IDENTITA`SEPOLTA
ROMANZO DI A. SCAGLIONI
BASATO
SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"
CREATA
DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT
E
SVILUPPATA DA R.J.STEWART
Xena
and all characters and names related are owned by and copyright ©
1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.
NONO
CAPITOLO
Arzunian alza ancora una volta la mano verso il barman, con un cenno
d'intesa. L'uomo dietro il bancone annuisce e gli mette davanti un
nuovo boccale di birra. E' il terzo. Mentre sta per portarselo alla
bocca, scrutando l'orologio alla parete che segna le dieci passate,
la porta si apre facendo tintinnare la campanella posta in posizione
strategica. Arzunian si volta. Sulla soglia del locale c'è
Cheryl Cooper. Si guarda un attimo intorno e quindi, dopo averlo individuato,
muove verso di lui.
-Finalmente. - fa Arzunian, mentre la cronista si siede sullo sgabello
accanto. - Avevo giurato a me stesso che appena finita questa birra
me ne sarei andato. Si era detto alle nove.
La donna chiama il barman come se lui neanche avesse parlato.
-Bill, il solito, per favore. - E solo quando questi le posa davanti
un whisky liscio, si decide a rivolgere la sua attenzione all'interlocutore.
- Ho avuto il mio daffare per convincere il capo a sganciare il doppio
di quanto diamo di solito per una storia che ancora neanche conosciamo.
-E c'è riuscita?
La donna senza guardarlo, prende il bicchiere e ingoia un sorso.
-No. - risponde.
Arzunian le getta un'occhiata, posa il boccale quasi svuotato e fa
per alzarsi. - Ho capito. Abbiamo perso tempo tutti e due.
-Aspetti.
L'uomo che sta già frugandosi in tasca per pagare, si ferma.
-Il giornale non andrà oltre i tremila dollari, - prosegue
la Cooper, - ma gli altri duemila ce li metterò io, personalmente.
Arzunian torna a sedersi, fissando la donna interrogativamente.
-Credevo che la mia storia non la interessasse troppo. Come mai questo
soprassalto di generosità?
-Ho fatto una piccola inchiesta su di lei in archivio, oltre a qualche
domandina discreta a un paio di mie conoscenze nella polizia.
Nel sentire nominare la polizia, Arzunian si irrigidisce.
-Non ne aveva il diritto.
-Non si scaldi. Dovrebbe ringraziarmi, invece, perché è
stata proprio la mia curiosità a convincermi ad accettare la
sua richiesta.
-Che vuol dire?
-Ho saputo dei suoi trascorsi, diciamo cosi. Suoi e del suo amico.
Bixby, vero? - Per la prima volta, la donna si volta verso di lui
e lo fissa. - E' morto, signor Arzunian.
-Lo so.
-Ma la cosa interessante è il modo in cui è morto. Dissanguato,
e con una mano mozzata. La sua storia ha qualcosa a che vedere con
tutto questo?
Arzunian resta silenzioso per qualche secondo, guardando i bellissimi
e gelidi occhi che lo fissano oltre le lenti dalla leggera montatura
dorata.
-Forse. - risponde infine.
-Lo immaginavo. - dice la Cooper con un lieve sorriso. - Può
darsi allora che quello che ha da dirmi valga un piccolo sacrificio.
-Ha con sé il denaro?
-Mi prende per un'idiota? Non penserà che me ne vada in giro
con cinquemila dollari in contanti come se niente fosse. - Cheryl
Cooper estrae dalla tasca un assegno bancario. - Ecco qua, è
intestato a lei. Naturalmente è postdatato, non potrà
incassarlo prima di lunedì.
L'uomo che sta per prendere l'assegno, quasi le si getta contro rabbioso.
-Io ho bisogno subito di quei soldi! Voglio andarmene di qui!
La Cooper si guarda intorno per accertarsi che l'improvviso scoppio
di rabbia non abbia sollevato troppa attenzione nel locale, ma nessuno
pare averci fatto caso.
-Innanzitutto, - dice, con la voce studiatamente bassa, - le suggerirei
di mantenere la calma. Non sono il tipo da lasciarsi impressionare
da queste scene. E poi cosa si aspettava? Che io le consegnassi a
scatola chiusa una cifra simile, senza neanche la certezza che la
sua storia non sia pura invenzione? Lei sogna, signor Arzunian. Quando
ci saremo assicurati che le sue rivelazioni hanno un minimo di fondamento,
potrà incassare il suo denaro senza problemi.
