IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
VENTINOVESIMO
CAPITOLO
La
donna resta immobile, fissandolo con freddi occhi azzurri, mentre
tutti i suoi muscoli si tendono pronti all’attacco. I lunghi
capelli corvini incorniciano un volto dai tratti perfetti, mentre
tutto il suo corpo dà una sensazione di potenza e leggerezza
da togliere il fiato. L’armatura leggera copre solo parzialmente
un abito in pelle che l’avvolge morbidamente fin sotto la vita,
finendo in frange ondeggianti sulla parte superiore delle lunghe gambe.
Il suo abbigliamento è completato da un paio di stivali scuri
che le arrivano alle ginocchia. Dal suo fianco, pende lo strano cerchio
metallico che manda sinistri lampi, riflettendo la luce della stanza.
Il professore la osserva, divorando letteralmente con gli occhi ogni
particolare dell’incredibile figura che gli sta davanti.
-Mio Dio, - mormora – mi avevano detto che eri bella, ma tu
superi qualunque fantasia.
-Chi sei? – La voce è gelida quanto lo sguardo, ma c’è
una nota di curiosità nel tono. – Come mai parli la mia
lingua? Nessuno sembra conoscerla in questo luogo.
-E’ frutto di lunghi studi, ma non avrei mai sognato che un
giorno mi sarebbe tornata così utile.
Nonostante il suo corpo stia leggermente rilassandosi, la spada di
Xena resta puntata minacciosamente verso la gola del professore.
-Dov’è Olimpia? – chiede, e il suono di quel nome
sulle sue labbra acquista una dolcezza inimmaginabile.
-E’ di sopra. Sta dormendo.
-Mostrami la strada. Lei viene via con me.
La punta della spada si alza contro il viso di Sutherland.
-Non fare pazzie. – dice il professore, rimanendo calmo a sedere.
– Non credo sarebbe una buona idea. Questa casa è probabilmente
sorvegliata. Non riusciresti ad allontanarti con lei.
-Olimpia sa difendersi.
-L’Olimpia che conoscevi, forse. Questa sta appena recuperando
la sua identità. E’ ancora troppo scossa e confusa per
poterti essere d’aiuto. Tu non vuoi che corra dei pericoli,
vero? - chiede Sutherland.
Nello sguardo di Xena passa un lampo d’indecisione.
-No.
-Allora, ascolta cosa faremo. – Il professore si alza e con
cautela si avvicina alla donna che abbassa la spada. – Tu adesso
devi andartene, e cerca di non far parlare di te per qualche settimana,
ma continua a tenere d’occhio questa casa. Quando sarò
sicuro che non ci siano più rischi, in qualche modo te lo farò
sapere.
Gli occhi di Xena lo scrutano sospettosi.
-Tu faresti questo? E perché mai?
-Diciamo che sono un inguaribile romantico. - risponde Sutherland
con un sospiro. – Inoltre sono stanco dell’aridità
e del cinismo di questa epoca.
Xena lo fissa lungamente, valutando tra sé evidentemente la
sua sincerità. Poi rotea la spada e, con gran sollievo del
professore, l’infila con abilità nel fodero che porta
legato alla schiena.
-Voglio vederla. – dice.
-Che
cosa…?
L’agente Stevens riprende faticosamente i sensi, mentre cerca
di capire cosa possa essergli successo. Poi lentamente i collegamenti
del suo cervello ricominciano a funzionare. D’Alessio che non
torna, lui che sta per uscire dall’auto e il colpo, improvviso,
violento, che lo scaraventa al suolo. Fin qui, tutto sembra mantenere
un qualche senso, sia pur doloroso, pensa, nel momento in cui una
fitta alla testa lo convince di averla ancora attaccata al collo.
Ma poi? Quello che ha visto, che ricorda di aver visto dopo, è
totalmente pazzesco, invece. Quella strana figura che pareva indossare
un’armatura, chi era? Una donna. Certo, ma alta e forte quanto
un uomo, anche di più. E la spada? Possibile? Era stato davvero
colpito da una spada? Che diavolo era successo? La botta gli aveva
forse causato un’allucinazione? E che ne era stato di D’Alessio?
Con passo incerto, Stevens si allontana dall’auto nella direzione
in cui ricorda di aver visto andare il collega e, proprio in quel
momento, scorge un corpo riverso, parzialmente nascosto dietro un
albero.
