IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
VENTESIMO
CAPITOLO
Il suono della piccola sveglia che ha messo accanto al divano, desta
Jennifer di soprassalto. All'inizio il suo cervello non riceve dagli
occhi alcun messaggio riconoscibile. L'ambiente in cui si trova le
appare sinistro ed alieno. Le poltrone vicine le sembrano incombere
come ombre inquietanti. Poi, lentamente il mosaico si ricompone nella
sua mente, e riconosce l'arredamento del suo soggiorno. Si trova in
casa sua, un posto in cui non tornava da giorni, ed ha ceduto il suo
letto e la sua stanza a Joyce, il che l'ha automaticamente costretta
ad accontentarsi del piccolo divano per passare la notte. Con cautela,
Jennifer si tira su. Sente i muscoli del corpo tutti intorpiditi per
aver dormito in quella posizione scomoda. Appena in piedi, si stiracchia
un po' e si massaggia energicamente il collo, muovendo la testa su
e giù per rimettere in sesto i muscoli. L'orologio indica le
sei del mattino e la debole luce proveniente dalle finestre insieme
ai primi rumori che giungono dalla strada, le confermano che un nuovo
giorno sta iniziando.
Sbadigliando, si dirige in cucina. Un buon caffè è quello
di cui ha bisogno. Per un attimo si chiede se non debba prepararne
anche per Joyce, poi decide di lasciarla dormire. Come ha detto Sutherland,
l'attendono giornate stressanti, ed è bene che la ragazza accumuli
più ore di riposo possibili.
Mentre prepara l'occorrente, la sua mente torna alla giornata precedente,
al colloquio del professore con Joyce e alla loro discussione. Anche
adesso, un sottile velo d'inquietudine non vuole abbandonarla. Certo,
la scelta è stata di Joyce che è abbastanza adulta e
in gamba da essere in grado di prendere una decisione simile, e tuttavia
l'impressione che la faccenda stia sfuggendo loro di mano continua
a perseguitarla, impedendole di sentirsi tranquilla. E' tutto così
così
Non sa neanche lei come definirlo. Un momento le ipotesi del professore
(che in fondo sente come sue) le paiono verosimili, perfino probabili,
le uniche che possano spiegare quel susseguirsi di avvenimenti incredibili,
e un momento dopo, tutto appare come il frutto di una specie di autosuggestione
di gruppo, di cui si siano trovati prigionieri tutti loro. In fondo,
quasi tutto ciò che è accaduto potrebbe avere una spiegazione
perfettamente razionale, senza tirare in ballo storie di reincarnazioni
o di anime che si cercano oltre il tempo e lo spazio.
"Cavolo," pensa con una risatina, "sto cominciando
a parlare come in quei vecchi telefilm di fantascienza degli anni
'60. In tutti i casi sarà meglio che riferisca al Procuratore
di quello che è successo in queste ultime ore. Non posso assumermi
la responsabilità da sola. Se le cose dovessero andare male
"
In quel momento lo squillo del cellulare la strappa ai suoi pensieri.
Con la tazza di caffè in mano, Jennifer torna in soggiorno
e prende l'apparecchio.
-Pronto?
-Rowles. - le risponde la voce inconfondibile del tenente Carruthers
all'altro capo. - Non ti ho svegliata, vero?
-No. Ero già sveglia da qualche minuto. Che c'è? Come
mai mi chiami così di buon'ora? Sei già in ufficio?
- Carruthers esita qualche secondo di troppo prima di rispondere,
e quell'attesa riempie Jennifer di apprensione. - Che cosa è
successo ancora, George? - chiede di nuovo.
-Non ne sono sicuro, potrebbe essere una coincidenza, ma forse ne
abbiamo un altro. - dice il tenente.
-Un altro? Ma di cosa parli? - ma, ne è cosciente, si tratta
solo di una frase che le serve per prendere tempo, per alzare le difese
contro un nuovo colpo al suo ormai fragile mondo razionale.
-Questa notte il diciasettesimo distretto ha ricevuto diverse chiamate.
Della gente si lamentava per urla e schiamazzi in una piccola strada
chiusa, Craven Street, vicino a una discoteca, l'"After Dark".
-La conosco. E' a meno di sei isolati da qui. - dice Jennifer, mentre
avverte la tensione in lei crescere sempre più.
-Quando l'autopattuglia è giunta sul posto, - prosegue Carruthers
- hanno trovato solo un uomo in terra.
