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IDENTITA`SEPOLTA


ROMANZO DI A. SCAGLIONI

BASATO SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"

CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT

E SVILUPPATA DA R.J.STEWART

Xena and all characters and names related are owned by and copyright © 1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.

OTTAVO CAPITOLO


Il silenzio e la pace della foresta sono ormai benvenuti agli occhi della ragazza. Quel luogo così misterioso e tuttavia in qualche modo così rassicurante, che l'accoglie sempre infondendole un senso di pace che non riesce a trovare in nessun altro posto. E anche il suono, dapprima distante e poi sempre più vicino degli zoccoli del cavallo. Ogni volta le sembra che si avvicini di piu`, e la figura dietro gli alberi, nella nebbia, le appare un po' più nitida, anche se ancora irriconoscibile.
Eppure il suo cuore sa, in quei momenti sa sempre inequivocabilmente chi sta per apparire dalla densa cortina della foschia, e attende con un misto di inquietudine e di gioia, mentre il passo del cavallo si fa sempre più vicino, più vicino…
E d'improvviso alla quiete della foresta si sostituisce un'immagine caotica e confusa.
Figure si muovono intorno a lei, poco più che ombre. Lei è distesa per terra, ma non proprio. Avverte una strana pressione contro la schiena e le braccia, come se pali di legno le impedissero di toccare il suolo. Le sue braccia sono spalancate, legate. I suoi occhi sono rivolti al cielo, plumbeo e gelido, e fiocchi di neve stanno cadendo. Non riesce a muoversi e attraverso questo senso di smarrimento e di impotenza, alle orecchie le giunge la voce, quella stessa voce che non riuscirà mai a dimenticare. E lei risponde. Una frase breve, dolce come il suono di quella voce e un attimo dopo un dolore atroce le attraversa il braccio fino a giungerle al cervello. Un urlo le si gonfia in gola, mentre il cielo sopra di lei si fa sempre più scuro e la neve ora cade come una tormenta.