Cercando di affrettare il passo, il poliziotto si avvicina finché
la sua vista, ancora un po’ annebbiata, non riconosce i tratti
del viso di D’Alessio. Stevens si china sul compagno e si accorge
con gran sollievo che è vivo, anche se il rivolo di sangue
che gli scorre dalla bocca, indica chiaramente che deve aver ricevuto
un colpo di notevole forza.
-Coraggio, amico. – dice, tirando su il corpo ancora privo di
sensi e appoggiandolo al tronco dell’albero. – Non è
il momento di dormire. Dobbiamo avvertire gli altri.
La
mano del professor Sutherland abbassa lentamente la maniglia della
porta e un raggio di luce del corridoio penetra nella stanza, illuminando
il viso addormentato di Joyce. Contemporaneamente il vecchio osserva
il volto di Xena, mentre la guerriera si sporge appena nello spiraglio,
posando lo sguardo sulla ragazza. Il lampo di amore e nostalgia che
traspare negli occhi della donna è così acuto, così
sincero, che il professore distoglie i suoi, imbarazzato.
-Olimpia. – mormora Xena e Sutherland giurerebbe di aver sentito
quasi un singhiozzo trattenuto nella sua voce. – Ti ho cercata
tanto.
-Che pensi di fare? – chiede il professore, schiarendosi la
gola.
-Non lo so. Lei è sempre stata una parte di me, la parte migliore,
ma la maledizione di Antinea ci ha tenute separate così a lungo.
-Antinea?
-Una maga, molto potente. Ha impedito a me di ritrovarla e a lei di
ricordarmi per lungo tempo. Solo ora il suo sortilegio ha incominciato
a indebolirsi.
-Capisco. – dice Sutherland.
Xena lo guarda appena, prima di rivolgere nuovamente le sguardo sulla
ragazza addormentata.
-No. – mormora. – Non credo.
Nonostante il tono di voce sommesso, qualcosa sembra agitare il sonno
di Joyce che emette un sospiro.
-Devi andartene, ora. – dice il professore, cercando di richiudere
la porta, ma la mano di Xena ne afferra il bordo, impedendogli di
smuoverla.
-Non temere. – dice il vecchio. – Riuscirò a portartela,
quando sarà il momento.
Il braccio della donna resta ancora immobile per qualche attimo, mentre
l’acciaio azzurro del suo sguardo scruta il viso del professore.
Poi ricade e la porta viene richiusa silenziosamente.
-Andiamo, su, andiamo. –l’esorta Sutherland, spingendola
con delicatezza verso le scale, ma la guerriera gli lancia un’occhiata
che fa subito abbassare la mano al professore. Poi, con passo agile,
la donna scende al piano inferiore inseguita affannosamente dal vecchio.
-Sai, - le dice lui col fiato corto – un giorno, se avremo più
tempo, dovrai proprio lasciarmi vedere un po’ più da
vicino quel chakram. Non mi pare fatto di nessun metallo che conosca,
e…
-Nessuno che l’abbia visto da vicino, - l’interrompe Xena,
senza voltarsi, - mi è sembrato mai molto contento.
Il professore ammutolito sta ancora cercando una risposta, quando
tutto il corpo della guerriera si tende all’improvviso e, come
per magia, la spada e il cerchio di metallo sono nelle sue mani.
-Che c’è? Che succede? – chiede Sutherland.
Fuori dalla porta d’ingresso, una voce deformata e amplificata
da un altoparlante rimbomba.
-VOI LA’ DENTRO! QUI E’ LA POLIZIA! USCITE SENZA FARE
RESISTENZA O DOVREMO USARE LA FORZA!
Un
brivido scuote l’anziano insegnante. Xena, le armi in pugno,
corre ad una finestra e scruta fuori.
-Devono aver circondato la casa. – dice Sutherland. –
Non puoi uscire di qua.
-Ci proverò. – mormora la donna.
-No! E’ una pazzia. Saranno in tanti, non puoi averne ragione.
-Non è la prima volta.
-Ti credo. Ma ora sono altri tempi. Hanno armi da fuoco. Non ti lascerebbero
neanche il tempo di muoverti. Lascia fare a me. Forse puoi fuggire
dal tetto. – dice il professore, tornando verso le scale. Xena
fa per seguirlo, poi si ferma.
-Olimpia. – dice.