-Morto?
-No. - risponde il tenente, e Jennifer si scopre sorpresa a tirare
un sospiro di sollievo. - Ma era messo male. Ha subìto un brutto
trauma cranico. I medici dicono che se la caverà, ma è
stato fortunato.
-Di chi si tratta?
-E' qui che la faccenda si fa interessante. E' un piccolo spacciatore,
qualche condanna anche per sfruttamento della prostituzione, ma tutta
robetta di quartiere, niente grossi giri. Si chiama Miguel Chavez,
un portoricano. Quelli che hanno chiamato la polizia dicono di aver
sentito urlare una donna, poi un gran fracasso e infine un grido prolungato.
Un testimone, beh, testimone si fa per dire perché si è
ben guardato da mettere il naso fuori dalla finestra, l'ha descritto
come
leggo testualmente dal rapporto, "un urlo di guerra
indiano". Ti dice nulla tutto questo?
Dimentica del caffè, Jennifer si lascia cadere su una poltrona.
-Secondo te, cosa è successo? - chiede.
-Beh, te l'ho detto, è difficile da ipotizzare. Dopotutto abbiamo
trovato solo lui. Potrebbe anche essere un regolamento di conti per
il controllo della zona. Questa è almeno la versione che diffonderemo.
-E invece?
-Dai, Rowles, mi hai capito. Io dico che il nostro Miguel ha cercato
di fare il prepotente con qualche ragazza, forse una delle sue pollastre,
sì, insomma, una del suo giro, questo spiegherebbe le urla
femminili, e se ho afferrato bene, credo che questa sia proprio una
delle cose che irrita particolarmente la cosiddetta "amazzone".
Non sei d'accordo?
-Se è così, quel Miguel è davvero fortunato.
-Già, puoi dirlo.
-Lo interrogherai tu, quando si riprenderà?
-Non sarebbe la mia zona, ma farò il possibile. Tuttavia, se
conosco bene il tipo, vedrai che non si farà uscire un fiato
di bocca. Dirà che ha inciampato.
-E' in stato di arresto?
-Si. Gli abbiamo trovato addosso un bel po' di coca. Appena si sarà
rimesso a sufficienza, passerà dall'ospedale direttamente all'infermeria
del carcere .
-Sicuro che non parlerà?
-Stanne certa. Comunque farò in modo di metterlo in isolamento,
almeno per i primi tempi. Giusto per precauzione. E poi gli farò
un discorsetto. Se è furbo, lo ascolterà con attenzione.
-Mi raccomando, George. Non vogliamo un altro caso Arzunian. Sii molto
cauto.
-Vai tranquilla, Rowles. Non succederà..
Terminata la conversazione, Jennifer posa il telefono e resta un attimo
a fissare il vuoto. Poi nota la tazza sul tavolino davanti a lei.
Il caffè è ormai freddo. Con aria distratta, la donna
torna in cucina e lo getta nell'acquaio.
Il colloquio con il Procuratore era stato molto più veloce
del previsto. Il tempo delle elezioni si avvicinava e Ballister era
molto occupato a non trascurare le sue molteplici relazioni politiche.
Un ballo, un ricevimento, una cena al Rotary o al Lions' trovavano
sempre posto in cima alla lista dei suoi impegni. Figuriamoci se le
disgrazie di una povera ragazza (povera anche in senso letterale)
o la morte di un delinquente potevano turbare più di tanto
la sua vita mondana. Per cui era sembrato lietissimo ancora una volta
di confermare a Jennifer tutta la sua fiducia, e Jennifer, dal canto
suo, era stata altrettanto lieta di potergli spiegare a grandi linee
le sue intenzioni, badando bene di non scendere troppo nei dettagli.
Gli aveva parlato della seduta con il professor Irving, ma casualmente
aveva dimenticato di citare la presenza di Sutherland e con un paio
di abili domande si era assicurata che il Procuratore non fosse al
corrente delle rivelazioni dell'INSIDE VIEW e che comunque la cosa
non fosse stata messa in relazione. Tranquillizzata su quel punto,
uscita dal palazzo, la psicologa aveva raggiunto telefonicamente il
professor Sutherland che le aveva confermato la seduta con Irving
per il giorno dopo, e poi aveva cercato di rintracciare Carruthers,
ma alla centrale le avevano risposto che si trovava al Memorial Hospital,
e così aveva deciso di recarvisi a sua volta.
