IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
VENTOTTESIMO
CAPITOLO
-Cara Joyce, se posso ancora chiamarla così, non so dirle l'emozione
che sto provando.
L'espressione del professore in quel momento sembra sfiorare l'estasi.
Il vecchio se ne sta seduto sul divano accanto a Joyce, che appare
quasi imbarazzata da tutto quell'interesse.
-Mi dica, cara, cosa ha ricordato esattamente? Cerchi di essere il
più precisa possibile.
Joyce cerca con gli occhi il viso di Jennifer, quasi ad averne un
sostegno.
-Non so, - risponde - è tutto ancora così strano. In
questi ultimi giorni ho temuto davvero d'impazzire. Non potevo più
considerarli semplici sogni. All'improvviso venivo come strappata
alla realtà, e mi trovavo d'un tratto in mezzo ad una battaglia,
ad un combattimento e io ero là, accanto a lei, al suo fianco.
-Xena. - mormora il professore. - Mi parli di lei. Chi è? Com'è?
Il viso di Joyce s'illumina tutto, mentre il suo sguardo si perde
nei ricordi.
-Dapprincipio era solo una voce, morbida, carezzevole, che mi parlava
in una lingua che non conoscevo, che non ricordavo di conoscere. Poi,
lentamente, quelle parole mi sono diventate chiare e quel buio che
vedevo davanti agli occhi quando la udivo, si è squarciato
e l'ho rivista. Ho ricordato il suo volto, il suo sguardo, il suo
sorriso. Come ho potuto dimenticarli? - Sul volto di Joyce scorre
lenta una lacrima. - Lei era la mia vita. La mia stessa esistenza
non aveva senso senza di lei.
-Ricorda cosa le è accaduto? - chiede Sutherland.
Joyce scuote leggermente la testa, lo sguardo ancora fisso nel vuoto.
-Ho ricordi vaghi
di un'urna, di una specie di
demone,
di una città orientale in fiamme
e poi, vedo me stessa
a bordo di una nave che prende il largo, ma non riesco a ricordare
- D'improvviso il suo corpo s'irrigidisce e le sue mani afferrano
il bracciolo del divano, le nocche sbiancate come in uno spasimo.
- Oh, no! No!! NO!!! - urla, facendo sobbalzare i suoi due ascoltatori
concentrati sulle sue parole. - Ora ricordo
ricordo
il
chakram insanguinato e
no! NO! Vi prego, no!
Gli occhi di Joyce si dilatano davanti ad immagini che le si spalancano
nella mente, evidentemente troppo difficili da sostenere.
-Il suo corpo
il suo povero corpo. Che le hanno fatto? Che le
hanno FATTO?!?
La voce disperata di Joyce si rompe in un pianto dirotto e Jennifer
che non riesce a resistere di più, scoppia a piangere insieme
a lei e le si siede accanto, stringendola a sé. Le due donne
restano abbracciate a singhiozzare, mentre il professore tira fuori
dalla tasca un ampio fazzoletto e si soffia sonoramente il naso, visibilmente
commosso anche lui.
-Tesoro, ti prego, - le sussurra Jennifer, cercando di inghiottire
le lacrime - lei è tornata. E' di nuovo qui. Qualunque cosa
sia successa allora, non ha più importanza. - Ma i singhiozzi
della ragazza non sembrano placarsi, e la psicologa, continuando a
stringerla, alza lo sguardo verso Sutherland. - Professore, non crede
che sia meglio lasciar perdere per ora?
-Al contrario. - risponde il vecchio, carezzando con una mano la testa
della giovane. - Joyce, Olimpia, sta ritrovandosi. Secondo me, non
può che farle bene e liberarla una volta per tutte dai suoi
incubi.
-Ma
ma
- La voce di Joyce, ancora soffocata dal pianto,
emerge faticosamente dalle labbra pressate contro la spalla dell'amica.
-
cosa mi ha fatto ricordare tutto questo? Come è stato
possibile?