-E’ al sicuro. Non possono farle nulla. – risponde Sutherland,
voltandosi. – Presto!
Con due balzi Xena e’ in cima alle scale, mentre il professore
cerca di seguirla il più rapidamente possibile, e là,
sulla soglia della sua stanza, c’è Joyce. Il volto pallido
nella debole luce del corridoio, gli occhi spalancati. Due grandi
lacrime le spuntano tra le ciglia, mentre il suo sguardo fissa l’alta
figura immobile di fronte a lei.
-Xena! Xena!! – urla quasi la ragazza, gettadolesi incontro.
-Olimpia. – riesce appena a dire la guerriera. Ma il professore
è più rapido. Afferra Joyce e la respinge nella stanza.
-Non c’è tempo, ora. Xena, devi andartene. In quanto
a te, mia cara, resta qui qualunque cosa tu senta.
E richiude la porta a chiave, mentre Joyce batte furiosamente i pugni
contro il legno.
-Professore! Mi faccia uscire!! Xena! XENA!!
Sutherland, richiusa la porta, corre in fondo al corridoio e afferrata
una maniglia dal basso soffitto, la tira verso di sé, rivelando
una scaletta metallica che si apre fino al pavimento, poi si volta
verso la donna. La guerriera fiera e risoluta che aveva visto fino
ad un attimo prima, ora è immobile, come paralizzata, a fissare
la porta dietro di lei.
-Presto, presto! – Sutherland, senza tanti complimenti, spinge
Xena che si lascia quasi condurre su per la stretta scala fino ad
una porticina, mentre le grida di Joyce li inseguono in distanza.
Giunti nella mansarda, il professore si precipita ad aprire una piccola
finestra che dà sul tetto.
-Ecco, - dice – per te dovrebbe essere un giochetto saltare
nel giardino e scavalcare il muro sul retro.
Accanto a lui, Xena guarda fuori, poi lo fissa.
-Olimpia. Non posso lasciarla qui.
-Devi. – risponde Sutherland. – Non hai scelta. Con lei
non ce la faresti mai.
Xena esita ancora un attimo, poi scavalca il basso parapetto, atterrando
sul tetto.
-Ricorda la tua promessa. – dice.
-Non temere. – fa appena a tempo a rispondere il professore,
prima che con un rapido salto Xena si getti, ricadendo sull’erba
sottostante.
Ma contemporaneamente, la luce di più torce si accende illuminando
il prato, e la voce inconfondibile del tenente Carruthers tuona.
-Ferma! Non vogliamo farti del male! Getta le armi e arrenditi!
La spada e il chakram stretti in pugno, Xena si guarda intorno, girando
lentamente su se stessa, come un animale in trappola.
TRENTESIMO CAPITOLO
-XENA!
XENAAA!!
Disperata, Joyce continua ad urlare e a battere furiosamente i pugni
sulla porta, fino a farli quasi sanguinare, ma inutilmente. Poi, mentre
le voci e i rumori fuori dalla casa, si fanno sempre più minacciosi,
la chiave nella serratura gira all’improvviso e la porta si
spalanca.
Joyce si getta fuori come un fulmine, quasi travolgendo Jennifer che,
in vestaglia, la guarda spaventata.
-Joyce, cosa…?
-Jen, Jen. E’ Xena! Vogliono prenderla! – grida la ragazza,
stringendo l’amica convulsamente.
-Cosa? Joyce, calmati. – dice Jennifer, afferrandola per le
braccia. – Ma che sta succedendo?
-Xena è qui. – singhiozza Joyce, spiegando. – E’
venuta per me. Ma c’è la polizia, là fuori. Vogliono
catturarla!
-E il professore? Dov’è il professore?
-Non lo so. Mi ha chiusa in camera. Forse sta cercando di farla fuggire.
-Per l’amor di Dio, da che parte sono andati?
-Ho sentito parlare del tetto. – mormora Joyce.
Lanciando un’occhiata verso la scala che ancora pende dal soffitto,
Jennifer scorge la botola della mansarda e senza ascoltare altro si
lancia in quella direzione.
Sul
prato circondato dagli alberi sul retro della villetta del professor
Sutherland, il tempo sembra essersi fermato.
Un gruppetto di agenti di polizia, almeno una mezza dozzina, forse
di più, nella semioscurità il professore non riesce
a distinguerli, sono in semicerchio con le pistole puntate contro
l’alta e agile figura al centro della luce delle loro torce.