Joyce si desta di colpo con l'urlo che ancora le si ripercuote dentro. Dapprincipio non riesce neanche a rendersi conto di dove sia, poi piano piano la sua mente comincia a riportarla alla piena coscienza di sé. Le immagini che i suoi occhi le rimandano riacquistano un significato. Riconosce il salottino in cui si trova, sente sotto di sé la morbida presenza della poltrona che stride terribilmente col ricordo del sogno. Quel legno ruvido e duro, e quella fitta atroce che come una pugnalata le pareva le avesse reciso il braccio. Joyce si guarda la mano, come se si aspettasse di vederla perforata e sanguinante, ma questa le appare incolume e pulita. Eppure…
E mentre sta ancora cercando di capire, ecco che avverte quasi fisicamente i ricordi così netti e precisi sfuggirle, farsi sempre più sfocati, e la realtà che la circonda riprendere pieno possesso dei suoi sensi.
Lo sportello di un'auto sbatte sulla strada, e Joyce si alza e si avvicina alla finestra. C'è Jennifer nel vialetto che porta alla casa. Sta parlando con uno dei due agenti di guardia. L'altro non lo vede, poi ricorda. Era in casa fino a poco prima. Prima che lei si addormentasse. E se l'avesse sentita urlare?
Ma proprio in quel momento ode i passi dell'uomo avviarsi verso la porta d'ingresso, aprirla e Jennifer che entra.
-Tutto bene? - chiede la donna.
-Tutto a posto. - risponde l'uomo. - E' nel salotto, sta riposando.
Joyce non può fare a meno di tirare un sospiro di sollievo a queste parole. Evidentemente ha solo creduto di aver gridato, ma come spesso accade negli incubi, il grido è rimasto confinato nella sua mente.
Sentendo Jennifer avvicinarsi, Joyce si affretta a tornare a sedere, non senza essersi accertata prima allo specchio che niente traspaia dal suo viso, cercando di assumere la posa più disinvolta possibile.
-Ciao. - dice subito appena Jennifer appare sulla soglia.
-Ciao. - le risponde l'amica, guardandola un po' sorpresa. - Mi avevano detto che dormivi.
-Infatti. Mi sono svegliata da poco.
Jennifer la fissa perplessa.
-Ancora brutti sogni? - chiede.
-No, - cerca di schermirsi con un sorriso, Joyce - non credo.
-Se c'e` qualcosa che non va, devi dirmelo, Joyce.
La ragazza cerca disperatamente di nascondere il tremito che sente nella sua stessa voce.
-No, davvero. Anzi, ora mi sento meglio.
La psicologa le sorride.
-Bene. Mi fa piacere sentirtelo dire.
-Questa notte ho camminato nel sonno? - chiede Joyce all'improvviso. - Non mi spiegavo come mai questa mattina mi sia svegliata qui.
Jennifer esita un momento, poi decide di essere sincera. Qualcuno almeno, pensa, dovrà esserlo.
-Sì. Ti ho afferrata appena a tempo, prima che cadessi rischiando di battere la testa.
-Mi dispiace. Ti sto dando un sacco di problemi.
Intenerita, Jennifer le si avvicina e l'abbraccia stretta.
-Tesoro, non devi dire così. Non e` colpa tua.
-Non mi succedeva più da quando ero piccola. - dice Joyce, con voce soffocata, il volto premuto sulla sua spalla.
-Da piccola soffrivi di sonnambulismo?
-Io non me ne ricordo, ma mia madre mi raccontava di avermi riacchiappata più di una volta fuori dalla mia stanza o mentre stavo per cadere dalle scale.
-Non ha mai fatto nulla per cercare di guarirti?
-Mi ha portata da un paio di medici, ma poi la cosa è finita da sé, e non ci ho più pensato. Comunque la mamma ha continuato a sigillare porte e finestre la notte fino ai quattordici anni.
Con delicatezza Jennifer la scosta da sé e la guarda sorridendole.
-Dai, facciamoci un tè, ti va?
Joyce le sorride di rimando.
-OK, a patto che me ne occupi io. Ho bisogno di rimettermi a fare qualcosa.
-Affare fatto. - risponde Jennifer.

-Stavo cercando Cheryl Cooper.
La donna al banco della reception alza lo sguardo tra l'infastidito e l'annoiato sull'intruso che l'ha evidentemente distolta da compiti assai impegnativi come appuntare lapis e passare telefonate agli interni.
-Chi la desidera? - chiede abbassando gli occhi dopo aver deciso che quell'individuo malvestito e con la barba lunga non merita troppa attenzione.
-Mi chiamo Arzunian. Ho telefonato un paio di ore fa per un appuntamento.
-Aspetti lì, per favore. Ora sento.
Arzunian si dirige verso la saletta d'attesa che la donna gli ha indicato, trattenendo a stento la voglia di afferarla per quel collo rinsecchito da gallina.
" Troia fottuta." pensa, "Forse abbasseresti le arie se ti sbattessi su quel bancone, tanto per divertirmi un po'. E con la faccia che ti ritrovi, scommetto anche che ti divertiresti. Non deve esserti successo spesso."
Accomodatosi sulle tutto sommato abbastanza confortevoli poltroncine della hall dell'INSIDE VIEW, redazione locale, l'uomo si guarda intorno, mentre gente dall'aria molto indaffarata percorre la sala sù e giù di continuo. Telefoni che squillano, due grandi televisori sintonizzati su canali d'informazione 24 ore su 24 e il caos generale che di solito ci si aspetta nella redazione di un giornale. Gli occhi di Arzunian si appuntano su una bacheca che si trova proprio davanti a lui. Dietro il vetro sono visibili le copertine di alcuni vecchi numeri della rivista.

