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IDENTITA`SEPOLTA


ROMANZO DI A. SCAGLIONI

BASATO SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"

CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT

E SVILUPPATA DA R.J.STEWART

Xena and all characters and names related are owned by and copyright © 1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.

SETTIMO CAPITOLO

La mattina dopo, Jennifer sta percorrendo il lungo corridoio che porta alle aule dell'università. Quando l'ha lasciata, non più di un'ora prima, Joyce pareva essersi ripresa. Completamente ignara di ciò che le era accaduto nella notte. Doveva aver dormito non meno di dodici ore e non si era chiesta, con suo grande sollievo, come mai si fosse ritrovata sul divano del soggiorno, invece che nel suo letto.
Jennifer aveva chiesto a uno dei poliziotti che stazionavano fuori quel mattino, di entrare e presolo in disparte lo aveva incaricato di rimanere nella casa, almeno finché lei non fosse tornata. Il poliziotto era parso un po' perplesso, evidentemente non abituato a ricevere ordini da qualcuno che non fosse un suo diretto superiore, ma poi aveva accondisceso. Così, ripromettendosi di parlare della cosa in Procura (era stata una stupida a non organizzare anche una sorveglianza interna, ma come poteva prevedere crisi di sonnambulismo?), Jennifer era uscita dicendo a Joyce che si recava a casa a prendere alcuni effetti personali, e questa era infatti una delle sue destinazioni, ma non la sola, e che sarebbe tornata quanto prima. Ma poi una volta in taxi, aveva deviato per l'università cittadina dove aveva un appuntamento molto importante.
L'idea le era venuta d'improvviso e immediatamente aveva deciso di porla in atto. Durante i suoi anni di studio, aveva assistito ad alcune lezioni del professor Michael Sutherland. Jennifer lo ricordava come un uomo alto, sulla sessantina, capelli folti appena ingrigiti e uno sguardo vivace, sempre pronto e curioso. Le sue lezioni vertevano sull'evoluzione della psicologia dell'uomo attraverso le epoche e il modo in cui i cambiamenti della società nel mondo avevano influito su di essa. Ma Sutherland era anche un insigne studioso di lingue antiche, mitologia e storia. Le sue teorie su come alcuni miti avessero interagito con la storia così come la si conosceva e potessero avere fondamenti assai più concreti di quanto si credeva, avevano sollevato diverse discussioni tra gli esperti.
Il professore aveva accettato senza problemi di incontrarla, ma Jennifer dubitava che fosse perché si ricordava di lei. Riteneva invece di avere stuzzicato l'implacabile curiosità dello studioso. Cosa mai poteva volere da lui, una psicologa della Procura?
Lei si era guardata bene dallo scendere in dettagli al telefono. La cosa era troppo strana e delicata. Una frase di troppo avrebbe potuto rovinare tutto. Jennifer giudicava che fosse di mente aperta, ma non se la sentiva di rischiare, almeno finché lui non avesse avuto un quadro abbastanza completo della situazione e avesse potuto decidere da sé, senza preconcetti.
-Il professor Sutherland? - chiede ad uno degli inservienti nel corridoio.
-Stamattina è nell'aula sette. - risponde questi, guardando l'orologio al polso. - Ma se aspetta, tra pochi minuti dovrebbe terminare. Può attenderlo qui, se vuole. - E l'uomo le indica una serie di sedie dall'aria confortevole lungo la parete. Ringraziandolo con un sorriso, Jennifer si accomoda e si dispone ad attendere pazientemente.
L'improvviso animarsi del corridoio, invaso da decine di ragazzi e ragazze che escono dalle aule, coglie di sorpresa la donna, ancora soprappensiero. Alzando gli occhi verso il fondo, scorge un uomo alto e distinto che sta venendo nella sua direzione.
Il professore non è cambiato molto dall'ultima volta che lo aveva visto. Appena un po' più ingrigito e stempiato e sul naso fa sfoggio di un paio di lenti dalla montatura dorata che non gli ricordava. Ma la figura è sempre dritta e imponente e molto curata nel vestire.
Mentre si avvicina, Jennifer si alza e gli va incontro.
-Professor Sutherland?
-Si`? - L'uomo sembra accorgersi di lei solo ora, ma il suo sguardo si accende vedendola. - Oh, sì. Lei deve essere la dottoressa…?
-Rowles. Jennifer Rowles.
-Ma certo, la psicologa della Procura. - L'uomo le stringe la mano con delicatezza. - Deve perdonarmi, ma l'età comincia a farsi sentire. Avevo quasi dimenticato la sua telefonata.
-Non c'è problema, professore. - gli sorride Jennifer - Immagino che lei sia molto indaffarato.
-Beh, abbastanza in effetti. Ma per ora non dovrei avere altro da fare, fino a questo pomeriggio almeno. Per cui sono a sua disposizione.
