IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
VENTIDUESIMO
CAPITOLO
Nel salotto, le quattro persone presenti sembrano i personaggi di
una commedia teatrale in attesa che il sipario si alzi. L'illusione
è rafforzata dalle tende chiuse, che mantengono l'ambiente
intorno a loro nell'oscurità, e dalla lampada accesa sul tavolino
al centro che soffonde una luce suggestiva sul piccolo gruppo.
Joyce non è più distesa sul divano, ma soltanto seduta
con la testa appoggiata alla spalliera. Vicino a lei, Jennifer le
tiene la mano, guardandola con ansia e lanciando di quando in quando
occhiate preoccupate verso Irving. Lo psichiatra ha sistemato la sua
poltrona in modo da essere seduto direttamente di fronte a Joyce.
Un po' più discosto dai tre, Sutherland si è accomodato
sull'altra poltrona. Ha posato sul tavolo centrale un registratore
a cassette ed ha in mano lo stesso taccuino che Jennifer gli aveva
visto in precedenza.
Irving si china verso la ragazza che ha gli occhi chiusi e pare addormentata
e comincia a parlare a voce bassa.
-Mi sente, Joyce? - chiede - Se può sentirmi, batta le palpebre
una volta. Brava, così. Benissimo. Ora mi ascolti. Io le chiederò
di tornare con la mente alla notte in cui lei subì quella brutta
avventura, e lei la rivivrà nei tempi e nei modi in cui avvenne
la prima volta, ma non come se fosse realmente là. Lei deve
essere consapevole di non correre alcun rischio. Può sentire
che la sua amica Jennifer le sta tenendo la mano, e che quindi lei
è fisicamente qua con noi. Se è così, stringa
la mano di Jennifer una volta.
-L'ha fatto. - dice Jennifer. Nel sentire la stretta della mano di
Joyce nella sua, il cuore le ha dato un piccolo balzo e lei rinserra
istintivamente le dita intrecciandole con quelle di Joyce.
-Molto bene. - dice Irving. - Ora le farò qualche domanda e
lei mi risponderà. In questo momento non può sentire
altre voci che la mia. Batta le palpebre una volta, se ha capito.
Bene. Qual'è il suo nome?
La voce che proviene dalla bocca di Joyce, in quell'atmosfera irreale,
risuona atona, quasi impersonale.
-Joyce Randall Bowers.
-Quanti anni ha?
-Ventitre.
-Dov'è nata?
-A Milford, Pennsylvania.
-Benissimo, Joyce. Adesso le chiedo di tornare con i suoi ricordi
a quella notte. Lei si trova per la strada, è buio. Cosa vede
intorno a sé?
La stretta della mano di Joyce si fa più forte, mentre quella
voce così lontana dal calore e dall'umanità che Jennifer
conosce tanto bene, parla ancora.
-C'è poca luce
Qualche finestra illuminata
Vedo
cassonetti della spazzatura, scatoloni vuoti ammucchiati uno sull'altro
Sono sola
Ah!
Il gemito emesso dalla ragazza allarma immediatamente Jennifer, ma
anche Irving sembra colpito.
-Che c'è ? - chiede subito.
-Mi fa male la caviglia. Deve essere slogata.
-Joyce, - dice sempre a voce bassa, ma con tono perentorio, Irving
- si isoli dalle sensazioni. Lei è al sicuro. Non prova né
dolore né paura. Lei vede e ascolta solamente.
A queste parole, tutto il corpo di Joyce sembra rilassarsi e anche
la stretta della mano si indebolisce.
-Cos'altro vede? - chiede ancora lo psichiatra.
-Niente
Un momento!
Ormai, secondo il modo in cui sente la mano di Joyce nella sua, Jennifer
reagisce istintivamente, mentre il suo cuore accelera i battiti.
-Ha visto qualcosa?
La voce di Irving, che l'uomo sta cercando di mantenere il più
tranquilla possibile, subisce un'involontaria alterazione.
-Non lo so. Ho avuto l'impressione che qualcuno saltasse al di sopra
di me. Ma è stato così veloce. Non sono sicura.