Il tenente, intento a sfogliare un giornale fuori dalla stanza dove
era ricoverato Miguel Chavez, l'aveva accolta con sorpresa.
-Che ci fai tu qui?
-Nulla. Sono venuta a vedere come te la cavi.
-Che c'è? Non ti fidi di me? La situazione è sotto controllo,
te l'ho detto. - risponde Carruthers, quasi infastidito.
-Come sta?
-Dorme, e continuerà a farlo per almeno altre ventiquattro
ore. Hanno dovuto fargli un piccolo intervento.
-Niente di grave, vero?
-No, direi di no. Normale amministrazione, a quello che ho capito.
-Hai scoperto cosa è successo?
-Piu` o meno. Deve essere andata come ti ho detto al telefono, con
la sola aggiunta di un altro uomo. Alcune persone che abitano là
intorno, dicono di aver sentito una voce maschile giovane prima del
fracasso e delle urla. Quindi vista anche la vicinanza con la discoteca,
propenderei per l'ipotesi che una coppietta abbia cercato qualcosa
per divertirsi e che si sia rivolta alla persona sbagliata. Chavez
li ha aggrediti o ha avuto un diverbio e
beh, il resto lo lascio
alla tua immaginazione. Comunque, dubito molto che qualcuno si faccia
vivo per denunciarlo, quindi finirà per cavarsela con poco.
-Se ne ha ancora per ventiquattro ore, non credo che tu possa fargli
il tuo discorsetto, per adesso.
-No, infatti stavo per andarmene. Aspettavo solo che tornasse l'uomo
che ho addetto alla sorveglianza. L'ho mandato a farsi un panino e
Il tenente s'interrompe d'improvviso, mentre i suoi occhi fissano
qualcosa in fondo al corridoio. Poi afferra bruscamente Jennifer per
un braccio e la trascina dietro l'angolo più vicino.
-Che accidenti ti prende? - domanda stupefatta la donna, fissandolo
ad occhi spalancati.
-Dannazione! Quella maledetta impicciona è qui! - impreca sottovoce
il tenente.
-Ma di chi parli? - chiede Jennifer, cercando di voltarsi, ma Carruthers
la costringe a restare nascosta.
-Non girarti! Se ci riconosce, siamo fritti!
Con uno strattone, Jennifer si libera e torna nel corridoio.
-Smettila di comportarti come un bambino, George. E poi se è
di lei che stai parlando, puoi anche venire fuori, tanto ci ha già
visti.
Infatti, lungo il corridoio, si sta avvicinando a grandi passi una
donna piuttosto alta e bruna, con i capelli raccolti sulla nuca, gli
occhiali ed un soprabito chiaro. Guarda nelle loro direzione e un
sorrisetto ironico le aleggia sul bel volto. Rassegnato, il poliziotto
emerge da dietro il suo improvvisato nascondiglio, cercando di riacquistare
un minimo di dignità.
-Tenente Carruthers, - lo saluta Cheryl Cooper, con disinvoltura,
- che inaspettata sorpresa trovarla qui. Ma perché si nascondeva?
-Io, mi nascondevo? - chiede, ostentando sicurezza, Carruthers, mentre
il suo viso sta gradualmente cambiando colore dall'abituale rosso
ad un viola cupo fino alle orecchie. - Non so di cosa stia parlando.
-Lasciamo perdere. - concede magnanimamente con un sorriso la giornalista,
mentre i suoi occhi azzurri si posano su Jennifer, che è rimasta
a guardarla fino ad allora. - Noi due ci conosciamo? - chiede.
-Non credo. - risponde calma Jennifer, tendendole la mano. - Sono
Jennifer Rowles, psicologa consulente alla Procura dello Stato.
-Sicuro, ma certo. - fa la donna, stringendogliela con vigore. - La
dottoressa Rowles. Sono Cheryl Cooper, reporter dell'INSIDE VIEW.
Qualche anno fa per il TRIBUNE, passavo spesso dalla Procura.
-Beh, non è molto che sono là. - dice Jennifer sorridendo.
- Solo un paio d'anni, ma ho sentito parlare di lei. - e getta un'occhiata
a Carruthers, che passato il primo momento d'imbarazzo, sta un po'
rilassandosi.
-Come mai è qui, signorina Cooper? - chiede il tenente, infilando
le mani in tasca con aria noncurante.
