Xena
e il dominatore di Corinto
di
Krono
Ciao
Xeniti! Prima di lasciarvi alla fan fiction, vi ricordo che tutti i
personaggi della storia sono di proprietà della MCA/Universal
Picture e che non intendo violare nessun copyright.
Buona lettura!
Krono
Ci
troviamo a cavallo tra la seconda e la terza stagione
Era una calda mattina d’estate e il sole splendeva alto nel cielo,
illuminando ogni angolo di Tersinia, un piccolo villaggio a sud di Corinto.
In realtà, parlare di piccolo villaggio può sembrare fin
troppo esagerato per descrivere quello, che altro non era, se non un
semplice ammasso di case costruite lungo la riva di un fiume. Tersinia,
infatti, era stata fondata, solo qualche anno prima, da un gruppo di
fuggiaschi che dovettero lasciare i loro villaggi a causa delle continue
guerre. Guerre che erano state decise da altri e che non condividevano,
ma che gli avevano comunque portato via tutto ciò che possedevano.
Questi uomini, dopo tanto peregrinare, trovarono rifugio nei pressi
della foresta di Cerere, lungo la sponda orientale del fiume Eurilio.
In poco tempo costruirono le prime abitazioni e, tutti insieme, giurarono
che mai più avrebbero imbracciato le armi per sostenere una causa
che non era la loro. Adesso gli abitanti di Tersinia si guadagnavano
da vivere come pescatori e artigiani e sembrava che, finalmente, fossero
riusciti ad ottenere quella pace che tanto a lungo avevano desiderato.
Il loro villaggio, infatti, era ritenuto insignificante anche dal più
feroce dei signori della guerra dato che, soltanto poche miglia più
a sud, sorgeva Corinto, che veniva considerata come la più ricca
città della Grecia. Tuttavia, con la pace, a Tersinia era sopraggiunta
anche una certa monotonia e ogni giorno si ripeteva identico al precedente.
Stavolta, però, sembrava proprio che stesse per accadere qualcosa
di nuovo. Chi si fosse trovato a passare di fronte alla bottega del
maniscalco, infatti, avrebbe visto uscirne due figure dall’apparenza
quantomeno insolita. La prima era una ragazza dai lunghi capelli biondi,
vestita con un corsaletto verde che le lasciava scoperta la pancia e
con un gonnellino rossiccio. Camminava impugnando un bastone decorato
con ciuffi di pelo di animale ed aveva un’aria allegra e vivace.
Un’altra donna la seguiva a qualche passo di distanza. Era alta
almeno una spanna più di lei ed aveva tutto l’aspetto di
un guerriero. I lunghi capelli castani le ricadevano dolcemente sulle
spalle e i suoi occhi, azzurri come il ghiaccio, brillavano sul suo
volto sprizzando una carica di energia esplosiva che a stento sembrava
poter contenere. La sua era una bellezza naturale, quasi selvaggia,
che non aveva bisogno di trucco, gioielli o altri accessori per risaltare.
Indossava un corpetto di cuoio, rinforzato sui punti vitali da placche
metalliche che fungevano anche da ornamento e la sua spada era infilata
nel fodero, ben allacciato alla schiena. Ma un’arma ben più
particolare le pendeva dalla cintura: un chakram, ossia un cerchio di
metallo affilato come un rasoio che, nelle mani adatte, poteva sovvertire
le sorti anche della più disperata delle battaglie. Entrambi
i lati del suo chakram, inoltre, erano decorati con fregi d’oro
e pietre preziose che lo rendevano, oltre che un’arma letale,
anche un meraviglioso oggetto d’arte. Queste due donne, probabilmente,
erano del tutto sconosciute agli abitanti di un villaggio isolato come
Tersinia, ma chiunque altro le avrebbe subito identificate. La ragazza
col bastone, infatti, era Olimpia, una barda che aveva ereditato il
titolo di principessa amazzone dopo aver salvato la vita di una di loro.
La donna in armatura, invece, era nientemeno che Xena, la leggendaria
principessa guerriera che combatteva il male per espiare le colpe del
suo passato. Cosa ci facessero due simili celebrità in un posto
come quello poteva sembrare un mistero, tuttavia Xena mostrava un aria
molto soddisfatta mentre varcava l’uscio della bottega.
- Ahhh! – sospirò in segno di piacere, mentre si stiracchiava
le braccia – la mia armatura aveva proprio bisogno di una bella
sistemata… non ne potevo quasi più.
- Sai Xena – disse la sua amica, come se stesse riallacciandosi
a un discorso già iniziato in prcedenza – Io continuo a
pensare davvero che tu stia ingrassando. Ieri ti sei mangiata ben tre
scodelle di arrosto di cinghiale, lo credo bene che l’armatura
aveva cominciato ad andarti stretta. -
- Ancora con questa storia! Ti ho già detto mille volte che,
a forza di proteggermi dai colpi dei nemici, l’armatura aveva
finito col deformarsi ed a stringermi alla vita. -
- Sì, sì… – continuò Olimpia, sempre
più divertita nello stuzzicare la sua compagna – Vedrai
quando cercherai di esibirti in uno dei tuoi famosi salti e non riuscirai
a staccare i piedi da terra. -
- Oh, andiamo Olimpia, smettila! Se ne volevi anche tu di quell’arrosto
potevi anche dirmelo, te ne avrei lasciato un po’. A proposito,
hai notato che in questo villaggio non c’è neanche una
taverna? Come faremo a trovare Corilo? -
- Non preoccuparti, Xena. Corilo mi ha detto che ci avrebbe aspettato
in una taverna situata nel bel mezzo della foresta. E’a tre miglia
ad ovest del fiume. -
- Una taverna nella foresta, interessante… Credo che anche oggi
ci sarà da menare le mani. -
- Cosa? E perché mai? – chiese la giovane barda.
- Pensa, Olimpia, se davvero si tratta di un posto così nascosto,
sicuramente sarà il rifugio di ladri briganti e altre persone
che hanno qualcosa da nascondere. -
- Su, Xena, non essere sempre così pessimista. Guarda il lato
positivo: per la prima volta potremo mangiare in mezzo alla natura senza
la preoccupazione di doverci procurare il cibo. -
- Anche questo è vero – affermò laconica la principessa
guerriera – Ora però sbrighiamoci, non vorrei che Corilo
si cacciasse in qualche guaio. -
Detto questo, Xena raggiunse il suo cavallo e, con un colpo di spada,
recise il laccio con cui lo aveva legato ad una staccionata. Si trattava
di un magnifico animale, con il pelo fulvo e la criniera bionda. Xena
lo aveva chiamato Argo e, a volte, gli si rivolgeva parlandogli come
se fosse un essere umano. In poco tempo le due amiche attraversarono
il ponticello che collegava le due sponde del fiume e raggiunsero la
foresta che circondava Tersinia. Xena procedeva per prima in sella ad
Argo mentre Olimpia la seguiva a piedi. La foresta era magnifica in
quel periodo: ovunque si potevano ammirare alberi di molte specie diverse,
tutti ricoperti da foglie fresche di un color verde chiaro, querce dal
tronco nodoso e cespugli pieni di bacche rosse. L’aria era permeata
da un leggero profumo di resina e l’unico rumore che si sentiva
era il cinguettio degli uccelli. Dopo circa un’ora di cammino
tutto sembrava procedere tranquillamente e Olimpia e Xena proseguivano
chiacchierando e scherzando tra loro. All’improvviso, però,
la principessa guerriera tirò bruscamente le briglie del suo
cavallo arrestando la sua marcia.
- Zitta, Olimpia! – disse all’amica – Ascolta…
-
Xena, infatti, aveva percepito un rumore in lontananza, continuo ed
indistinto, ma che, tuttavia, non era riuscita ad identificare. Proveniva
proprio dalla direzione verso la quale erano dirette le due.
- Olimpia senti anche tu questo rumore? – chiese Xena.
- Sì, ma non ho idea di cosa possa essere. -
- Bè, in questo caso, l’unica cosa da fare è andare
a controllare di persona. Presto Olimpia, salta su! – disse Xena,
allungando una mano alla compagna per aiutarla a salire in sella.
La principessa guerriera lanciò il suo cavallo a spron battuto
verso la direzione dalla quale proveniva il rumore. In pochi istanti
giunsero in una radura al cui centro sorgeva un edificio che aveva l’aspetto
di una taverna. Le due erano finalmente arrivate a destinazione ed anche
il frastuono che sentivano era, ormai, facilmente riconoscibile: un
fragore di mobili rotti e vetri infranti.
- Una rissa… – disse Olimpia..
- Già – le rispose Xena – cosa ti avevo detto? Una
taverna sperduta in mezzo ad una foresta… Che idea stupida! Solo
un idiota potrebbe venirci senza sapere di correre dei rischi. -
Quando Xena terminò la frase passarono alcuni istanti in cui
lei e Olimpia rimasero in silenzio, come sovrappensiero. Poi, nello
stesso momento, ognuna si girò verso l’altra ed insieme
gridarono:
- Corilo!!! -
Non avevano neppure finito di pronunciare il nome del loro amico che
subito si udì il suono di un ennesimo vetro infranto. Le due
si voltarono immediatamente e videro un uomo, magro ed emaciato, volare
fuori da una finestra e finire appeso al ramo di un albero vicino, piegato
in due come un lenzuolo steso ad asciugare. Indossava una specie di
armatura di pessima fattura, formata essenzialmente da due dischi di
stagno, uno sul petto e uno sulla schiena, in più portava un
elmo a punta dall’aspetto quantomeno ridicolo.
- Corilo! – gridò nuovamente la giovane amazzone e corse
verso il suo amico per accertarsi delle sue condizioni. Prima gli tirò
alcuni leggeri schiaffetti sulle guance, poi gli afferrò il naso
e glielo tirò con violenza, ma Corilo non accennava una reazione.
Olimpia, allora, cominciò a preoccuparsi davvero e gli tastò
il polso. Il suo volto si rasserenò e subito tirò un sospiro
di sollievo.
- Non preoccuparti Xena, è solo svenuto – disse alla sua
amica, che aveva cominciato ad avvicinarsi.
- Bene, sono contenta per lui – le rispose la principessa guerriera
– Tuttavia, credo proprio che qualcuno dovrà spiegarmi
cosa sta succedendo – e, portando la mano all’elsa della
spada ancora nel fodero, si recò verso l’entrata della
taverna. Questa non aveva una porta, o per lo meno non più, dato
che una porta sfondata giaceva proprio lì a terra e l’unica
cosa che la separava dall’esterno era una semplice tenda di stoffa.
Xena stava per scostarla quando il fracasso, che fino ad allora non
aveva accennato a diminuire, d’un tratto cessò. Xena, allora,
sfoderò la spada e, con uno scatto felino, fece irruzione nella
taverna.
- Per tutti gli dei degli Inferi! – Xena non trovò altre
parole per commentare la scena che le si era parata dinanzi agli occhi.
In tutta la stanza giacevano, privi di sensi, i corpi di non meno di
una dozzina di uomini che, dall’apparenza, sembravano tutti briganti,
mercenari e signori della guerra. Alcuni stavano buttati sopra tavoli
spezzati in due, altri erano ancora coperti dalle sedie che, probabilmente,
gli erano state spaccate in testa. Un tale, addirittura, penzolava dal
soffitto, attaccato ad un candeliere che sembrava dovesse cadere da
un momento all’altro. In mezzo a tutto quello sfacelo, soltanto
tre persone si trovavano ancora in piedi. La prima era l’oste
che, ancora tutto tremante, si teneva nascosto dietro al bancone facendo
di tanto in tanto capolino con la testa per controllare la situazione.
La seconda persona era un omaccione grande e grosso, con degli occhi
neri e sottili e una folta barba scura che gli copriva il viso. Quando
Xena lo vide, si stava accomodando all’unico tavolo rimasto intatto
per gustare quello che sembrava essere un piatto di fagioli. Il terzo,
infine, era un uomo snello, con i capelli biondi un po’ondulati
e gli occhi azzurri, che si stava scrollando la polvere dalle ginocchia.
Entrambi avevano un aspetto trasandato e non sembravano affatto dei
guerrieri.
- Sembra che sia arrivata troppo tardi – mormorò Xena tra
sè e sè.
- Mi spiace bellezza, ma credo che la taverna per un po’sarà
chiusa per restauri – le disse l’uomo biondo con un sorriso.
Non aveva un aspetto ostile, tuttavia Xena non si fidava e gli puntò
la spada.
- Cosa è successo qui dentro? – gli chiese.
- Calma, calma, che maniere! – fece l’uomo con accento ironico
– Permettimi di presentarmi. Mi chiamo Firpide e quello scimmione
laggiù è mio fratello Mesonio. -
L’uomo barbuto si voltò e cercò di salutare ma,
avendo la bocca ancora piena, non gli uscì che un breve grugnito.