RAPITO DAGLI UFO

UCCIDE LA SUOCERA E LA SERVE A PRANZO ALLA MOGLIE

VIOLENTATA DAL PROPRIO CANE

sono solo alcuni dei titoli che riesce a leggere con un sorriso soddisfatto.
-Credo proprio di essere venuto nel posto giusto. - mormora tra sé.
In quel momento scorge con la coda dell'occhio l'arpia alla reception che gli rivolge un cenno della mano con sdegno regale.
-La signorina Cooper sta scendendo. L'aspetti pure lì.
Con un gesto della testa, Arzunian assentisce e si dispone all'attesa. Si aspettava di dover fare anticamera, mentre la giornalista addirittura scende da lui. Forse la sua telefonata ha fatto più colpo di quanto credesse. Forse dovrebbe riconsiderare un attimo la somma che aveva pensato di chiedere.
Un momento dopo, una donna piuttosto alta fa il suo ingresso nella hall.
"Wow," pensa Arzunian, "niente male." Quando ne aveva sentito la voce al telefono, l'aveva giudicata come la classica giornalista rampante, tutta gelida professionalità, ma ora che la vede di persona deve ricredersi. L'aspetto formale è quello classico, abitino elegante ma funzionale, con una gonna abbastanza corta da mostrare due splendide gambe, un soprabito gettato negligentemente sulle spalle, i capelli, certo lunghi, raccolti in una perfetta crocchia sulla nuca e lenti da vista su un paio di occhi azzurri. Lo sguardo di Arzunian la percorre tutta mentre gli si avvicina. "Non me la dai a bere, cocca. Dietro quegli occhialini devi essere bollente come il fuoco."
La donna si volta verso la receptionist.
-Stacco un'oretta, Mildred.
-Bene, signorina Cooper.
Arzunian non può evitarsi un sorrisino.
"Sentila la stronzona, come ha cambiato registro."
Ma ora rivolge tutta la sua attenzione allo splendido esemplare che ha davanti.
-Lei è Cheryl Cooper? - le chiede.
-E lei è il signor Arzunian. - risponde la donna, soppesandolo con lo sguardo. - Sto andando al bar di fronte per uno spuntino. Mi faccia compagnia, così parleremo più tranquilli.
-Offre lei, naturalmente.
-Naturalmente.