-Suppongo per la sua stessa ragione, Tenente. - risponde Cheryl, guardandolo
dritto negli occhi. - Qui è ricoverato un uomo che sembra sia
stato aggredito questa notte.
-A parte che la vicenda è ancora tutta da chiarire, anche se
fosse, non credo che sia stato aggredito da ometti verdi con le antenne.
Quindi non vedo il motivo della sua presenza.
Carruthers sta riprendendosi in fretta dal disagio e tiene testa alla
giornalista con sempre maggior sicurezza.
-Noi non ci occupiamo solo di ometti verdi, con antenne o senza. -
ribatte la Cooper, senza accusare minimamente il colpo. - Siamo anche
molto interessati, per esempio, a selvagge seminude armate di spada.
Ne sa niente, lei?
A Jennifer pare quasi che dalle orecchie di Carruthers cominci a d
uscire del fumo.
-Signorina Cooper, mi pareva di averla già avvertita che le
sue ingerenze in un'indagine di polizia
- comincia, ma la psicologa
decide di intervenire immediatamente, prima che la situazione precipiti.
-Aspetta un momento, George. - dice, mettendo una mano sul braccio
del tenente. Poi, si rivolge alla giornalista che la fissa incuriosita.
- Vorrei parlarle un attimo a quattr'occhi, se permette.
Subodorando la possibilità di essere un'altra volta emarginato,
Carruthers esplode.
-Ascolta, Rowles, se credi che ti permetta di
-George, ti prego! - Il tono di Jennifer non ammette repliche. - Lasciaci
cinque minuti da sole. Non ti chiedo di più.
Il tenente resta a guardarla per qualche secondo, poi ficcandosi rabbiosamente
le mani nelle tasche del cappotto, si allontana senza dire una parola.
Quando la sua figura è scomparsa in fondo al corridoio, Jennifer
rivolge nuovamente la sua attenzione alla Cooper che non le ha mai
staccato gli occhi di dosso.
-E' un brav'uomo, - dice - ma un po' troppo incline a perdere la calma.
-Denota insicurezza e scarsa stima di se stesso. Non è un gran
bel biglietto di presentazione per un ufficiale di polizia.
Nella voce di Cheryl Cooper, Jennifer non avverte ironia.
-Lei è un buon giudice di caratteri. - dice.
-Col mestiere che faccio, guai se non lo fossi. - sorride la giornalista.
- Lei invece mi sembra una persona sul punto di fare una proposta.
Jennifer la fissa senza parlare, poi indica una porta a vetri a poca
distanza.
-C'è una sala d'aspetto là. Credo che non ci sia nessuno.
Andiamo a sederci.
Entrate nella saletta, come previsto deserta, le due donne si accomodano
su due sedili di metallo, tipico arredamento ospedaliero.
-Signorina Cooper, io
- esordisce Jennifer.
-Cheryl. - l'interrompe l'altra. - E' più breve e diretto,
e anche più adatto alle confidenze.
Jennifer le sorride.
-D'accordo, Cheryl. Non chiedo di meglio che poterle parlare il più
direttamente e sinceramente possibile.
Jennifer tace, quasi si aspettasse delle domande, ma la Cooper a sua
volta resta in silenzio, aspettando che prosegua.
-Io credo che lei sia una donna scaltra e intelligente, Cheryl, e
di conseguenza ritengo sia inutile, oltre che dannoso, negare l'evidenza
o peggio trincerarsi dietro il rituale "no comment". Temo
che questo servirebbe solo ad acuire la sua curiosità.
Cheryl Cooper estrae dalla borsa un accendino ed un pacchetto di sigarette.
-Sto cercando di smettere, ma ogni tanto
Vada avanti, dottoressa.
Il suo discorso mi interessa. Oh, vuole? - chiede, tendendole il pacchetto.
-No, grazie. E credo che qui non sia permesso. - dice Jennifer indicando
un cartello rosso con l'immagine stilizzata di una sigaretta sbarrata
da due linee incrociate, sulla parete dietro di loro. La giornalista
rimette la sigaretta nel pacchetto.
-Meglio così, in fondo. - dice. - Continui, la prego.
-Come le dicevo, è vero, sta succedendo qualcosa, anche se
noi stessi non sappiamo ancora bene cosa. - riprende Jennifer. - Tutto
quello che posso dirle è che questa storia coinvolge una persona
innocente che soffre già moltissimo ed a cui l'attenzione della
stampa non potrebbe che nuocere. Per cui, sono io che la prego, Cheryl.