-E' solo un'ipotesi, - dice sommessamente Jennifer, parlandole a bassa
voce, con dolcezza - ma credo che per certi versi, sia stato a causa
di tuo marito. I suoi maltrattamenti, la vita da incubo che vivevi
con lui devono aver fatto sì che la tua mente cercasse rifugio
in ricordi sepolti molto in profondità, dapprima attraverso
i sogni, inconsciamente, e poi riportando a galla la tua identità.
-E in qualche modo, - interviene il professore - il ritorno in superficie
dell'anima di Olimpia, ha risvegliato Xena. E' stata un richiamo potente
per lei.
-C'è una cosa che non capisco, però. - dice Joyce, staccandosi
dall'amica e asciugandosi con una mano le lacrime. - Perché
non viene? Perché si fa vedere e poi scompare?
-Xena vorrebbe venire, ne sono certo, Joyce, - risponde Sutherland,
prendendole le mani e inginocchiandosi quasi di fronte a lei. - ma
ci deve essere una lotta in corso nella coscienza della persona che
ospita la sua anima.
-Vuol dire che lei non ricorda ancora?
Joyce fa scorrere lo sguardo dal professore a Jennifer, cercando una
risposta nei loro occhi.
-Non cosciamente. Il lato razionale di quella persona potrebbe rifiutare
questa consapevolezza e creare quindi un vero e proprio muro, una
tomba, per così dire, che trattenga in profondità questo
suo lato nascosto, che può emergere solo durante il sonno o
un momento in cui è priva di conoscenza. Insomma, uno sdoppiamento
della personalità.
Joyce continua a guardarli a turno, come se non fosse ben sicura di
comprendere quello che stanno cercando di dirle.
-Ma come è possibile che non se ne renda conto?
-Oh, qualcosa sospetterà, forse, ma il suo lato razionale riuscirà
sempre a trovare spiegazioni rassicuranti per tranquillizzarsi. E
quindi, è probabile che Xena agisca all'insaputa di colui o
colei nel cui corpo abita.
Questa volta, è Jennifer a fissare il professore perplessa.
-Colui o colei? - chiede.
-Mi pareva di avergliene già accennato. - risponde Sutherland.
- Capisco che il concetto possa sembrare un po' difficile da assimilare,
ma nonostante la cosa non venga evidenziata neanche in quelle religioni
che si fondano sulla reincarnazione, in realtà perché
mai ci dovrebbero essere regole che stabiliscano che un'anima debba
necessariamente reincarnarsi in un corpo dello stesso sesso che occupava
in precedenza. Se ci pensa su un momento, capirà come questo
spiegherebbe tante cose sulla natura umana.
-Ma professore, Xena è una donna! Non ci sono dubbi. Tutte
le testimonianze concordano! Nessuno sdoppiamento di personalità
può arrivare a questo!
Jennifer appare quasi scandalizzata.
-Lei è cattolica, Jennifer? - chiede Sutherland.
La donna resta un attimo interdetta dalla domanda inaspettata.
-Beh, sì anche se non molto praticante, a essere sincera. Ma
che c'entra?
-Forse avrà sentito parlare della "transustanziazione".
La dottrina cattolica la contempla. Per spiegarla con termini semplici
è la capacità di una cosa o di una persona, di essere
anche un'altra contemporaneamente. Più volgarmente nota come
metamorfosi.
-Vuol dire che
? - comincia Jennifer incredula.
-Voglio dire, - conclude Sutherland, gravemente, - che una persona
può rifiutare così recisamente un aspetto della propria
personalità da provocare una vera trasformazione a livello
fisico del proprio corpo. Il nostro cervello ha grandissime potenzialità
inesplorate ancora. Abbiamo scandagliato ogni più nascosto
recesso di questo pianeta, siamo andati nello spazio, e il più
grande mistero resta ancora la mente umana.
Il professore guarda Jennifer sorridendo.