Jennifer si guarda intorno, mentre giovani studenti percorrono il corridoio in lungo e in largo, in un brusìo continuo di discussioni e risate.
-Potremmo andare in un posto un po' più tranquillo?
-Certo, venga con me. Nell'aula che occupavo io non dovrebbero esserci altre lezioni. Potremo parlare tranquillamente.
Entrati nella grande aula circondata da file e file digradanti di banchi vuoti, il professore si siede alla cattedra e le offre una poltroncina.
-Si accomodi. Mi dica. La sua richiesta di consulenza mi ha incuriosito, e francamente non so cosa aspettarmi.
-Lei non può ricordarsi di me, - esordisce Jennifer - ma io ho seguito alcune sue lezioni, anni fa.
Il professore la guarda piacevolmente sorpreso.
-Davvero? Mi auguro che le abbia gradite.
-Moltissimo. Trattavano dei cambiamenti della psicologia umana attraverso le ere.
-Sì, ricordo. Davvero un argomento affascinante. Ma questo come c'entra con la Procura?
Jennifer esita un attimo davanti allo sguardo attento dello studioso, poi si decide.
-Abbiamo un problema piuttosto curioso, professore. Una giovane donna e` stata trovata qualche notte fa, priva di conoscenza in un vicolo, sicuramente vittima di un aggressione.
-Che mondo orribile. - sospira Sutherland. - Purtroppo però ci stiamo abituando sempre più a queste cose, al punto che non ci facciamo quasi più caso. Spero che la ragazza stia bene, ora.
-E' proprio questo il punto, professore. Da quando ha subito l'aggressione, la ragazza soffre di incubi, crisi di sonnambulismo e parla nel sonno. - Jennifer cerca volutamente di mantenersi nel vago. Se in Procura sapessero di questa sua iniziativa, non crede che approverebbero entusiasticamente. Il professore continua a fissarla e Jennifer estrae dalla tasca il nastro. - Qui c'e la sua voce registrata. - dice, tendendolo a Sutherland. Il professore abbassa lo sguardo sulla cassetta, prima di tornare a posarlo su di lei.
-Ha registrato quello che ha detto? E perché mai?
-Perché è una lingua straniera. Anzi, secondo me, è una lingua antica, e non credo che la ragazza possa conoscerla. Professore, lei è uno studioso di lingue morte e uno storico, potrebbe aiutarci ad identificarla?
Ora che ha detto ciò che le premeva, Jennifer resta in attesa della risposta con quello stato d'ansia che conosce bene.
Il professore rimane pensieroso per qualche momento rigirandosi la cassetta tra le dita.
-Beh, - dice infine, - è davvero una strana storia. E immagino che lei non possa dirmi di più, vero?
-Per ora mi basta che lei ascolti il nastro.
-Non ho un registratore qui. Almeno non utilizzabile al momento. Potrei ascoltarlo questa sera a casa mia.
-Va benissimo. - risponde Jennifer sollevata. - Glielo lascio, ma mi faccia sapere qualcosa appena può. Ecco il mio numero. - Jennifer gli tende un biglietto da visita. - Può rintracciarmi a qualunque ora.
Sutherland lo prende.
-Sa, - dice -lei è molto brava ad incuriosire le persone. Non so come farò ad aspettare fino a questa sera per sentire questo nastro.
-Anch'io, professore. Mi raccomando, - ripete lei - a qualunque ora.
-Stia tranquilla, ma non può proprio dirmi di piu`?
-Per adesso, preferirei proteggere la privacy di quella poveretta, ma se sarà necessario la dettaglierò.
Il professor Sutherland infila la cassetta in tasca.
-Come mai ha l'impressione che si tratti di una lingua antica?
Jennifer esita un attimo davanti a quella domanda. E' più difficile di quanto pensasse riuscire a sfuggire all'acuta intelligenza di quell'uomo, che continua a guardarla con uno sguardo miope e ad un tempo penetrante, come se fosse in grado di scandagliarle la mente.
-In realtà, non saprei cosa dirle. - risponde infine lei. - Chiamiamola un'intuizione. Sono successi dei fatti strani, su cui mi perdonerà, preferisco non pronunciarmi, che mi hanno fatto venire un'idea magari completamente assurda, ma glielo ripeto, e` soltanto un'idea.
"Gesù," pensa, "sto facendo la figura dell'idiota."
-D'accordo, dottoressa, non insisterò. - dice il professore alzandosi ed avviandosi con lei verso la porta dell'aula. - Per quanto mi sarà possibile, spero di poterle dare una risposta entro domani, o magari chissà, stasera stessa.
Con una stretta di mano, Jennifer si congeda da un Sutherland ancora più perplesso e incuriosito di prima.
Una volta fuori dall'istituto, la donna emette in un unico soffio tutto il fiato che senza rendersene conto ha trattenuto fino ad allora. Il dado è tratto. Presto saprà se quell'ipotesi (assurda, impossibile) che le ha attraversato come una folgore la mente la notte prima, può avere un fondamento oppure no. E non sa davvero cosa augurarsi.