- Devi perdonare mio fratello – continuò Firpide –
E’ un uomo un po’rozzo. -
- Non hai risposto alla mia domanda – disse Xena, che cominciava
a perdere la pazienza – Chi è che ha fatto questo macello?
-
Firpide si guardò più volte intorno come per trovare le
parole per rispondere, poi, chinando la testa disse:
- Bè, siamo stati noi. -
- Ah… – fece Xena, divertita da quella risposta secca. Nel
frattempo anche Olimpia era entrata, mostrando la stessa reazione di
Xena davanti alla scena.
- Corilo è ancora svenuto – disse la ragazza all’amica
– Ma cos’è successo qui? -
- Se aspetti un po’, ora ce lo racconterà questo signore
– le rispose la principessa guerriera, puntando di nuovo la spada
contro Firpide.
- Se proprio insisti… – disse questo – E’ presto
detto. Io e mio fratello eravamo venuti qui per mangiare qualcosa e
ci eravamo seduti ad un tavolo. Sembrava tutto tranquillo senonchè
arriva uno di quegli uomini che ci dice che quello era il suo tavolo
e che voleva mangiarci lui. Noi gli rispondiamo che, stringendoci, c’era
spazio per tutti ma quello comincia a gridare e ad insultarci. Poi si
sa come vanno a finire queste situazioni: da cosa nasce cosa e alla
fine… eccoci qua. -
- Vuoi dire che, da soli, avete sconfitto tutti quegli uomini? –
gli chiese Olimpia, incredula.
- Mah, puoi crederci o no, tuttavia… -
Non ebbe tempo di terminare la frase che un brigante, appena rinvenuto,
si era alzato e, gridando come un matto, si stava avventando su Mesonio
con un coltello in mano. Mesonio, però, che stava ancora finendo
di mangiare i suoi fagioli, non si scompose minimamente e, appena il
brigante gli fu a tiro, gli assestò un sonoro schiaffone che
lo spedì dritto dritto nel calderone dove si stava cuocendo un
qualche tipo di zuppa.
- Odio chi mi disturba mentre sto mangiando – fu il suo unico
commento.
Xena e Olimpia assistettero sbalordite.
- Sai Mesonio – disse la principessa guerriera, rinfoderando la
spada – Mi ricordi molto un mio amico. Si chiama Hercules, lo
conosci? -
- Hercules? Chi è un fabbro? – fu la sua brusca risposta.
- Scusatelo di nuovo – disse Firpide – Il fatto è
che lui sta tutto il giorno chiuso a lavorare nella sua fucina e non
sa quasi niente di quello che avviene fuori. -
Questo poi si rivolse a Olimpia, che finora era stata in disparte, e
la salutò con un elegante baciamano.
- Salve fanciulla – le disse con tono galante – Posso avere
l’onore di conoscere il tuo nome? -
- Bah! – sbottò Mesonio, disgustato dalle romanticherie
del fratello.
Olimpia, invece, sembrava gradire lo stile di Firpide e arrossì
leggermente.
- Io mi chiamo Olimpia e lei è la mia amica Xena – gli
disse.
Xena, che non aveva la minima intenzione di farsi baciare la mano, si
limitò a stringergli il polso.
- A proposito, prima hai detto che tuo fratello lavora in una fucina:
è un fabbro per caso? – gli chiese Xena.
- Il migliore! – disse Mesonio, che aveva appena finito di mangiare
e si era alzato dal tavolo – Modestamente, costruisco i migliori
scudi, armature e ferri di cavallo della Tessaglia. -
- Della Tessaglia? – chiese Olimpia meravigliata – E cosa
ti ha portato fin qui?
- Vedi, questa è una storia lunga e ora non abbiamo il tempo
di raccontare – le rispose seccamente Mesonio, poi rivolto al
fratello – Andiamo, Firpide! Io ho finito. -
Firpide si era caricato sulle spalle un sacco con tutto il necessario
per il viaggio e si apprestava a seguire Mesonio ma Olimpia lo fermò.
- Ehi, aspetta! Dove siete diretti? – gli chiese.
- Se quello scimmione di mio fratello non cambia idea dovremmo andare
a Corinto, perchè? -
- Anche io e Xena siamo dirette a Corinto. Perché non facciamo
la strada assieme, così mi potrai anche raccontare il motivo
del vostro viaggio. -
- No! – sbottò nuovamente Mesonio – Non se ne parla
nemmeno! Questo è un affare mio personale e… -
- …E smettila di fare l’orso! – lo interruppe subito
Firpide – Non si rifiuta mai l’invito di due belle donne
e poi, chissà, potrebbero anche aiutarci a trovare ciò
che cerchiamo. -
- Mmmh… Fai un po’come ti pare – mugugnò Mesonio,
brusco come sempre e uscì dalla taverna.
Firpide strizzò l’occhio a Xena e Olimpia e le lasciò
uscire prima di lui poi, rivolgendosi all’oste che stava ancora
nascosto dietro il bancone disse:
- Metti tutto sul conto di quegli uomini – e indicò un
gruppo di mercenari che avevano appena cominciato a riprendere i sensi.
Poi uscì anche lui dall’edificio.
Quando tutti furono fuori, Olimpia notò che Corilo giaceva ancora
appeso al ramo.
- Anche quello l’hai colpito tu? – chiese Xena a Mesonio.
- Boh, che ne so. Ne ho colpiti tanti… – rispose e si avvicinò
all’albero per controllare.
Proprio in quell’istante Corilo cominciava a riprendersi e a riaprire
lentamente un occhio. Purtroppo, la prima cosa che vide fu Mesonio che
si stava chinando su di lui e, cacciando un urlo disumano, perse l’equilibrio
e cadde a terra. Corilo aveva il terrore dipinto sul volto ed era diventato
ancora più pallido del solito; indicava con un dito Mesonio e
boccheggiava cercando di dire qualcosa, ma non gli usciva neanche una
parola di bocca.
- Sì, è stato Mesonio – concluse Xena e anche lei
si avvicinò allo sventurato guerriero.
- Su, su, non preoccuparti – lo rassicurò – Mesonio
è nostro amico. E’stato tutto un malinteso. Forza, tirati
su. -
Xena allungò un braccio verso Corilo e lo aiutò a rimettersi
in piedi. Mesonio, invece, cercò goffamente di scusarsi.
- Devi perdonarmi, amico. Sai, in certe situazioni non c’è
tempo per riflettere – disse, e gli diede un’amichevole
pacca sulla spalla. A quel gesto Corilo ebbe un tremendo sussulto ed
emise un altro breve urlo. Era chiaro che non si era ancora riavuto
dallo shock. Dopo la paura iniziale, però, sembrò tornare
in sé e, sistematosi l’elmo in testa, gonfiò il
petto cercando di assumere una posizione fiera e baldanzosa.
- Oh, non preoccuparti – rispose Corilo, ostentando una certa
(finta) sicurezza – Per un valoroso guerriero come me il tuo colpo
è stato paragonabile alla carezza di una fanciulla. -
- Ah bè, allora la prossima volta stai più attento. Non
vorrei doverti accarezzare un'altra volta… –disse Mesonio,
alquanto infastidito dalla frase di Corilo, e gli diede due schiaffetti
sulla guancia come ammonimento. Per la terza volta Corilo sussultò.
- Molto bene – fece Xena, rimontando sul cavallo – Ora che
le presentazioni sono state fatte possiamo metterci in cammino. Se tutto
filerà liscio saremo a Corinto per domani mattina. Siete tutti
pronti? -
- Ehi, aspetta un attimo! Tutti chi? – la fermò Corilo.
- Tutti – gli rispose semplicemente la principessa guerriera.
Corilo, allora, divenne pensieroso e cominciò a guardare l’uno
dopo l’altro tutti i presenti, fermando più volte lo sguardo
su Mesonio.
- Oh che sbadato! – esclamò poi – Sai Xena, stavo
pensando che, con tutta quella confusione, il padrone della taverna
avrà un bel da fare a rimettere tutto a posto. Quindi, dato che
molti di quei danni sono stati provocati da me, mi sembra più
che giusto che io mi fermi un po’qui a dargli una mano. Spero
che riusciate a cavarvela anche senza di me. -
- Di questo non preoccuparti – gli rispose sarcastica Olimpia
e Corilo, salutate le due amiche, si dileguò all’interno
dell’edificio.
- Bene – ripetè per la seconda volta Xena – Se siete
tutti pronti, adesso possiamo davvero partire.
- Xena hai più o meno idea di quanto tempo ci metteremo per arrivare
a Corinto? – le chiese la giovane amazzone.
- Considerato che stanotte dovremo accamparci, credo che giungeremo
a destinazione per domani ad ora di pranzo. -
- Meglio così – sentenziò Mesonio – Così
non ci sarà nemmeno il problema di cercarci il cibo. -
In poco tempo tutti sistemarono le loro cose e furono pronti a rimettersi
in marcia. Decisero di comune accordo di non prendere la strada maestra
ma di tagliare attraverso la foresta in modo da fare prima. Come al
solito Xena procedeva per prima in groppa al suo cavallo, mentre Olimpia
la seguiva insieme a Firpide, una delle poche persone che poteva competere
con lei in fatto di loquacità. Da quando erano partiti, infatti,
Olimpia ed il suo nuovo amico non avevano cessato neanche per un attimo
di chiacchierare.
- Oh, dovresti vedere che spettacolo in questo periodo che è
Lutezia – diceva Firpide – Se non sbaglio sono passati già
due anni dall’ultima volta che ci andai. Sai, ero ospite di un
mio amico, il prefetto romano in Gallia, Decimo Meridio… -
Mentre Olimpia gli parlava delle sue avventure con Xena, questo le raccontava
dei suoi numerosi viaggi. A sentirlo, sembrava che avesse visitato ogni
singolo villaggio sulla Terra e che, in ognuno di questi, vi fosse un
personaggio importante che lui conosceva. Xena ascoltava tutto senza
voltarsi ma ogni volta accennava un sorriso. Naturalmente non credeva
neppure ad una parola di quello che diceva Firpide. Aveva capito sin
dall’inizio che quello era un fanfarone, tuttavia non gli era
antipatico, anzi apprezzava molto il suo carattere allegro e solare.
Di tutt’altro genere era suo fratello Mesonio. Questi procedeva
per ultimo, distaccato di una decina di metri dal resto del gruppo e,
fino ad allora, non aveva scambiato quasi nessuna parola. Tuttavia neanche
Mesonio aveva fatto una brutta impressione alla principessa guerriera.
Anche se scorbutico e scostante, gli sembrava comunque un uomo onesto.
Inoltre aveva già avuto modo di valutare personalmente la sua
forza. Quello che ancora non le era chiaro, però, era il motivo
del loro viaggio verso Corinto. Firpide e Mesonio, infatti, non sembravano
andare molto d’accordo tra loro e l’ipotesi che quello fosse
solo un semplice viaggio di piacere le sembrava alquanto improbabile.
Quindi, rivoltasi a Firpide, che stava ancora rifilando ad Olimpia con
le sue spacconerie, gli disse:
- Scusa se ti interrompo, Firpide, ma perché adesso non ci racconti
cosa vi porta a Corinto? -
- Ma, vedi, come ho già detto ad Olimpia questa è una
storia piuttosto complessa. Che ne dici se vi racconto tutto stasera,
quando saremo tutti intorno al fuoco? Non manca poi molto al calare
del sole.-
- D’accordo, come vuoi – fu la risposta di Xena.
I quattro proseguirono senza intoppi per altre due ore, poi, quando
sembrava che fosse giunto il momento di accamparsi, la principessa guerriera
scorse in lontananza alcune ombre che sembravano volersi mimetizzare
tra la boscaglia. Anche Firpide sembrava essersi accorto del pericolo
e ,levatosi di spalla il suo sacco da viaggio, cominciò a farlo
roteare in aria fingendo di giocherellarci. I due si scambiarono un
occhiata d’intesa e si prepararono al combattimento. Subito, infatti,
un gruppo di otto uomini, tutti protetti da una corazza di cuoio nera,
saltarono fuori dai cespugli gridando come dannati. Avevano tutti un
aspetto minaccioso e tenevano le spade sguainate. Olimpia, che non si
era accorta di niente, fece un salto per lo spavvento mentre Mesonio
si limitò a sbuffare e a scuotere la testa.
- Chi siete e cosa volete? – chiese Xena ad uno degli uomini,
guardandoli dall’alto in basso.
- Chi siamo non importa, ma quello che vogliamo è presto detto:
uccidervi tutti! -
- Quante volte ho sentito questa frase… e mai una volta che ci
sia riuscito qualcuno – Lo schernì la guerriera e, cacciando
il suo tipico grido di battaglia, saltò via dalla sella di Argo
e atterrò in piedi sulle spalle del nemico. Questo, che non riuscì
mantenere l’equilibrio, cadde rovinosamente a terra mentre Xena,
grazie ad un altro salto all’indietro, finì vicino ad Olimpia.