Con un sospiro, l'uomo torna a sedere e fa cenno al barman.
-Su una cosa lei sbaglia, signorina Cooper. - dice con lo sguardo
fisso sul nuovo boccale appena posatogli davanti. - Io non sogno.
Non sogno più, perché non dormo più da parecchie
notti.
Cheryl Cooper piega l'assegno e glielo mette nella mano. Arzunian
lo infila in tasca quasi meccanicamente.
-Questa gliela offro io, - dice la giornalista, indicando la birra
- ora mi racconti tutto.
Nel momento in cui irrompe nella stanza di Joyce, Jennifer ricorda
in un lampo e si dà mentalmente della stupida. Il cellulare!
Se lo era accuratamente messo a portata di mano sul tavolo del salotto,
ma quando ha sentito l'urlo, ha dimenticato tutto. Ora, l'apparecchio
è rimasto giù, perfettamente pronto all'uso e altrettanto
perfettamente inutile, mentre lei sta per affrontare qualcosa o qualcuno,
che il suo cervello semiparalizzato le impedisce anche solo di immaginare,
priva di qualunque mezzo di difesa.
Ma ormai è troppo tardi. Subito, Jennifer vede solo Joyce,
quasi in piedi sul letto con la schiena appoggiata alla parete e un
lenzuolo stretto davanti al corpo come ultimo, tenue ostacolo a ciò
che sta fissando con occhi terrorizzati. Seguendo il suo sguardo,
la psicologa vede la ragione del terrore nel volto della ragazza.
Nel vano della finestra, attraverso il vetro trasformato in una ragnatela
di minuscoli cristalli, incurante delle ferite che sicuramente si
sta procurando alle braccia e al torace, una figura sta cercando di
entrare. Nel buio, Jennifer riesce appena a scorgerla. Istintivamente
la sua mano corre all'interruttore accanto alla porta e immediatamente
il lampadario centrale s'illumina, gettando la sua luce su tutta la
scena. Con un ultimo sforzo, mentre altri frammenti di vetro si staccano
andando ad infrangersi in terra, un uomo penetra nella stanza. Ora
Jennifer è in grado di vederlo chiaramente. Alto e robusto,
sui trent'anni, con la barba lunga e uno sguardo allucinato. Non sembra
essersi nemmeno accorto di lei. Tutta la sua attenzione è diretta
alla ragazza sul letto.
-No, Mark, no! Vattene! - la sente implorare Jennifer. Non che lei
abbia bisogno di sentirlo dire. Non appena l'ha visto, è stata
sicura di chi fosse. Mark Bowers, con sul volto un sorriso inquietante
e uno sguardo da animale predatore comincia ad avvicinarsi a sua moglie.
-Vieni qua, amore mio, - sibila - sono venuto per portarti a casa.
Jennifer, senza pensarci un attimo, afferra a due mani una sedia lì
vicino e la scaglia con tutta la sua forza contro l'uomo. Colpito
in pieno viso, questi barcolla all'indietro e cade a terra. Senza
esitazione, approfittando della sorpresa, la donna prende una lampada
da tavolo e brandendola come un bastone, colpisce di nuovo più
volte sulla testa Bowers che stava già rialzandosi. Stordito
dalla gragniuola di colpi, questi cerca di ripararsi con le braccia,
arretrando contemporaneamente verso la finestra. In quel momento dall'esterno
risuona una voce.
-Fermo tu! Polizia! Ti vedo e se provi a muoverti, di qui non ti manco
di certo.
Con sollievo Jennifer riconosce la voce del poliziotto di guardia,
ma la sua contentezza dura una frazione di secondo. Con un urlo di
rabbia, Bowers le strappa la sua arma improvvisata di mano, l'afferra
per la gola e prima che se ne renda conto la stringe contro di sé
premendole il braccio intorno al collo.
-Tu! - urla al poliziotto da basso. - Allontanati o ti giuro che le
spezzo il collo come un grissino!
Dalla sua posizione davanti alla finestra, ora Jennifer può
vedere la faccia dell'agente che spicca bianca nel buio del giardino.
