IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
QUINTO
CAPITOLO
Quando Jennifer giunge all'indirizzo che il Tenente le ha comunicato
al telefono, lo trova davanti alla porta dell'edificio. Se di porta
si puo` parlare, visto che e` una specie di lamiera di ferro, appoggiata
contro un muro talmente rovinato da parere un miracolo che stia ancora
in piedi. Certo, l'intero quartiere e` tra i piu` poveri della citta`,
ma quella casa in particolare ne riassume nell' insieme tutto lo squallore.
Appena la vede arrivare, Carruthers, che sta parlando con uno dei
suoi uomini, lo congeda e le viene incontro.
-Non occorreva che venissi. - esordisce.
-Come l'avete trovato? - chiede Jennifer.
-Dalle impronte della mano, naturalmente. Era schedato. - Il poliziotto
estrae il solito taccuino di tasca. - Jerome Bixby, meglio noto come
Bix, un piccolo delinquentello della zona. Aveva precedenti di spaccio,
aggressione a scopo di libidine e rapina. Trentadue anni, otto dei
quali trascorsi tra riformatorio e prigione negli ultimi venti.
-Dov'e`?
-Al primo piano, nel suo appartamento, se vogliamo chiamarlo cosi`.
Vieni, ti faccio strada.
Jennifer segue il Tenente su per una rampa di scale, appena illuminata
da un neon che manda scariche, accendendosi e spegnendosi continuamente.
Nei brevi lampi di luce, larghe chiazze di umidità si rivelano
sui muri, interrotte a tratti da chiazze piu` scure. La donna passando
ne gratta un po` con l'unghia e la porta al naso.
-E` sangue secco. - le dice Carruthers, senza neanche voltarsi, continuando
a salire con un leggero fiatone.
Arrivati davanti alla soglia dell'appartamento, l'uomo si arresta.
- Non e` un bello spettacolo, ti avviso.
-Non e` certo il primo cadavere che vedo, e credo che non sara` neanche
l'ultimo. - risponde Jennifer.
-Gia`. - E l'ispettore spinge la porta.
All'interno c'e` un gran via vai di uomini della scientifica al lavoro.
Due di loro stanno prendendo le misure e segnano con un gesso le macchie
di sangue sul pavimento. Il medico legale sta richiudendo la sua borsa,
riponendovi i suoi strumenti. Il fotografo e` occupato a riprendere
la scena da piu` angolazioni possibili, mentre altri ancora sono intenti
al rilievo di tracce, spruzzando sostanze chimiche su oggetti e pareti,
e ad esaminare il contenuto dello scarso mobilio.
Ma l'attenzione di Jennifer e` calamitata sull'uomo che giace sul
letto. Si tratta di un uomo alto, robusto, non meno di un metro e
ottanta per settantacinque, forse ottanta chili, ma l'impressione
di possanza fisica si e` completamente persa nel rilassamento mortale.
Deve essere morto da parecchio. Un giorno, o di piu`. Qualcuno, forse
il medico stesso, gli deve avere misericordiosamente richiuso gli
occhi che lei immagina spalancati negli spasmi della morte, e di questo
e` grata. Accanto al letto, su un tavolino, una bottiglia di whisky
di pessima marca e alcune bende sporche. Un improvvisato kit di pronto
soccorso, il cui scopo appare subito evidente. Il braccio destro dell'uomo
pende inerte lungo un fianco del letto, ma la` dove dovrebbe esserci
la mano, c'e` invece il vuoto. Un lembo di polso, da cui ancora sporge
un pezzo di osso, e` tutto quello che ne resta. Sotto, un lago di
sangue che l'uomo ha tentato disperatamente quanto inutilmente di
tamponare con lunghi metri di garza, che ora giacciono sul pavimento
immersi nella grande macchia rappresa, come un inestricabile grumo
marrone scuro.
Il medico si avvicina al Tenente.
-Le faro` avere il referto quanto prima, - dice - comunque ad occhio,
dovrebbe essere morto da circa trentasei ore. Shock da dissanguamento,
direi. Non una bella morte.
-Grazie, dottore. Aspetto il suo rapporto.
I due si stringono la mano e il medico se ne va. Carruthers si allontana
dal cadavere e va accanto a Jennifer, che ora e` appoggiata alla finestra
della stanza, da dove arriva un refolo d'aria attraverso la zanzariera
incrostata di sporco.