Poco dopo, nel bar affollato di giornalisti e uomini d'affari in pausa, Arzunian e la Cooper sono seduti in un tavolino d'angolo piuttosto appartato. L'uomo ha di fronte a sé un boccale di birra e un toast, mentre la donna addenta con avidità il suo secondo hamburger.
-Questa robaccia - dice - finirà per farmi diventare un ippopotamo, ma per ora mi difendo bene.
-Direi proprio di sì. - risponde a mezza bocca, Arzunian che non riesce a staccarle gli occhi di dosso.
-Immagino che non mi abbia chiesto un appuntamento solo per guardarmi le gambe, vero?
Sotto lo sguardo ironico della donna, Arzunian affonda i denti nel toast e poi ingolla un gran sorso di birra.
-Ho qualcosa che potrebbe interessare il suo giornale.
-Questo me lo ha detto anche al telefono.
-Ma vale un mucchio di quattrini.
Lo sguardo divertito della donna si raffredda.
-Questo invece al telefono non me l'ha detto. Temo che lei abbia fatto male i suoi calcoli, signor Arzunian. Noi non siamo soliti pagare molto i nostri… collaboratori esterni, diciamo così.
-Forse, ma questa volta c'è una differenza.
-E sarebbe?
-La mia storia è vera.
La luce ironica torna negli occhi della Cooper.
-Tutte le nostre storie lo sono.
Arzunian sbatte il boccale sul tavolo spargendo birra tutt'intorno, senza però sollevare eccessiva curiosità negli altri avventori. Guardandosi intorno con circospezione, si china in avanti verso la donna e riprende a parlare con un tono di voce più basso, ma in cui l'irritazione è palese e trattenuta a stento.
-Mi prende in giro? Cani stupratori, suocere date in pasto alle mogli, UFO!
La giornalista lo fissa senza mostrare disagio.
-Tutto documentabile.
-Ma andiamo! Comunque ascolti, a me non interessa quanto sia credibile quella robaccia che pubblicate, io ho una storia e voglio venderla.
-Sentiamola.
-Niente da fare. Prima i soldi.
-E quanto vorrebbe?
-Ventimila dollari.
-Cosa? - Per la prima volta la donna pare sorpresa. - Adesso è lei che ha voglia di scherzare.
-La storia li vale.
La giornalista emette una risatina che irrita ancora di più i nervi già abbastanza tesi di Arzunian.
-Mi creda neanche il presidente e la first lady stuprati in coppia dagli alieni varrebbero una cifra simile.
-Quindicimila. - La voce dell'uomo è poco più di un soffio, ma la donna di fronte a lui continua a mangiare come se non avesse sentito.Lui esita in attesa di una risposta che non giunge. - Diecimila. - dice, con uno sguardo in cui rabbia e implorazione si mescolano.
Senza apparentemente darsene per intesa, la Cooper ingoia l'ultimo sorso e posa il bicchiere.
-Senta, qui stiamo solo perdendo tempo. Io posso garantirle al massimo duemila, forse tremila dollari. Il budget del giornale non ci consente di più. E solo se la sua storia fosse davvero buona. - aggiunge poi, dopo aver meditato un attimo.
-Posso rivolgermi a qualcun altro.
-Faccia pure. - La donna si alza dopo aver dato un'occhiata all'orologio. - Si rivolga a chi vuole. Ora mi scusi ma devo andare.
Mentre lei si dirige verso la porta del locale, Arzunian resta immobile per qualche secondo, basito dalla reazione inaspettata. Non è così che immaginava potessero andare le cose. Quindi imprecando si lancia al suo inseguimento.
-Maledizione. Aspetti.
Lei si ferma con la porta semiaperta.
-Sì? - chiede fissandolo con sguardo interrogativo.
-Cinquemila. - dice Arzunian avvicinandola. La donna lo guarda senza muoversi.
-Ne parlerò al mio direttore. - risponde infine. - Ci vediamo questa sera qui, alle nove. - ed esce, chiudendosi la porta alle spalle.


Nel cortiletto della "casa sicura", dove si sono stabilite Joyce e Jennifer, i due poliziotti di guardia stanno consumando un rapido spuntino mentre le prime ombre della sera calano tutt'intorno.
-Accidenti, Jeff, te l'avrò detto mille volte che le cipolle non le digerisco.
Jeff DeMatteo guarda annoiato il suo collega.
-Me ne sono dimenticato, OK? Del resto dovresti ringraziare mia moglie, se si disturba a preparare da mangiare anche per te. Perché non ti sposi? Così potrai chiedere a tua moglie i panini che vuoi.
Bill Catrell, impermalito dalla risposta del compagno, alza la fetta di pane e dopo aver messo da parte accuratamente le cipolline, si decide ad addentare la sua porzione.
-Altrimenti sbuffo tutta la notte come una vaporiera. - mormora tra i denti.
In quel momento dalla radio dell'auto collegata alla centrale, giunge la voce dell'agente di turno.
- Unità sedici. Unità sedici, qui centrale, mi sentite?
DeMatteo si pulisce una mano con il fazzoletto e afferra il microfono.
-Siamo qua. Che volete?
-Ehi, - ribatte la voce all'altro capo, - chi diavolo sei tu?
DeMatteo lancia un'occhiata perplessa al collega.
-Che sei, ubriaco? Ci hai chiamati tu!
-Io ho chiamato l'unità sedici. Non conosci il regolamento?
Socchiudendo gli occhi e contando mentalmente fino a dieci, DeMatteo risponde.
-Qui unità sedici. Agente DeMatteo all'ascolto.
-Così va bene, e se la prossima volta ingoi il boccone prima di rispondere, andrà anche meglio. - dice la voce. - C'e un codice tre in corso nella quattordicesima. Abbiamo bisogno di tutti gli uomini disponibili. Il capo vuole che uno di voi due vada di corsa.
-Ma noi siamo occupati in una sorveglianza.
-Per questo ho detto uno di voi due. Mettetevi d'accordo. Qui centrale, chiudo.
Il secco crepitio della linea si spegne, segnalando l'interruzione della comunicazione. DeMatteo sbatte giù con rabbia il microfono.
-Questo è quel fottuto di Mendellson. - dice guardando Catrell. - Non l'ho mai retto dal primo giorno, e ora so anche perché. Vai tu o vado io?
Bill accartoccia il resto del panino nella stessa carta in cui aveva riposto le cipolle.
-Vado io, - dice - almeno mi sara` piu` facile digerire questo manicaretto. Scendi e vai in casa. Avverti la dottoressa che resti solo tu.
DeMatteo scende dall'auto, continuando a masticare.
-OK, ma non offendere la cucina di Frances.
-E chi te la tocca? Cercherò di tornare al più presto.
Con una sgommata l'auto prende il vialetto e scompare dietro la curva. DeMatteo resta a guardarla per qualche momento, poi con un alzata di spalle si dirige verso la casa.