-Adesso cosa sta facendo?
-Sto andandomene. Questo posto non mi piace
Ma non riesco a
muovermi!
-Perche`?
-Una mano mi trattiene. E' un uomo. No, sono due.
-Chi sono? Li vede?
-No. Mi tengono da dietro. Ridono. Sono ubriachi. Dicono che mi faranno
divertire.
Il tono di voce di Joyce sta tornando ad alterarsi e un sottofondo
d'angoscia vi traspare. Jennifer le stringe la mano con maggior forza
come se potesse in quel modo cancellare anche solo il ricordo della
paura che avverte in lei.
-Basta, Joyce. - ordina Irving. - Si ricordi che non corre alcun pericolo.
Lei è tranquilla e serena e rivive quei momenti soltanto attraverso
la mente.
Dopo aver atteso qualche secondo per assicurarsi che Joyce abbia udito
la sua raccomandazione, Irving riprende.
-Ora cosa succede?
-Mi sto divincolando
Ecco. Sono riuscita a liberarmi, ma perdo
l'equilibrio. Sono a terra e quei due uomini mi sono addosso.
-Stia tranquilla. Non possono farle nulla. Mi dica solo quello che
vede e sente.
-Stanno ridendo. Dicono che non devo creargli problemi
ma ora
si sono fermati
Non parlano più.
Jennifer, la cui tensione sta salendo a livelli insostenibili, è
talmente concentrata sulla voce di Joyce da aver quasi perso coscienza
di se stessa. Come se il contatto tra le loro mani riuscisse a comunicarle
più di ciò che possono le semplici parole, le permettesse
di rivivere l'esperienza attraverso gli occhi dell'amica.
-C'è qualcosa
Qualcosa sibila nell'aria
- dice
la ragazza. - Non sono riuscita a vederla, ma l'ho sentita. E anche
quegli uomini
Non mi trattengono più, ora
Stanno
guardando in alto.
-Perche`? - chiede Irving.
-C'è qualcuno, una figura, qualche metro sopra di noi
Dove
prima mi era sembrato di scorgere un movimento.
-Riesce a vederla? Ce la descriva, se può.
Le dita che stringono la mano di Jennifer si irrigidiscono, mentre
tutto il viso di Joyce si contrae nello sforzo. Minuscole goccioline
di sudore le appaiono sulla fronte.
-Io non
non ci riesco. E' così confusa
E' solo
un'ombra
Non riesco a vederla. Non riesco a vederla! - geme
lei.
Jennifer lancia uno sguardo allarmato ad Irving che si alza e si accoccola
vicino alla giovane, prendendole l'altra mano con delicatezza.
-Stia tranquilla, Joyce, stia tranquilla. Non importa. Si calmi. Mi
dica solo ciò che riesce a vedere e a sentire.
-Gli uomini, ora, mi hanno quasi dimenticata. Tutta la loro attenzione
è per lei.
Sutherland, che fino a quel momento se ne era stato silenzioso preoccupandosi
solo che il registratore fosse in una buona posizione e di prendere
accuratamente appunti sul suo taccuino, nel sentire le parole di Joyce,
ha un sussulto.
-Lei! Ha detto "lei". - sussurra.
Irving alza una mano ad imporre il silenzio.
-Cosa sta succedendo, adesso? - chiede, come se nessuna interruzione
ci fosse stata.
-Non so
Non riesco a vedere bene
- risponde Joyce. - Ora
sembra che stiano affrontando qualcuno, ma
Oddio!!
-Joyce!!
Jennifer non può fare a meno di urlare. La stretta della mano
della ragazza è diventata fortissima, quasi sovrumana. Alla
donna sembra di sentire le proprie ossa scricchiolare sotto la pressione.
-Quell'uomo sta urlando! Dio
Dio, come urla. Fatelo tacere!
FATELO TACERE!!!
-Basta! - L'esclamazione di Irving risuona come un colpo di rivoltella
nella stanza. L'uomo afferra le due mani di Joyce, liberando Jennifer
dalla stretta a fatica. - Mi ascolti, Joyce. Va tutto bene. Va tutto
bene! Adesso lei cadrà in un sonno profondo, fino a quando
non risentirà la mia voce. Dorma, Joyce, dorma.
