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IDENTITA`SEPOLTA


ROMANZO DI A. SCAGLIONI

BASATO SULLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"

CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT

E SVILUPPATA DA R.J.STEWART

Xena and all characters and names related are owned by and copyright © 1995,1996,1997,1998,1999,2000,2001 by MCA Television/Universal Studios.

NONO CAPITOLO

Arzunian alza ancora una volta la mano verso il barman, con un cenno d'intesa. L'uomo dietro il bancone annuisce e gli mette davanti un nuovo boccale di birra. E' il terzo. Mentre sta per portarselo alla bocca, scrutando l'orologio alla parete che segna le dieci passate, la porta si apre facendo tintinnare la campanella posta in posizione strategica. Arzunian si volta. Sulla soglia del locale c'è Cheryl Cooper. Si guarda un attimo intorno e quindi, dopo averlo individuato, muove verso di lui.
-Finalmente. - fa Arzunian, mentre la cronista si siede sullo sgabello accanto. - Avevo giurato a me stesso che appena finita questa birra me ne sarei andato. Si era detto alle nove.
La donna chiama il barman come se lui neanche avesse parlato.
-Bill, il solito, per favore. - E solo quando questi le posa davanti un whisky liscio, si decide a rivolgere la sua attenzione all'interlocutore. - Ho avuto il mio daffare per convincere il capo a sganciare il doppio di quanto diamo di solito per una storia che ancora neanche conosciamo.
-E c'è riuscita?
La donna senza guardarlo, prende il bicchiere e ingoia un sorso.
-No. - risponde.
Arzunian le getta un'occhiata, posa il boccale quasi svuotato e fa per alzarsi. - Ho capito. Abbiamo perso tempo tutti e due.
-Aspetti.
L'uomo che sta già frugandosi in tasca per pagare, si ferma.
-Il giornale non andrà oltre i tremila dollari, - prosegue la Cooper, - ma gli altri duemila ce li metterò io, personalmente.
Arzunian torna a sedersi, fissando la donna interrogativamente.
-Credevo che la mia storia non la interessasse troppo. Come mai questo soprassalto di generosità?
-Ho fatto una piccola inchiesta su di lei in archivio, oltre a qualche domandina discreta a un paio di mie conoscenze nella polizia.
Nel sentire nominare la polizia, Arzunian si irrigidisce.
-Non ne aveva il diritto.
-Non si scaldi. Dovrebbe ringraziarmi, invece, perché è stata proprio la mia curiosità a convincermi ad accettare la sua richiesta.
-Che vuol dire?
-Ho saputo dei suoi trascorsi, diciamo cosi. Suoi e del suo amico. Bixby, vero? - Per la prima volta, la donna si volta verso di lui e lo fissa. - E' morto, signor Arzunian.
-Lo so.
-Ma la cosa interessante è il modo in cui è morto. Dissanguato, e con una mano mozzata. La sua storia ha qualcosa a che vedere con tutto questo?
Arzunian resta silenzioso per qualche secondo, guardando i bellissimi e gelidi occhi che lo fissano oltre le lenti dalla leggera montatura dorata.
-Forse. - risponde infine.
-Lo immaginavo. - dice la Cooper con un lieve sorriso. - Può darsi allora che quello che ha da dirmi valga un piccolo sacrificio.
-Ha con sé il denaro?
-Mi prende per un'idiota? Non penserà che me ne vada in giro con cinquemila dollari in contanti come se niente fosse. - Cheryl Cooper estrae dalla tasca un assegno bancario. - Ecco qua, è intestato a lei. Naturalmente è postdatato, non potrà incassarlo prima di lunedì.
L'uomo che sta per prendere l'assegno, quasi le si getta contro rabbioso.
-Io ho bisogno subito di quei soldi! Voglio andarmene di qui!
La Cooper si guarda intorno per accertarsi che l'improvviso scoppio di rabbia non abbia sollevato troppa attenzione nel locale, ma nessuno pare averci fatto caso.
-Innanzitutto, - dice, con la voce studiatamente bassa, - le suggerirei di mantenere la calma. Non sono il tipo da lasciarsi impressionare da queste scene. E poi cosa si aspettava? Che io le consegnassi a scatola chiusa una cifra simile, senza neanche la certezza che la sua storia non sia pura invenzione? Lei sogna, signor Arzunian. Quando ci saremo assicurati che le sue rivelazioni hanno un minimo di fondamento, potrà incassare il suo denaro senza problemi.
Con un sospiro, l'uomo torna a sedere e fa cenno al barman.
-Su una cosa lei sbaglia, signorina Cooper. - dice con lo sguardo fisso sul nuovo boccale appena posatogli davanti. - Io non sogno. Non sogno più, perché non dormo più da parecchie notti.
Cheryl Cooper piega l'assegno e glielo mette nella mano. Arzunian lo infila in tasca quasi meccanicamente.
-Questa gliela offro io, - dice la giornalista, indicando la birra - ora mi racconti tutto.