-Lei non mi crede, vero? Nonostante tutto quello che è accaduto,
continua ad aggrapparsi alla sua razionalità. - Sutherland
lancia un'occhiata al suo orologio e si alza con un sospiro. - Beh,
direi di lasciar perdere per ora. Vedo che questa piacevole conversazione
ci ha fatto quasi arrivare all'ora di cena. Io ho un certo appetito,
e voi?
Jennifer balza in piedi, sotto lo sguardo sorpreso di Joyce e del
professore.
-Un momento. - esclama. - Non se la può cavare così.
Ma cos'è lei un docente universitario o uno scrittore di fantascienza?!?
Lei mi sta proponendo un'ipotesi inverosimile, e pretende che io me
la beva senza ribattere? E l'armatura? E le sue armi? Il
il
chakram e la spada? Cosa ne è di loro? Adesso mi verrà
a raccontare che spariscono e riappaiono ad ogni
trasformazione?
Sutherland la fissa per qualche secondo senza parlare. Poi, con un
sorriso serafico, risponde.
-Forse, lei pretende un po' troppo da me. Non sono in grado di spiegare
tutto, anche se ciò che ha appena ipotizzato non mi sembra
poi così improbabile. Sì, potrebbe essere proprio questa
la risposta. D'altronde chieda a Joyce, o a Olimpia, se preferisce.
Sono sicuro che tra i suoi nuovi ricordi custodisce storie anche più
"inverosimili" di questa.
E così dicendo, il professore si volta e si dirige verso la
cucina, mentre Jennifer resta là, ammutolita, avvertendo appena
la mano di Joyce che si chiude sulla sua. Nello sguardo della ragazza
legge la muta conferma alle parole del vecchio.
Nel suo ufficio, il tenente Carruthers sta fissando senza vederlo
il panorama dalla sua finestra. Grandi nuvole nere si stanno addensando
all'orizzonte, gettando nell'oscurità le strade sottostanti
e facendo risaltare le luci e le insegne luminose.
Il cicalino del telefono interno manda il suo ronzio, risvegliandolo
dai suoi pensieri. La voce di Lloyd risuona sinistra e gracchiante
alle sue orecchie.
- Tenente. C'è il Procuratore Ballister in linea.
Con un sospiro rassegnato, il poliziotto si mette a sedere alla scrivania
e preme il pulsante luminoso sull'apparecchio.
-Carruthers.
-Allora, tenente, cosa mi dice?
Figlio di puttana. Riesce ad essere freddo e distante in qualunque
circostanza. Non si smuoverebbe neanche se gli si incendiassero i
pantaloni.
-Niente, per ora, signor Procuratore. Proseguiamo la sorveglianza
discretamente. - risponde.
-E' sicuro che non sospettino nulla?
-Credo che la dottoressa ci abbia creduto, se è questo che
intende. In quanto a quel professore, non saprei. All'apparenza sembrerebbe
il classico studioso troppo intento alle sue ricerche per accorgersi
del mondo che lo circonda. Ma non lo conosco abbastanza da giurarci.
-Mi raccomando, Carruthers. La considererò responsabile se
quella pazza selvaggia ci dovesse sfuggire.
-Certamente, signor Procuratore, non dubiti. Faremo tutto il possibile
per intrappolarla.
-E si ricordi che non voglio che i giornali siano messi al corrente
prima che questa faccenda sia conclusa, e conclusa positivamente.
-Stia tranquillo, signor Procuratore.
Il secco "click" della comunicazione interrotta comunica
al tenente che Ballister non ha più nulla da dirgli.
-FOTTITI STRONZO!!! - urla con quanto fiato ha in gola Carruthers,
sbattendo il ricevitore sul telefono con tanta violenza da farlo rimbalzare
e restare appeso oscillante oltre il bordo della scrivania. - Se fossi
quella pazza selvaggia, mi piacerebbe proprio venirti ad affettare
il culo, e a fettine molto sottili. - mormora con un tono di voce
più basso, ma ugualmente rabbioso, rimettendosi ad osservare
il cielo plumbeo.