- Hai visto che i miei salti sono ancora perfetti? – le disse
scherzosamente.
- Sì, non c’è male – le rispose l’amica
e mise mano al bastone.
Gli otto sicari si divisero equamente i loro avversari: due su Xena,
due su Olimpia, due su Firpide e due su Mesonio. Sin dall’inizio
la lotta si rivelò cruenta e accesa e ognuno combatteva con uno
stile differente. Xena evitava gli attacchi dei nemici grazie alle sue
acrobazie e rispondeva prontamente colpendoli con potenti fendenti di
spada o a colpi di arti marziali. Olimpia, invece, sfruttava la lunghezza
della sua asta impedendo ai suoi due uomini di avvicinarsi e attaccando
non appena questi lasciavano il fianco scoperto. Firpide dapprima usò
il suo sacco come arma colpendo i suoi nemici e cercando di sbilanciarli.
Quando tutti e due furono a terra gettò via il sacco e, non appena
questi si furono rialzati, cominciò a colpirli con una rapidissima
serie di pugni e calci. Firpide sembrava divertirsi mentre combatteva
e cercò più volte di ridicolizzare gli avversari facendo
in modo che si colpissero tra loro o prendendoli a schiaffi come se
fossero due fanciulli. Tuttavia il più devastante dei quattro
era Mesonio. Questo all’inizio si fece colpire dai suoi nemici
solo per fargli vedere che i loro pugni non gli facevano alcun effetto,
poi colpì entrambi con un poderoso cazzotto sulla spalla che
li piegò in ginocchio. In quattro e quattr’otto gli assalitori
furono sconfitti e Xena, che voleva dei chiarimenti, si avventò
su uno di loro e lo colpì al collo con le dita.
- Ho appena colpito uno dei tuoi punti di pressione bloccandoti l’afflusso
di sangue al cervello. Se non vuoi morire dimmi subito perché
ci avete attaccati.
Il disgraziato cadde subito a terra diventando bianco come un lenzuolo.
Non riusciva a respirare e un rivolo di sangue comiciò a colargli
dal naso.
- Va… va bene – disse a stento – Ti dirò tutto.
E’… è stato Sarpedonte a mandarci. Non so…
non so il perché, ma credo che ce l’abbia con qualcuno
di voi. -
- Mmh… - mugugnò Xena, facendosi pensierosa – Credo
proprio che sia di nuovo arrivato il tempo delle spiegazioni. -
- Ehi! Avevi… avevi detto che mi avresti liberato! – le
gridò l’uomo vedendola persa tra i suoi pensieri –
Sbr… sbrigati, altrimenti ti ammazzo! -
Con le ultime energie rimastegli, il sicario aveva trovato la forza
di impugnare la spada e sollevarla contro la principessa guerriera.
Questa, però, non sembrò affatto turbata, anzi voltò
le spalle al nemico.
- Non puoi uccidermi. Tu sei già morto – fu la sua risposta.
Il volto dell’uomo si contrasse in una maschera di terrore. Cominciò
a tremare come una foglia e la spada gli cadde di mano, poi sembrò
smettere del tutto di respirare. Xena, tuttavia, conosceva alla perfezione
la tecnica del pinch e, appena un attimo prima che lo spirito del sicario
salisse sulla barca di Caronte, fu pronta a voltarsi di nuovo ed a colpirgli
nuovamente il collo. Il respiro dell’uomo tornò regolare,
ma subito svenne per lo shock.
- Idiota! – fu il secco commento di Xena.
Gli altri suoi sette compagni, invece, avevano appena cominciato a riprendere
i sensi e, caricatoselo in spalla, si diedero alla fuga.
- Bè, credo che stavolta sia arrivato davvero il momento delle
spiegazioni – disse Firpide – Mesonio, vuoi raccontargliela
tu la storia? -
- No, parla tu che sei più bravo – gli rispose il fratello.
Firpide aspettò che Xena e Olimpia sistemassero l’accampamento,
poi, sedutosi vicino al fuoco cominciò.
- Conoscete il Martello di Efesto? E’una reliquia sacra al dio
del fuoco che viene data in premio al miglior fabbro della Grecia. Ogni
quattro anni, infatti, si svolge una manifestazione a cui partecipano
i più grandi fabbri dell’Ellade e, al vincitore, viene
consegnato il Martello. Questo, poi, dovrà conservarlo per i
successivi quattro anni, fino al prossimo incontro. -
- Fammi indovinare – disse Olimpia – L’ultima volta
il Martello l’ha vinto Mesonio. -
- Proprio così. Il problema è che gli è stato rubato
e tra nemmeno un mese ci sarà il prossimo raduno. -
- E quindi tuo fratello ha paura di essere ritenuto il colpevole, giusto?
– chiese Xena.
- Esatto. Per fortuna, in quel momento stavo appena tornando da un viaggio
in Numidia e pensai di passare dal fratellone per salutarlo. -
- Potevi benissimo evitare! – lo interruppe Mesonio, sempre più
scorbutico.
- Ecco, come dicevo, passai da Mesonio e mi raccontò tutto. Ora,
grazie al mio buon cuore… - e guardò suo fratello con un
sorrisetto ironico – …Decisi subito di aiutarlo a mettersi
sulle tracce del ladro così, dopo qualche tempo, scoprimmo che
il mandante era un certo Sarpedonte di Corinto. Evidentemente, ora Sarpedonte
ha scoperto che lo stiamo cercando e ha sguiglianzato i suoi sicari
contro di noi. -
- Tutto chiaro – fece Xena – Contate pure sul nostro aiuto.
D’altra parte anche noi siamo dirette a Corinto. -
- A proposito – la interruppe Firpide – Non ci avete ancora
detto perché anche voi andate a Corinto.-
- Sinceramente non lo so neanch’io. Ho ricevuto una richiesta
d’aiuto da parte di re Giasone e ho sto andando a vedere di cosa
si tratta. -
- Re Giasone, il capo degli Argonauti? Un giorno combattemmo fianco
a fianco contro l’esercito assiro. Ricordo chiaramente quel giorno,
tutto sembrava andare per il peggio… - e cominciò a raccontare
di quella sua presunta impresa, tra l’incredulità di Xena
e la curiosità di Olimpia. Passò così un’oretta
e arrivò quindi il momento di coricarsi. Xena e Olimpia adagiarono
i loro giacigli l’una a fianco all’altra, Firpide si sistemò
sotto un albero, con la schiena appoggiata al tronco e Mesonio si accomodò
in mezzo a due cespugli. Per un po’regnò il silenzio, poi
la voce di Olimpia spezzò quell’atmosfera rilassata.
- Ah no, Xena. Stanotte, per favore, dormi girata dall’altra parte.
L’ultima volta hai russato tutto il tempo dentro il mio orecchio
e la mattina dopo mi sono svegliata con quel rumore ancora in testa.
-
- Che cosa? Adesso non ricominciare – replicò la principessa
guerriera – Io non russo affatto. Semmai sei tu che hai il sonno
agitato e non fai altro che scalciare tutta la notte. -
Le due andarono avanti per un po’, battibeccandosi a vicenda,
poi entrambe si appisolarono. Firpide le guardava da sotto il suo albero
sorridendo e, per un attimo, il suo sguardo furbo e sfuggente cambiò,
diventando rilassato e pieno di tenerezza.
La mattina dopo si svegliarono tutti con un forte mal di testa. Il problema,
infatti, non era il russare di Xena, ma quello di Mesonio che, forse,
era l’unico ad aver dormito bene.
- Dovete scusarmi – si giustificò questo – Ma mi
succede sempre quando mangio leggero. -
Sembrava meno scontroso del solito ed ebbe anche modo di scambiare due
chiacchiere con Olimpia. Firpide, tuttavia, non si vedeva.
- Meglio così – disse Mesonio – Più è
lontano da me, più sono contento – e scoppiò in
una fragorosa risata. Evidentemente quello che aveva detto era vero.
- Credo che sia andato al fiume a lavarsi – disse Xena –
Il suo sacco è ancora qui. -
Dopo un po’infatti, Firpide ritornò, fresco e pimpante.
- Dove sei stato? – gli chiese il fratello, tornando al suo solito
tono.
- A fare qualcosa di cui avresti bisogno anche tu ogni tanto: lavarti
– rispose.
- Bah! – sbottò Mesonio e si girò dall’altra
parte.
Firpide si stava asciugando i capelli con un panno, poi vide che il
suo sacco giaceva ancora sotto l’albero e pregò Olimpia
affinchè glielo portasse. Questa annuì e andò a
prenderglielo.
- Per tutti gli dei! – esclamò la ragazza – Che cosa
ci porti qui dentro che lo fa pesare tanto? -
- Oh, niente di speciale – rispose – solo lo stretto necessario
per girare il mondo. -
Olimpia gli porse il sacco, tuttavia le sfuggì la presa un attimo
prima che Firpide lo avesse afferrato. Il sacco cadde per terra, su
una pietra, emettendo un forte suono metallico. Mesonio, che lo aveva
udito, si girò di scatto, con una strana luce negli occhi.
- Clang? – disse, imitando il suono di prima – Non è
possibile! Sono vent’anni che faccio il fabbro e che mi venga
un colpo se quello non è il suono di ciò che penso io.
-
Mesonio si avventò come una furia sul sacco di Firpide e, prima
che questo potesse raccoglierlo, cominciò a rovistarvi dentro.
D’un tratto il suo viso divenne rosso per la collera e i suoi
occhi cominciarono a saettare. Aveva tirato fuori la mano dal sacco,
stringendo in essa un martello molto particolare. Era un pesante martello
da fucina, con la testa d’oro massiccio ed il manico d’argento
tempestato di rubini ed opali di fuoco. Mesonio cominciò a sbuffare
nervosamente, poi, all’improvviso, si scagliò su suo fratello
afferrandolo alla gola.
- Dammi solo un motivo per cui non dovrei usare questo martello per
spaccarti tutti i denti – gli disse in preda all’ira, e
stava per farlo davvero se Xena non gli avesse trattenuto il braccio.
- Calmati Mesonio – gli disse frapponendosi tra lui e Firpide,
ma la forza di quel colosso era immane e rischiava di trascinar via
persino la principessa guerriera. Anche Olimpia intervenne per proteggere
l’amico e solo allora Mesonio si arrestò, per evitare di
colpirla.
- Su Mesonio, calmati – gli ripetè Xena – Siediti
su quella roccia laggiù e respira profondamente. Penseremo noi
a parlare con tuo fratello e a farci dire il motivo del suo gesto. -
Mesonio ubbidì e Olimpia andò con lui nel tentativo di
rasserenarlo. Firpide, invece, teneva lo sguardo basso e, raccolto il
suo sacco da terra, se lo risistemò in spalla.
- Così quello è il famoso Martello di Efesto. Perché
era nel tuo sacco? Cosa avevi intenzione di fare? – gli chiese
la principessa guerriera con un’espressione severa e dispiaciuta
allo stesso tempo.
Firpide tenne un altro po’la testa bassa, poi la sollevò
guardando Xena negli occhi. Contrariamente a quello che tutti credevano,
Firpide stava sorridendo e, vedendo Olimpia che faceva aria a Mesonio
con le fronde di un albero, non potè fare a meno di scoppiare
in una risata.
- Ah, ah, ah, alla fine se ne è accorto! Bè, tanto sapevo
che prima o poi sarebbe successo. D’accordo, ora ti dirò
tutto. Pensa, da quando ci siamo incontrati non faccio altro che fornire
delle spiegazioni. Allora, tutto è cominciato circa un mese fa,
quando andai a Corinto. Avevo con me soltanto pochi denari, così
decisi di tentare la fortuna nella bisca di un certo Sarpedonte. Puntai
tutto su un unico lancio di dado e la sorte, una volta tanto, volle
favorirmi. -
Firpide fece una breve pausa per riprendere fiato. Xena continuava a
guardarlo con sospetto, ma non avvertiva in lui alcuna intenzione ostile.
- Puntai di nuovo tutto quello che avevo guadagnato su un altro lancio
e vinsi un’altra volta. Tentai ancora e per la terza volta ebbi
fortuna. La cosa andò avanti per un bel po’, finchè
mi ritrovai con una montagna di denari in tasca. -
- Quanti per l’esattezza? – chiese la principessa guerriera.
- Allora, vediamo un po’… se ben ricordo, dovevano essere
619 denari, non uno di più, non uno di meno. -
A quella cifra Xena ebbe un sussulto. Era davvero una somma ingente,
soprattutto considerato che era stata accumulata in così poco
tempo.
- Ho capito – disse Xena – E poi cosa è successo?