Con cautela, l'uomo posa la pistola che teneva puntata verso Bowers,
sull'erba.
-OK, - dice - ma lasciala andare.
La pressione sulla gola aumenta e Jennifer sente quasi venirgli meno
le forze, mentre davanti ai suoi occhi brillano tanti puntini luminosi.
-Stenditi in terra - urla Bowers - e non fare una mossa!
Il poliziotto si stende bocconi senza una parola. Immediatamente Bowers
scaglia Jennifer contro la parete opposta e si getta verso la finestra.
-Il nostro appuntamento è solo rimandato, cara. - dice rivolto
a Joyce e in pochi attimi è già sparito nella notte.
Ripresasi a fatica dallo stordimento, Jennifer corre barcollando verso
Joyce, ma la ragazza appare troppo terrorizzata per rendersi conto
che il pericolo è passato.
-Joyce
Joyce, stai bene? - chiede scuotendola. La giovane ancora
sotto shock, la guarda come se non la vedesse e un attimo dopo rovescia
il capo e le cade priva di sensi tra le braccia.
La voce del poliziotto alle sue spalle la fa quasi sobbalzare.
-State bene tutte e due? Mi dispiace, ma quel bastardo mi ha colto
di sorpresa.
-Lasci stare, ora. - risponde Jennifer. - Vada a chiamare il tenente
e gli dica di portare un medico. Subito.
Un'ora dopo, mentre Joyce è visitata dal dottore nella sua
stanza, assistito da Jennifer, Carruthers e l'agente DeMatteo sono
nel salotto.
-Maledizione! - fa il tenente, battendo un pugno sul tavolo. - Mi
vuoi spiegare come è successo questo casino?
-Gliel'ho detto, Tenente. Catrell è dovuto andare via con l'auto
per un'emergenza, e sono rimasto solo io. Dopo aver avvisato la dottoressa,
ho fatto un giro di ricognizione intorno alla casa. Non so come è
successo. D'un tratto mi sono risvegliato sul prato con un bernoccolo
sulla testa. Quel figlio di puttana deve essermi strisciato alle spalle.
Ho sentito le urla e sono corso e allora
-Sì, ho capito. - l'interrompe Carruthers. - Ti sei fatto dare
un'occhiata?
-E' tutto a posto, solo un bernoccolo.
-Bene. Catrell sta tornando. Tu vai alla centrale
anzi no. Vai
a casa a riposarti. Mi farai un rapporto completo domani mattina.
Per ora resto qui io.
-Agli ordini, Tenente. A domattina.
Appena DeMatteo se ne è andato, la porta della stanza di Joyce
si apre e il dottore scende le scale.
-Allora, dottore? - chiede Carruthers.
-Niente di grave. Nessuna ferita. Solo un lieve stato di shock. Un
buon riposo dovrebbe rimetterla in sesto. Le ho dato un sedativo.
La dottoressa Rowles le resterà accanto per questa notte.
-Posso salire?
-Sì, ma cercate di non svegliarla. Se ci sono problemi, ma
non credo, chiamatemi.
Uscito il medico, Carruthers sale nella stanza di Joyce. La ragazza
giace nel letto, un po' pallida, ma il respiro sembra regolare nel
sonno indotto dai farmaci. Jennifer è accanto a lei e le tiene
una mano sulla testa, carezzandole i capelli.
-Si è appena addormentata. - dice. - Il dottore ha detto che
non è niente. Sta bene.
-Sì, lo so. - risponde il tenente chiudendosi la porta alle
spalle. - Deve essere una ragazza forte. Con tutto quello che le è
capitato, chiunque altro sarebbe stato pronto al ricovero in un ospedale
psichiatrico.
Jennifer parla con lo sguardo fisso sul viso addormentato di Joyce.
-Non lo so, a volte sembra smarrita come una bambina nel buio, ed
altre invece è come se una forza interiore la sostenesse.
-Ti ci sei proprio affezionata, eh? - dice Carruthers, sedendosi dall'altra
parte del letto. - Scusami se a volte faccio delle battute. E' il
mio lato maschilista che non sempre riesco a tenere a bada.
Jennifer sorride.
-Lascia stare. Tanto ci sono abituata. - Poi, il sorriso scompare.
- Nessuna traccia di Bowers, vero?