La cena alla villetta del professor Sutherland si era svolta tranquillamente,
nonostante una sotterranea corrente di tensione avvertibile perfettamente
da ognuna delle tre persone sedute al grande tavolo.
Le capacità culinarie del professore non erano un granché,
ma egli si era opposto fermamente a che le sue due ospiti lo aiutassero,
e tuttavia era riuscito a preparare un pasto più che dignitoso
che adesso stavano terminando di consumare.
Jennifer aveva assistito ad un curioso duetto, mentre mangiava il
primo cibo decente nelle ultime trentasei ore. Il professore aveva
cominciato a pronunciare frasi e parole in antico greco, e Joyce,
dapprima in maniera insicura ed esitante, ma poi sempre più
fluida e decisa, era riuscita a sostenere una conversazione con lui.
Man mano che quel dialogo incomprensibile, ma dall'indubbio fascino
e musicalità, andava avanti, Jennifer si era scoperta a sentire
dentro di sé quasi un po' di gelosia, nel sentirsi esclusa
in quel modo. Solo di tanto in tanto, vecchie reminescenze scolastiche
le permettevano di decifrare qualche parola, e tutte le volte, come
per un sadico gioco del destino, quelle parole risuonavano nella sua
mente come altrettante stilettate. "Amore", "noi due"
e soprattutto il nome di Xena, erano quelle che ricorrevano maggiormente,
almeno nell'immaginazione della donna. Finché non aveva trovato
difficile anche solo ingoiare un sorso del pur ottimo vino della cantina
di Sutherland.
Accorgendosi del suo crescente disagio, il professore le si era rivolto
con la consueta cortesia.
-Qualcosa non va, mia cara? So di non essere un gran cuoco, ma francamente
stasera avevo l'impressione di aver fatto un buon lavoro, anche se
non dovrei dirmelo da solo.
Con uno sforzo, Jennifer inghiotte l'ultimo boccone del suo piatto,
cercando di mantenere un atteggiamento naturale.
-Oh, no, professore, è tutto buonissimo, davvero. Credo che
sia colpa mia. Tutta l'agitazione di questi giorni non ha certo giovato
al mio appetito.
-Posso capirla. Ed io ero così assorbito dalla nostra conversazione
da non rendermi conto che dovete essere tutte e due molto stanche.
-Non so Jennifer, - si affretta a rassicurarlo Joyce - ma io non mi
sento affatto stanca. E' così straordinario risentire questa
lingua, capirla e sentirsi capaci di utilizzarla come un tempo.
-Sì, e non posso esimermi dal ribadire che appare molto diversa
da come la si studia nelle scuole e nelle università di oggi,
ma questo - aggiunge Sutherland - è fatale, quando un linguaggio
è pervenuto a noi solo attraverso gli scritti, penso. Lei e
Xena fareste la gioia di qualunque storico o studioso del mondo.
-Professore, - interviene subito Jennifer - mi auguro che non si stia
facendo strane idee.
-Stia tranquilla, cara dottoressa, - risponde Sutherland con una risatina
- non ho intenzione di sfruttare questa possibilità. Non credo
che sia per questo che c'è stata data. Oh, ammetto che l'ipotesi
mi ha solleticato per un po', - e il professore lancia un'occhiata
sorridente verso Joyce - ma non penso che sia giusto. Qui c'è
qualcosa che travalica gli interessi personali e anche quelli più
generali della conoscenza, e non permetterò, non permetteremo,
alcuna interferenza col nostro scopo principale.
-Sono contenta di sentirla parlare così, professore. - dice
Jennifer, con un tono di voce più basso del normale. - Non
possiamo permettere ai nostri sentimenti personali di interferire.
Sono d'accordo con lei.
Un sottile velo d'imbarazzo sembra permeare d'improvviso l'intera
stanza. Per dissolverlo, Jennifer non trova di meglio che ingoiare
d'un fiato il mezzo bicchiere di vino che ha ancora davanti, mentre
Joyce con gli occhi rivolti al proprio piatto gioca distrattamente
con la forchetta.