Questo ordine, dato con perentorietà dallo psichiatra, ha effetti
immediati sul corpo della giovane che cade addormentata all'istante,
rilassandosi in ogni muscolo. La sua testa ricade in avanti finendo
per appoggiarsi sulla spalla di Jennifer. Con la mano ancora indolenzita,
la donna le circonda le spalle amorevolmente.
Irving si china su di lei e le solleva una palpebra.
-Sta dormendo. - dice poi. Quindi torna a sedersi. - Signori, mi dispiace,
ma in queste condizioni non me la sento di continuare. E' troppo pericoloso.
Quello di cui soffre questa ragazza è qualcosa di più
di un vuoto di memoria. Sembra quasi che abbia un blocco mentale,
ma di quale natura sia non posso dirlo. Quello che so è che
se cercassimo di rimuoverlo così, rischieremmo grosso.
-Sono d'accordo. - dice Jennifer, stringendo a sé la giovane
amica. - La salute di Joyce è assolutamente prioritaria. Non
possiamo metterla a repentaglio.
-Adesso la sveglio. - dice irving, ma in quel momento una voce alle
loro spalle li fa sobbalzare.
-Aspetti! - Il professor Sutherland si alza dalla sua poltrona e si
avvicina. - Forse possiamo fare ancora una cosa, prima di concludere.
- dice.
-Professore! - esplode Jennifer con un'occhiata di fuoco. - Non le
permetterò di
-Vorrei che mi dicesse una cosa, Irving. - prosegue Sutherland ignorandola.
- Se lei chiedesse a Joyce di isolarsi totalmente e di ripetere solo
alcune parole che ha udito, questo rappresenterebbe un pericolo?
-Quali parole? - chiede lo psichiatra perplesso.
-Joyce ha detto più volte che la persona che l'ha salvata,
le ha detto qualcosa prima che lei perdesse i sensi, in una lingua
che lei non capiva. Io vorrei solo che sotto ipnosi, lei provasse
a farle ripetere le parole che ha udito. - spiega Sutherland.
-Cos'è questa storia? - chiede Irving, fissando Jennifer.
-Sì, è vero. Gliene avevo accennato prima, se si ricorda.
- ammette di malavoglia la donna. - E' l'unica cosa che Joyce ricordi
della sua
sì, della persona che l'ha salvata, a parte
beh, non importa. Ma se c'è qualche pericolo
-Sutherland, - ringhia quasi Irving, rivolgendosi al professore, -
la prossima volta che mi chiamerà per una consulenza o per
qualunque altra cosa, dubito che mi troverà. Non sono abituato
a lavorare in questo modo. Per fare quello che faccio, io devo sapere
tutto prima sulle condizioni della persona da sottoporre ad ipnosi,
e non un po' per volta a sua discrezione.
-Ma non c'è pericolo, vero? - chiede il professore come se
non avesse sentito quasi.
-No, - risponde Irving - immagino di no.
-Professor Sutherland, professor Irving, no! - grida quasi Jennifer.
- Non voglio che Joyce
-Jennifer, mi ascolti, - fa Sutherland, fissandola negli occhi, -
le giuro che è l'ultima cosa che faremo, ma io devo sapere
cosa ha sentito Joyce, quella notte. E' importante.
-Anche al prezzo di farle correre dei rischi?
Jennifer si sente furente nei confronti dell'anziano studioso, ma
più ancora contro se stessa per aver permesso tutto ciò.
-Il professor Irving le ha appena detto che non c'è pericolo.
Mi pare che abbia già ampiamente dimostrato che se spuntasse
qualche problema, non esiterebbe ad interrompere.
-Su questo ci può scommettere. - dice Irving a mezza bocca.
-E dunque? - prosegue Sutherland - Che problema c'è? Non si
opponga, Jennifer. E' per il bene di Joyce. Mi creda.