Tutti sono immobili nelle loro posa, come nel fermo immagine di una
pellicola.
Il professore stesso che assiste alla scena dalla finestra della mansarda
sembra incapace di muoversi o parlare, morbosamente affascinato suo
malgrado dallo spettacolo a cui sta assistendo.
Poi, lentamente, i poliziotti cominciano ad avanzare cauti, un passo
dopo l’altro.
-Attenti, ragazzi. – dice qualcuno. – E’ pericolosa.
Sutherland è talmente concentrato sulla scena che fà
un salto, quando si sente spingere da parte e vede, con sorpresa,
che accanto a lui c’è Jennifer.
-Dottoressa! – esclama.
-Cosa sta succedendo qui? – chiede la donna, senza neanche guardarlo,
fissando le persone in piedi sotto di loro.
-Io… io credevo… - balbetta Sutherland senza sapere cosa
dire.
-Non c’è tempo per le chiacchiere. – dice Jennifer,
e si spinge pericolosamente in fuori dalla minuscola finestra, urlando.
-Carruthers, maledizione! Lasciatela andare. Non vuole fare del male
a nessuno!
-E’ vero, tenente. – grida di rimando, accanto a lei,
Sutherland. – Non peggiori la situazione.
-Voi due non immischiatevi. – risponde il tenente con l’arma
sempre puntata su Xena, mentre alle sue spalle altri uomini armati
stanno avanzando. – Avete già fatto abbastanza danni.
Devo arrestare questa donna e poi farò i conti anche con voi.
E i poliziotti, che adesso sembrano almeno il doppio, con ancor maggior
cautela, se possibile, ricominciano ad avvicinarsi a Xena, stringendo
sempre di più il cerchio intorno a lei. La spada inizia a volteggiare
nella mano della guerriera, mentre lei si gira intorno lentamente,
scrutando i suoi avversari uno a uno, ma senza fare l’atto di
attaccare.
D’un tratto, in quel quadro di quasi totale immobilità,
reso ancor più drammatico dalla luce ondeggiante delle torce,
irrompe un’altra figura agile e veloce che sgusciando tra i
poliziotti, corre verso Xena e si mette accanto a lei, assumendo una
posizione da combattimento.
Sutherland e Jennifer la fissano sbalorditi, mentre gli uomini sul
prato sorpresi arretrano di un passo tutti insieme.
-Xena, sono qui. – dice Joyce, lanciando un’occhiata alla
principessa guerriera al suo fianco, ma senza perdere di vista i poliziotti.
-Olimpia, vattene. Non voglio che ti feriscano o peggio.
La voce di Xena non si alza di un tono, mentre continua a fissare
gli uomini intorno a lei.
-Ora che ti ho ritrovata, non ti perderò di nuovo. Non permetterò
che ci separino ancora. Combatteremo insieme. Come una volta. –
risponde la ragazza con un sorriso verso la compagna.
-Sei sicura? – chiede Xena.
-Mai stata più sicura di così in vita mia.
Poi, schiena contro schiena, le due donne si preparano ad affrontare
i loro avversari.
-Joyce! NO! Torna dentro! – grida Jennifer disperata, poi con
uno slancio quasi si tuffa fuori dalla finestra, mentre il professore
riesce a trattenerla a stento.
-Signora Bowers! – intima il tenente. – Non si metta nei
guai! Si allontani da qui!
-Non chiamatemi così! – La voce della ragazza è
quasi irriconoscibile, mentre urla quelle parole. – Il mio nome
è OLIMPIA DI POTIDEA!!!
E contemporaneamente la sua gamba ruota e colpisce con violenza il
volto di uno dei poliziotti che stava cercando di afferrarla.
E’ il segnale. In un attimo la scena che fino ad allora era
sembrata svolgersi al rallentatore si anima all’improvviso.
Si ode un urlo prolungato e gutturale e il chakram comincia a volare.
Lanciato con stupefacente perizia, il cerchio ruotante rimbalza sul
muro della casa e istantaneamente, torna indietro con forza straordinaria,
strappando letteralmente le pistole di mano ai poliziotti, e prima
ancora che questi si rendano conto di ciò che è successo,
il chakram ritorna a grande velocità nella mano della donna
che lo afferra saldamente. I poliziotti si guardano ammutoliti sotto
lo sguardo gelido della principessa guerriera. I poliziotti si gettano
in avanti, ma Xena e Olimpia, muovendosi quasi in simbiosi, come se
fossero un unico corpo, sventano ogni loro tentativo.