Ancora una volta, spetta al professore cercare di ricreare un minimo
d'armonia.
-Care ragazze, - dice, guardando fuori - sta cominciando a piovere,
e io ho sempre trovato la pioggia che cade sui prati uno spettacolo
molto suggestivo. Che ne direste di sistemarci in veranda a godercelo?
Due ore dopo, seduto in una grande poltrona di vimini, il professor
Sutherland se ne sta immobile a fissare la pioggia che ancora cade.
L'aria fresca della notte penetra dappertutto e fa rabbrividire il
solitario guardiano che scruta il buio circostante.
Un rumore dietro di lui lo fa sobbalzare, ma il professore mantiene
la sua posizione, spostando appena un po' la testa per lanciare un'occhiata
in tralice alle sue spalle.
-Credevo che fosse già andata a dormire. - dice, tornando a
fissare l'esterno.
-Lo stesso pensavo io di lei. - ribatte Jennifer, sedendosi sulla
poltrona accanto.
-I vecchi non hanno bisogno di dormire molto e respirare un po' d'aria
fresca non può che fare bene.
-Che sta facendo qui, professore?
Anche se può appena distinguerla nel buio, Sutherland sente
lo sguardo della donna su di sé.
-E lei?
-Quando la smetterà di rispondere alle mie domande con altre
domande?
-Forse quando smetterà lei. - risponde il vecchio.
-Parlava sul serio prima a cena? Non ha davvero più intenzione
di usare Joyce come esca per i suoi piani?
-No, e forse non l'ho mai avuta. Cercavo solo una giustificazione
razionale al mio comportamento, ma ora non ne ho più bisogno.
Voglio solo che Xena e Olimpia si riuniscano di nuovo, perché
sento che deve essere così. Mi dia pure del pazzo, se crede.
-Non ne ho alcuna intenzione. - mormora Jennifer.
-E il suo pretesto invece, qual'è? - chiede il professore,
cercando di percepire il suo profilo nell'oscurità.
-Non lo so. Credevo di farlo per riscattarmi dei rimorsi del passato,
ma ora non lo so più.
Sutherland rivolge di nuovo lo sguardo verso il prato. A Jennifer
appare esitante come sul punto di iniziare un discorso meditato forse
anche troppo a lungo.
-Mi perdoni, Jennifer, se le faccio una domanda così personale.-
dice - Naturalmente può anche non rispondermi. - aggiunge subito
come per un improvviso ripensamento.
-Mi dica pure.- risponde Jennifer incuriosita.
Il professore si schiarisce la voce che ha assunto uno strano tono
roco.
-E' innamorata di lei? - chiede all'improvviso.
La donna si adagia contro lo schienale della poltrona con un sospiro.
Una domanda così normalmente avrebbe dovuto metterla in imbarazzo,
ma ora le pare la più naturale del mondo.
-E' così evidente?
-E le era già accaduto prima? - chiede ancora Sutherland, reso
più audace dalla sua mancata reazione.
-Vuol dire di innamorarmi di una donna? Non che io ricordi, ma questo
che significa? C'è una prima volta per tutto nella vita.
-E non si è chiesta perché le è capitato proprio
con Joyce?
-No. Dovrei?
-Quella ragazza ha un dono, Jennifer. - dice Sutherland. - E' come
se possedesse una luce interiore, attira l'attenzione, proprio come
una luce attira gli insetti nel buio.
-Già. - La voce di Jennifer è appena udibile. - Ma gli
insetti a volte si bruciano le ali e muoiono.
-Perche` quella luce è fatta solo per qualcuno speciale quanto
colei che l'emana.
Il silenzio regna per qualche istante, mentre il crepitìo della
pioggia sull'erba continua monotono. E' la voce di Jennifer a romperlo.
-Quel qualcuno che lei sta aspettando stanotte, vero? Xena. E pensa
che verrà?
-Non lo so. Io aspetto.