- Bè, poi la situazione si è complicata. Avevo deciso
di fare un ultimo tiro, ma il dado cadde dal tavolo e finì vicino
ai piedi di uno degli scagnozzi di Sarpedonte. Quando questo raccolse
i dado si accorse subito che c’era qualcosa di strano e per me
cominciarono i guai. -
- Vuoi dire che quello era un dado truccato? -
- Esatto. Avevo scambiato il dado regolare con il mio dado truccato
un attimo prima del primo lancio. Non appena il mio inganno venne scoperto,
tutti gli uomini di Sarpedonte si scagliarono contro di me. Se mi avessero
preso mi avrebbero ucciso all’istante, ma io riuscii a scappare
con la vincita prima che questi potessero acciuffarmi. -
- Ora è tutto chiaro – esclamò Xena – Era
te che volevano quei sicari di prima. -
- Già. Si misero subito sulle mie tracce e da allora non ebbi
più un minuto di tranquillità. Quegli uomini erano troppi
anche per me, avevo assolutamente bisogno di un aiuto.
- E chi, meglio di tuo fratello, poteva aiutarti? – fece Xena.
- Vedo che cominci a capire – le disse Firpide – In effetti
fu proprio così. Pensai che l’unico che poteva darmi una
mano era Mesonio, ma i nostri rapporti non erano mai stati idilliaci.
Avevo bisogno di qualcosa che lo spingesse ad aiutarmi, così
pensai di rubargli di nascosto il martello. Il giorno dopo, quando mio
fratello si era già accorto della sua scomparsa, feci finta di
passare lì per caso e cercai di fargli credere che dietro quel
furto si nascondeva Sarpedonte. -
- Quindi i sicari di prima non c’entravano niente col Martello
di Efesto, volevano soltanto te – concluse la principessa guerriera
che, sotto sotto, un po’ammirava l’astuzia di Firpide –
Il discorso non fa una grinza, però voglio farti ancora due domande.
La prima è: cosa ne hai fatto dei denari rubati? Non sarebbe
stato più semplice restituirli a quegli uomini e farla finita?
-
- Bè, Xena, vedi… Il viaggio da Corinto a casa di Mesonio
è piuttosto lungo. Avevo pur bisogno di svagarmi un po’durante
il tragitto. -
- Vuoi dire che sei riuscito a sperperare 620 denari… -
- 619 – la corresse Firpide.
- … 619 denari solo durante il viaggio da corinto alla Tessaglia?
– chiese Xena stupefatta. Firpide non rispose e si limitò
ad abbozzare un sorriso.
- D’accordo – continuò Xena – Ti faccio l’ultima
domanda. Chi è questo Sarpedonte? -
- Mah, veramente, non lo so bene nemmeno io – le rispose Firpide
– Io non l’ho mai visto di persona, so solo che era il proprietario
della bisca. Non so dirti niente di più, davvero. Io e Mesonio
stavamo appunto tornando a Corinto per liberarci di lui una volta per
tutte. -
Appena Firpide ebbe finito di parlare, non potè fare a meno di
volgere lo sguardo verso Mesonio. Questo, però, aveva ascoltato
tutto e si stava dirigendo verso di lui con un’espressione che
non lasciava intendere niente di buono.
- Non riuscirò mai a capire per quale motivo nostra madre perse
tempo a metterti al mondo, quando avrebbe potuto tranquillamente continuare
ad occuparsi dei suoi clienti – lo aggredì a denti stretti
Mesonio.
- Ah, ah, ah… – replicò Firpide con tono ammonitorio
– Lascia stare la povera mamma. -
- Sappi comunque una cosa – proseguì Mesonio più
furibondo che mai – Tra noi è tutto finito, non voglio
più saperne niente di te. Io me ne torno in Tessaglia col mio
martello e spero che gli uomini di Sarpedonte ti trovino e ti riducano
a brandelli. -
Firpide rispose con un altro sorrisino ironico.
- Vedi fratello, mi dispiace deluderti, ma adesso quegli uomini ce l’hanno
anche con te. Ho riconosciuto alcuni di loro tra i tipi che hai picchiato
alla locanda, per non parlare dei sicari di ieri sera… -
Mesonio, per la stizza, si tirò da solo una manata in faccia
e se la strusciò per tutto il viso, mentre imprecava qualcosa
sottovoce.
- Bè, sembra che ci troviamo tutti nella stessa situazione –
disse Xena – A questo punto credo che la cosa più logica
sia andare tutti insieme a Corinto, poi vedremo cosa fare. -
Firpide e Olimpia sembrarono accettare di buon grado la proposta della
principessa guerriera e annuirono con un rapido cenno del capo. Soltanto
Mesonio appariva ancora irrequieto e continuava a imprecare contro il
fratello, mentre girava in cerchio stringendo tra le mani il suo Martello.
- D’accordo – disse poi, fermandosi di colpo – Ma
sia chiara una cosa: appena sistemata la faccenda con questo Sarpedonte,
ognuno per la sua strada. -
Vedendo Mesonio così infuriato e Firpide così divertito,
Olimpia non riuscì a trattenere un sorriso, che tuttavia nascose
subito dietro la mano per paura di indispettire ancora di più
il gigante barbuto. Nel frattempo, Xena aveva caricato tutta la sua
roba sulla sella di Argo e sembrava pronta a ripartire.
- Andiamo, Corinto non dista molto ormai! – gridò agli
altri tre.
Il gruppo si rimise in marcia e stavolta Mesonio si rivelò più
loquace del solito. Peccato che le uniche parole che pronunciava fossero
solo insulti rivolti a suo fratello. Firpide, invece, continuò
a parlare con Olimpia, la quale si rivelò molto comprensiva nei
suoi confronti e gli promise più volte che lei e Xena lo avrebbero
aiutato. Il viaggio non durò molto e, in poco meno di tre ore,
i quattro giunsero sotto le mura di quella che veniva considerata la
più ricca città della Grecia. Xena smontò di sella
e lasciò libero il suo cavallo.
- Aspettaci qui e fai il bravo – gli disse, accarezzandolo sul
collo.
Quando tutti furono entrati all’interno della città, Corinto
si presentò ai loro occhi del tutto meritevole della sua fama:
le strade principali, larghe e assolate, si incrociavano con vie più
strette e vicoli affollati, creando un’intricata ragnatela nella
quale uno straniero si perderebbe in pochi istanti. Gli edifici, costruiti
con blocchi di pietra bianca e levigata, splendevano sotto i raggi di
quel caldo sole estivo, mentre una piacevole brezza faceva ondeggiare
dolcemente i rami degli alberi sparsi qua e là per le strade.
Ovunque vi erano botteghe di artigiani o bancarelle di mercanti intenti
a svolgere il proprio lavoro, e il vociare delle donne che contrattavano
per uno sconto sul pane, lo stridio del martello che batte sull’incudine
e lo starnazzare dei polli dentro le gabbie invadevano ogni angolo della
città. Sacchi pieni di spezie esotiche emanavano un intenso profumo
che inebriava i sensi e dalle entrate delle varie locande si diffondeva
l’odore di prelibate pietanze che aspettavano solo di essere mangiate.
L’intera città era dominata dal palazzo reale, che la sovrastava
dall’alto di un colle, sul quale non sorgeva nessun’altra
costruzione.
- E’ fantastico! – disse eccitata Olimpia, mentre contemplava
quel posto così pieno di vita e movimento – Non pensavo
che Corinto fosse davvero così… non so, non trovo neanche
le parole per descriverla. -
- Bè, in effetti è piuttosto diversa dai villaggi che
frequentiamo di solito – le rispose la principessa guerriera.
- Sembra proprio che re Giasone se la passi bene – commentò
Mesonio e Xena, che per un attimo si era persa anche lei tra le meraviglie
del luogo, rammentò subito il motivo del loro viaggio.
- Presto, Olimpia – disse – Non dimentichiamoci che Giasone
ci sta aspettando. Più tardi avremo tutto il tempo che vogliamo
per visitare la città. -
- D’accordo, Xena. Credo che il palazzo del re sia quello in cima
alla collina. Non dovremmo metterci molto ad arrivare. -
Xena si limitò ad accennare con la testa, poi si rivolse ai due
fratelli.
- Bene, sembra che per il momento dovremo dividerci. Io e Olimpia andiamo
al palazzo del re. Se riuscite, voi cercate informazioni su Sarpedonte.
Ci incontreremo ad ora di pranzo nella taverna qui di fronte. -
- Sì, comandante – le rispose ironico Firpide, imitando
un saluto militare, e si allontanò lungo una delle strade più
affollate. Mesonio stava per seguirlo, ma si sentì trattenere
per una spalla da Xena.
- Ehm, Mesonio… – gli disse lei, prendendolo in disparte.
- Sì, cosa c’è? – chiese l’uomo.
- Ti prego, quando torniamo non farci trovare distrutta anche questa
taverna. -
Mesonio si fece una bella risata. Per la prima volta, da quando aveva
scoperto l’imbroglio del fratello, il suo viso sembrò di
nuovo tranquillo e disteso.
- Va bene, ci proverò – le rispose e la salutò stringendole
il polso.
Olimpia sembrò felice nel vederlo calmato, dopo tutte quelle
sfuriate. In fondo non era cattivo, semplicemente aveva un pessimo carattere
che lo portava ad essere scontroso e irascibile. Come previsto dalla
giovane amazzone, non ci volle molto per raggiungere il palazzo reale.
Quello doveva essere un palazzo molto antico, infatti non presentava
tutti quei fregi e quelle decorazioni che caratterizzavano gli edifici
più nuovi di Corinto. Sembrava, più che altro, una specie
di roccaforte costruita allo scopo di offrire un rifugio agli abitanti
della città in caso di attacco esterno. Se questo suo aspetto
conferiva al palazzo un aspetto marziale, di tutt’altro genere
erano i giardini che lo circondavano. Un soffice manto erboso ricopriva
tutta la collinetta, mentre alcuni strati di siepi la percorrevano in
ogni verso dando origine ad un armonico labirinto verde. Il palazzo
era presidiato da uno scarno drappello di guardie che, appena videro
le due amiche avvicinarsi, si mossero verso di loro con le armi in pugno.
Xena, tuttavia, non si perse d’animo e, mostrando i palmi delle
mani in segno di non belligeranza, si apprestò a spiegare tutto
al primo uomo che le si fece incontro.
- Ho capito – disse questo rinfoderando la spada – perdonatemi.
Vi annuncerò subito a Re Giasone.
Poi fece segno alle due di seguirlo e le condusse all’interno
del palazzo.
- Il re, adesso, sta dando udienza ai cittadini nella stanza del trono
– continuò la guardia – aspettate qui, mentre io
vado a parlargli di voi.
Xena e Olimpia aspettarono qualche minuto in un salone sulle cui pareti
erano dipinte le imprese degli Argonauti.
- Però – disse Olimpia – sono proprio impaziente
di conoscere il capo degli Argonauti.
- Dillo a me… – le rispose Xena, alla quale erano tornati
in mente i ricordi della sua infanzia.
Dopo un po’, la guardia si ripresentò alle due dicendo
che il sovrano era pronto per parlare con loro e le accompagnò
personalmente alla sala del trono. Giasone sedeva in fondo alla stanza
e, appeso al muro, proprio sopra la sua testa, faceva bella mostra di
sé il leggendario Vello d’Oro, che tanta gloria gli aveva
portato. Il sovrano appariva alquanto invecchiato e i suoi capelli,
un tempo bruni e folti, erano attraversati da numerose striature argentate.
Gli occhi, però, scuri e profondissimi, sembravano non aver perso
niente della loro antica vitalità. A Xena non sembrava vero di
poter finalmente conoscere colui che per lei era stato un modello da
seguire e, come mai aveva fatto prima di allora, si inchinò di
fronte al re.
- Re Giasone, io e la mia amica Olimpia siamo onorate di fare la tua
conoscenza – gli disse con sincera ammirazione, sotto lo sguardo
meravigliato di Olimpia.
Giasone, però, volle accantonare ogni formalità e, alzatosi
dal trono, andò dalle due donne e le strinse tra le braccia come
se fossero figlie sue.
- L’onore è tutto mio – disse loro – Hercules
mi ha parlato tanto di voi e gli amici di Hercules sono anche amici
miei.
- Hercules? – chiese Olimpia.
- Già – le rispose il re – Attualmente lui è
impegnato a risolvere i problemi di un villaggio la cui gente diventa
invisibile a causa di alcune pietre, così ho pensato di rivolgermi
a voi. Ormai le vostre imprese hanno cominciato a prendere il posto
delle mie nei racconti degli aedi: i Titani, la galea di Cecrope, Callisto…
- Sono a tua completa disposizione– disse la principessa guerriera
– spiegaci pure qual è il problema e noi cercheremo di
aiutarti in ogni modo. -
- E’ presto detto. Da un po’ di tempo non riesco più
a mantenere il controllo su Corinto a causa di una banda di criminali,
capeggiati da un certo Sarpedonte.
- Sarpedonte? – fecero all’unisono Xena e Olimpia, guardandosi
stupite l’un l’altra.