Nel momento in cui irrompe nella stanza di Joyce, Jennifer ricorda in un lampo e si dà mentalmente della stupida. Il cellulare! Se lo era accuratamente messo a portata di mano sul tavolo del salotto, ma quando ha sentito l'urlo, ha dimenticato tutto. Ora, l'apparecchio è rimasto giù, perfettamente pronto all'uso e altrettanto perfettamente inutile, mentre lei sta per affrontare qualcosa o qualcuno, che il suo cervello semiparalizzato le impedisce anche solo di immaginare, priva di qualunque mezzo di difesa.
Ma ormai è troppo tardi. Subito, Jennifer vede solo Joyce, quasi in piedi sul letto con la schiena appoggiata alla parete e un lenzuolo stretto davanti al corpo come ultimo, tenue ostacolo a ciò che sta fissando con occhi terrorizzati. Seguendo il suo sguardo, la psicologa vede la ragione del terrore nel volto della ragazza. Nel vano della finestra, attraverso il vetro trasformato in una ragnatela di minuscoli cristalli, incurante delle ferite che sicuramente si sta procurando alle braccia e al torace, una figura sta cercando di entrare. Nel buio, Jennifer riesce appena a scorgerla. Istintivamente la sua mano corre all'interruttore accanto alla porta e immediatamente il lampadario centrale s'illumina, gettando la sua luce su tutta la scena. Con un ultimo sforzo, mentre altri frammenti di vetro si staccano andando ad infrangersi in terra, un uomo penetra nella stanza. Ora Jennifer è in grado di vederlo chiaramente. Alto e robusto, sui trent'anni, con la barba lunga e uno sguardo allucinato. Non sembra essersi nemmeno accorto di lei. Tutta la sua attenzione è diretta alla ragazza sul letto.
-No, Mark, no! Vattene! - la sente implorare Jennifer. Non che lei abbia bisogno di sentirlo dire. Non appena l'ha visto, è stata sicura di chi fosse. Mark Bowers, con sul volto un sorriso inquietante e uno sguardo da animale predatore comincia ad avvicinarsi a sua moglie.
-Vieni qua, amore mio, - sibila - sono venuto per portarti a casa.
Jennifer, senza pensarci un attimo, afferra a due mani una sedia lì vicino e la scaglia con tutta la sua forza contro l'uomo. Colpito in pieno viso, questi barcolla all'indietro e cade a terra. Senza esitazione, approfittando della sorpresa, la donna prende una lampada da tavolo e brandendola come un bastone, colpisce di nuovo più volte sulla testa Bowers che stava già rialzandosi. Stordito dalla gragniuola di colpi, questi cerca di ripararsi con le braccia, arretrando contemporaneamente verso la finestra. In quel momento dall'esterno risuona una voce.
-Fermo tu! Polizia! Ti vedo e se provi a muoverti, di qui non ti manco di certo.
Con sollievo Jennifer riconosce la voce del poliziotto di guardia, ma la sua contentezza dura una frazione di secondo. Con un urlo di rabbia, Bowers le strappa la sua arma improvvisata di mano, l'afferra per la gola e prima che se ne renda conto la stringe contro di sé premendole il braccio intorno al collo.
-Tu! - urla al poliziotto da basso. - Allontanati o ti giuro che le spezzo il collo come un grissino!
Dalla sua posizione davanti alla finestra, ora Jennifer può vedere la faccia dell'agente che spicca bianca nel buio del giardino. Con cautela, l'uomo posa la pistola che teneva puntata verso Bowers, sull'erba.
-OK, - dice - ma lasciala andare.
La pressione sulla gola aumenta e Jennifer sente quasi venirgli meno le forze, mentre davanti ai suoi occhi brillano tanti puntini luminosi.
-Stenditi in terra - urla Bowers - e non fare una mossa!
Il poliziotto si stende bocconi senza una parola. Immediatamente Bowers scaglia Jennifer contro la parete opposta e si getta verso la finestra.
-Il nostro appuntamento è solo rimandato, cara. - dice rivolto a Joyce e in pochi attimi è già sparito nella notte.
Ripresasi a fatica dallo stordimento, Jennifer corre barcollando verso Joyce, ma la ragazza appare troppo terrorizzata per rendersi conto che il pericolo è passato.
-Joyce… Joyce, stai bene? - chiede scuotendola. La giovane ancora sotto shock, la guarda come se non la vedesse e un attimo dopo rovescia il capo e le cade priva di sensi tra le braccia.
La voce del poliziotto alle sue spalle la fa quasi sobbalzare.
-State bene tutte e due? Mi dispiace, ma quel bastardo mi ha colto di sorpresa.
-Lasci stare, ora. - risponde Jennifer. - Vada a chiamare il tenente e gli dica di portare un medico. Subito.