Jennifer si alza e fa per andarsene, poi si ferma.
-Come potrebbe sapere dove si trova?
-Come lo ha saputo le altre volte?
Jennifer non può fare a meno di sorridere.
-Lo ha rifatto. - dice.
-Cosa?
-Ha risposto alla mia domanda con un'altra domanda. Buonanotte, professore.
-Buonanotte a lei. - risponde Sutherland, rimanendo a sedere senza
voltarsi, scrutando nel buio.
-Di' un po', ma tu ci hai capito nulla?
Nell'auto della polizia, senza segni di riconoscimento, parcheggiata
sul retro della villetta del professor Sutherland, Stevens, l'agente
più giovane, si rivolge al compagno seduto al posto di guida
e intento a divorare un toast.
-Non mi pagano abbastanza per sforzarmi di capire. Io mi limito a
fare quello che mi dicono. - borbotta in risposta con la bocca piena
l'agente D'Alessio. - E gli ordini sono di restare qui, in costante
contatto radio con le altre pattuglie e
-
e, in caso di avvistamento di intrusi, non intervenire, lo
so, ma solo avvertire la centrale. Questo l'ho capito, - ripete esasperato
Stevens - ma che significa? E che ci fanno qui quattro pattuglie,
in aperta campagna in mezzo a grilli e cicale?
-Eseguono gli ordini, esattamente come me e te. - risponde imperturbabile
il poliziotto anziano. - E adesso stai zitto. Con tutte le chiacchiere
che fai
-Shh! - fa` all'improvviso Stevens, interrompendo bruscamente il collega.
-Che c'è?
-Mi sembra di aver sentito qualcosa.
Estraendo la pistola il poliziotto si appresta a scendere dall'auto.
-Fermo! - gli intima D'Alessio. - Sono io il capopattuglia. Tu resta
qua e tieniti pronto a chiamare per radio. Io vado a vedere. - Per
metà dentro e metà fuori dalla vettura, Stevens s'arresta
indeciso, poi rientra, richiudendo la portiera, mentre D'Alessio scende
e si guarda intorno. - Dò un'occhiata e torno. Probabilmente
non è nulla, ma è meglio essere prudenti.
L'uomo si allontana a passi lenti dalla macchina, finché scompare
alla vista del compagno nel buio.
Rimasto solo, Stevens lancia rapide occhiate all'orologio luminoso
del cruscotto. Un minuto
due minuti
quasi tre
-Ma che diavolo sta facendo? - dice tra sé, e dopo aver atteso
qualche altro secondo, si decide ed estraendo di nuovo la pistola,
fa per uscire dalla macchina. Ma ha appena messo la testa fuori che
la portiera gli viene sospinta contro con violenza, bloccandolo col
collo incastrato contro il tettuccio della vettura.
-Ehi! Cosa
?
Sono le uniche parole che riesce a pronunciare, prima che la pesante
elsa di una spada spuntata dal nulla gli si abbatta sulla testa.
Prima di perdere conoscenza, Stevens, scivolando lentamente al suolo,
scorge attraverso la vista che gli si appanna la persona di fronte
a lui.
-Oh, cazzo! - dice, e sviene.
La grande stanza appare buia e deserta. La porta a vetri che dà
sul giardino cigola lievemente, mentre una figura alta e snella s'insinua
all'interno, cercando di far meno rumore possibile. L'ombra procede
nell'oscurità con grande cautela, eppure muovendosi con straordinaria
agilità e rapidità, quando all'improvviso una luce morbida,
ma che sembra violentissima a contrasto col buio che l'ha preceduta,
illumina l'ambiente. La figura in armatura si volta velocissima, la
spada già stretta in pugno e puntata contro l'uomo anziano
seduto in poltrona con ancora in mano l'interruttore della lampada
accanto a lui.
-Bene, mia cara, - dice il professor Sutherland, mentre dalla sua
bocca sorridente escono con sorprendente fluidità parole di
una lingua vecchia di millenni, - finalmente ci conosciamo.