Per ora solo il suo giornale si è interessato alla cosa, ma
se si allargasse ad altri e magari alla televisione, sarebbe un disastro.
-Dottoressa, - chiede la Cooper - mi sta domandando di lasciar perdere?
-Le sto offrendo un accordo. Lei è una giornalista, in un paese
libero, per cui non potrei impedirle di pubblicare tutto ciò
che vuole, ma se mi darà ascolto e lascerà cadere questa
storia, io le prometto che quando sarà finita, e fatta salva
la privacy della persona di cui le parlavo, le fornirò i dettagli
in esclusiva, oltre ad aiutarla quando potrò anche in futuro.
Cheryl Cooper resta in silenzio a considerare la proposta di Jennifer
per un po', quindi si alza.
-Accidenti, - dice - lei decisamente sa come parlare al cuore di un'ambiziosa
donna in carriera. La sua offerta è davvero allettante, devo
ammetterlo. E questa persona di cui mi parlava? Non può neanche
accennarmene?
-Mi spiace. Fa parte del patto.
-Capisco. Beh, che posso dirle, dottoressa? Sarei una stupida a non
accettare. Non solo per questo, ma avere una confidente in Procura
non è da tutti.
-Le ho detto che l'aiuterò quando potrò. - precisa Jennifer,
a cui le parole della sua interlocutrice hanno fatto scorrere un brivido
lungo la schiena.
-Certo, certo. - La Cooper sorride dirigendosi verso l'uscita. - D'accordo,
accetto. Allora attendo sue notizie, dottoressa. - Poi, mentre sta
per aprire la porta, si volta. - Lei mi ha dato atto di intelligenza
e scaltrezza, e io la ringrazio, ma penso che lei mi batta. In fondo,
è riuscita a liberarsi di un fastidioso segugio alle costole
in pochi minuti e senza lasciarsi scappare neanche una parola che
io già non sapessi. Complimenti.
E con un ultimo sorriso, Cheryl Cooper esce, mentre la porta lentamente
si richiude. Rimasta sola, Jennifer si lascia andare contro la spalliera
di metallo con un sospiro.
-E adesso, - dice tra sé, - speriamo solo che non mi sia ficcata
in guai peggiori.
-TU,
COSA HAI FATTO?!?
Le vene sulla fronte stempiata di Carruthers paiono sul punto di schizzargli
fuori da un momento all'altro. Jennifer, di fronte a lui nell'ampio
atrio dell'ospedale, si muove nervosamente poggiando il peso da una
gamba all'altra, come se le scappasse di andare in bagno.
-George. - dice sottovoce, cercando di calmare l'uomo e al tempo stesso
di passare inosservata in mezzo al via vai del pubblico e del personale.
- Non urlare. Siamo in un ospedale, e non mi pare il caso di fare
pubblicità alla cosa.
Guardandosi intorno, Carruthers l'afferra per un braccio e la costringe
a seguirlo in uno dei corridoi laterali, dove in quel momento nessuno
è in vista.
-Tu devi essere completamente impazzita. - dice il tenente, appena
si trovano al riparo da sguardi indiscreti, cercando anche lui, ma
con evidente sforzo, di tenere la voce bassa. - Cosa ti ha fatto quella
ragazza, la macumba? Da quando l'hai conosciuta, hai commesso una
sciocchezza dopo l'altra, per non parlare dell'intralcio alle mie
indagini.
-Non è vero, e lo sai. - ribatte Jennifer,cercando di inserirsi
nella sfuriata, ma Carruthers ormai ha messo la quarta.
-Proprio così, invece. L'intralcio alle mie indagini, - prosegue
- e chissà quante altre cose di cui non so niente.
Jennifer, a queste parole, lancia quasi inconsapevolmente un'occhiata
colpevole verso il poliziotto, a cui il gesto non sfugge.
-Ahah, lo sapevo! - dice questi, quasi trionfalmente. -Ne hai architettata
un'altra delle tue, eh? Ferma, ferma! - aggiunge subito, alzando una
mano davanti alla donna che stava accennando a parlare. - Sai che
c'è di nuovo? Non voglio sapere nulla! Vuoi rovinarti la carriera?
