparentemente
morto, ma che d'improvviso potrebbe rivitalizzarsi mordendo alla caviglia
l'incauto che gli si avvicinasse troppo.
Appena superatolo, Joyce comincia a correre verso la porta e spalancatala
si lancia giu` per le scale, incurante delle altre porte che sente,
o immagina di sentire, aprirsi al suo passaggio.
Il buio del vicolo che la circonda e` quasi completo. Le luci delle
vicine strade stentano a spingersi fino a li`.
Joyce, appoggiata ad un muro, lo trova perfino rassicurante. Ha bisogno
di un attimo di pausa per riflettere, ora che la sua mente ha faticosamente
ricomposto l'accaduto. Non si fa illusioni. Sa che a quest'ora il
cadavere di Mark sara` gia` stato rinvenuto. E` possibile che la polizia
abbia gia` iniziato a cercarla. D'altro canto non ha nessuna intenzione
di scappare, di nascondersi. Nessuna prigione puo` essere peggiore
di quella nella quale ha vissuto gli ultimi due anni. Ora che il mondo
sembra tornato nella corretta prospettiva, avverte il dolore delle
contusioni che la lotta con Mark le ha procurato, compresa una caviglia
dolorante che deve essersi slogata nella sua fuga per le scale, mentre
sentiva quelle porte che si aprivano.
"Chissa`" pensa con un ombra di amarezza "dov'erano
tutti quei solerti vicini, in questi mesi, quando Mark mi massacrava
regolarmente a giorni alterni."
Riesce quasi a vedere la vecchia signora Andersson del piano inferiore,
mentre parla coi poliziotti, il volto rinsecchito appena sporto dalla
fessura della porta, semichiusa come d'abitudine, quando c'era da
ficcare il naso in succosi scampoli di vita altrui, badando sempre
bene pero` di non farsene coinvolgere personalmente.
Si`,certo. L'ho vista con questi occhi. Scappava coi vestiti coperti
di sangue. Io l'ho sempre pensato che prima o poi sarebbe successo.
Il pensiero e` quasi divertente, tanto da strapparle una risatina.
"Mio Dio," pensa, "sono isterica. Deve essere lo shock.
Ho sentito dire che si manifesta cosi`."
Proprio in quel momento, sia pur attraverso i sensi ancora confusi,
avverte qualcosa e immediatamente alza la testa per guardare sopra
di se`.
Nessuno. Eppure avrebbe giurato di aver scorto un rapido movimento,
come se qualcuno fosse saltato da un palazzo all'altro.
"Bene, ora ho anche le allucinazioni."
Fara` bene ad andarsene da li`. Adesso non le sembra piu` un posto
molto rassicurante, e quella strana sensazione di essere osservata,
non vuole lasciarla. Fa per staccarsi dalla parete a cui e` rimasta
appoggiata fino ad allora, ma una mano ruvida e robusta l'afferra
per il collo e la risbatte contro il muro.
-Calma, tesoro. Non penserai di lasciare la festa proprio ora che
potremmo cominciare a divertirci? - le sussurra all'orecchio una voce
rozza quanto la mano che la tiene immobile.
"Mark!" E` la prima cosa che le attraversa la mente. "E`
vivo! Mi ha ripresa!" E il terrore le attanaglia la gola, mentre
il cuore batte furiosamente. Ma la zaffata di cibo rancido e mal digerito
e whisky di bassa lega che le arriva in faccia, la riporta bruscamente
alla realtà`.
Quell'uomo non e` Mark, e non e` solo.
Due uomini. Riesce appena a distinguerli e comunque e` troppo spaventata
per vedere nient'altro che la propria paura, che le blocca ogni capacita`
mentale.
-Ti ho sentita ridere, - prosegue la voce, - e noi qui, abbiamo proprio
quello che ci vuole per tenerti allegra. Dico bene, Bix?
-Dici benissimo, socio. - risponde l'altra ombra con un chioccio che
vorrebbe probabilmente essere una risata. Gli occhi di Joyce dilatati
dal terrore, fissano quelle due sagome scure davanti a lei, mentre
la sua mente urla parole che non riescono ad uscirle dalla gola.
"No! Basta! Basta!! Voglio uscire da questo incubo!"
Con la forza della disperazione, Joyce si divincola dalla stretta
dell'aggressore che, evidentemente, non se l'aspettava e quasi riesce
a liberarsi.
Quasi.
Ma la spinta che si da`, mentre l'uomo cerca di riafferrarla, le fa
perdere l'equilibrio e lei cade, battendo violentemente la testa sul
selciato.
-Ehi, piano! - esclama l'altro, quello con la risata chioccia. - Cosi`
l'ammazzi. Non voglio fottermi un cadavere.
-Solo un cadavere potrebbe accettare di farsi fottere da te. - sghignazza
in risposta il primo uomo.
-Davvero spiritoso. Vediamo se e` ancora sveglia, piuttosto. - dice
il suo compagno, chinandosi sul corpo esanime di Joyce.
Nella testa della ragazza, le voci rimbombano come in un tunnel, mentre
lei cerca disperatamente di non perdere i sensi del tutto. Deve cercare
di alzarsi, di fuggire da quelle mani luride che ora la stanno tastando
dappertutto.
-Wow, senti qua che mercanzia. Questa volta abbiamo pescato bene,
socio.
-Gia`, e` proprio un bel bocconcino. Vedo che sei ancora viva, donna,
- dice il primo uomo, cercando di tenere fermi i polsi di Joyce che
ha ricominciato ad agitarsi - vedi di non crearci problemi e
SWISCCHH.