Il rumore dell'auto sembra provocare una misteriosa attività dietro i cespugli dall'altra parte della strada. L'uomo col berretto si appiattisce velocemente contro l'albero da cui fino ad allora aveva spiato la casa. Non appena i fari della macchina oltrepassano il punto in cui si trova, con circospezione scruta verso il suo obiettivo. Uno dei poliziotti sta bussando alla porta d'ingresso e un attimo dopo sulla soglia appare la donna, quella Rowles. I due confabulano un po', poi l'uomo entra e la porta si richiude.
Mark Bowers sogghigna soddisfatto. I due poliziotti fissi davanti alla casa fino ad ora sono stati un bell'ostacolo (che mai avrà avuto di così speciale quella puttana da sollevare tante preoccupazioni negli sbirri?), ma uno solo è tutta un'altra storia, e per giunta senza auto e possibilità di comunicare con gli altri. Certo, ci saranno dei telefoni, ma a quelli può sempre provvedere. Non sa perché l'altro poliziotto se ne è andato, e non sa neanche quando e se tornerà, ma questa è l'occasione che aspettava e non ha intenzione di lasciarsela scappare.
-Sto arrivando, tesorino. - mormora Bowers fissando la casa. La sua mano corre alla ferita al torace, medicata alla meglio, che gli manda ancora fastidiose fitte. Il dolore che prova nel toccarla gli riaccende nel cervello tutta la rabbia. Con cautela si rimette a sedere dietro il cespuglio, cercando mentalmente di preparare un piano d'attacco.