Liberissima! Vuoi tornare a lavorare in quelle schifosissime cliniche
psichiatriche dove il paziente che sta meglio cammina giorno e notte
con il pisello di fuori? Liberissima! Ma scordati di coinvolgermi
nei tuoi giochetti. Io non so niente di quello che tu e la Cooper
vi siete dette, e non lo voglio sapere! Chiaro?
-George, per l'amor del cielo, non ti sembra di stare esagerando?
In fondo, ho ottenuto lo scopo che volevamo. Togliercela di torno
per un po'.
Carruthers spalanca gli occhi, fissandola.
-Togliercela di torno? Ma non farmi ridere. Tutto quello che hai ottenuto
è di avere quella sanguisuga attaccata al culo per chissà
quanto
o forse no
forse lo so fino a quando. Finché
il Procuratore non avrà scoperto cosa le hai promesso e ti
butterà fuori a calci!
-Posso anche aver sbagliato, - dice Jennifer, risentita, appena Carruthers
tace un momento per riprendere fiato, - ma non avevo alternative.
Inoltre, quella donna deve godere già delle confidenze di qualcuno.
Come poteva altrimenti sapere quello che è successo? La notizia
non è stata diffusa, a quel che so. E' probabile che abbia
degli informatori proprio nella polizia.
Dopo lo sfogo, probabilmente lungamente represso, il tenente appare
un po' più calmo, ma la tensione è ancora palpabile
in lui.
-Io, adesso me ne vado. - dice - Mi aspetta una giornata pesante.
Ricordati però che io non so niente di questa tua iniziativa.
Ci tengo al mio lavoro, io!
E con questa affermazione, Carruthers gira l'angolo e se ne va.
Jennifer resta per un po' appoggiata al muro, mentre la sua mente
galoppa sfrenatamente attraverso tutte le più cupe ipotesi
sul suo avvenire.
-Ha ragione, ha ragione. - continua a dirsi, parlando tra sé,
anche se abbastanza forte da correre il rischio che qualcuno possa
sentirla. Ma in quel momento è l'ultima cosa di cui si preoccupi.
- Sono stata una stupida! Altro che scaltra e intelligente. Quella
donna mi ha in pugno, adesso. Lo credo che ha accettato. Idiota! Idiota!!
Idiota!!! E tutto questo per cosa? Per proteggere una ragazzina di
cui in realtà, cosa so? Le ho sacrificato il mio impegno, le
mie ferie, la mia dignità professionale e probabilmente il
mio futuro, senza parlare del fatto che quello psicopatico del marito,
per poco non mi strangolava. Jennifer, che cavolo ti è successo?
La domanda che rimbalzava nella sua mente da giorni è lì,
formulata finalmente, ma la risposta si rifiuta di lasciarsi afferrare,
e lei non è neanche sicura di volerla. Perché quella
risposta, in qualche modo, l'inquieta, le fa paura quasi.
Scuotendosi da questa sterile autocommiserazione, la psicologa fa
per andarsene, quando la vibrazione silenziosa del cellulare nella
tasca, la ferma. L'estrae e se lo porta all'orecchio.
-Pronto?
-Parlo con la dottoressa Rowles? - chiede una voce maschile calda
e rassicurante all'altro capo.
-Sì, chi è lei?
Ma nel momento stesso in cui formula la domanda, l'istinto le suggerisce
la risposta, una frazione di secondo prima che giunga al suo orecchio
attraverso il microfono.
-Sono il professor John Irving. Il professor Sutherland mi ha chiesto
di contattarla. Potrei parlarle un attimo?
Questa volta non c'è stata nessuna foresta. Nessun silenzio
o la pace così tranquillizzante di quell'angolo di sogno che
ha imparato a conoscere. Ma solo il gelo della pioggia che le bagna
i corti capelli, scendendole fredda lungo il viso, il collo, la schiena.
Ma lei quasi non l'avverte. I suoi occhi, la sua mente, l'intero suo
essere è concentrato su uno spettacolo orribile e penoso insieme.
Davanti a lei, un corpo di donna pende a un paio di metri da terra,
sostenuto da corde che le legano i polsi e le caviglie tenendole le
braccia e le gambe divaricate come quelle di un animale pronto per
essere macellato. Un povero corpo ferito, martoriato, con squarci
ancora aperti, ma che hanno smesso di sanguinare da tempo.
L'umido che sente sul viso non è solo quello provocato dalle
gocce di pioggia. Un dolore sordo, profondo, la percuote tutta, mentre
il suo sguardo corre verso l'alto, alla ricerca dell'ultima conferma,
dell'ultima prova di una sensazione che nel suo cuore si è
tramutata già in certezza, senza trovarla.