La principessa guerriera combatte per dieci. La sua forza e la sua
agilità sono incredibili. Mulinando le gambe e le braccia,
Xena crea il vuoto intorno a sé. Almeno sei uomini giacciono
ai suoi piedi storditi o privi di conoscenza, mentre con un balzo
prodigioso la donna torna perfettamente in piedi riafferrando al volo
la spada che aveva lanciato in aria, pronta ad affrontare il resto
del gruppo che le sta davanti. Ma l’attenzione di Jennifer è
tutta per Joyce, o per quella che una volta era Joyce. La psicologa
non riesce a credere ai suoi occhi. La ragazza che ha imparato a conoscere
e ad amare non esiste più. La donna che sta combattendo là
sotto, colpendo spietatamente con calci e pugni chiunque cerchi di
avvicinarsi, è davvero Olimpia, l’anima gemella di Xena,
l’inseparabile compagna della principessa guerriera. La loro
intesa è perfetta, i loro movimenti così armoniosamente
in sintonia, che anche lei, nonostante la paura che prova per l’amica,
non può non sentirsi affascinata da ciò che sta vedendo.
Il professor Sutherland, della cui presenza è solo vagamente
cosciente, sembra altrettanto incantato da quello spettacolo. Le grida
dei poliziotti che fanno da sottofondo al tutto sono appena udibili
nell’indiavolata battaglia che si svolge sotto i loro occhi,
ma uno li sovrasta tutti.
-Fermo! NO! Non sparare!
E mentre loro sono ancora troppo sbalorditi per muoversi o parlare,
un colpo di pistola improvvisamente rompe l’incantesimo, facendoli
sobbalzare.
E di nuovo, l’immagine sembra immobilizzarsi.
-Joyce! Oh, mio Dio! JOYCE!!! – urla Jennifer e immediatamente
abbandona la finestra e si lancia di corsa giù per le scale,
seguita affannosamente da Sutherland.
Xena
e là, al centro, ancora circondata da quegli uomini che fino
a pochi attimi prima lei e la sua compagna combattevano fianco a fianco
come in un lontanissimo passato, ma ora la sua attenzione non è
più per loro.
Con gli occhi dilatati la guerriera osserva il corpo di Olimpia che
lentamente le sta scivolando tra le braccia.
Lo sguardo della ragazza è incollato nel suo come a cercare
di prolungare il più possibile quella ritrovata vicinanza che
sente sfuggirle dalle dita.
-Xena… – riesce appena a dire in un soffio, poi la sua
testa si abbandona e il corpo si affloscia senza vita.
In quell’attimo infinito, la guerriera resta come paralizzata
ad osservare il sangue di Olimpia sulla sua mano, cercando vanamente
un minimo segno vitale in quel corpo abbandonato tra le sue braccia,
poi un urlo selvaggio erompe dai suoi polmoni e Xena si volta, la
spada in pugno contro i poliziotti, proprio mentre Sutherland e Jennifer
escono correndo dalla casa.
Uno degli agenti, con la pistola ancora fumante, si guarda intorno
come smarrito.
-Io… io non volevo… - balbetta – ma… ma lei
si è messa in mezzo, mentre stavo per sparare alla selvaggia…
L’uomo sta ancora parlando, tremante e sconvolto, e Xena gli
è già addosso. I due corpi rotolano avvinghiati sul
terreno per diversi metri. Poi la figura della guerriera si leva su
quella del poliziotto steso sotto di lei e la spada si alza, volteggiando
nella sue mani, con la punta rivolta verso la gola dell’uomo,
pronta a colpire. L’urlo di battaglia risuona mentre la lama
sta per affondare, ma in quell’attimo una raffica di spari la
bloccano.
La guerriera si guarda sorpresa il ventre ferito e sanguinante, mentre
il suo sguardo perde quella luce selvaggia che l’aveva pervaso
fino ad un secondo prima. Si guarda intorno, quasi sorpresa, come
se stesse risvegliandosi da uno stato di trance, quindi con uno scatto
furibondo, lascia la sua preda e si scaraventa attraverso il gruppo
di poliziotti, lanciandoli letteralmente in aria come birilli, e con
un ultimo prolungato grido di sfida sparisce tra gli alberi.