Un'ora dopo, mentre Joyce è visitata dal dottore nella sua stanza, assistito da Jennifer, Carruthers e l'agente DeMatteo sono nel salotto.
-Maledizione! - fa il tenente, battendo un pugno sul tavolo. - Mi vuoi spiegare come è successo questo casino?
-Gliel'ho detto, Tenente. Catrell è dovuto andare via con l'auto per un'emergenza, e sono rimasto solo io. Dopo aver avvisato la dottoressa, ho fatto un giro di ricognizione intorno alla casa. Non so come è successo. D'un tratto mi sono risvegliato sul prato con un bernoccolo sulla testa. Quel figlio di puttana deve essermi strisciato alle spalle. Ho sentito le urla e sono corso e allora…
-Sì, ho capito. - l'interrompe Carruthers. - Ti sei fatto dare un'occhiata?
-E' tutto a posto, solo un bernoccolo.
-Bene. Catrell sta tornando. Tu vai alla centrale… anzi no. Vai a casa a riposarti. Mi farai un rapporto completo domani mattina. Per ora resto qui io.
-Agli ordini, Tenente. A domattina.
Appena DeMatteo se ne è andato, la porta della stanza di Joyce si apre e il dottore scende le scale.
-Allora, dottore? - chiede Carruthers.
-Niente di grave. Nessuna ferita. Solo un lieve stato di shock. Un buon riposo dovrebbe rimetterla in sesto. Le ho dato un sedativo. La dottoressa Rowles le resterà accanto per questa notte.
-Posso salire?
-Sì, ma cercate di non svegliarla. Se ci sono problemi, ma non credo, chiamatemi.
Uscito il medico, Carruthers sale nella stanza di Joyce. La ragazza giace nel letto, un po' pallida, ma il respiro sembra regolare nel sonno indotto dai farmaci. Jennifer è accanto a lei e le tiene una mano sulla testa, carezzandole i capelli.
-Si è appena addormentata. - dice. - Il dottore ha detto che non è niente. Sta bene.
-Sì, lo so. - risponde il tenente chiudendosi la porta alle spalle. - Deve essere una ragazza forte. Con tutto quello che le è capitato, chiunque altro sarebbe stato pronto al ricovero in un ospedale psichiatrico.
Jennifer parla con lo sguardo fisso sul viso addormentato di Joyce.
-Non lo so, a volte sembra smarrita come una bambina nel buio, ed altre invece è come se una forza interiore la sostenesse.
-Ti ci sei proprio affezionata, eh? - dice Carruthers, sedendosi dall'altra parte del letto. - Scusami se a volte faccio delle battute. E' il mio lato maschilista che non sempre riesco a tenere a bada.
Jennifer sorride.
-Lascia stare. Tanto ci sono abituata. - Poi, il sorriso scompare. - Nessuna traccia di Bowers, vero?
-Niente. Quell'uomo deve essere un discendente di Houdini. Appare e scompare come un fantasma. Comunque questa volta, abbiamo un'accurata descrizione di lui. Stiamo battendo a tappeto la città. Lo prenderemo.
-Me lo auguro. Comunque Joyce non può più rimanere qui.
Il tenente la guarda sorpreso.
-Scherzi? Nonostante quello che è successo, è sempre il posto più sicuro per lei. Bowers non oserà più farsi vedere.
-George, - Jennifer facendo attenzione a non alzare il tono della voce, fissa Carruthers rabbiosamente - quel Bowers è un pericoloso psicopatico. In questo momento il suo unico obiettivo è vendicarsi di sua moglie, e sono certa che ci riproverà e neanche tra tanto ed è preferibile che almeno non sappia a colpo sicuro dove trovarla. A proposito, di chi è stata la brillante idea di richiamare uno dei due uomini di guardia?
Carruthers abbassa gli occhi imbarazzato.
-Gli ordini erano solo di far intervenire tutti gli uomini disponibili. Qualcuno è stato anche troppo zelante.
Jennifer torna ad occuparsi di Joyce.
-Domattina penserò al da farsi. Questa notte, ti prego, assicurati che la sorveglianza sia costante ed accurata.
-Stai tranquilla. DeMatteo l'ho mandato a casa. Ha un bernoccolo grosso come un uovo, ma ho chiamato un altro a sostituirlo.
-Grazie.
Il tenente si alza e fa per dirigersi alla porta, ma poi si ferma e si volta verso Jennifer.
-Ah, ci sarebbe una cosa.
-Cosa?
-Domani, in pomeriggio, dovrei andare ad interrogare una persona, una bambina. Verresti con me?
-Ti sembra il momento? - Jennifer non riesce a frenare il fastidio e la stanchezza nella voce. - Non hai un'altra psicologa da chiamare? Altrimenti potresti servirti di un'assistente sociale.
-C'è una ragione se l'ho chiesto a te. E' successa una cosa un paio di notti fa, l'ho scoperto per caso.
Improvvisamente incuriosita, Jennifer si alza e gli si avvicina.
-Di che si tratta?
-Oggi, mi è capitato sulla scrivania un rapporto. Su una bambina di otto anni, scomparsa dal cortile in cui giocava, nel tardo pomeriggio di martedì. L'hanno ritrovata la notte stessa, tremante e terrorizzata a cinque isolati dal luogo della scomparsa.
-Mio Dio.
-Ora sta bene, ma ha raccontato una strana storia. Naturalmente i poliziotti che l'hanno soccorsa, non le hanno dato peso più di tanto.
-Cosa ha detto?
-Che l'ha salvata una donna.
Jennifer che ha seguito il racconto di Carruthers col fiato sospeso, sente quasi la terra mancarle sotto i piedi.
-Tu credi…
Carruthers apre la porta.
-Io non credo nulla, per ora. Ma domani interrogherò quella bambina e penso che faresti bene a esserci anche tu.
-A che ora?
-Ti telefono per fartelo sapere. - e con queste parole il tenente si congeda.