-Pronto, Rowles?
La voce di Carruthers le giunge distinta attraverso il cellulare nonostante il traffico della strada. Jennifer è appena uscita da casa sua con un borsone dove ha stipato alla meglio un paio di abiti di ricambio ed alcuni altri effetti. Sono quasi le tre del pomeriggio. Il tempo è volato e lei sta recandosi a prendere un taxi per tornare al più presto da Joyce. L'attuale stato mentale della ragazza non la lascia tranquilla, e il sapere che è comunque sotto sorveglianza non le è di gran conforto. La sensazione di essere seguita, avuta nei giorni precedenti, si è un po' attenuata, ma il pensiero che questo possa essere in relazione con Joyce non l'abbandona. Per cui in quell'atmosfera di dubbi e tensioni, accoglie quasi lieta la voce concreta e rassicurante del tenente.
-Ci sono novità? - chiede.
-Forse. Credo che abbiamo individuato il possibile complice di Bixby. Si chiama… aspetta che leggo, perché è un nome impossibile… Arzunian. Roland Arzunian. Ha un bell'elenco di condanne sulle spalle, in buona parte scontate con l'amichetto del cuore.
-Sapete dove trovarlo?
-Abbiamo un indirizzo, ma se ce lo troviamo sarei disposto a mangiarmi il cappello. Scommetto quello che vuoi che il buon Roland se l'è data a gambe e non da adesso. Sempre ammesso che sia coinvolto in questa storia.
-Sarei sorpresa se non lo fosse. Dovrai procedere al riconoscimento?
-Solo se lo prenderemo. Comunque staremo a vedere. Non preoccuparti per la ragazza, ti ho promesso di evitarle traumi, no? E tu, hai niente da raccontarmi?
"Avrei così tante cose da dirti" pensa Jennifer, "che probabilmente penseresti che abbia bisogno io di uno psicologo o addirittura di uno psichiatra." Ma ciò che le esce di bocca è un semplice: -Nessuna novità.
-Come sta la tua protetta?
-L'ho lasciata stamattina, un po' sbattuta, ma nel complesso abbastanza bene.
Certo, se escludiamo che cammina nel sonno e che parla in lingue incomprensibili, sta un incanto.
-Mi fa piacere. Ti ho fatto assegnare due uomini fissi davanti alla casa.
-Lo so. Ti ringrazio.
-Hai ancora quell'impressione?
-Un po'. Hai chiesto ai tuoi uomini?
-Loro non hanno notato niente, ma probabilmente erano troppo occupati ad osservare voi.
-Comunque io mi trasferisco da lei. Non me la sento di lasciarla sola.
A Jennifer pare quasi di vedere il sorrisetto che deve essersi disegnato sul volto di Carruthers.
-Mmh, - fa lui, - allora è una cosa seria.
-Ma certo, - risponde lei secca, - se tutto va bene, le chiederò di sposarmi entro il mese.
-Fai bene. I fidanzamenti lunghi rovinano le relazioni.
-Vai al diavolo, Tenente. Vedi di tenermi informata, piuttosto.
-Senz'altro, dottoressa, non dubiti.
Jennifer spegne il cellulare, sorridendo tra sé e sé. La conversazione, chissà perché, le ha disteso i nervi e anche il solito tono ironico di Carruthers, che a volte la irrita, questa volta l'ha divertita. Con la mente rivede il volto di Joyce, la sua espressione di fiducia totale in lei.
Perché fai tutto questo per me?
Lo sguardo di Jennifer si perde per un attimo nei suoi pensieri, ma è solo un attimo. Subito i suoi occhi tornano attenti e vivi.
"Professionalità, dottoressa Rowles," mormora a sé stessa, "professionalità."