Ed è la sua voce quella che urla verso le tenebre della notte,
in quella lingua sconosciuta eppure ora limpidamente chiara come il
cristallo.
-La sua testa! Dov'è la sua testa?
E in un attimo, lo scenario cambia. Ora è giorno, sulle rocce
di una montagna. Le sue mani stringono convulsamente qualcosa di metallico,
mentre tutto il suo corpo è teso nell'inerpicarsi per raggiungere
la vetta che si staglia alta sopra di lei, e poi all'improvviso, una
vampata, una fiamma devastante la colpisce alla schiena, ma in qualche
modo, benché lei sussulti violentemente sotto la potenza del
colpo, la sua pelle, la sua carne che dovrebbero esserne distrutte,
sono illese.
E poi, di nuovo voci che si sovrappongono, si sovrastano l'una con
l'altra, entrandole nel cervello. Voci in lingue ignote che assumono
in questa dimensione nuovo senso e significato. E una su tutte. La
"voce", quel suono dolce e armonioso che resterà
per sempre scolpito nei suoi ricordi.
-Io sarò sempre al tuo fianco. - dice, e la sua mente si spalanca
nella comprensione, e le memorie affiorano, dapprima lente, poi sempre
più rapide come bolle d'aria che emergano sul pelo dell'acqua.
Sempre di più, sempre di più
mentre dai suoi occhi, chiusi nel sonno, sgorgano lacrime copiose
che scendono lungo il volto a bagnare il cuscino, finché la
sua gola compressa dai singhiozzi, comincia ad emettere un lamento
prolungato che alla fine sfocia in un urlo.
Sul divano del soggiorno, Jennifer schizza in piedi in un attimo,
sveglia prima ancora che l'urlo finisca di echeggiare. Rapidamente,
senza neanche darsi il tempo di comprendere appieno cosa stia succedendo,
con un'inquietante sensazione di deja` vu, la donna si precipita verso
la camera da letto, spalanca la porta e preme l'interruttore della
luce.
Joyce è seduta sul letto e fissa con sguardo vuoto nella sua
direzione. Jennifer corre da lei e l'afferra per le braccia.
-Joyce, tesoro, cosa c'è? Che ti succede? Perché hai
gridato?
La ragazza continua a fissarla come se non la vedesse davvero, mentre
dai suoi occhi gonfi e arrossati, continuano a scendere lacrime.
-Tu sei morta! - dice con voce rotta dal pianto. - Come hai potuto
lasciarmi sola?
Jennifer, per un attimo, crede di non aver capito bene e la guarda
perplessa e preoccupata. - Joyce, ma che dici? Io sono qui con te,
e non ho nessuna intenzione di lasciarti.
Ma Joyce continua a piangere e a parlare come se non l'avesse neanche
udita.
-Come farò senza di te? Come farò ad andare avanti senza
di te?
Allora Jennifer comincia a capire. La sua mano si tende a dita aperte
di fronte al viso di Joyce e le passa davanti agli occhi due o tre
volte, senza che lei abbia alcuna reazione.
-Oddio, stai dormendo. - dice - Stai parlando nel sonno.
Con cautela, Jennifer prende Joyce tra le braccia e la costringe dolcemente
all'indietro, fino a distenderla sul letto di nuovo. Il corpo della
ragazza è ancora scosso dai singhiozzi mentre le sue labbra
continuano a ripetere ossessivamente quelle parole.
-Perche` mi hai lasciata? Come farò senza di te? Come farò
senza di te? Come farò senza di te?
Jennifer resta lì, accanto al letto, in silenzio, carezzandole
piano la fronte ed i capelli, madidi di sudore, mentre la voce si
spegne lentamente e gli occhi di Joyce si richiudono, e lei ricade
in un sonno più quieto.
Cercando di muoversi il più silenziosamente possibile, Jennifer
va all'interruttore della luce e lo preme. La stanza ripiomba nel
buio, rischiarata solo dalla debole luminescenza che, attraverso le
tende, proviene dalla finestra. Tornata accanto a Joyce, Jennifer
prende una sedia e sistematala vicino al letto, vi si lascia cadere,
restando a guardare il volto dell'amica addormentata.
-Lei non ti ha lasciata, Joyce, - mormora - non potrebbe mai. Ne sono
sicura.