Rimasta sola con Joyce addormentata, Jennifer resta in piedi accanto alla porta a pensare. L'indomani aveva stabilito di incontrare Sutherland con Joyce, ma dopo quello che è successo, non può che telefonare al professore per disdire l'appuntamento. S'immagina la delusione dell'anziano docente. Pareva tenerci moltissimo a quel colloquio e anche lei avrebbe voluto davvero sapere cosa aveva da dire loro, ma non se la sente proprio di sottoporre Joyce a un altro possibile stress così ravvicinato. Sta quasi per scendere a recuperare il cellulare, quando dal letto alle sue spalle, sente provenire quelle parole, ormai familiari anche al suo orecchio. Si volta. Joyce è distesa, con gli occhi chiusi, apparentemente in un sonno profondo, ma il suo viso racconta un'altra storia. L'espressione contratta, le palpebre serrate da cui scorrono lacrime copiose, e le sue labbra che continuano a muoversi emettendo suoni quasi soffocati.
Jennifer le si avvicina silenziosamente e accosta il suo viso a quello della ragazza addormentata. Le parole che le escono di bocca le sono sempre incomprensibili, ma ora riesce quasi nitidamente a riconoscere frammista a quelle frasi ripetute ossessivamente, una parola, un nome breve, ma pronunciato come un suono dolcissimo: Xena.
Torna da me, ti prego, Xena, torna da me.
Il tono disperato e affranto della voce di Joyce e il suo pianto colpiscono profondamente al cuore Jennifer, che avverte, un po' sorpresa, anche i suoi occhi riempirsi di lacrime. Con l'animo straziato dalla sofferenza che sente in Joyce, la donna tende la mano a sfiorarle il viso bagnato, mentre dietro le palpebre chiuse, la ragazza immersa nei suoi sogni, continua ad invocare quel nome misterioso. Jennifer torna a sedersi accanto a lei e cautamente le prende la mano, portandosela alle labbra. E rimane così, ad osservarla, mentre lentamente Joyce scivola in un sonno più quieto.
- Joyce, tesoro. - mormora, ascoltando nel silenzio quel respiro in cui i singhiozzi vanno sempre più diminuendo. - Ma chi è Xena? E chi sei tu?
Ma dal buio della notte non giungono risposte.