Come previsto dal tenente Carruthers, la ricerca di Roland Arzunian all'indirizzo indicato sul rapporto che lo riguardava, non dà alcun frutto. Il soggetto in questione sembra infatti essersi dileguato da alcuni giorni. Chiedere informazioni ai vicini è come chiederle ai muri dell'appartamento ormai disabitato. Così dopo una breve perquisizione, più per formalità che per convinzione, la polizia pone i sigilli all'abitazione e se ne va, sotto gli sguardi di pietra dei curiosi. Ed è un peccato, perché se Carruthers o qualcuno dei suoi, avesse guardato con maggiore attenzione la piccola folla radunatasi fuori dalla casa, attirata dai lampeggianti delle auto, avrebbe potuto riconoscere l'oggetto della loro attenzione, neanche troppo nascosto in mezzo alla gente.
Arzunian, che ormai da un paio di giorni, ha abbandonato il suo rifugio, non se l'è però sentita di allontanarsi dalla sua zona. E' quella che conosce meglio. Quella in cui può sempre trovare un buon nascondiglio in caso di necessità. Andarsene in altri quartieri, in zone che non conosce, lo esporrebbe di più. Le facce nuove, soprattutto se puzzano di fuggiasco, sono subito notate. Così ha preferito muoversi durante il giorno da un bar ad un altro, cercando sempre i più affollati, e per la notte cercare asilo presso qualche amico fidato che alla polizia non avrebbe mai neanche detto che ora era.
Alla polizia o a chiunque altro.
Perché la più grande paura di Arzunian non è rappresentata dagli uomini in blu. Nelle sue orecchie continua a sibilare il suono della pesante lama che si abbatte sul polso di Bix e le urla del suo povero amico che sprizza sangue come una fontana. Naturalmente non può andare avanti così, e se ne rende perfettamente conto. Per ora è abbastanza al sicuro, ma non può durare. Ha scoperto di Bix sfogliando nervosamente alcuni giornali abbandonati sul tavolo di un bar. Era solo un trafiletto in una pagina interna, e forse a cose normali neanche l'avrebbe visto, ma in quelle ore aveva cercato proprio qualcosa del genere.
L'articolo titolava:

PREGIUDICATO TROVATO MORTO NEL SUO APPARTAMENTO

L'aveva strappato e se l'era infilato nel portafogli. Il giornalista che non l'aveva neanche firmato, parlava del ritrovamento del cadavere di tale Jerome Bixby. Dalle dichiarazioni della polizia, l'uomo risultava morto da almeno un giorno e la morte pareva causata da una grande perdita di sangue dovuta al taglio della mano destra. Tutto qua. Evidentemente nonostante il macabro dettaglio della mano mozzata, la cosa non aveva colpito più di tanto la fantasia del cronista. O forse era stata la polizia stessa ad impedire che fossero divulgati troppi particolari. L'ipotesi pareva credibile, ripensandoci. Arzunian aveva cercato a lungo su tutti i giornali che aveva trovato, notizie riguardanti la selvaggia scatenata che li aveva attaccati, una donna così non poteva certo passare inosservata, ma senza successo. Ci doveva essere qualcosa dietro a quella storia. Ora che il terrore cieco che l'aveva paralizzato, aveva lasciato il posto a un minimo di razionalità, Arzunian aveva cominciato a porsi delle domande. E tutte come risposta, vedevano un simpatico mucchietto di denaro pronto ad infilarsi nelle sue tasche, se avesse giocato bene le sue carte. Quanto bastava a mettere più chilometri possibili fra lui e quella storia incredibile.
L'articolo che aveva strappato era tratto dall'OBSERVER, ma lui aveva bisogno di uno di quei giornali che vendono milioni di copie in tutto il paese e che pubblicano tutte quelle fandonie sugli UFO e sui mariti che ammazzano le mogli e le seppelliscono sotto il pavimento. Qualcosa come l'INSIDE VIEW. Loro sì che erano perfetti. Aveva sentito dire che pagavano piuttosto bene, e la sua storia sulla selvaggia con la spada l'avrebbero mandata giù come acqua fresca. Arzunian comincia già a sentire il frusciare del denaro nelle mani, quel denaro che gli permetterà di trasferirsi dall'altra parte del paese, sulla costa occidentale, dove non piove mai, come dice la canzone e magari farsi anche una casetta con vista sull'oceano.
Sorridendo a questa prospettiva, l'uomo entra in una cabina e comincia a sfogliare l'elenco telefonico.


Il professor Sutherland spenge il registratore a cassette e riavvolge il nastro per l'ennesima volta. Quando lo scatto metallico del pulsante l'avvisa che l'operazione è completata, lo lascia partire di nuovo. E ancora nel grande salotto della sua casa, le parole di una lingua antica, ma che lui conosce bene, risuonano tra le pareti. Il suono è diverso, gli accenti cadono in maniera differente da quella comunemente ritenuta giusta dagli studiosi, ma in fondo, chi ha mai avuto la grande opportunità di sentirla pronunciare da una voce umana, e non semplicemente letta su pergamene ammuffite?
Il cuore del professore ha cominciato ad accelerare i battiti fin dai primi emozionanti momenti in cui il registratore si è messo in funzione. All'inizio ha faticato a comprendere l'esatto significato di quella frase ripetuta in modo ossessivo, ma poi ha capito.
E il nome… Dio onnipotente! Quel nome! E' mai possibile?
L'anziano professore sente quasi le lacrime bruciargli tra le palpebre, mentre il cuore continua a battergli come un tamburo.
Calma. Soprattutto calma.
Quando quella mattina ha ricevuto la misteriosa telefonata di quella psicologa della Procura, chi avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile? Il sogno più impossibile per uno studioso di storia e di mitologia sta forse per avverarsi?
No, no. Calma. Calma!!
Con l'animo ancora in tumulto, Sutherland si dirige verso l'armadietto dei liquori e si versa un'abbondante dose di whisky. L'effetto corroborante dell'alcool non tarda a farsi sentire, e un po' più calmo torna a sedersi accanto all'altoparlante che continua a ripetere quasi senza soluzione di continuità una sola frase, inframmezzata da quel nome, perché la voce la ripete a martello, rendendo difficile capire dove inizi e dove si concluda. E tra le parole sono chiaramente distinguibili singhiozzi strazianti, come il pianto disperato di una bambina che si sia svegliata sola al buio. Poi ancora una volta la voce si interrompe e c'è quel rumore che Sutherland ha individuato come quello di un corpo che si abbatte privo di sensi. Ancora qualche rumore soffocato, qualche sospiro e poi lo scatto della registrazione interrotta. Ma tutto questo Sutherland lo sente quasi distrattamente. Nella sua mente ora esiste solo quella frase, quel nome. Deve vedere la ragazza. Parlarle. Assolutamente.
Con la mano ancora un po' tremante, il professore afferra il ricevitore del telefono e forma il numero segnato sul biglietto da visita che Jennifer gli ha dato.





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