-Niente. Quell'uomo deve essere un discendente di Houdini. Appare
e scompare come un fantasma. Comunque questa volta, abbiamo un'accurata
descrizione di lui. Stiamo battendo a tappeto la città. Lo
prenderemo.
-Me lo auguro. Comunque Joyce non può più rimanere qui.
Il tenente la guarda sorpreso.
-Scherzi? Nonostante quello che è successo, è sempre
il posto più sicuro per lei. Bowers non oserà più
farsi vedere.
-George, - Jennifer facendo attenzione a non alzare il tono della
voce, fissa Carruthers rabbiosamente - quel Bowers è un pericoloso
psicopatico. In questo momento il suo unico obiettivo è vendicarsi
di sua moglie, e sono certa che ci riproverà e neanche tra
tanto ed è preferibile che almeno non sappia a colpo sicuro
dove trovarla. A proposito, di chi è stata la brillante idea
di richiamare uno dei due uomini di guardia?
Carruthers abbassa gli occhi imbarazzato.
-Gli ordini erano solo di far intervenire tutti gli uomini disponibili.
Qualcuno è stato anche troppo zelante.
Jennifer torna ad occuparsi di Joyce.
-Domattina penserò al da farsi. Questa notte, ti prego, assicurati
che la sorveglianza sia costante ed accurata.
-Stai tranquilla. DeMatteo l'ho mandato a casa. Ha un bernoccolo grosso
come un uovo, ma ho chiamato un altro a sostituirlo.
-Grazie.
Il tenente si alza e fa per dirigersi alla porta, ma poi si ferma
e si volta verso Jennifer.
-Ah, ci sarebbe una cosa.
-Cosa?
-Domani, in pomeriggio, dovrei andare ad interrogare una persona,
una bambina. Verresti con me?
-Ti sembra il momento? - Jennifer non riesce a frenare il fastidio
e la stanchezza nella voce. - Non hai un'altra psicologa da chiamare?
Altrimenti potresti servirti di un'assistente sociale.
-C'è una ragione se l'ho chiesto a te. E' successa una cosa
un paio di notti fa, l'ho scoperto per caso.
Improvvisamente incuriosita, Jennifer si alza e gli si avvicina.
-Di che si tratta?
-Oggi, mi è capitato sulla scrivania un rapporto. Su una bambina
di otto anni, scomparsa dal cortile in cui giocava, nel tardo pomeriggio
di martedì. L'hanno ritrovata la notte stessa, tremante e terrorizzata
a cinque isolati dal luogo della scomparsa.
-Mio Dio.
-Ora sta bene, ma ha raccontato una strana storia. Naturalmente i
poliziotti che l'hanno soccorsa, non le hanno dato peso più
di tanto.
-Cosa ha detto?
-Che l'ha salvata una donna.
Jennifer che ha seguito il racconto di Carruthers col fiato sospeso,
sente quasi la terra mancarle sotto i piedi.
-Tu credi
Carruthers apre la porta.
-Io non credo nulla, per ora. Ma domani interrogherò quella
bambina e penso che faresti bene a esserci anche tu.
-A che ora?
-Ti telefono per fartelo sapere. - e con queste parole il tenente
si congeda.
Rimasta sola con Joyce addormentata, Jennifer resta in piedi accanto
alla porta a pensare. L'indomani aveva stabilito di incontrare Sutherland
con Joyce, ma dopo quello che è successo, non può che
telefonare al professore per disdire l'appuntamento. S'immagina la
delusione dell'anziano docente. Pareva tenerci moltissimo a quel colloquio
e anche lei avrebbe voluto davvero sapere cosa aveva da dire loro,
ma non se la sente proprio di sottoporre Joyce a un altro possibile
stress così ravvicinato. Sta quasi per scendere a recuperare
il cellulare, quando dal letto alle sue spalle, sente provenire quelle
parole, ormai familiari anche al suo orecchio. Si volta. Joyce è
distesa, con gli occhi chiusi, apparentemente in un sonno profondo,
ma il suo viso racconta un'altra storia. L'espressione contratta,
le palpebre serrate da cui scorrono lacrime copiose, e le sue labbra
che continuano a muoversi emettendo suoni quasi soffocati.