-Professore, le giuro che se a Joyce succede qualcosa, io
-
comincia Jennifer con tono gelido.
-L'autorizzerei io stesso a spararmi nel caso, ma non accadrà.
Sutherland si china su Joyce, ancora profondamente addormentata, e
la slaccia con delicatezza dall'abbraccio protettivo di Jennifer,
adagiandole di nuovo la testa contro lo schienale del divano.
-Proceda, Irving, per favore. - dice.
Con un sospiro di rassegnazione, lo psichiatra si appresta di nuovo
all'opera.
-Joyce, mi ascolti. Sente la mia voce? Se la sente, batta una volta
le palpebre. Bene. Adesso le chiederò di tornare ancora una
volta a quella notte, ma solo con la mente. - si affretta a precisare
Irving, notando il fremito che ha scosso il corpo addormentato di
Joyce nell'udire quelle parole. - Lei è al sicuro, Joyce, completamente
al sicuro. E' circondata dal buio, protetta dall'oscurità.
Niente e nessuno può nuocerle. Ora ricordi, Joyce. Quella notte
una voce le ha parlato. Una voce amica. Ricordi quella voce, ricordi
quelle parole, Joyce e le ripeta come le ha sentite.
Il silenzio che si crea nella stanza è tale che perfino il
debole fruscio del nastro che scorre nel registratore diventa perfettamente
udibile. Jennifer che continua a tenere la mano della ragazza nella
sua, sente i nervi tendersi fino allo spasimo nell'attesa che Joyce
risponda all'esortazione di Irving. Infine dopo un tempo che sembra
infinito, le labbra della giovane cominciano a muoversi e dalla sua
bocca escono i suoni armoniosi e incomprensibili di quella lingua
che ormai anche a Jennifer pare divenuta inquietantemente familiare.
Ma la psicologa non riesce a reprimere un brivido, perché se
la voce con cui Joyce aveva parlato per tutta la seduta, per impersonale
e atona che fosse, era inequivocabilmente la sua, quella che sente
ora è ben diversa. Una voce femminile, certo, ma più
profonda, meno cristallina e limpida di quella dell'amica. Eppure
una voce dai toni morbidi, quasi teneri, carezzevoli e con un inconfondibile
retrogusto di commozione e rimpianto. L'emozione nel sentirla le prende
la gola chiudendogliela e non è sorpresa di avvertire di nuovo
le lacrime bruciarle negli occhi.
Ma se l'emozione è forte per lei, non è da meno per
Sutherland. Il professore si è portato vicinissimo a Joyce,
beccandosi un paio di occhiatacce da parte di Irving, e praticamente
chino su di lei, sta tracciando rapidi segni sul suo taccuino come
terrorizzato dalla prospettiva di lasciarsi scappare anche una sola
parola.
Poi, d'improvviso come ha iniziato, Joyce smette di parlare. Il suo
corpo si rilassa, il respiro torna regolare e la sola testimonianza
dell'emozione che anche lei deve aver provato, sia pur a livello inconscio,
nel rivivere quel momento, resta in un'unica lacrima che ancora le
corre lungo la guancia. Jennifer ingoia con uno sforzo il groppo che
sente in gola e dopo avergliela asciugata delicatamente con un dito,
le deposita un bacio sulla fronte, avvertendo sulle labbra l'acre
sapore del sudore.
Irving, ancora una volta, solleva una palpebra di Joyce per accertarsi
del suo stato. Quindi rassicurato, torna a sedere.
-E ora basta davvero. - dice con decisione, sfidando Sutherland a
contraddirlo. - Adesso la sveglio, e lei provi ad opporsi ed ipnotizzerò
anche lei, con un diretto al mento.
Sutherland, intento a leggere e rileggere gli appunti sul suo taccuino,
non pare averlo neanche sentito.
-Eh? Oh, certo, certo. Per me è più che sufficiente.
Senza badargli, Irving si china su Joyce.
-Mi ascolti, Joyce. Adesso io conterò fino a cinque. Al mio
cinque, lei si sveglierà. Si sentirà serena e tranquilla,
e non ricorderà niente di tutto questo. Uno
due
tre
quattro
cinque.