-Tutto a posto? - le chiede.
-Si, certo. Nessun problema.
La psicologa sembra abbastanza calma e padrona di se`.
-E cosi` ecco un altro da cui non potremo sapere cosa e` successo
in quel vicolo maledetto. - sospira il poliziotto.
-Secondo te, era lui l'aggressore di Joyce?
-Beh, direi che e` probabile, no? Visti i suoi precedenti, una bella
ragazza sola in quel posto, deve essergli sembrata un dono del cielo.
Inoltre, ci vuole poco a togliersi il pensiero. Bastera` che la Bowers
proceda ad un riconoscimento.
-Vorresti sottoporla ad un riconoscimento, adesso? Non mi pare il
caso, e poi se non ricorda quello che le e` accaduto, e` difficile
che possa riconoscere il suo presunto aggressore. E d'altro canto
non hai gia` la mano a confermare i fatti?
-Vero, ma chissa`, magari ritrovarselo davanti potrebbe smuoverle
la memoria.
-Temo di non potertelo permettere, George. Dovrai accontentarti di
mostrarle una fotografia.
Il Tenente guarda Jennifer di sottecchi, poi sospira.
-D'accordo. Cerchero` di traumatizzarla il meno possibile.
La donna sta guardando il morto, come soprappensiero.
-Secondo te, ha agito da solo? - chiede.
Carruthers le lancia un'occhiata perplessa.
-Perche`?
-Questo genere d'individui spesso si trascina dietro qualcun altro.
Un compagno con cui dividere il bottino e il divertimento.
Il poliziotto resta un attimo a riflettere.
-E` un'osservazione giusta. Mi informero`.
Jennifer continua a fissare il morto come se non riuscisse a staccargli
gli occhi di dosso.
-Avete ricostruito i fatti? - chiede.
-Non c'e` molto da ricostruire in realtà`. Bixby usava questo
posto solo per dormirci, o al massimo per portarci qualche donna raccattata
nei bar qui intorno. I vicini non lo vedevano da un paio di giorni,
o cosi` dicono. Secondo me, dopo l'aggressione alla Bowers, ferito,
sotto shock, deve essere corso a rifugiarsi nell'unico posto che chiamava
casa. E qui e` morto.
-Scoperto altro?
-Niente di niente. Cosa sia successo in quel vicolo, continua ad essere
un mistero. Quello che e` certo e` che qualunque cosa sia, ha terrorizzato
un uomo grande e grosso come Bixby, di sicuro non molto impressionabile,
visto l'ambiente in cui viveva, e ne ha causata la morte.
Jennifer distoglie finalmente lo sguardo dal cadavere e si volta verso
Carruthers.
-E di Bowers, il marito, si sa nulla?
-Idem come sopra. Sembra svanito nell'aria. Al suo posto di lavoro
non l'hanno piu` visto. Abbiamo allertato anche la polizia di Milford,
il paese da cui provenivano lui e la moglie, nel caso si rifugiasse
laggiù, ma a quanto mi hanno detto, non gli sarebbe facile.
Non ha lasciato buoni ricordi di se`. Ne` amici, ne` parenti. Qui
ha uno zio, che non lo vede pero` da mesi e che, mi ha dato l'impressione,
voglia continuare a non vederlo. Comunque terremo d'occhio anche lui.
-Insomma, nessuna pista.
-Gia`, almeno in apparenza. L'unico filo di questa matassa a cui aggrapparsi
resta la Bowers. Vai da lei, ora?
-Si. Il Procuratore me l'ha praticamente affidata. Mi prendero` cura
di lei. Quando la dimetteranno, la sistemero` in una "casa sicura".
Carruthers la guarda con un sorrisino.
-Senti,senti. L'hai proprio presa a cuore, eh?
-Voglio capire cosa significa questa storia, George. Mi ha presa fin
dal primo momento e voglio arrivare in fondo.
-Ti conosco. - dice Carruthers. - Sei testarda, e quando ti metti
in testa una cosa
Ma stai molto attenta, - aggiunge serio -
e` una storia strana e potrebbe avere sviluppi imprevedibili.
Adesso e` Jennifer a sorridere.