Jennifer cammina nervosamente per il salotto. Il fatto che sia rimasto un solo poliziotto a sorvegliare la casa non la riempie di buonumore. L'agente le ha assicurato che il suo collega sarebbe stato di ritorno quanto prima, ma questo non l'ha confortata più di tanto. Per ogni evenienza si è accertata di avere il cellulare, in cui aveva memorizzato il numero della polizia e quello personale di Carruthers, a portata di mano. Non si sa mai. Ha mandato Joyce in camera sua, mentre il poliziotto è uscito a fare un giro di ricognizione intorno alla casa. Quell'insistente sensazione di pericolo ha ripreso a tormentarla, ma questa volta è qualcosa di piu`. E' come un dito gelido che le sfiori la nuca.
"Se fossi un gatto" pensa "probabilmente avrei la schiena inarcata, il pelo ritto e comincerei a soffiare."
Cerca di sorridere all'idea, ma non le riesce molto bene. Si avvicina alla finestra e solleva di un lembo una tenda, scrutando fuori nel buio. Quanto ci mette quello? Ormai sono quasi cinque minuti che è uscito. Probabilmente si è fermato a fumare una sigaretta. In quel momento lo squillo del cellulare che ha posato sul tavolo, la fa sobbalzare. Dà un'occhiata all'orologio sulla mensola. Sono quasi le dieci. Chi può essere a quest'ora? Cercando di dominare i nervi, Jennifer allunga la mano e afferra l'apparecchio.
-Dottoressa Rowles?
Sul momento non le riesce di associare un volto alla voce dall'altra parte, ma poi in un lampo le torna in mente.
-Professor Sutherland?
-Sì, mi scusi se la chiamo adesso, ma mi aveva detto che potevo farlo a qualunque ora.
-Ma certo, non si preoccupi. Mi dica.
-Appena tornato ho immediatamente ascoltato il nastro che mi ha dato.
-Sì. - Il cuore di Jennifer comincia a battere più forte. - Non mi tenga in sospeso.
-Lei conosce abbastanza bene la ragazza che parla nella registrazione?
-Perche`?
-Vorrei sapere solo se è sicura che non abbia mai frequentato l'universita`o fatto studi classici.
Jennifer che era pronta a qualunque rivelazione, resta interdetta di fronte alla richiesta sibillina di Sutherland.
-Beh, no per quanto ne so. Credo abbia frequentato un normale liceo. Poi si è sposata e non penso che abbia mai neanche cominciato l'universita. Ma perché me lo chiede?
Per un momento dall'altro capo, non giunge risposta, tanto da far temere che la linea sia caduta, poi la voce del professore risuona nel suo orecchio, esitante ma con uno strano tono di eccitazione nel sottofondo.
-Mi piacerebbe dirle che ora è il mio turno di fare il misterioso, ma non ce la faccio. Mi ascolti, dottoressa, è essenziale che lei non faccia cenno per ora alla ragazza di ciò che sto per dirle. Me lo prometta nel suo stesso interesse.
Jennifer, la cui tensione ormai sfiora il parossismo, tiene il cellulare premuto sull'orecchio con tanta forza che le nocche le si sono sbiancate.
-Glielo prometto, ma per favore, vuole decidersi a dirmi cosa significa questa storia?
Ancora una breve esitazione, quindi il professore riprende.
-Aveva ragione sulla lingua. 'E' antica e precisamente greco arcaico. La lingua che si parlava nel Mediterraneo e in quasi tutta l'Europa sud-orientale duemila anni fa.
Jennifer sente un groppo bloccarle la gola. Un conto è avere un sospetto, un altro è sentirselo confermare così direttamente.
-Ne è sicuro?
-Assolutamente. Ho ascoltato e riascoltato il nastro fin quasi a consumarlo. L'accentazione e la pronuncia sono diverse da come si ritiene comunemente, ma non c'è da stupirsene. Ogni lingua, anche quelle moderne, risente della zona in cui viene parlata, ed il greco aveva moltissimi dialetti. Anzi, direi che questo rende tutto ancor più verosimile. Ma la sua assicurazione che la ragazza non ha mai fatto studi classici approfonditi è molto importante. Nessun liceo potrebbe averle insegnato niente del genere.
-Lei stessa mi ha assicurato di conoscere solo qualche parola di spagnolo. - Jennifer è talmente concentrata sulla telefonata che tutto il resto intorno a lei ha smesso di esistere. - Professore, ma cosa dice? Lei lo ha capito?
-Beh, non è stato facile. Come le dicevo, la pronuncia è diversa da come pensavamo, ed in alcuni momenti le parole sono biascicate, quasi incomprensibili, come se chi parla stesse piangendo.