Al cinque, come ordinatole da Irving, Joyce riprende coscienza, ma
nel momento stesso in cui i suoi occhi si aprono, guardandosi intorno
smarriti, le sue labbra quasi inconsapevolmente emettono un suono.
-Xena.
Il tempo sembra bloccarsi nella stanza. E, così come era cominciata,
la scena si chiude quasi nello stesso modo. Con quattro persone immobili,
ognuna nella sua posizione come in attesa dell'ordine di un fantomatico
regista. Joyce, guardandosi intorno, li fissa ad uno ad uno.
-Che c'e? Che ho detto? - chiede alla fine con un timido sorriso.
VENTITREESIMO
CAPITOLO
Nella piccola stanza adesso ci sono solo i due uomini. Joyce, provata
dalla seduta anche se abbastanza tranquilla, è stata accompagnata
in camera da Jennifer. Sutherland, seduto in poltrona di fronte a
Irving, sorseggia placido un bicchierino di liquore. L'altro, invece,
fuma nervosamente una sigaretta.
-Che cosa la turba tanto, professore? - chiede Sutherland. - A me
sembra che nel complesso sia andato tutto abbastanza bene.
-Ah, lei trova? - ribatte sarcastico Irving, alzandosi e cominciando
a passeggiare su e giù. - Io non credo proprio. Certo, la psichiatria
non è una scienza esatta e ogni soggetto reagisce in una maniera
diversa all'ipnosi, ma francamente ci sono diverse cose che mi inquietano.
-Ad esempio?
-Beh, c'era anche lei, no? Ha sentito. Ci sono parti del suo ricordo
che sono chiuse, sbarrate alla sua mente. Chi è quella misteriosa
figura di cui parla, ma che non riesce a definire? Lei ne sa niente?
-Non molto. - risponde Sutherland sibillino. Irving lo guarda un attimo,
poi schiaccia con forza il mozzicone nel posacenere.
-Balle. Lei lo sa benissimo. Proprio come sa tante cose che, chissà
perché, ha deciso di non comunicarmi. Mi ascolti, Sutherland,
sento il dovere di avvertirla che il suo gioco, qualunque sia, è
pericoloso. Io non so cosa nasconda quella ragazza nel suo passato,
ma c'è qualcosa di molto strano in tutto questo. Per esempio,
cosa dicevano quelle frasi che ha pronunciato e quel nome che non
ho capito? - Lo psichiatra fissa il suo sguardo in quello dell'anziano
docente, poi stringe la bocca in una smorfia ironica. - Che non ho
capito io, ma che, a giudicare dalla sua faccia invece, lei ha capito
molto bene. - aggiunge, mentre Sutherland si limita a guardarlo senza
parlare.
-Bene, - dice Irving - non importa. Anche se in mezzo a quel profluvio
incomprensibile, giurerei di aver riconosciuto parole in greco antico.
Comunque, mi piacerebbe sapere come sia possibile che una ragazza
possa ripetere, sia pur sotto ipnosi, frasi in una lingua che non
dovrebbe conoscere. Beh, per fortuna, sto per partire e non tornerò
per diverso tempo. Questo mi aiuterà a liberarmi dalle residue
scorie di curiosità su questo caso.
Irving si rimette il soprabito e si avvia verso la porta.
-Non si disturbi ad accompagnarmi. - dice uscendo. - E non si disturbi
neanche a cercarmi ancora. I miei migliori saluti, professore. Sia
gentile e li estenda anche alla dottoressa Rowles e alla sua bella
amica.
Il rumore della porta d'ingresso che si richiude trova il professor
Sutherland ancora seduto in poltrona a sorseggiare il suo liquore
con un leggero sorriso sulle labbra.
In camera da letto, Joyce piange tra le braccia di Jennifer.
-Avevi ragione tu, - dice - non è servito a niente.
-Io ho cercato di prepararti, cara. Ma forse non è stato totalmente
inutile. Questa esperienza potrebbe finire per sbloccare la tua memoria.