DECIMO CAPITOLO


Il mattino dopo, Jennifer si premura di chiamare di buon'ora il professor Sutherland.
-Spero di non averla disturbata troppo presto.
-Non si preoccupi. Alla mia età è bene non dormire troppo a lungo. E io per abitudine, sono sempre in piedi già alle sette. - risponde il professore. - Come mai mi ha chiamato, piuttosto? E' successo qualcosa?
-Ci sono stati dei problemi questa notte. Temo che non potremo venire da lei, oggi, come avevamo detto.
-Oh, capisco. - Nella voce del vecchio, è evidente la delusione. - Immagino che non possa dirmi che genere di problemi.
-Posso dirle solo che non sono direttamente collegati alla nostra… "questione", ma che comunque, impediscono il nostro incontro.
Il professore resta in silenzio per qualche secondo.
-A quando pensa che potrà essere rimandato? - chiede infine.
-Non so dirglielo, mi dispiace. Non appena sarà possibile, glielo farò sapere.
-Grazie, dottoressa Rowles, ci conto.
Dopo aver riattaccato, Jennifer sale nella stanza di Joyce. La giovane sta ancora dormendo. Dopo l'iniziale agitazione, ha dormito tranquillamente per tutta la notte. Jennifer con una tazza di caffè appena preparato in mano, sosta sulla soglia, guardandola. Fin dal primo momento, qualcosa in lei le aveva detto che in quella povera ragazza in delirio in quel letto d'ospedale, c'era molto di più di quanto apparisse. Ripensandoci ora, non avrebbe saputo dire quale oscuro istinto glielo avesse suggerito, ma qualunque fosse non si era sbagliato. L'impressione di trovarsi di fronte a un mistero le era cresciuta dentro giorno dopo giorno, ora dopo ora, quasi senza che ne fosse consapevole. L'incalzare degli avvenimenti, il suo dovere di terapeuta nei confronti di Joyce, avevano un po' soffocato quelle sensazioni, che però erano rimaste lì sullo sfondo, pronte a riprendere il sopravvento. E poi, nelle ultime ore, quelle notizie, prima dal professor Sutherland, delusissimo dal rinvio del loro incontro ("Professore, se sapesse quanto dispiace a me.") e quell'informazione, quasi buttata lì da Carruthers.
Dice di essere stata salvata da una donna.
Una donna. Così ha detto Carruthers. Solo una donna. Allora, perché il suo pensiero è andato subito alla misteriosa salvatrice di Joyce?
Xena, torna da me.
Può ancora essere solo una coincidenza, ma se Carruthers gliene ha parlato, forse c'è qualcosa di più che ancora non le ha detto.
In quella storia, riflette Jennifer, tutti sembrano distillare le parole col contagocce, lei compresa, quasi che, consciamente o no, avvertano di stare trattando con una materia che sfugge all'ordine naturale delle cose.
-E tu sei al centro di tutto questo, Joyce. - dice, a voce cosi bassa da risultare appena udibile, avvicinandosi alla ragazza e sfiorandole con le dita la fronte fresca. Sotto quel tocco delicato, Joyce muove appena la testa e dalla sua bocca esce un mormorio, quindi ricade in un sonno profondo. Con un ultimo sguardo, Jennifer esce dalla stanza e si chiude la porta alle spalle.
Scesa in salotto, ha appena posato la tazza del caffè sul tavolo, che il telefono squilla.
-Sì?
-Carruthers. - dice la voce del tenente all'altro capo. - Ti va bene oggi alle quattordici?
Jennifer fa rapidamente mente locale.
-Sì, benissimo.
-Allora ti aspetto al 78 di Warldorf Drive. Sai dov'è, o ti devo mandare una macchina?
-Non importa, me la cavo da me. Com'è il nome?
-Stone. Comunque ci sarò ad aspettarti io davanti.
-Bene. Ci vediamo là.
Jennifer posa il telefono e mentalmente ripassa le fasi di una giornata che si annuncia densa. Per prima cosa, dovrà passare in Procura. Ora che la sua idea della "casa sicura" si è rivelata un fiasco, dovrà provvedere altrimenti per la protezione di Joyce e le è già venuta un'idea. Non sa se è la migliore possibile, ma vale la pena di provare.