- Cosa c’è? Lo conoscete, forse? – chiese il monarca.
- Bè, diciamo che ne abbiamo sentito parlare, recentemente –
fu la risposta di Xena – Puoi dirci qualcosa su di lui? -
- In realtà non posso dirvi più di tanto. Sappiamo solo
che è riuscito ad unire tutte le vecchie bande di delinquenti
e adesso manovra tutti gli affari illeciti della città: usura,
schiavi, gioco d’azzardo…
- E dov’è il problema? – chiese Olimpia – Non
puoi mandare i tuoi soldati contro di lui? -
- Magari fosse così semplice – replicò Giasone –
Il problema è che Sarpedonte gestisce le sue cose soltanto attraverso
i suoi uomini di fiducia. Ufficialmente lui è un rispettabile
cittadino, anche se nessuno lo ha mai visto di persona. Addirittura
c’è chi pensa che dietro quel nome non ci sia una persona
reale, ma che sia soltanto uno strumento usato dalle varie bande per
tener salde le loro alleanze. -
- Quindi non puoi agire direttamente contro di lui… – disse
Xena pensierosa – Però nessuno ti impedisce di agire contro
i suoi uomini. -
- E’ inutile – le rispose il sovrano – Anche molti
dei suoi sottoposti possiedono buone coperture. Inoltre, ogni volta
che riusciamo a catturarne qualcuno, Sarpedonte riesce sempre a rimpiazzarlo
in un batter d’occhio. -
- Cosa possiamo fare noi allora? – chiese la giovane barda.
- Vedi, amica mia – rispose Giasone – Io, come re, non posso
andare contro la legge e arrestare degli uomini senza adeguate prove,
ma voi non siete sottoposte a questo vincolo… -
- E quindi vorresti che noi ce ne occupiamo al tuo posto… - concluse
Xena.
- Ve ne sarei immensamente grato. -
- D’accordo, accettiamo l’incarico. Anche perché
eravamo sulle tracce di questo Sarpedonte già da prima –
disse la guerriera – Ho una sola domanda da porti: puoi indicarci
un luogo dal quale possiamo cominciare le ricerche? -
- Un’attimo, lasciami pensare… Certo! Andate da Vania, è
una donna caldea che si spaccia per veggente. Qui a Corinto non abbiamo
un oracolo vero e proprio, così quasi tutti vanno da lei a farsi
predire il futuro, di modo che, tra una chiacchiera e l’altra,
si tiene sempre aggiornata su tutto ciò che avviene in città.
Potete trovarla nella piazza del mercato. -
- Ti ringrazio re Giasone – disse Xena – Torneremo da voi
non appena scopriremo qualcosa di utile-
Giasone salutò calorosamente le due donne e le fece accompagnare
all’uscita del palazzo da due dei suoi armigeri. Una volta fuori,
Xena si rivolse a Olimpia e, poggiandole una mano sulla spalla le disse:
- Che strani i casi del destino…
- Ma come? – le rispose l’amica – Non eri tu quella
che diceva sempre che il destino ce lo costruiamo con le nostre mani?
-
- Oh, sì. Tuttavia pensa un po’: prima con Firpide e Mesonio
e adesso con Giasone. Sembra proprio che dovremo aver a che fare con
questo Sarpedonte. -
- Bè, speriamo almeno sia un bel’uomo… -
- Uhm, non credo. Un tipo che si nasconde dietro gli altri per fare
i suoi sporchi comodi, evitando di esporsi in prima persona, di solito
si rivela sempre un vecchio maiale. -
- In ogni modo, credo che dovremo andare ad incontrare quella Vania.
-
- Infatti, sbrighiamoci. Il sole è alto e non vorrei far aspettare
troppo Mesonio e Firpide alla taverna.
- Già, chissà cosa potrebbero combinare ancora, quei due…
-
Xena e Olimpia si misero in marcia e in poco meno di cinque minuti arrivarono
alla piazza del mercato. Per fortuna, ormai l’ora di chiusura
dei negozi si stava avvicinando e non c’era più tutta quella
ressa che le due amiche avevano trovato al loro arrivo in città.
Per Olimpia non fu difficile individuare l’abitazione di Vania.
Proprio di fronte a lei, infatti, sorgeva un edificio che all’apparenza
poteva sembrare normale, ma ad uno sguardo più attento sarebbe
risultato pieno di particolari insoliti. Era un palazzo color terracotta
di tre piani, ma soltanto il pianterreno destava l’attenzione.
Sopra una sgangherata porta di legno marcio, infatti, c’era una
pensilina di tela, sulla quale erano disegnati alcuni simboli magici,
mentre un cartello riportava la frase: “So già che siete
lì fuori”.
- Dev’essere quella – disse Olimpia indicando la casa –
Cosa facciamo? -
- Ah, non lo so – le rispose Xena – Sei tu quella che parla.
Io agisco. -
Olimpia rimase pensierosa per un po’, ma dopo qualche istante
vide la porta aprirsi e un uomo, vestito come i sicari della sera prima,
uscire dalla casa.
- Ehi, quello è uno degli uomini di Sarpedonte – disse
all’improvviso la giovane poetessa – Sai Xena, credo proprio
di avere un’idea. -
- Cosa pensi di fare? -
- Aspetta e vedrai. Però devi aspettarmi un po’qui fuori.
-
Olimpia non aveva neppure finito di terminare la frase, che subito corse
verso la porta ed entrò dentro. Sembrava particolarmente sicura
di sé e anche Xena rimase abbastanza sorpresa da quell’atteggiamento.
La stanza in cui si ritrovò la ragazza era, al tempo stesso,
inquietante e pacchiana. Neppure un raggio di luce filtrava dall’esterno
e, se non fosse per qualche candelabro appeso al muro, l’oscurità
sarebbe stata totale. Il pavimento era ricoperto da una moltitudine
quasi esagerata di tappeti e cuscini, mentre alcuni idoli raffiguranti
Thot, il dio egizio della conoscenza e dei misteri, e altre divinità
orientali, erano disseminati un po’ovunque. Alcuni bracieri, inoltre,
esalavano un odore di incenso talmente forte da far venire la nausea.
Vania si trovava al centro della stanza, seduta dietro ad una specie
di banchetto rettangolare, coperto da un lenzuolo viola che scendeva
fino a terra. Olimpia rimase molto colpita dall’immagine di quella
donna. Vania, infatti, pur avendo superato da molto la sessantina, aveva
un aspetto quantomeno eccentrico. I capelli, corti e dritti, erano tinti
con un colore rosso fuoco, lo stesso colore che aveva usato per dipingersi
le unghie, lunghe qusi due pollici, e per le labbra. Vania indossava
un’ampia tunica dorata che risplendeva alla luce delle candele
e che la faceva apparire più imponente di quanto realmente fosse.
Olimpia, che come abbiamo detto era rimasta piuttosto turbata da quell’ambiente,
si avvicinò con circospezione alla donna e le si sedette di fronte.
- Salve, bella fanciulla – le disse l’indovina, sfoggiando
un sorriso talmente largo, da sembrare finto.
- Salve a te. Tu devi essere Vania – rispose Olimpia, che si sentiva
sempre più a disagio. Sembrava avesse perso molto di quello slancio
che aveva prima di entrare dentro.
- Cosa posso fare per te? Oh, ma se vuoi, non dirmelo… tanto lo
so già. -
- Bè, vedi… Io sono la donna di quel tipo che è
uscito da qui appena prima di me. Il problema è che… -
- Che strano – disse Vania, interrompendola – Ifito non
mi ha parlato affatto di te. -
Olimpia ebbe un sussulto, non sapeva cosa rispondere. Per fortuna, però,
le venne subito in mente un’idea.
- Il problema è proprio questo – disse, riacquistando un
po’di sicurezza – E’che, ultimamente, il mio uomo
mi trascura. Non so più cosa fare. Sono venuta da te proprio
per chiederti di leggere il mio futuro riguardo all’amore. -
Vania sorrise di nuovo, ma era solo la sua bocca a sorridere. I suoi
occhi, infatti, brillavano di cupidigia, al solo pensiero del denaro
che Olimpia avrebbe dovuto sborsare per la predizione, mentre le sue
mani si sfregavano continuamente l’una con l’altra.
- Allora – disse la veggente con fare lezioso – Vuoi parlarmi
un po’della situazione tra voi due? Non che io non sappia già
tutto, te lo chiedo solo per lasciarti sfogare un po’. -
- Vedi, fino a poco tempo fa sembrava che nulla potesse separare da
me il mio Ificle, poi, però…
- Ificle? – chiese Vania.
- Ificle? – ripetè Olimpia – Oh, scusa, volevo dire
Ifito. Ifito! Bè, comunque, tutto sembrava andare per il meglio,
almeno fino a quando lui non decise di entrare a far parte della banda
di Sarpedonte. I problemi sono cominciati da allora. Ifito iniziò
a disinteressarsi sempre più di me, a volte spariva anche per
diverse settimane senza che io sapessi nulla. Detto tra di noi, credo
che sia finito anche in prigione. Scommetto che prima sia venuto da
te soltanto per sapere se fosse riuscito a procurarsi altro denaro da
portare al suo capo.
- Bè, più o meno – disse Vania, porgendo ad Olimpia
un mazzo di carte – Adesso, però, pesca tre carte da questo
mazzo e vediamo cosa le Parche ti abbiano riservato. -
Olimpia fece esattamente quello che le aveva detto la veggente e pose
le carte sul tavolo. La prima raffigurava una spada, la seconda una
clessidra e la terza un mucchietto di denari.
- Non preoccuparti – disse la veggente – Presto le cose
tra te e il tuo uomo torneranno alla normalità. Devi solo aspettare
un po’e dargli il tempo di farsi una posizione di comando tra
gli uomini di Sarpedonte. Vedrai che quando avrà raggiunto i
suoi obiettivi, tornerà da te e ti ricoprirà d’oro
e tu potrai vivere come hai sempre sognato. -
- Ma, sei sicura di quello che dici? – chiese Olimpia, che sperava
di ottenere qualche altra informazione. A quella frase il viso di Vania
cambiò e assunse un’espressione compunta e risentita. La
veggente si raddrizzò sulla sedia e, con voce altera, cominciò
a rimproverare la ragazza.
- Stai forse mettendo in dubbio le mie capacità divinatorie?
– disse fissandola negli occhi.
- No, io non… -
- Ebbene sappi che, finora, nessuna delle mie predizioni si è
mai rivelata sbagliata. C’è chi mi ritiene perfino superiore
all’oracolo di Delfi e non sarà certo la prima sciacquetta
con problemi sentimentali che potrà permettersi il lusso di dubitare
dei miei poteri – man mano che parlava, Vania aumentava sempre
più l’intensità della sua voce e alla fine si ritrovò
a gridare come un’isterica.
- …Quindi fai un po’come ti pare – continuò
la veggente – Se vuoi seguire il mio consiglio, buon per te, altrimenti
paga comunque i cinquanta denari per la predizione e continua a disperarti
per quell’ubriacone di Ifito. D’accordo? -
Vania strillò talmente forte quelle ultime parole in un orecchio
di Olimpia, da lasciarla stordita per qualche attimo. La ragazza rimase
abbastanza turbata dall’improvviso cambiamento d’umore dell’indovina
e subito pensò che, se voleva scoprire qualcosa di più,
doveva per forza farla tornare in sé.
- Scusami, Vania – disse – perdona le mie parole. Io non
stavo affatto dubitando delle tue capacità, sono soltanto preoccupata
per Ifito. Sai, il problema è che in questa storia è coinvolto
anche Sarpedonte e ho sentito dire che sia molto potente. Non vorrei
che a Ifito succedesse qualcosa di male. -
Olimpia sembrò riuscire nel suo intento. Vania, infatti, cominciò
a ricomporsi e abbozzò un mezzo sorriso nei confronti della poetessa.
- Bene, mia cara – le disse – In questo caso farò
finta di niente. D’altra parte ti capisco se ti preoccupi a causa
di Sarpedonte. Non è certo un tipo con cui stare tranquilli,
in fondo è riuscito ad unire sotto il suo dominio tutte le vecchie
bande di Corinto in pochissimo tempo. Pensa che furono addirittura gli
uomini di Krono i primi ad unirsi a lui, appena due o tre mesi dopo
la morte del loro capo. -
- Krono? Chi è Krono? – Olimpia stava per rivolgere questa
domanda alla veggente, ma poi pensò che sarebbe stato meglio
tacere, in modo da non destare sospetti.
- Ti ringrazio, Vania – disse, invece – Credo proprio che
seguirò il tuo consiglio. -
- Sono felice per te – le rispose la veggente, che aveva ripreso
a sfregarsi le mani – Sono cinquanta denari per la previsione
e dieci per il consiglio. -
- Come? – fece la ragazza – Prima avevi detto che erano
solo cinquanta denari. -
- Dici davvero? Oh, scusami ma prima ero fuori di me e quando sono nervosa
talvolta non mi rendo conto di ciò che dico. Comunque non mi
sembra che sessanta denari siano una grossa cifra di fronte all’amore
tra due persone. -
- Eh, già – disse Olimpia posando il denaro sul tavolo.