-Perché non riesco a ricordare, Jen? - chiede la ragazza, guardandola
con gli occhi pieni di lacrime.
-Non lo so, tesoro.- risponde Jennifer, stringendola con tutta la
sua forza, per non dover sostenere il suo sguardo.
Quando torna in salotto, trova il professore ancora comodamente seduto
in poltrona, il bicchiere vuoto sul tavolino accanto, a studiare i
suoi appunti.
-Che cosa le ha detto? - chiede subito, guardandola.
-Niente. - risponde la donna, dirigendosi al divano. - E mi sento
un verme per questo.
-Meno male. - fa il professore con un sospiro. - Temevo non avesse
colto il mio avvertimento.
-Ma perché mi ha chiesto di non dirle nulla?
-Joyce sta ricordando, ma è ancora molto confusa. - risponde
Sutherland sottovoce. - Qualcosa le impedisce di vedere, di ricordare
Xena. Io non so cosa sia, ma fa il nostro gioco per ora. Se noi forzassimo
la sua memoria, lei potrebbe rammentare tutto e la situazione rischierebbe
di sfuggirci di mano. Potrebbe cercare di fuggire per raggiungerla,
e oltre a mettere in pericolo se stessa, il loro incontro se ci fosse,
potrebbe avvenire in luogo e tempo non funzionali al mio progetto.
-Il "suo" progetto? - chiede Jennifer, fissandolo.
-Jennifer, - dice il professore, chinandosi verso di lei e abbassando
ulteriormente la voce - si rende conto di che possibilità abbiamo?
Quella di poter vedere e parlare con una donna, una leggendaria guerriera,
di duemila anni fa. E ammetterà che l'unico tra noi che può
farlo sono io.
-E allora?
Il tono freddo della voce di Jennifer è fin troppo evidente.
-E allora? - ripete Sutherland, sorpreso dal fatto che lei non capisca,
o non voglia capire. - Olimpia, o Joyce se preferisce, non ricorda
Xena, ma Xena ricorda lei. L'ha vista, le ha parlato e la ritroverà.
Ci può scommettere che la ritroverà. Olimpia per lei
è come una calamita, ed è una calamita in mano nostra.
E quando si incontreranno, io
noi saremo là a testimoniare
il più incredibile, sconvolgente incontro cui uno storico e
uno scienziato possa mai sperare di assistere.
-Allora è così. - dice Jennifer con amarezza. - Lei
vuole prolungare la sofferenza di Joyce per usarla come esca? Ma che
razza di mostro è lei, Sutherland? Joyce sta quasi impazzendo.
E perché ha insistito tanto per la seduta? Non rischiava di
rovinare il suo piano?
-Forse. Ma era essenziale sapere cosa ricordasse Joyce di quella voce
che le ha parlato. Ed ora lo so. E' tutto qui in questa registrazione
- e il professore estrae dalla tasca un nastro che si affretta a rimettere
a posto - e in questo blocco. La prova definitiva.
-Che cosa dice? La voce di Joyce era così strana. - chiede
Jennifer.
-Era strana perché lei in quel momento riviveva fisicamente
la presenza di Xena. Era come se lo spirito di lei la possedesse.
E' stata una cosa straordinaria. Straordinaria. - Sutherland ha quasi
un'aria estatica mentre parla. - Vuol sapere che cosa ha detto, Jennifer?
Di lei mi fido. So che non parlerà.
E così dicendo, il professore sfoglia il suo notes fino ad
arrivare alla pagina desiderata, e comincia a leggere, inforcando
le lenti.
-Ecco. "Olimpia, sei proprio tu. Cosa ti hanno fatto? Svegliati,
piccola mia. Starai bene, vedrai. Devi stare bene. Questo incubo finirà.
Non posso vivere senza di te." - Sutherland richiude il blocchetto.
- Questo è più o meno quello che sono riuscito a capire,
ma credo che dimostri la mia teoria oltre ogni dubbio.
Jennifer che ha ascoltato tutto con progressivo sbalordimento, lo
fissa costernata.