-Presto, inseguitela! – urla Carruthers e si getta anch’egli
tra la vegetazione, seguito da alcuni dei suoi, tra quelli ancora
in grado di reggersi in piedi.
Jennifer, che ha assistito come paralizzata alla tragedia che si è
consumata davanti a lei, adesso è in mezzo al prato, e stringendo
tra le braccia il corpo di Joyce, piange disperata, mentre il professor
Sutherland al suo fianco sembra incapace di spiccicare parola.
-Carruthers, maledetto bastardo! – singhiozza la donna. –
Perché? PERCHE’??
Il tenente, che sta tornando sui suoi passi, si avvicina e si china
su di loro.
-Mi dispiace. – dice. - Non sarebbe dovuto succedere, ma è
stato un incidente. L’hai visto anche tu. La tua amica era impazzita
e…
-VATTENEE!! VAI VIAAA!!! – urla Jennifer stringendosi convulsamente
al petto la testa di Joyce, mentre lacrime scendono copiose su un
volto reso irriconoscibile dal dolore.
Carruthers la guarda senza rispondere e si rialza. Sutherland con
un sospiro, lo prende per un braccio e l’allontana delicatamente.
-La scusi, tenente, ma ora è troppo sconvolta. Comunque le
consiglio di prendere i suoi uomini, o quel che ne resta, e andarsene
da qui. Questa è ancora una proprietà privata.
Il poliziotto fissa lo studioso.
-Dobbiamo aspettare il medico legale e provvedere alla rimozione del
corpo.
-Faccia ciò che deve e poi se ne vada. – risponde gelidamente
Sutherland.
In quel momento, due poliziotti emergono tra gli alberi.
-Tenente, - dice uno dei due – la selvaggia è scomparsa.
Ci sono solo delle tracce di sangue nel punto dove deve aver scavalcato
il muro, ma nient’altro.
Carruthers resta per un attimo in silenzio, poi guarda Sutherland.
-Tutto questo non sarebbe successo, se non vi foste intromessi. –
dice.
-Strano. E’ esattamente quello che stavo per dire io a lei.
– risponde il professore.
In distanza si sentono ancora i singhiozzi disperati di Jennifer.
Avevano
dovuto strapparle Joyce dalle braccia quasi con la forza. Aveva urlato,
pianto disperatamente, cercando di trattenere quel corpo ormai privo
di vita accanto a sé, anche solo per un attimo ancora, e alla
fine, era rimasta là, ad artigliare con le dita l’erba
umida di quel prato che le sembrava conservasse un po’ di quel
calore che era stato in lei. Se ne era rimasta lì, per un tempo
indefinito, con gli occhi aperti e ormai svuotati di ogni lacrima.
“Non riuscirò mai più a piangere.” aveva
pensato. Poi il professor Sutherland era riuscito a farla alzare.
L’aveva condotta in casa ed aveva cercato di convincerla ad
andare a riposare, almeno per il resto di quella notte, ma non c’era
stato niente da fare.
In quel momento, c’era solo un posto dove avrebbe voluto essere,
e se non era possibile (il corpo di Joyce era stato chiuso in uno
di quegli agghiaccianti sacchi neri e portato all’obitorio),
voleva comunque andare in un luogo dove il ricordo di lei fosse ancora
forte, e così aveva chiesto di essere accompagnata al suo appartamento.
Carruthers non se l’era sentita di fare obiezioni. Aveva provveduto
affinché fosse scortata fin là ed aveva fatto rimuovere
i sigilli, tranne che dal salotto dove era morto Mark Bowers e che
doveva ancora assomigliare alla scena di un macello.
Appena arrivata, Jennifer si era recata nella sua stanza, la stanza
che era stata di Joyce per la sua permanenza, ed era caduta letteralmente
sul letto. Le pareva che il cuscino trattenesse ancora un po’
del suo profumo, e così col volto immerso nella morbida federa
bianca su cui lei aveva posato la testa, si era appisolata inconsapevolmente,
in un sonno agitato, popolato di sogni che, misericordiosamente, al
suo risveglio non avrebbe ricordato.
Lo
squillo del cellulare che per forza d’abitudine aveva portato
con sé e posato accanto al letto, la strappa dall’incoscienza.