Jennifer le si avvicina silenziosamente e accosta il suo viso a quello
della ragazza addormentata. Le parole che le escono di bocca le sono
sempre incomprensibili, ma ora riesce quasi nitidamente a riconoscere
frammista a quelle frasi ripetute ossessivamente, una parola, un nome
breve, ma pronunciato come un suono dolcissimo: Xena.
Torna da me, ti prego, Xena, torna da me.
Il tono disperato e affranto della voce di Joyce e il suo pianto colpiscono
profondamente al cuore Jennifer, che avverte, un po' sorpresa, anche
i suoi occhi riempirsi di lacrime. Con l'animo straziato dalla sofferenza
che sente in Joyce, la donna tende la mano a sfiorarle il viso bagnato,
mentre dietro le palpebre chiuse, la ragazza immersa nei suoi sogni,
continua ad invocare quel nome misterioso. Jennifer torna a sedersi
accanto a lei e cautamente le prende la mano, portandosela alle labbra.
E rimane così, ad osservarla, mentre lentamente Joyce scivola
in un sonno più quieto.
- Joyce, tesoro. - mormora, ascoltando nel silenzio quel respiro in
cui i singhiozzi vanno sempre più diminuendo. - Ma chi è
Xena? E chi sei tu?
Ma dal buio della notte non giungono risposte.
DECIMO CAPITOLO
Il mattino dopo, Jennifer si premura di chiamare di buon'ora il professor
Sutherland.
-Spero di non averla disturbata troppo presto.
-Non si preoccupi. Alla mia età è bene non dormire troppo
a lungo. E io per abitudine, sono sempre in piedi già alle
sette. - risponde il professore. - Come mai mi ha chiamato, piuttosto?
E' successo qualcosa?
-Ci sono stati dei problemi questa notte. Temo che non potremo venire
da lei, oggi, come avevamo detto.
-Oh, capisco. - Nella voce del vecchio, è evidente la delusione.
- Immagino che non possa dirmi che genere di problemi.
-Posso dirle solo che non sono direttamente collegati alla nostra
"questione", ma che comunque, impediscono il nostro incontro.
Il professore resta in silenzio per qualche secondo.
-A quando pensa che potrà essere rimandato? - chiede infine.
-Non so dirglielo, mi dispiace. Non appena sarà possibile,
glielo farò sapere.
-Grazie, dottoressa Rowles, ci conto.
Dopo aver riattaccato, Jennifer sale nella stanza di Joyce. La giovane
sta ancora dormendo. Dopo l'iniziale agitazione, ha dormito tranquillamente
per tutta la notte. Jennifer con una tazza di caffè appena
preparato in mano, sosta sulla soglia, guardandola. Fin dal primo
momento, qualcosa in lei le aveva detto che in quella povera ragazza
in delirio in quel letto d'ospedale, c'era molto di più di
quanto apparisse. Ripensandoci ora, non avrebbe saputo dire quale
oscuro istinto glielo avesse suggerito, ma qualunque fosse non si
era sbagliato. L'impressione di trovarsi di fronte a un mistero le
era cresciuta dentro giorno dopo giorno, ora dopo ora, quasi senza
che ne fosse consapevole. L'incalzare degli avvenimenti, il suo dovere
di terapeuta nei confronti di Joyce, avevano un po' soffocato quelle
sensazioni, che però erano rimaste lì sullo sfondo,
pronte a riprendere il sopravvento. E poi, nelle ultime ore, quelle
notizie, prima dal professor Sutherland, delusissimo dal rinvio del
loro incontro ("Professore, se sapesse quanto dispiace a me.")
e quell'informazione, quasi buttata lì da Carruthers.
Dice di essere stata salvata da una donna.
Una donna. Così ha detto Carruthers. Solo una donna. Allora,
perché il suo pensiero è andato subito alla misteriosa
salvatrice di Joyce?
Xena, torna da me.
Può ancora essere solo una coincidenza, ma se Carruthers gliene
ha parlato, forse c'è qualcosa di più che ancora non
le ha detto.
In quella storia, riflette Jennifer, tutti sembrano distillare le
parole col contagocce, lei compresa, quasi che, consciamente o no,
avvertano di stare trattando con una materia che sfugge all'ordine
naturale delle cose.