-Tutto questo è una pazzia, professore. E poi, che sappiamo
di Xena? Se è davvero così selvaggia come la descrivono,
come fa a sapere quali saranno le sue reazioni? Non può incasellarla
come una pedina degli scacchi.
Sutherland sospira.
-Purtroppo questo glielo devo concedere. Di Xena non sappiamo niente.
Potrebbe essere chiunque e essere dovunque. Anche le descrizioni non
ci aiutano più di tanto. Se la coscienza razionale che la ospita
ne rifiutasse la presenza, potremmo trovarci di fronte ad un vero
e proprio caso di sdoppiamento della personalità e l'individuo
in questione non ne sarebbe neanche consapevole.
-E' tutto assurdo. - dice Jennifer, passandosi le mani sul volto.
- E comunque, cosa le dà tanta sicurezza che non dirò
nulla a Joyce?
Sutherland la guarda con un sorriso.
-Glielo ho detto. Qualcosa impedisce a Joyce di ricordare e se lei
provasse a forzare le cose, potrebbe causarle più male che
bene. So che tiene abbastanza a lei da non desiderare che corra rischi.
-Cosa intendeva dire prima sul fatto che Xena potrebbe non essere
consapevole di esserlo? - chiede Jennifer, ingoiando la propria frustrazione.
-Via. Lei è una brava psicologa. Non vorrà farmi credere
di non aver capito? Una realtà come quella che sta vivendo
la persona che incarna Xena, non la si sopporta facilmente. E dico
quindi che è possibile che la persona in questione la rifiuti
a livello conscio e che quando l'identità sepolta riemerge,
la sua coscienza quotidiana, diciamo così, venga messa a dormire,
non lasciandole quindi alcuna consapevolezza della sua altra vita.
Non la trova un'ipotesi ragionevole? - chiede Sutherland.
-Ragionevole? Cosa c'è di ragionevole in questa vicenda? -
sbotta Jennifer. - Lei mi sta dicendo che in questa città,
c'è qualcuno che se ne va in giro di notte vestito come una
guerriera dell'età micenea, armata di spada e di
come
si chiama?
-Chakram.
-Chakram, esatto, e neanche se ne rende conto?
-Beh, magari qualche sospetto l'avrà, ma la sua coscienza razionale
tenderà sempre a soffocarlo.
-Beh, mi spiace, professore, ma qui non siamo nel territorio della
psicologia e neanche della psichiatria. Qui siamo in pieno "Ai
confini della realtà".
Il professore la guarda divertito.
-Non sa quanto ha ragione, cara dottoressa. - dice.
Con la testa che le gira, intrappolata in quella situazione incredibile,
Jennifer va alla finestra e la apre, respirando boccate d'aria per
riacquistare un minimo di calma.
-E se Joyce ricordasse tutto da sola? - chiede, senza neanche voltarsi
verso Sutherland. - Il suo "progetto" andrebbe a gambe all'aria.
In fondo prima ha pronunciato il nome di Xena, mentre si svegliava.
-Il rischio c'è, - ammette il professore, - ma Joyce ha già
più volte pronunciato quel nome nel sonno, senza che questo
l'aiutasse a ricordarlo quando è sveglia, quindi direi che
il rischio è ad un livello accettabile, e in ogni caso, è
inevitabile.
Ma Jennifer non l'ha ascoltato nemmeno. La sua attenzione è
stata catturata quasi subito dalla strada sotto di lei. Un uomo, sicuramente
uno dei due poliziotti di guardia, è uscito dall'auto con la
pistola in mano e ora sta dirigendosi verso il palazzo di fronte,
tenendo l'arma in modo da non farla notare, ma pronta all'uso.
La donna lo segue con lo sguardo finché lo vede scomparire
oltre la porta dell'edificio.
-Jennifer, - la chiama Sutherland alle sue spalle, evidentemente allarmato
dal suo prolungato silenzio, - che c'è? Mi sta ascoltando?
Ma la psicologa ha già richiuso la finestra e abbassato la
tapparella velocemente.
-Non c'è tempo per le chiacchiere, adesso - risponde - forse
abbiamo un problema.