Poco dopo le tredici e trenta, Jennifer esce dal palazzo della Procura più tranquilla. Il colloquio col Procuratore se lo era immaginato più complicato, ma quando lei gli aveva prospettato la sua idea, lui non aveva fatto obiezioni. Le aveva solo confermato che la sorveglianza su Joyce sarebbe stata più stretta possibile, ma evidentemente qualunque sospetto avesse avuto sul coinvolgimento della ragazza nella vicenda, si stava affievolendo. Il fatto poi, che Mark Bowers fosse vivo e vegeto (anche troppo, Jennifer sentiva ancora difficoltà nell'inghiottire), aveva fatto cadere definitivamente qualunque ipotesi d'incriminazione. Jennifer si era chiesta con un sorrisetto che reazione avrebbe avuto Carruthers quando avrebbe sentito quello che aveva in mente. Intanto si era assicurata che Joyce stesse bene. Aveva lasciato un poliziotto in casa, e questi al telefono, le aveva detto che la ragazza era sveglia e aveva insistito per prepararsi una leggera colazione da sola. Joyce stessa le aveva parlato rassicurandola sul suo stato. Per cui tranquillizzata anche su questo fronte, Jennifer aveva deciso che era l'ora di recarsi all'appuntamento con Carruthers.
Dopo due tentativi a vuoto, finalmente un taxi si ferma davanti a lei.
-Settantotto, Waldorf Drive. - dice all'autista e la macchina parte inserendosi nel traffico dell'ora di punta.