Le ci vuole qualche attimo per realizzare, poi la sua mano si tende
verso l’apparecchio, quasi d’istinto, prima ancora che
il cervello finisca di ricomporre il puzzle della sua mente.
-Dottoressa Rowles.
La voce al telefono suona strana, ma Jennifer è troppo confusa
per rendersene conto.
-Professore. Mi dispiace, ma adesso non me la sento di…
-Accenda la TV, Jennifer. La prego.
-Co… come? Perché?
Soltanto adesso, comincia a rendersi conto dello strano tono di voce
di Sutherland.
-La prego. Tra due minuti ci dovrebbe essere un notiziario sul canale
quattro.
-Ascolti, non voglio…
-Non si tratta di Joyce. – la interrompe lui. – Di quello
non dicono niente. E’… qualcos’altro.
Mentre il professore parla, Jennifer si alza e, con passo incerto,
arriva fino al piccolo televisore sul tavolinetto sotto la finestra.
Appena preme il telecomando, l’oscurità della stanza
è squarciata da vividi colori, mentre la voce dello speaker
commenta le immagini con la foto di una donna racchiusa in un rettangolino
su un lato dello schermo, che Jennifer non riesce ad identificare
immediatamente. Quando ci arriva, il telecomando le cade di mano.
“…corpo è stato rinvenuto da un collega della vittima
che preoccupato dal mancato appuntamento con lei e non riuscendo neppure
a contattarla telefonicamente, si era recato al suo domicilio. Il
cadavere di Cheryl Cooper, la nota reporter di INSIDE VIEW, giaceva
a ridosso della porta del suo appartamento, con il ventre perforato
da almeno cinque o sei proiettili. Si presume, per le tracce di sangue
trovate sulle scale esterne, che la donna sia stata ferita altrove
e poi trasportata sul posto, poiché è impensabile che
con simili ferite, vi sia potuta arrivare da sola…”
-Jennifer. Jennifer!
La voce di Sutherland le sembra venire da distanze siderali.
-Professore. Come è possibile?
-Non lo so. Ma spero che adesso siano insieme. In fondo, è
nel loro destino. – Attraverso il telefono, la voce del vecchio
le giunge strozzata come da un singhiozzo malamente trattenuto. –
Mi scusi. Devo riattaccare, ora.
Jennifer resta ancora un momento col cellulare ormai muto all’orecchio.
Le immagini e i suoni del televisore non hanno più significato
per lei.
-Joyce. – mormora. – In qualunque luogo ti trovi ora,
prego Dio, che tu sia felice, finalmente.
E si lascia cadere sul letto, mentre il groppo che sente in gola si
trasforma in un pianto incontenibile, che nemmeno la faccia premuta
sul cuscino riesce a soffocare.
“Riesco ancora a piangere, Joyce, vedi?” pensa. “Per
te, ci riuscirò sempre.”
Un altro tempo, un altro luogo
La foresta è immersa nel canto degli uccelli. L’aria
è tersa e limpida, senza traccia di nebbia. La fanciulla bionda
col gonnellino, il leggero corsetto e i calzari dai lunghi lacci,
l’attraversa muovendosi tra gli alberi con sicurezza, fino a
raggiungere una piccola radura.
Poi, in distanza, si ode il battito ritmico e soffocato di zoccoli.
La ragazza si ferma e si volta senza alcun timore.
Una sagoma in movimento tra gli alberi si avvicina sempre più,
finché la figura di una donna in armatura e a cavallo esce
dalla macchia, fermandosi a pochi passi da lei.
La ragazza le sorride e la donna risponde al suo sorriso.
-Xena.
-Olimpia.
-Hai visto? Ti ho ritrovata.
-Sì.
E Xena le tende il braccio per farla montare dietro di lei.
-E ora? – chiede Olimpia, reggendosi saldamente sulla sella.
– Cosa faremo? Dove andremo?
-Chi lo sa? – risponde Xena. Lo sguardo della principessa guerriera
si fissa in quello dell’altra per un lungo attimo. - Ma ovunque
sia, io saro’ al tuo fianco.
E mentre il cavallo lentamente gira su se stesso, e si dirige verso
il folto della foresta, Olimpia abbraccia da dietro la sua compagna
e, appoggiando la testa sulla sua schiena, socchiude gli occhi ai
raggi di un sole intenso che le battono sul viso e sorride.
-Sapevo che l’avresti detto. – dice in un sussurro.