La ragazza salutò alla svelta l’indovina e uscì
dalla stanza rimuginando tra sé e sé.
- Ma pensa un po’, sessanta denari! – pensava – Era
tutto quello che mi era rimasto. Credo proprio che Giasone dovrà
rimborsarmi. -
Xena la stava aspettando fuori, appoggiata ad una staccionata e, appena
la vide uscire, le andò subito incontro chiedendole cosa avesse
scoperto.
- Non molto, purtroppo – le rispose Olimpia – Ti racconterò
tutto alla taverna. E poi dovremo di nuovo far visita a Giasone. -
- Ehi, quanta fretta! – esclamò la principessa guerriera
– Sono proprio curiosa di sapere cosa sia successo lì dentro.
-
- A proposito, Xena – aggiunse poi la giovane amazzone –
Per stavolta mi offri il pranzo? -
Le due si incamminarono verso la taverna dove le stavano aspettando
Firpide e Mesonio. Li trovarono seduti ad un tavolo, l’uno all’angolo
in alto a sinistra e l’altro a quello in basso a destra, in modo
che non fossero seduti né di fronte né di fianco.
- Salve ragazze! – gridò Firpide – Avete scoperto
nulla di interessante? -
Olimpia andò a sedersi in uno dei due posti non occupati del
loro tavolo mentre Xena aspettò l’oste al bancone.
- Solo qualcosina – disse Olimpia – E voi? -
- Neanche quella – rispose Mesonio.
Nel frattempo l’oste aveva raggiunto Xena che, in quel momento,
stava giocando col suo Chakram facendoselo ruotare sulle dita.
- Benvenuta straniera – le disse con aria cordiale – Cosa
desideri? -
- Allora, vediamo un po’ – rispose la guerriera –
Uno stufato di agnello per quel tavolo laggiù e qualcosa da bere
subito per me. Ho la gola talmente secca… -
- Come vuoi – disse l’oste – lo stufato arriverà
tra poco, tu invece prova questo. -
L’uomo versò in un boccale un liquido di colore scuro e
lo porse alla principessa guerriera.
- E’un liquore di mia invenzione che distillo personalmente ogni
anno. L’ho chiamato Averno, perché è amaro come
le sofferenze degli spiriti dannati. Attenta, però, perché
è abbastanza forte. -
- Bah! – fece Xena e afferrò il boccale con l’intenzione
di trangugiare il liquore tutto d’un sorso ma, appena ne sentì
il sapore, non potè fare a meno di sputarlo con un grande spruzzo.
-
- Qui l’unica sofferenza è bere quest’intruglio –
disse all’oste, che aveva preso in pieno – Preferisco non
sapere da cosa lo ricavi, quello schifo. Dammi un bicchiere d’acqua,
per favore. -
Xena stavolta bevve senza problemi, dopo di che andò a sedersi
vicino a Mesonio.
- Ragazzi, fra poco dovrebbe arrivare lo stufato. Voi avete già
mangiato? -
- Sì – rispose Mesonio passandosi una mano sulla pancia
– Ma facciamo volentieri il bis. -
L’oste arrivò portando una pentola piena di stufato di
agnello e la posò al centro del tavolo.
- Allora Olimpia – disse Xena – Adesso puoi dirci cosa ti
ha detto quell’indovina? -
- Da quello che ho capito, sembra che sia coinvolto un altro personaggio
in questa faccenda – rispose la barda – Un certo Krono.
-
- Crono? – chiese Mesonio – chi, il titano del tempo e padre
degli dei? -
- Non proprio – rispose Olimpia sorridendo – Credo che si
dovesse trattare di un altro dello stampo di Sarpedonte. Vania ha detto
che i suoi uomini furono i primi ad unirsi a Sarpedonte, dopo che questo
morì. -
- Krono, Krono… - rimuginò Xena – Non conosco nessun
Krono. -
- Infatti, credo che dovremo tornare dal re, appena avremo finito di
mangiare. -
- Appena avremo finito di mangiare – sottolineò Firpide
e tutti e quattro si gettarono sui loro piatti.
- A proposito, Firpide – disse Xena, tra un boccone e l’altro
– Il re ci ha detto che il gioco d’azzardo è proibito
qui a Corinto, ma tu hai detto di aver vinto tutto quel denaro in una
bisca… -
- Non del tutto – le rispose Firpide – Solo alcuni giochi
sono vietati, o puntate troppo eccessive. Diciamo che gli uomini di
Sarpedonte erano bravi a fare in modo che nessuno si accorgesse di niente.
-
Mentre i quattro mangiavano di gusto, la porta della taverna si aprì
ed entrarono due uomini che, ormai, erano facilmente identificabili
come sgherri di Sarpedonte. Xena, che si accorse subito di loro, smise
di mangiare e cominciò a tenerli d’occhio. I due si diressero
verso il bancone dell’oste con aria minacciosa.
- Se non sbaglio, tu devi ancora pagarci la protezione per questo mese
e per il mese passato – disse uno di loro.
- Sai, non vorrei che un giorno, quando meno te l’aspetti, succedesse
qualche disgrazia, qui dentro – aggiunse l’altro.
L’oste era visibilmente spaventato ed aveva cominciato a sudare
copiosamente.
- Dovete perdonarmi – disse – Ma non ho davvero il denaro
per pagarvi. Ogni mese mi chiedete sempre di più e in questo
modo non mi rimane neppure il necessario per sopravvivere. -
A quella frase uno dei due uomini afferrò l’oste per una
spalla, mentre l’altro stava per colpirlo con un pugno, quando
Xena, che si era alzata dal tavolo, si mise di fronte a lui.
- Chi sei? – gli domandò la principessa guerriera –
Sei forse un esattore delle tasse del re? Non mi sembra che le guardie
reali vadano vestite in quel modo. -
Gli uomini, chiaramente innervositi dall’intervento di Xena, sfoderarono
le spade senza dire neanche una parola. La guerriera, però, non
si perse d’animo ed eseguì un salto in alto, colpendo,
con ciascuna gamba, ognuno dei due uomini. Entrambi caddero doloranti
a terra e Xena fu rapida a sguainare la spada e a puntarla alle loro
gole.
- Bene – disse loro – Dato che siete due esattori del re,
adesso andremo a palazzo così farete rapporto. Olimpia, lega
loro i polsi. -
La ragazza fu rapida ad eseguire l’ordine e, in men che non si
dica, i due sgherri furono ridotti all’inoffensività. Tutti
gli avventori della taverna applaudirono all’impresa di Xena,
soltanto l’oste era rimasto perplesso.
- Pazze! – gridò alle due donne – Cosa vi è
saltato in mente di fare? Adesso gli uomini di Sarpedonte vi daranno
giorno e notte la caccia e, quel che è peggio, si sfogheranno
su di me e sulla mia taverna! -
- Non ti preoccupare – lo rassicurò la principessa guerriera,
posando sul bancone i soldi per lo stufato – Riusciremo a sgominare
la banda di Sarpedonte prima che abbiano il tempo di vendicarsi su di
te. -
Le due amiche, insieme a Firpide e Mesonio, si recarono ancora una volta
al palazzo reale, stavolta trascinando con loro i due delinquenti. Quando
giunsero al cospetto del re, lo trovarono che stava pranzando insieme
ai suoi funzionari.
- Vi prego – disse Giasone – Unitevi a noi.
- Ti ringrazio– gli rispose Mesonio – Accettiamo con piac…
Non riuscì a terminare la frase che Firpide lo zittì con
una leggera gomitata al fianco.
- Come stava dicendo mio fratello, ti ringraziamo, ma non possiamo accettare.-
- Infatti – aggiunse Xena – Abbiamo catturato questi uomini
mentre cercavano di estorcere del denaro ad una taverna. Credo che possano
dirci qualcosa su Sarpedonte e sulla sua organizzazione.
- Ebbene parlate, se non volete passare il resto della vostra vita nei
sotterranei del palazzo – disse il re con voce severa.
I due si guardarono l’un l’altro, poi, uno di loro rispose
al re con voce ferma.
- Mai! – disse – Se Sarpedonte venisse a sapere che abbiamo
rivelato qualcosa su di lui ci farebbe scorticare vivi. -
- E chi vi dice che noi non possiamo fare la stessa cosa se non vi decidete
a parlare? – disse Firpide.
I due si fissarono nuovamente.
- Ma tu… – disse tremando quello di prima – Ma tu
sei il re, Re Giasone… Sei famoso per la tua magnanimità
e bontà d’animo. -
- Oh, ma Re Giasone è lui, non noi – lo interruppe Xena
– Quindi se sapete qualcosa che può interessarci, vi consiglio
vivamente di dircelo. A meno che non vogliate passare qualche ora in
compagnia di Mesonio… Sapete quando non mangia diventa cattivo
e oggi ha mangiato molto poco. -
Mesonio si scrocchiò più volte le ossa delle mani e si
accorciò fino ai gomiti le maniche del vestito.
- D’accordo – disse l’uomo che fino ad allora era
rimasto in silenzio – Vi diremo tutto. Però prometteteci
che poi ci proteggerete da Sarpedonte. -
- Va bene – disse calmo Giasone.
- Noi non abbiamo mai visto Sarpedonte dal vivo, lui si tiene sempre
nascosto nelle sue stanze. Erano i suoi uomini di fiducia a darci gli
ordini, tutti ex seguaci di Krono.
A sentir quel nome, Giasone ebbe un fremito.
- E dove sono le stanze del vostro capo? – chiese Xena.
- Sono proprio sopra la bisca, al piano superiore. Però a nessuno
è permesso di accedervi. -
- Bè, credo che per noi farà un’eccezione, vero
Giasone? – disse la guerriera.
- Vero – le rispose Giasone, tuttavia il suo volto non era più
tranquillo come prima, ma era teso e nervoso – Avete nient’altro
da dirci? -
- Niente – rispose l’uomo.
- Bene, portateli via – ordinò il sovrano alle sue guardie
– In prigione saranno certamente più al sicuro che fuori.
Fra qualche mese li libereremo. -
Il soldato si apprestò ad eseguire l’ordine del sovrano
e, nella stanza, rimasero solo il re e i quattro compagni.
- Krono… Krono… - mormorò pensieroso Giasone.
- In effetti è proprio per questo che siamo tornati da voi –
gli disse Xena – Abbiamo sentito che tutti gli uomini di Krono
adesso hanno posizioni di rilievo nella banda di Sarpedonte. Vorremmo
sapere qualcosa su di lui. -
- Krono è morto – disse, sedendosi poi sul trono –
Fui io stesso ad ucciderlo. Era un giovane signore della guerra che
due o tre anni fa tentò più volte di assediare Corinto.
Per fortuna riuscimmo sempre a respingere i suoi attacchi, ma solo grazie
al fatto che i nostri soldati erano molto più numerosi dei suoi
uomini e, nonstante ciò, ogni volta subimmo delle grosse perdite.
Ricordo chiaramente il giorno in cui lo uccisi. Lui tentò da
solo di assalirmi, mentre stavo effettuando una battuta di caccia fuori
dalle mura della città. Fu un combattimento tremendo ma, grazie
agli dei, riuscii ad avere la meglio. Krono morì, ma io rimasi
gravemente ferito e ancora oggi, a volte, quelle cicatrici tornano a
farmi male. -
- Quindi quel giorno Krono era da solo? – chiese Olimpia.
- Sì, ma dopo la sua morte i suoi seguaci si dispersero e nessuno
seppe più niente di loro. A quanto pare erano tenuti uniti solo
dalla presenza carismatica del loro capo. -
- Ti ringrazio, – disse la principessa guerriera – Penso
che adesso, allora, andremo tutti a fare una visita a Sarpedonte e vedremo
di chiarire la questione. -
- Un momento! – gridò Olimpia, poi proseguì con
voce più bassa, quasi imbarazzata – Re Giasone, ci sarebbe
un piccolo problema… Sai, sono stata da quella veggente, Vania,
e non è stata affatto gentile con i miei risparmi. Non è
che potresti … -
Olimpia si vergognò a finire la frase, ma Giasone capì
subito la sua richiesta e le consegnò sorridendo un sacchetto
pieno di monete d’oro. I quattro, quindi, salutarono il re e uscirono
dal palazzo.
- Firpide, ti ricordi dove fosse quella bisca? – domandò
Olimpia – Uno di quegli uomini aveva detto che Sarpedonte risiede
lì sopra. -
- Sì, dovrei ricordarlo chiaramente – rispose – Che
si fa, andiamo subito? -
- Se tuo fratello ha finito di digerire… – disse ridendo
Xena.