-E tu sei al centro di tutto questo, Joyce. - dice, a voce cosi bassa
da risultare appena udibile, avvicinandosi alla ragazza e sfiorandole
con le dita la fronte fresca. Sotto quel tocco delicato, Joyce muove
appena la testa e dalla sua bocca esce un mormorio, quindi ricade
in un sonno profondo. Con un ultimo sguardo, Jennifer esce dalla stanza
e si chiude la porta alle spalle.
Scesa in salotto, ha appena posato la tazza del caffè sul tavolo,
che il telefono squilla.
-Sì?
-Carruthers. - dice la voce del tenente all'altro capo. - Ti va bene
oggi alle quattordici?
Jennifer fa rapidamente mente locale.
-Sì, benissimo.
-Allora ti aspetto al 78 di Warldorf Drive. Sai dov'è, o ti
devo mandare una macchina?
-Non importa, me la cavo da me. Com'è il nome?
-Stone. Comunque ci sarò ad aspettarti io davanti.
-Bene. Ci vediamo là.
Jennifer posa il telefono e mentalmente ripassa le fasi di una giornata
che si annuncia densa. Per prima cosa, dovrà passare in Procura.
Ora che la sua idea della "casa sicura" si è rivelata
un fiasco, dovrà provvedere altrimenti per la protezione di
Joyce e le è già venuta un'idea. Non sa se è
la migliore possibile, ma vale la pena di provare.
Poco dopo le tredici e trenta, Jennifer esce dal palazzo della Procura
più tranquilla. Il colloquio col Procuratore se lo era immaginato
più complicato, ma quando lei gli aveva prospettato la sua
idea, lui non aveva fatto obiezioni. Le aveva solo confermato che
la sorveglianza su Joyce sarebbe stata più stretta possibile,
ma evidentemente qualunque sospetto avesse avuto sul coinvolgimento
della ragazza nella vicenda, si stava affievolendo. Il fatto poi,
che Mark Bowers fosse vivo e vegeto (anche troppo, Jennifer sentiva
ancora difficoltà nell'inghiottire), aveva fatto cadere definitivamente
qualunque ipotesi d'incriminazione. Jennifer si era chiesta con un
sorrisetto che reazione avrebbe avuto Carruthers quando avrebbe sentito
quello che aveva in mente. Intanto si era assicurata che Joyce stesse
bene. Aveva lasciato un poliziotto in casa, e questi al telefono,
le aveva detto che la ragazza era sveglia e aveva insistito per prepararsi
una leggera colazione da sola. Joyce stessa le aveva parlato rassicurandola
sul suo stato. Per cui tranquillizzata anche su questo fronte, Jennifer
aveva deciso che era l'ora di recarsi all'appuntamento con Carruthers.
Dopo due tentativi a vuoto, finalmente un taxi si ferma davanti a
lei.
-Settantotto, Waldorf Drive. - dice all'autista e la macchina parte
inserendosi nel traffico dell'ora di punta.
-Non lo so. E' proprio necessario? - La piccola donna che siede di
fronte a loro gli lancia un'occhiata intimorita. -Credevo che bastasse
ciò che abbiamo raccontato l'altro giorno.
Seduti in un angolo della cucina dell'appartamento dove sono stati
ricevuti, Carruthers e Jennifer stanno bevendo il caffè che
la donna ha per forza voluto offrire loro.
-Sì, signora Stone. Ho letto il rapporto, ma sia io che la
dottoressa Rowles gradiremmo avere un colloquio con sua figlia.
-Non lo so. - ripete lei. - Melissa è stata tutta sconvolta
da questa cosa. Ora si è un po' ripresa, ma non vorrei
-Capisco, signora. - insiste pazientemente il tenente. -
Proprio per questo, c'è qui la dottoressa. E' una psicologa
della Procura, che collabora con noi, ed è specializzata nel
trattare con i bambini.
-Dov'è ora Melissa? - chiede gentilmente Jennifer.
-Di là, in camera sua. Sta facendo i compiti.
-Signora, prima di andare da lei, - continua Jennifer - mi potrebbe
spiegare in due parole cosa è successo?
La signora Stone, chiaramente in preda all'ansia per quella visita
inaspettata, rigira tra le mani la tazzina col residuo di caffè
ormai freddo che ancora resta sul fondo.
-Come vi dicevo, io sono vedova. Mio marito è morto tre anni
fa, in un incidente sul lavoro. Mi ha lasciato solo questa casa e
un indennizzo dell'assicurazione. Oltre naturalmente a Melissa. Io
e lei viviamo da sole, e quando io sono al lavoro me la tiene una
vicina.