-E` così. - dice Jennifer, e quasi subito se ne pente. Che diritto ha di rivelare un dettaglio così intimo ad un estraneo?
-Come? - chiede il professore. Jennifer indugia per un attimo, poi decide che non è il momento delle riserve e dei dubbi. Ce ne sono anche troppi ad assillarla.
-Mentre pronunciava quelle frasi, era in preda ad una crisi di pianto. - dice.
-Capisco. - risponde Sutherland. - Questo spiega molte cose.
-Che vuol dire?
-La ragazza ripete in modo quasi ossessivo una frase, in mezzo ad altre, l'unica che sono riuscito ad afferrare con abbastanza chiarezza, ed un nome. Sembra quasi un'invocazione, come se chiamasse qualcuno.
-Che frase? - chiede in un sussurro Jennifer. Segue una breve pausa che alla donna sembra interminabile. - Che frase? - ripete con più forza.
La voce del professore sembra arrivarle da distanze infinite.
-Continua a ripetere "Torna da me, ti prego, torna da me."
Jennifer, col telefono ancora attaccato all'orecchio, si mette a sedere sul divano senza accorgersene.
-Torna da me? - ripete quasi a sé stessa. - Ma a chi si riferisce? Lei ha parlato di un nome. E' riuscito a capirlo?
Ma perché Sutherland ci mette tanto a rispondere alle domande? Jennifer si chiede se non prenda tempo, preparandosi le risposte per non dire troppo.
-Forse. - dice infine. - Ma è molto confuso e non credo che a lei direbbe nulla. Per adesso, se non le dispiace, preferirei non aggiungere altro. Ma lei deve permettermi di parlare alla sua giovane amica.
-Professore…
-Mi creda, è importante. Potremmo vederci dove vorrà lei e quando vorrà, purché avvenga al più presto.
-Mi dica quel nome, professore.
-Gliel'ho detto, non sono neanche sicuro…
-Professore, - l'interrompe Jennifer, con un tono ora gelidamente professionale, - la farò parlare con lei domani stesso, ma mi dica quel nome.
Una nuova lunga pausa conclusa con un sospiro di resa.
-Lei ha mai sentito il nome "Xena"? - chiede Sutherland.
-Xena? - Jennifer pronuncia il nome detto dal professore lentamente. - Non mi pare. Chi e`?
-Chi era. Xena di Anphipoli era una guerriera e una conquistatrice, vissuta pare circa duemila anni fa.. Di lei si sa poco, e quel poco abbiamo dovuto ricavarlo da alcuni manoscritti su pergamena rinvenuti anni fa in una tomba dimenticata tra le dune del deserto, in Egitto.
Jennifer ha ascoltato con attenzione le parole del professore, ma l'unica che continua a rimbombarle nelle orecchie è "guerriera".
-Una guerriera? - ripete soprappensiero.
-Infatti. - risponde Sutherland. - Adesso però mi scusi. Comincia ad essere tardi. Mi dica quando ci possiamo vedere.
-Eh? Ah, sì. Che ne dice di domattina verso le undici?
-Benissimo. Dove? - fa il professore, poi aggiunge: - Ascolti, domani non ho lezioni. Potreste venire a casa mia. Vorrei poter parlare con la ragazza tranquillamente.
Jennifer resta per un attimo titubante. Non vorrebbe esporre Joyce a dei rischi, ma poi decide.
-D'accordo, professore. Mi dia il suo indirizzo.
-Jefferson Street, al 124. 'E' il mio appartamentino di città. Allora vi aspetto.
Spento il cellulare, Jennifer si abbatte contro lo schienale del divano. Si sente la schiena indolenzita dalla rigidità della posizione che ha mantenuto fino ad allora senza rendersene conto.
-Una guerriera di duemila anni fa. - mormora. Non sapeva bene nemmeno lei quali erano i suoi scopi quando aveva deciso di registrare le parole di Joyce e portare il nastro a Sutherland. Forse inconsciamente, aveva intuito qualcosa, ma questo…
-Xena. - ripete, come cercando di impadronirsi del suono di quel nome, così lontano, così inquietante, ma con uno strano indecifrabile fascino.
Torna da me, ti prego, Xena. Torna da me.
Ora, ripensandoci, le sembra quasi di riuscire ad afferrare quelle strane parole che le erano parse incomprensibili. E quel pianto straziante…
Torna da me.
Ma i suoi pensieri sono interrotti bruscamente.
Rumore di vetri infranti e un urlo.
Jennifer scatta in piedi. D'un tratto quel lieve stato di sogno in cui si era trovata, va in pezzi e lei torna pienamente in sé.
-Joyce. - mormora, e poi grida. - JOYCE!! - e come una furia si lancia sù per le scale.

 





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