-Sei il secondo oggi, che mi mette in guardia. Ti preoccupi per me?
Carruthers si avvia verso la porta e Jennifer lo segue.
-Sai, quando fai questo mestiere, devi avere un certo fiuto, e se
non ce l'hai lo sviluppi. E qui c'e` puzza di bruciato, Jennifer,
molta puzza.
La donna lo fissa sorpresa.
-Adesso si` che mi preoccupi. - dice - Non mi chiami mai per nome.
Facendo il suo ingresso nella stanzetta in cui e` ricoverata Joyce,
Jennifer vede con piacere che la ragazza e` seduta in poltrona. Le
macchine a cui era stata collegata sono state rimosse e poggiate da
una parte, spente e mute.
-Bene, vedo che sta meglio. - le dice sorridendo.
La giovane alza lo sguardo che teneva fisso nel vuoto. Sorride di
rimando, ma i suoi occhi restano lontani, come se vedessero immagini
e luoghi invisibili a chiunque altro.
-Si`, grazie. Il dottore mi ha detto che potrei andarmene anche domani,
se me la sento.
-Soltanto se vuole. Ha avuto una brutta esperienza. Non cerchi di
accellerare i tempi. Qui per ora e` al sicuro e
-Sono in arresto? - chiede d'improvviso Joyce, interrompendola.
Jennifer la fissa sorpresa.
-No, - risponde - non e` in arresto. Non e` stata formulata alcuna
accusa contro di lei.
-Ma ho ucciso Mark. E poi, tutte quelle cose che ho detto. Ho pensato
che avreste potuto credere che mi fossi inventata tutto.
La psicologa prende una sedia dalla parete opposta e le si siede accanto.
-Ascolti, Joyce. Viste le sue condizioni, non so se faccio bene a
dirglielo, ma ritengo che lei debba saperlo.
La ragazza ora la fissa in tensione, e un lieve tremito sembra scuoterla.
Jennifer le prende la mano tra le sue e gliela stringe confortandola.
-E` possibile che suo marito non sia morto. - dice.
-Come? - chiede Joyce in un soffio, quasi che la frase che ha appena
udita, stentasse a trovare un significato nella sua mente.
-In casa, dove lei sostiene di averlo lasciato a terra esanime, -
prosegue Jennifer con calma, parlandole lentamente, affinché`
la ragazza possa assimilare il concetto senza scosse - non c'era nessuno.
C'erano tracce di sangue, ma nient'altro. La polizia ha svolto ricerche
accurate nelle ultime ore, ma di suo marito nessuna traccia. Non possiamo
essere sicuri al cento per cento che sia ancora vivo, ma di ora in
ora l'ipotesi si fa sempre piu` concreta.
Joyce distoglie lo sguardo da lei e torna a fissare il vuoto. Il tremito
e` ancora perfettamente avvertibile nella sua mano. Dalla sua espressione,
a Jennifer e` difficile capire, se prevalga il sollievo per non aver
commesso un delitto, o l'ansia nell'intravedere il ritorno di paure
che credeva superate.
-Lei non deve temere, Joyce. Sara` protetta, glielo garantisco personalmente.
-Ma dove andro`, quando usciro` di qua? - mormora la ragazza. - Non
posso tornare a casa e non ho piu` nessuno.
Nel vederla cosi` smarrita, Jennifer prova una stretta al cuore.
"Mio Dio," pensa "viene voglia di cullarla come una
bambina."
-Non si preoccupi. - dice. - La sistemeremo in un nostro appartamento.
Li chiamiamo "case sicure".
-"Case sicure"?
-Si`, li utilizziamo per tenervi testimoni a rischio, generalmente
nei casi di mafia, ma andra` benissimo anche per lei. Nessuno sapra`
che lei si trova li`. La polizia la sorvegliera` discretamente, e
io stessa, verro` a trovarla molto spesso. Anche tutti i giorni, se
necessario, glielo prometto.
Una luce di speranza illumina lo sguardo della giovane che le stringe
la mano con maggior energia. Il sorriso torna sul suo volto, e questa
volta si comunica anche ai suoi occhi, lasciando intravedere a Jennifer,
dietro la pesante coltre di paura e tensioni in cui ha vissuto quei
mesi e soprattutto quelle ultime ore, la ragazza piena di vita e di
gioia che doveva essere stata e che ancora avrebbe potuto essere.