- Pronto e scattante – disse Mesonio, strofinandosi le mani, impaziente
di tirare qualche pugno.
I quattro si diressero verso la casa da gioco indicata da Firpide. Era
un palazzone di due piani, dall’aspetto talmente lussuoso da sembrare
eccessivo. Un gran numero di persone entrava o usciva continuamente
dal portone principale, sotto lo sguardo attento degli uomini di Sarpedonte.
In realtà c’era anche un piccolo drappello di guardie reali
a sorvegliare l’edificio dall’esterno, ma queste sembravano
quasi intimorite dalla presenza degli sgherri. Xena e gli altri fecero
per entrare, ma subito uno di questi li fermò.
- Mi dispiace ma non è permesso entrare con delle armi addosso
– disse.
- Oh, ma noi non vogliamo entrare – rispose la principessa guerriera
– Noi vogliamo soltanto parlare con Sarpedonte. -
L’uomo scoppiò in una risata denigratoria.
- Il nostro capo parla soltanto con chi decide lui, quindi consegnaci
le armi o vattene. -
- Ma io sono sicura che lui vorrà parlare con me quando saprà
chi sono – continuò la guerriera.
- E chi saresti? -
- Io sono Xena, solo i codardi non conoscono il mio nome. -
- X… Xena – balbettò l’uomo al culmine dello
stupore – La famosa principessa guerriera? -
- Alcuni mi chiamano così. -
- Aspetta un attimo – disse l’uomo ed entrò dentro
all’interno del palazzo.
Xena sembrò compiacersi molto nel vedere l’effetto che
il suo nome aveva fatto a quel tagliagole.
- Bè, sembra che io faccia ancora la mia bella figura –
disse la guerriera.
Xena e gli altri rimasero ad aspettare lì fuori per una decina
di minuti, poi il tipo di prima si ripresentò trafelato.
- Sarpedonte dice che è interessato a parlare con te e che potete
entrare – disse a Xena.
Quando i quattro entrarono nella bisca, si ritrovarono in un grande
stanzone, squallido e disadorno. Un gran numero di tavoli era disposto
ordinatamente nella sala, ciascuno adibito ad un diverso gioco. Intorno
ad alcuni tavoli c’erano uomini che giocavano a carte, intorno
ad altri si giocava a dadi. Altri ancora si sfidavano alla morra o,
addirittura, a chi beveva di più. Le grida degli scommettitori
risuonavano per tutta la stanza e sembrava che in ogni momento stesse
per scoppiare una rissa. Tuttavia, la situazione era tenuta sotto controllo
da una moltitudine di scagnozzi di Sarpedonte che giravano per i tavoli
e andavano a sistemare chiunque cominciasse ad esagerare.
- Un bel posticino, davvero – fece Mesonio che stava per cedere
alla tentazione di sfidare qualcuno alla gara di bevute. Firpide, invece,
si teneva piuttosto in disparte, per timore che qualcuno potesse riconoscerlo,
dopo l’ultima volta.
- Allora – disse Olimpia – Dov’è il tuo capo?
Siamo impazienti di parlare con lui. -
- Mi dispiace – le rispose lo sgherro – Ma solo Xena ha
avuto il permesso di incontrarlo. Nel frattempo voi potete divertirvi
a tentare la sorte qui sotto. -
- Ebbene – gli intimò Xena, con voce quasi minacciosa –
Dov’è Sarpedonte? Comincio a stancarmi di aspettare. -
- E’proprio qui sopra – le indicò l’uomo –
Devi solo salire la scalinata. -
Proprio nell’angolo in fondo alla stanza, infatti, c’era
una rampa di scale che portava al piano di sopra. Era una scalinata
di pietra, dritta e ripida, abbellita soltanto da un corrimano in ferro
battuto.
Xena si avvicinò ai suoi tre compagni e disse loro sottovoce:
- Non so cosa mi aspetti lì sopra, ma se dovesse succedere qualcosa,
non dovete assolutamente lasciare che gli scagnozzi di Sarpedonte mi
raggiungano su. Quindi, se doveste sentire il mio grido di battaglia,
attaccateli subito. -
- D’accordo – le rispose Olimpia – Fidati di noi.
-
- Al tuo segnale, qui saranno gli Inferi – confermò Firpide.
La guerriera, quindi, lasciò i suoi amici e, accompagnata dal
solito sgherro, salì le scale. Si ritrovò di fronte ad
un imponente porta di legno a due ante, abbellita da delle lunghe tende
rosse che pendevano ai suoi lati e davanti alla quale si ergevano, immobili,
un paio di gigantesche sentinelle.
- Mio signore – gridò l’uomo – Xena è
qui fuori che aspetta di parlarti. -
- Fatela entrare – l’ordine arrivò secco dalla stanza
oltre la porta.
Le due sentinelle si apprestarono ad aprire quell’enorme porta
e sembrava che solo due persone dotate di una forza eccezionale potessero
essere in grado di smuovere quei pesantissimi battenti. Xena oltrepassò
la soglia e sentì subito la porta richiudersi alle sue spalle.
La stanza nella quale la guerriera era appena entrata differiva completamente
dalla bisca al piano di sotto. Si trattava di una camera superbamente
arredata, come neanche molte regge lo erano. Sul pavimento si stendeva
un immenso e soffice tappeto rosso, che proveniva direttamente dalla
Persia, mentre le pareti erano ricoperte da una grande quantità
di specchi e arazzi. Due colonne circolari si ergevano al centro della
stanza, tutte e due di pregiato granito rosso, levigato fino a farlo
luccicare. Presso la parete di destra c’era un grande letto a
baldacchino, vicino al quale si trovava un oggetto che destò
l’attenzione della principessa guerriera. Si trattava di un busto
di marmo che serviva come sostegno per due ampi paraspalle di cuoio,
rinforzati con un gran numero di appuntiti spuntoni metallici, che non
lasciavano presagire nulla di buono. Questi paraspalle erano allacciati
sul davanti grazie ad un paio di cinte che si incrociavano sul petto
e dietro da diverse stringhe annodate fra loro. Xena passò diversi
istanti ad osservare quella strana corazza, poi il suo sguardo cadde
su un altro oggetto altrettanto interessante. In fondo alla stanza,
con lo schienale rivolto verso di lei, c’era un grosso e robusto
sedile, quasi una specie di trono. Sarpedonte era seduto lì,
ma la sua figura era completamente nascosta dal largo schienale. Xena
riuscì ad intravedere soltanto una sua mano che tamburellava
di continuo sul bracciolo.
- Sarpedonte, suppongo – disse freddamente la principessa guerriera.
- Supponi bene – le rispose l’uomo seduto sul sedile –
Di solito non permetto a nessuno di mettere piede nella mia stanza,
ma per te ho deciso di fare un’eccezione. -
Xena non disse nulla e si limitò ad alzare un sopracciglio.
- A cosa devo l’onore della tua visita? – proseguì
sarcastico Sarpedonte.
- Pensavo di farti una proposta – disse la guerriera – Qualcosa
da cui entrambi potremo trarre grandi vantaggi: un’alleanza. -
- Un’alleanza tra me e te? Sai, ho sentito molto parlare delle
tue imprese, di tutta la gente che hai massacrato, di tutti i villaggi
che hai distrutto… Ti confesso che la cosa mi alletta non poco,
ma… -
- Ma? -
- Il fatto è che io non mi occupo più di questo genere
di cose, o perlomeno non più. E, a quanto ne so, neanche più
tu te ne occupi, vero? -
Xena sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena.
- Cosa vuoi dire? – disse.
- Voglio dire che so anche del tuo recente cambiamento. Adesso tu combatti
in nome della giustizia, contro briganti e signori della guerra…
No, Xena, non riuscirai a ingannarmi. Chi ti ha chiamato? Giasone, forse?
Poveraccio, finalmente deve aver capito che io sono diventato il vero
dominatore di Corinto. -
Sarpedonte cominciò a ridere fragorosamente, poi si alzò
dal sedile, rivelando la sua possente figura. Xena rimase profondamente
sorpresa nel vedere che, quello che lui credeva un vecchio maiale, era
invece un uomo di neanche trent’anni. Sarpedonte era alto quasi
due metri, imponente e muscoloso ma snello e asciutto. I suoi capelli,
lisci e lunghi fino alle spalle, erano color nocciola, mentre i suoi
occhi erano azzurri e freddi come il ghiaccio. Il suo volto, sul quale
si leggeva un’espressione sinistra e sprezzante, era solcato da
una profonda cicatrice sull’occhio destro. Questo sfregio, però,
non lo aveva affatto sfigurato, anzi lo rendeva più attraente
e carismatico. A differenza della maggior parte dei capi di simili bande
criminali, Sarpedonte non vestiva con abiti curiosi e appariscenti.
Indossava, infatti, solo un leggero corpetto di cuoio, che gli lasciava
completamente scoperte le spalle e le braccia, un paio di pantaloni
di pelle marroni e degli alti stivali con tante fibbie e legacci. Sarpedonte
torreggiava sulla principessa guerriera, con le mani appoggiate sul
manico di un grosso spadone piantato a terra. Xena, però, non
sembrava affatto intimorita dalla sua presenza.
- E così saresti tu Sarpedonte – disse freddamente.
A quelle parole, l’uomo cominciò nuovamente a ridere.
- Ah, ah, ah! Sarpedonte… – fece questo – Credo che
non riuscirò mai ad abituarmi a questo nome.-
- Che significa? – chiese la guerriera, che cominciava ad infastidirsi
dell’alone di mistero che circondava quell’uomo.
- Bè, visto che non vivrai abbastanza per raccontarlo, posso
anche rivelarti il mio vero nome. Sarpedonte non è che una copertura…
Io mi chiamo Krono. -
Per la seconda volta Xena sentì gelarsi il sangue nelle vene.
- Krono? – disse incredula – Non è possibile…
Giasone ha detto che tu eri… -
- … Morto? – le rispose l’uomo, passandosi una mano
sulla cicatrice – No, dev’essersi sbagliato.
- Com’è possibile che tu sia vivo? Ricordo chiaramente
le parole di Giasone. -
- Ehi, quanta curiosità per una donna che sta per morire! Va
bene, ti racconterò tutto. In fondo i desideri dei condannati
vanno esauditi. -
Krono avanzò lentamente verso Xena, poi cominciò a girarle
intorno come fa uno squalo con la preda.
- Vedi, qualche anno fa, prima che succedesse quell’incidente
con Giasone, non ero altro che un giovane signore della guerra, ossessionato
dalla brama di ricchezza e soprattutto di potere. Il mio unico scopo
era quello di espugnare Corinto con i miei uomini e diventarne il dominatore.
Le guardie cittadine, di per sé, non erano nulla in confronto
ai miei soldati, tuttavia Giasone era un grande stratega e, grazie alla
sua abilità, riuscì sempre a respingere i miei attacchi.
A quel punto pensai che, per conquistare la città, bastava eliminarne
il re. Decisi allora di attaccare Giasone durante una battuta di caccia,
ma ero ancora inesperto ed ebbi la peggio. Tuttavia, anche lui rimase
ferito nello scontro e, nella fretta di tornare tra le mura a medicarsi,
non si preoccupò di controllare se fossi morto davvero. Non so
neanch’io come riuscii a sopravvivere, ma da quel giorno la mia
vita cambiò radicalmente. Mi ritrovai solo e ferito, senza più
i miei uomini e costretto a nascondermi dalle guardie reali. Ero disperato,
soltanto il mio desiderio di potere, che non si era mai spento, mi diede
la forza per rimanere in vita. Non avevo mai rinunciato a diventare
il padrone di Corinto così, una volta guarito, decisi di cambiare
strategia: se non ero riuscito a conquistarla dall’esterno, lo
avrei fatto dall’interno. Entrai in città sotto falso nome
e, per prima cosa, uccisi il capo di un piccolo gruppo di criminali,
impadronendomi dei suoi uomini e delle sue ricchezze. Quello fu solo
il primo passo della mia scalata al potere. In poco tempo riuscii ad
espandere la mia influenza su buona parte della città. Finalmente
avevo raggiunto il mio scopo, non attraverso stupide battaglie, ma grazie
a corruzioni, tradimenti e omicidi mirati. Finora mi ero sempre illuso:
credevo che il potere si raggiungesse grazie alla forza. Non è
così, il potere lo si ottiene solo con l’inganno e con
la furbizia. -
- E tu hai fatto tutto questo nascondendoti sempre dietro ai tuoi uomini,
vero? – chiese la principessa guerriera. Xena provava sempre una
benchè minima dose di stima nei confronti di un avversario valoroso,
indipendentemente da quanto questo fosse crudele o spietato. Anche di
fronte a Callisto, non potè fare a meno di riconoscere la sua
abilità, ma stavolta era diverso. L’unica cosa che sentiva
per Krono era un profondo disprezzo, il disprezzo che si prova nei confronti
di un uomo che ha tradito i suoi ideali per rincorrere il potere.