- Lei dove lavora? - chiede Carruthers.
-Faccio la commessa da Felipe, il drugstore in fondo all'isolato.
-Prosegua la sua storia. - dice Jennifer.
-Tre sere fa, tornando dal lavoro, ho visto che Melissa non era come
al solito a giocare nel cortile. Non mi sono allarmata, perché
a volte resta a guardare la televisione dalla mia vicina. Per cui
sono andata direttamente da lei, ma Melissa non c'era. - Il tono di
voce della donna si alza, come se stesse rivivendo quei momenti di
tensione. - Naturalmente, mi sono agitata moltissimo. Con tutto quello
che si sente. Ma Claire
la mia vicina
si chiama Claire
Rosselli
mi ha detto di stare tranquilla, che magari Melissa
si era allontanata un attimo per giocare con i suoi amichetti. Ma
i bambini con cui gioca di solito erano tutti lì e nessuno
sapeva dove fosse. Alla fine, il piccolo Petey, il nipote di Claire,
si è ricordato di averla vista allontanarsi con qualcuno, ma
era troppo lontano e non l'aveva riconosciuto. Abbiamo cercato disperatamente
di capire in che direzione fossero andati, ma è stato impossibile.
Nessuno ricordava niente. Credevo di impazzire. Com'è possibile
che una bambina sparisca così, in mezzo a tanta gente?
Carruthers e Jennifer si rendono conto che la donna lo sta chiedendo
proprio a loro.
-Purtroppo accade con molta più frequenza di quanto si pensi.
Melissa è stata molto fortunata. - risponde Jennifer. - E poi,
cosa è successo?
-Ho chiamato immediatamente la polizia. Loro sono stati gentilissimi,
davvero. Non crederò mai più a tutte quelle storie dei
giornali che parlano male dei poliziotti.
-Grazie, signora, - le sorride Carruthers - ma la prego, continui.
-Mi scusi. Sono arrivati subito e hanno cominciato a cercare in tutto
il vicinato. Mi hanno chiesto un indumento di Melissa, per farlo annusare
ai cani e di starmene tranquilla a casa ad aspettare. Si fa presto
a dire. Io ero sui carboni ardenti. Non me la sentivo di starmene
da sola, per cui sono andata da Claire ad aspettare. E finalmente,
quasi due ore dopo, me l'hanno riportata, infreddolita e terrorizzata.
Non riusciva neanche a raccontare cosa le era successo. L'ho immediatamente
messa a letto e si è addormentata come un sasso. Solo la mattina
dopo, è stato possibile sapere qualcosa.
-Cosa le era accaduto?
-Sembra che un uomo le avesse detto che io non mi ero sentita bene
e che l'avevo mandato a prenderla per portarla da me. Naturalmente,
non era vero nulla. Ma quando Melissa l'ha capito era troppo lontana
per chiedere aiuto.
-E` un vecchio trucco, ma funziona sempre. - dice Carruthers. - La
bambina preoccupata per la madre, non pensa che possa essere una trappola
e il gioco è fatto.
-Ci sono individui orribili a questo mondo. - mormora la signora Stone.
-Davvero. - dice Jennifer. - E ora, signora, credo che sia meglio
che il resto ce lo racconti Melissa.
La donna li guarda preoccupata.
-Non volete sapere cosa altro ha detto?
-Vorremmo che fosse la bambina a raccontarcelo.
-Io credo - prosegue la Stone come se non avesse sentito, o in un
estremo tentativo di posticipare il più possibile l'interrogatorio
della figlia, - che fosse sconvolta e che abbia sognato tutto.
-Non ha certo sognato il suo rapitore. - dice Jennifer guardandola.
-No, certo no. Ma tutto il resto è così incredibile.
Perplessa la psicologa si ferma. E' evidente che la signora Stone
sta cercando di prepararli a quello che la figlia potrà raccontare
loro, quasi come se temesse che la potessero ritenere pazza.
-Cosa ha detto? - chiede.
-Che mentre quell'uomo stava per aggredirla, è apparsa una
donna. Una donna bellissima, che stringeva in un pugno una grande
spada e nell'altro un cerchio dorato. - risponde la Stone fissandola
con gli occhi spalancati.