La psicologa giudica che quello possa essere il momento buono per
affrontare il discorso che piu` le sta a cuore.
-Senta, Joyce, non vorrei spingerla a ritornare a quei brutti momenti,
ma ho il dovere di farlo anche nei suoi confronti. Finche` non capiremo
cosa e` successo quella notte, non sapremo esattamente che genere
di pericoli lei corra. Ha provato a ripensarci, ha ricordato qualcosa?
Joyce e` tornata a fissare il vuoto. Poi, all'improvviso parla.
-Stanotte ho fatto un sogno.
-Me ne parli.
-Non so, non lo ricordo chiaramente, ma era cosi` strano.
-Non ricorda proprio nulla?
-No. Solo
delle fiamme.
-Fiamme? E poi?
Joyce scuote la testa, mentre i suoi occhi sembrano tornare al presente,
dopo aver cercato vanamente di scrutare nelle vaghe memorie del sogno.
-Nulla. All'inizio, appena sveglia, sembrava tutto cosi` chiaro, e
invece, nel giro di pochi attimi tutto e` svanito.
Jennifer avverte nel suo tono di voce l'ombra di un singhiozzo, in
agguato in fondo alla gola.
-Dottoressa, la prego, mi aiuti. - chiede sull'orlo del pianto Joyce.
-Chiamami Jennifer. - le dice sorridendole. - Vorrei che diventassimo
amiche.
-Jennifer. - sussurra Joyce. - La mia migliore amica si chiamava cosi`.
Siamo state legatissime fino al liceo, ma sono anni che non pensavo
piu` a lei. Non so neanche dov'e`, e se e` ancora viva.
Jennifer resta un attimo ad osservarla.
-Joyce, ieri ci hai parlato di una spada. Le tue precise parole sono
state "lei aveva una spada". - La psicologa la fissa negli
occhi. - Chi e` "lei", Joyce, di chi parlavi?
Il tremito che negli ultimi minuti pareva essersi attenuato, riprende
con maggior vigore nella voce della ragazza.
-Non lo so. Non me lo ricordo.
-Ma ricordi di avercelo detto, vero?
-Non so
non so niente, ti prego
ti prego, Jennifer.
La disperazione ora fluisce pienamente nell'espressione del viso di
Joyce. Jennifer si affretta a posarle una mano sulla spalla per calmarla.
-No, scusami, non volevo sconvolgerti. Fai con calma. Piano, piano,
ricorderai. - dice alzandosi.
Joyce ha un sussulto.
-Te ne vai? - chiede.
-Devo. Se davvero domattina sarai dimessa, la tua nuova casa dovra`
essere pronta.
-Mi sento cosi` confusa. - mormora la ragazza. - E` come se vivessi
in una specie di sogno continuo.
-Avevi gia` fatto prima altri sogni
strani?
Joyce esita un attimo, una frazione di secondo di troppo, prima di
rispondere.
-No, non mi pare.
-Sicura?
-Si`.
Jennifer la guarda perplessa. Fino a quel momento, non aveva mai avuto
dubbi sulle sue risposte. Poteva essere confusa, stordita, ma era
sempre stata sincera, ci avrebbe messo le mani sul fuoco, e la confessione
spontanea del suo presunto delitto lo dimostrava. Ma ora per la prima
volta si pone dei dubbi. Almeno in questo, sente che Joyce non le
ha detto la verita`.
"Perche`?" si chiede. "Perche` mentirmi su questo?
Che cosa nascondi, Joyce?"
Ma lo sguardo della giovane e` tornato vago, fisso oltre il vetro
della finestra, anche se in qualche modo a lei sembra che stia osservando
qualcosa di molto piu` lontano.
Rimasta sola nella stanza, Joyce lascia che le lacrime che fino a
quel momento ha trattenuto a stento con un enorme sforzo, le scorrano
liberamente lungo il viso.
Le piace Jennifer. E` stata buona con lei e si sta prodigando per
aiutarla, ma non ce l'ha fatta a dirle tutto.
"Perche`" si chiede "non le ho parlato della foresta
e della nebbia, e non le ho detto di quella presenza che avverto sempre
dietro gli alberi?"