-Non lo so. E' proprio necessario? - La piccola donna che siede di fronte a loro gli lancia un'occhiata intimorita. -Credevo che bastasse ciò che abbiamo raccontato l'altro giorno.
Seduti in un angolo della cucina dell'appartamento dove sono stati ricevuti, Carruthers e Jennifer stanno bevendo il caffè che la donna ha per forza voluto offrire loro.
-Sì, signora Stone. Ho letto il rapporto, ma sia io che la dottoressa Rowles gradiremmo avere un colloquio con sua figlia.
-Non lo so. - ripete lei. - Melissa è stata tutta sconvolta da questa cosa. Ora si è un po' ripresa, ma non vorrei…
-Capisco, signora. - insiste pazientemente il tenente. -
Proprio per questo, c'è qui la dottoressa. E' una psicologa della Procura, che collabora con noi, ed è specializzata nel trattare con i bambini.
-Dov'è ora Melissa? - chiede gentilmente Jennifer.
-Di là, in camera sua. Sta facendo i compiti.
-Signora, prima di andare da lei, - continua Jennifer - mi potrebbe spiegare in due parole cosa è successo?
La signora Stone, chiaramente in preda all'ansia per quella visita inaspettata, rigira tra le mani la tazzina col residuo di caffè ormai freddo che ancora resta sul fondo.
-Come vi dicevo, io sono vedova. Mio marito è morto tre anni fa, in un incidente sul lavoro. Mi ha lasciato solo questa casa e un indennizzo dell'assicurazione. Oltre naturalmente a Melissa. Io e lei viviamo da sole, e quando io sono al lavoro me la tiene una vicina.
- Lei dove lavora? - chiede Carruthers.
-Faccio la commessa da Felipe, il drugstore in fondo all'isolato.
-Prosegua la sua storia. - dice Jennifer.
-Tre sere fa, tornando dal lavoro, ho visto che Melissa non era come al solito a giocare nel cortile. Non mi sono allarmata, perché a volte resta a guardare la televisione dalla mia vicina. Per cui sono andata direttamente da lei, ma Melissa non c'era. - Il tono di voce della donna si alza, come se stesse rivivendo quei momenti di tensione. - Naturalmente, mi sono agitata moltissimo. Con tutto quello che si sente. Ma Claire…la mia vicina… si chiama Claire Rosselli… mi ha detto di stare tranquilla, che magari Melissa si era allontanata un attimo per giocare con i suoi amichetti. Ma i bambini con cui gioca di solito erano tutti lì e nessuno sapeva dove fosse. Alla fine, il piccolo Petey, il nipote di Claire, si è ricordato di averla vista allontanarsi con qualcuno, ma era troppo lontano e non l'aveva riconosciuto. Abbiamo cercato disperatamente di capire in che direzione fossero andati, ma è stato impossibile. Nessuno ricordava niente. Credevo di impazzire. Com'è possibile che una bambina sparisca così, in mezzo a tanta gente?
Carruthers e Jennifer si rendono conto che la donna lo sta chiedendo proprio a loro.
-Purtroppo accade con molta più frequenza di quanto si pensi. Melissa è stata molto fortunata. - risponde Jennifer. - E poi, cosa è successo?
-Ho chiamato immediatamente la polizia. Loro sono stati gentilissimi, davvero. Non crederò mai più a tutte quelle storie dei giornali che parlano male dei poliziotti.
-Grazie, signora, - le sorride Carruthers - ma la prego, continui.
-Mi scusi. Sono arrivati subito e hanno cominciato a cercare in tutto il vicinato. Mi hanno chiesto un indumento di Melissa, per farlo annusare ai cani e di starmene tranquilla a casa ad aspettare. Si fa presto a dire. Io ero sui carboni ardenti. Non me la sentivo di starmene da sola, per cui sono andata da Claire ad aspettare. E finalmente, quasi due ore dopo, me l'hanno riportata, infreddolita e terrorizzata. Non riusciva neanche a raccontare cosa le era successo. L'ho immediatamente messa a letto e si è addormentata come un sasso. Solo la mattina dopo, è stato possibile sapere qualcosa.
-Cosa le era accaduto?
-Sembra che un uomo le avesse detto che io non mi ero sentita bene e che l'avevo mandato a prenderla per portarla da me. Naturalmente, non era vero nulla. Ma quando Melissa l'ha capito era troppo lontana per chiedere aiuto.
-E` un vecchio trucco, ma funziona sempre. - dice Carruthers. - La bambina preoccupata per la madre, non pensa che possa essere una trappola e il gioco è fatto.
-Ci sono individui orribili a questo mondo. - mormora la signora Stone.
-Davvero. - dice Jennifer. - E ora, signora, credo che sia meglio che il resto ce lo racconti Melissa.
La donna li guarda preoccupata.
-Non volete sapere cosa altro ha detto?
-Vorremmo che fosse la bambina a raccontarcelo.
-Io credo - prosegue la Stone come se non avesse sentito, o in un estremo tentativo di posticipare il più possibile l'interrogatorio della figlia, - che fosse sconvolta e che abbia sognato tutto.
-Non ha certo sognato il suo rapitore. - dice Jennifer guardandola.
-No, certo no. Ma tutto il resto è così incredibile.
Perplessa la psicologa si ferma. E' evidente che la signora Stone sta cercando di prepararli a quello che la figlia potrà raccontare loro, quasi come se temesse che la potessero ritenere pazza.
-Cosa ha detto? - chiede.
-Che mentre quell'uomo stava per aggredirla, è apparsa una donna. Una donna bellissima, che stringeva in un pugno una grande spada e nell'altro un cerchio dorato. - risponde la Stone fissandola con gli occhi spalancati.

 





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