Un sibilo, e qualcosa di metallico percuote il muro proprio sopra
di loro.
Un suono limpido, quasi musicale, eppure deciso e minaccioso come
la voce che giunge alle loro orecchie subito dopo.
E` una voce femminile e parla in una lingua sconosciuta, ma il tono
non puo` essere equivocato.
I due aggressori si bloccano e guardano verso l'alto.
Avvertendo l'improvvisa immobilità` dei due uomini, Joyce smette
di divincolarsi e guarda anche lei nella stessa direzione.
In piedi sui gradini di una scala antincendio, tre o quattro piani
sopra di loro, pressappoco nello stesso punto in cui Joyce aveva scorto,
o creduto di scorgere, un movimento subito prima di essere assalita,
c'e` una donna.
La poca luce che arriva dalle strade limitrofe, non basta a distinguerne
i lineamenti, ma e` sufficiente per vedere che e` alta, ben fatta
e che stringe nella mano destra una lunga spada.
Sorpresi dalla inaspettata visione, i due uomini allentano la presa
su Joyce e questa ne approfitta per allontanarsi, trascinandosi verso
il muro. La caviglia, gia` slogata, ora le fa` un male d'inferno e
quando cerca di rimettersi in piedi, ricade a terra con un grido.
E` come spezzare un incantesimo, che si fosse operato nel momento
in cui la donna aveva lanciato il suo ordine imperioso.
I due uomini ormai sono appena consapevoli della preda che fino a
pochi attimi prima era al centro della loro attenzione, che adesso
e` tutta concentrata sulla misteriosa figura che incombe su di loro.
Un urlo gutturale e prolungato attraversa lo spazio dello stretto
vicolo, quasi un grido di guerra e con una prodigiosa capriola, la
donna si getta dall'alto per atterrare in piedi sul suolo a pochi
passi da loro. Un salto di non meno di sette, otto metri.
Ormai assuefatta al buio, Joyce riesce a distinguerla meglio. Con
stupore, nota che l'impressione di altezza che le aveva dato a vederla
a distanza, non era assolutamente illusoria. La donna e` alta almeno
un metro e ottanta, lunghi capelli neri le incorniciano un volto dai
lineamenti perfetti, con due occhi chiari e gelidi fissi sui suoi
aggressori. Sembra quasi che indossi una specie di armatura leggera
ed al fianco le pende un cerchio di metallo dalla forma strana. Ma
e` la spada a calamitare l'attenzione. E` di foggia antica, ma il
luccichio che riverbera a tratti dalla lama, mentre la fa volteggiare
abilmente nel pugno, non lascia dubbi sulla sua efficacia.
-E tu chi diavolo saresti? - mormora quello chiamato Bix.
Mentre la donna si avvicina lenta verso i due, Joyce non smette di
guardare lo spettacolo davanti a lei. Avverte una sensazione di estraniamento,
come se cio` a cui assiste avvenisse a chilometri di distanza. La
vista comincia a confondersi, mentre una nuova ondata di nausea minaccia
di travolgerla e solo compiendo un enorme sforzo riesce a trattenerla.
Intanto i suoi aggressori sembrano stare riprendendosi dalla sorpresa.
Impugnano entrambi un coltello e con un sorriso sardonico fissano
a loro volta la donna.
-OK, sorella. Non so chi ti credi di essere, ma non potevi capitare
peggio.
L'uomo non finisce neanche di parlare e si lancia col coltello puntato
verso la gola del suo bersaglio, ma la donna con un altro stupefacente
salto, balza al di sopra di loro e un attimo dopo e` alle loro spalle.
Prima ancora di capire cosa e` successo, l'altro, Bix, si volta e
cerca di imitare il compagno gettandosi sulla donna, ma la spada si
muove con la velocita` di un fulmine e questi con un urlo terrificante
cade in ginocchio.
All'altezza del polso, dove un momento prima c'era una mano che stringeva
un coltello, ora esiste solo un moncherino dal quale sprizza sangue
come da una fontana. Bix fissa incredulo, con occhi dilatati, quello
che resta del suo braccio, mentre dalla gola continuano a uscirgli
urla che ben poco hanno di umano.
La donna senza piu` curarsi del suo avversario, lanciando ancora il
suo grido di battaglia, si appresta ad affrontare l'altro, che pero`
troppo terrorizzato da quello che ha appena visto, e` gia` in fondo
alla strada e sta fuggendo a gambe levate. Allora, ripone la spada
nel fodero, che porta di traverso sulla schiena, e si guarda intorno.
Anche l'uomo dalla mano mozzata e` scomparso. In distanza si sentono
ancora le sue urla. Quindi, con sollecitudine si avvicina a Joyce,
che e` rimasta a terra, appoggiata al muro semisvenuta. La donna le
rivolge la parola nella sua strana lingua. Le sta chiedendo qualcosa,
mentre la fissa con preoccupazione, ma Joyce la guarda di rimando
senza quasi vederla. Negli ultimi minuti ha quasi perso i sensi due
volte, e solo grazie a uno sforzo di volontà poderoso e riuscita
a rimanere cosciente. Ma ora, mentre la sua salvatrice le e` accanto
e le accarezza i capelli parlandole con parole melodiose quanto incomprensibili,
cede definitivamente al nero manto che l'avvolge.
L'ultima immagine che vede e` il volto della donna sconosciuta e a
Joyce pare quasi di scorgere delle lacrime nei suoi occhi, mentre
il suono dolce di quella voce l'accompagna nelle tenebre.