Neanche lei sa rispondersi, c'e` qualcosa in quei sogni che lentamente
le si sta insinuando dentro. Ma cosa? Cosa?
E poi non e` vero che ha dimenticato tutto di quello che le e` accaduto
quella notte. Certo, ricorda solo a sprazzi. Rapidi lampi nel buio.
Ma ricorda la spada, come si muoveva rapida e decisa, ricorda le urla
e ricorda la voce.
E` solo un vago ricordo nell'oscurita` che la circondava, e le parole
le riuscivano incomprensibili, eppure in qualche modo che non riesce
a spiegarsi, e` come se quei suoni armoniosi, quella voce dolce e
piena di preoccupazione, le risvegliassero nella mente lontane eco
di qualcosa che le pare sempre sul punto di afferrare e che sempre
finisce per sfuggirle. In una cosa almeno e` stata sincera con Jennifer.
Davvero le sembra di vivere di continuo in una specie di dimensione
onirica. Piu` volte si e` trovata a chiedersi se cio` che ricorda
di quella notte, non appartenga al territorio del sogno. Ma non appena
i suoi dubbi sembrano sul punto di prevalere, quella voce cosi` reale,
e quella spada lampeggiante alla fioca luce del vicolo, le tornano
alla mente con estrema rinnovata vividita`.
"Mio Dio, sto impazzendo? E` a questo che mi hanno portato gli
anni di vita (vita?) accanto a quel mostro?"
Ed in quel momento, le parole di Jennifer le risuonano nelle orecchie
in tutto il loro crudo significato.
Mark e` ancora vivo.
Fino ad allora , e` stato come se le dolci memorie dei suoi sogni,
le avessero fatto da protezione, assorbendo tutta la sua concentrazione
su di loro, impedendole di familiarizzare con un concetto assai piu`
concreto che l'attendeva in agguato.
"Se e` davvero cosi`, la cosa che piu` desidera in questo momento,
e` uccidermi." Pensa. "Pero` Jennifer ha detto che saro`
protetta, che non permettera` che mi succeda qualcosa."
Ma la lieve speranza ispiratale da questo pensiero, si scontra subito
con una sensazione assai piu` forte, proveniente dalla sua coscienza
razionale, che suona come una condanna.
"Ma lei, loro non conoscono Mark. Non si fermera` davanti a niente
pur di vendicarsi. Niente."
E tuttavia i suoi pensieri non riescono a soffermarsi su queste idee
minacciose. Come una nuvola protettiva, i ricordi rassicuranti, anche
se confusi, dei suoi sogni tornano a circondarla, mentre la sua mente
scivola nel sonno.
E la`, nella stanza deserta, dove nessuno puo` sentirla, con le pupille
che si muovono incessantemente sotto le palpebre chiuse, in quella
fase del sonno che gli scienziati chiamano REM, le labbra di Joyce
si aprono appena a formulare parole in una lingua sconosciuta. Parole
che lei stessa, udendole da sveglia, non capirebbe, ma il cui significato
in questo momento di non-coscienza, le suona chiaro e cristallino
come acqua di fonte. E proprio come a una fonte, la sua anima se ne
disseta, cercando disperatamente di alleviare quel senso di vuoto
che al suo risveglio tornera` a tormentarla senza una spiegazione.
L'uomo dietro la colonna si sporge appena, mentre Jennifer scende
le scale del palazzo della Procura. Non vuole essere visto anche se
immagina che difficilmente potrebbe essere riconosciuto. Anche se
la polizia avesse gia` la sua foto (ed e` probabile) una barba di
cinque giorni, un paio di occhiali da sole, ed un cappellino con visiera
calato sulla fronte, giudica siano sufficienti a renderlo irriconoscibile.
Ormai sono diverse ore che tiene d'occhio la giovane psicologa. Non
gli ci e` voluto molto ad individuarla. L'aveva gia` vista uscire
dall'ospedale in cui e` ricoverata Joyce insieme a quel poliziotto,
anche se non ha potuto seguirla costantemente per non destare sospetti.
Ma e` rimasto sempre intorno per non perdere di vista l'evolversi
della situazione, per non rischiare di mancare a qualche passaggio
fondamentale.
Adesso l'ha riagganciata, e mentre Jennifer si allontana dal palazzo,
calcandosi meglio sulla fronte il berretto, Mark Bowers la segue.