- Esatto – rispose Krono – Purtroppo non potrai raccontarlo
a nessuno perché ora morirai! -
Krono vibrò subito un terribile fendente con il suo spadone,
ma Xena fu pronta ad evitarlo con una ruota laterale e l’unico
risultato che ottenne fu una profonda spaccatura nel pavimento di legno.
La guerriera approfittò di quell’attimo in cui il suo nemico
era rimasto scoperto per colpirlo con un calcio circolare alle gambe,
mandandolo a terra. Krono, però, fu svelto a rialzarsi e tempestò
Xena con una serie di rapidi affondi di spada, ma anche questi andarono
tutti a vuoto. Xena, tuttavia, si trovò in difficoltà
nello schivare i suoi colpi. Credeva che, durante questo periodo di
inattività, Krono si fosse indebolito, ma evidentemente non era
così. Gli attacchi di Krono erano fulminei e Xena non trovava
il tempo di contrattaccare dopo una schivata. Non era neppure riuscita
ad estrarre la spada. Ad un tratto, però, la guerriera ebbe un’idea.
Invece di evitare i colpi avversari arretrando o scansandosi lateralmente,
Xena effettuò un salto mortale all’indietro. Questo gesto
le permise di allontanarsi un po’ da Krono, giusto per il tempo
necessario a sfoderare l’arma, ma consentì anche al suo
nemico di colpirla ad una gamba. Per fortuna la ferita non si rivelò
grave e Xena non sembrò risentirne. Il combattimento poteva riprendere,
stavolta ad armi pari, e Xena si lanciò su Krono spada in pugno,
lanciando il suo grido di guerra. L’urlo fu talmente forte da
sentirsi persino nella bisca al piano di sotto. Olimpia, Firpide e Mesonio
si scambiarono un’occhiata d’intesa.
- Il segnale – disse la ragazza – Forza attacchiamo! -
Mesonio, per prima cosa, cominciò a rovesciare i tavoli per creare
confusione tra i nemici e per disperdere i semplici giocatori. Questi,
infatti, spaventati dal gesto di Mesonio, scapparono in fretta e furia
dalla bisca, dove rimasero soltanto gli scagnozzi di Krono. Il rapporto
di forza tra i due schieramenti era di tre contro otto, ma uno degli
sgherri riuscì subito a correre via per chiedere rinforzi. Intanto,
gli altri sette si erano gettati sui tre compagni: due su Olimpia, due
su Firpide e tre su Mesonio. Il combattimento aveva avuto inizio. Olimpia
strinse saldamente il suo bastone e cominciò a rotearlo in aria,
colpendo violentemente chiunque tentasse di avvicinarsi troppo. Degli
uomini tentò di sguainare la spada, ma la ragazza lo colpì
alle mani facendogliela cadere a terra. Firpide, invece sembrò
partire con il piede sbagliato. Un uomo lo aveva afferrato da dietro
e lo aveva bloccato, mentre un altro lo riempiva di pugni nello stomaco.
Questo, però, non si perse d’animo e, concentrando le sue
forze, riuscì a darsi una spinta con le gambe colpendo il tizio
che aveva davanti e mandandolo contro un tavolo. Poi, per liberarsi
dell’altro uomo che lo stringeva da dietro, gli tirò un
paio di gomitate nei fianchi costringendolo a mollare la presa, e poi
lo colpì con un rapido pugno sul mento. Anche Mesonio si trovò
in una situazione simile: due uomini gli avevano afferrato le braccia,
uno ciascuno, e un altro lo colpiva al corpo. Nessun problema per il
gigante barbuto. Senza mostrare il minimo sforzo, strinse di colpo le
braccia facendo sbattere i due uomini l’uno contro l’altro.
Restava il terzo furfante che, resosi conto della mala parata, aveva
cominciato ad arretrare supplicando Mesonio di non fargli del male.
Purtroppo per lui, Mesonio non sembrava in vena di fare favori e gli
assestò uno schiaffone che gli fratturò tutti i denti.
I sette delinquenti erano tutti a terra doloranti e Olimpia stava per
andare a fare i complimenti ai due fratelli quando, dalla strada, cominciò
a sentirsi il frastuono di una folla in corsa.
- Oh no! – gridò l’amazzone – Stanno arrivando
i rinforzi.-
- Bè, nessun problema – disse Firpide, calmo come sempre
anzi, aspettandoli seduto su una sedia.
- Peggio per loro – esclamò invece Mesonio, stirandosi
il collo.
In meno di un minuto, la stanza si riempì di una moltitudine
di quei tagliagole. Erano circa una trentina e Olimpia cominciava ad
avere realmente paura. Uno di questi avanzò verso Mesonio e con
voce minacciosa gli intimò:
- Arrenditi e forse saremo indulgenti, almeno con la ragazza. -
La risposta di Mesonio fu un poderoso destro tra capo e collo. L’uomo
cadde subito a terra svenuto, mentre gli altri si lanciarono sui tre,
sicuri della loro superiorità numerica. Olimpia venne circondata
da cinque uomini, ma la ragazza era abituata a questo genere di situazioni.
Piantò a terra il suo bastone e, usandolo come perno di rotazione,
cominciò a girare su se stessa colpendo i nemici con i piedi
e con le gambe. In breve, se li ritrovò tutti e cinque intorno,
svenuti. Firpide si trovò a fronteggiare sette uomini con le
armi già in pugno. Aveva bisogno anche lui di un oggetto da brandire,
così afferrò una sedia che stava lì vicino e cominciò
a tirare sediate finchè questa non si spaccò. In questo
modo atterrò cinque dei suoi avversari. Gliene mancavano solo
due da sistemare, ma ecco che altri tre uomini arrivarono ad aiutare
i loro compagni. Firpide era rimasto solo con la gamba della sedia in
mano, ma a lui sembrò bastare. Sbeffeggiando i suoi nemici, iniziò
a colpirli sulle mani finchè non furono tutti disarmati, poi
lanciò in aria il pezzo della sedia e, con le mani libere, colpì
tutti e cinque con un unico schiaffo. La gamba della sedia ricadde di
nuovo nella mano di Firpide, mentre ai suoi piedi giacevano otto uomini.
Su Mesonio si lanciarono addirittura in dieci, gettandosi su di lui
e tempestandolo di pugni. Coperto completamente da tutti quei nemici,
Mesonio non sembrò accennare ad una reazione, poi, tutt’a
un tratto, si videro tutti quegli uomini volare via e finire un po’dappertutto
per la stanza. Mesonio era riuscito a respingerli tutti da solo, ma
non si era accorto di un altro sgherro che stava per colpirlo alle spalle
con una spada. Era quasi riuscito nel suo intento, ma Firpide, che si
era accorto di lui in tempo, lo stese tirandogli il pezzo di sedia.
Mesonio si voltò di scatto e, resosi conto che suo fratello gli
aveva appena salvato la vita, non potè fare a meno di sorridergli
e ringraziarlo.
- Bene ragazzi, così mi piacete – disse loro Olimpia, che
aveva ritrovato il coraggio – Adesso pensiamo a sistemare anche
gli altri. -
I due annuirono all’unisono e, contemporaneamente, si gettarono
sui nemici rimasti.
Nel frattempo, continuava anche il combattimento fra Xena e Krono. Lo
scontro procedeva in parità, con le due spade che si incrociavano
continuamente l’una con l’altra. Xena realizzò che,
se continuavano in quel modo, il combattimento sarebbe durato in eterno,
così, mentre continuava a brandire la spada, trovò il
tempo di colpire Krono con un calcio e di farlo cadere in ginocchio.
- Molto bene – fece questo, mentre si rialzava – Sembra
proprio che delle tecniche così approssimative non siano efficaci
con te – e gettò via il suo spadone infrangendo uno specchio
appeso al muro.
Xena, per tutta risposta, ringuainò la spada e si preparò
a combattere a mani nude. Fuori, intanto, il tempo era cambiato ed erano
cominciate a cadere le prime gocce di pioggia.
- Mi dispiace – disse Krono – Non ci sarà nemmeno
il sole ad assistere alla tua morte. -
L’ex signore della guerra sferrò un tremendo pugno a Xena,
ma questa riuscì a pararlo incrociando le braccia davanti al
viso. Il colpo di Krono, però, fu talmente potente da spazzar
via la guardia della principessa guerriera colpendola al sul mento.
Xena rimase barcollante per due o tre secondi, ma questo lasso di tempo
fu necessario perché Krono l’afferrasse alla gola con un
solo braccio, la sollevasse in aria e poi la sbattesse violentemente
a terra. Xena gridò per il dolore e riuscì ad alzarsi
soltanto aggrappandosi ad un mobile lì vicino. Krono non le lasciò
neanche il tempo di rimettersi in piedi che subito si lanciò
su di lei colpendola al collo con un braccio teso. La guerriera finì
nuovamente al tappeto e i primi rivoli di sangue cominciarono a sgorgarle
dalla bocca. Krono si avvicinò a lei cercando di colpirla con
dei calci, ma Xena fu rapida a evitarli rotolando sui fianchi. Rialzatasi
nuovamente, Xena passò al contrattacco e iniziò ad aggredire
il nemico con una combinazione di calci e pugni, che terminò
con una ginocchiata ben assestata nelle parti basse.
- Di solito non ricorro a certi trucchi – lo schernì Xena
– Ma con te ho fatto un’eccezione. -
Krono non potè fare a meno di portare le mani sulla zona lesa,
lasciando totalmente scoperto il resto del corpo. Xena colse al volo
l’occasione e lo colpì con un doppio calcio al petto, scaraventandolo
contro il busto con i paraspalle chiodati, per finire poi seduto all’angolo
tra la parete e il pavimento. La guerriera si fermò un momento
per riprendere fiato, ma in quell’attimo vide gli occhi di Krono
risplendere di una luce sinistra. Per lui, togliere dal busto i paraspalle
e infilarseli fu la questione di un attimo. Adesso sembrava ancora più
imponente di prima e Xena realizzò che la situazione andava complicandosi.
- Sai Xena – disse Krono – E’ passato molto tempo
dall’ultima volta che ho indossato questi paraspalle. Lo ammetto,
con te sto assaporando di nuovo quella sensazione che provavo quando
ero ancora un signore della guerra e vivevo per combattere. Forse mi
mancherai… -
Appena ebbe terminato il suo discorso, Krono assunse una strana posizione,
simile a quella di un corridore alla partenza. Si accovacciò
su un ginocchio e posò a terra la mano destra, poi, dopo aver
fissato attentamente la principessa guerriera, si scagliò contro
di lei con la violenza di un toro, cercando di colpirla con una spallata.
Xena, però, riuscì prontamente a schivare l’attacco
e Krono andò a schiantarsi contro una delle colonne, mandandola
in frantumi. Ormai, la guerriera aveva capito che quello non era affatto
un avversario da sottovalutare e che, se voleva vincere, doveva dar
fondo a tutte le sue risorse. Dopo lo schianto con la colonna, Krono
non perse tempo e, giratosi nuovamente verso Xena, si lanciò
in un’altra carica contro di lei. Stavolta il colpo andò
a segno, almeno in parte. Xena non riuscì ad evitare completamente
la carica del nemico e Krono la colpì alla spalla sinistra, facendole
saltare via un pezzo dell’armatura. Xena era rimasta ferita nello
scontro e il suo braccio sanguinava copiosamente, tuttavia adesso aveva
capito cosa fare. Rimase lì, ferma, immobile e si preparò
a ricevere un’altra carica da parte di Krono. L’uomo, galvanizzato
dall’esito del suo precedente attacco, non si fece attendere.
Xena non si mosse e aspettò che il nemico gli giungesse a tiro,
poi, sfoderata rapidamente la spada, lasciò che Krono ci si infilzasse
da solo, trascinato dall’impeto della corsa. La spada gli si infilò
per una spanna nel fianco e, pur non avendo ricevuto una ferita mortale,
Krono non potè fare a meno di indietreggiare tamponandosi lo
squarcio con la mano. Fece alcuni passi, poi cadde stremato sulle ginocchia.
- Hai perso – disse la principessa guerriera – Ora arrenditi
e forse Giasone si dimostrerà clemente con te. -
L’uomo restò lì senza rispondere, poi, d’improvviso,
il grosso portone di legno si sfondò e una delle due sentinelle
che lo sorvegliavano venne scaraventata all’interno della stanza.
Dietro di lui comparve Olimpia, con il bastone ancora tra le mani, nella
posizione di chi aveva appena sferrato un colpo.
- Xena, di sotto è quasi tutto risolto – disse la ragazza,
varcando la soglia della porta – Firpide e Mesonio si stanno occupando
degli ultimi uomini che sono rimasti ancora in piedi. -
- Molto bene – le rispose la principessa guerriera – Fra
poco anche qui sarà tutto sistemato. -
Krono non sembrò dare peso a quelle parole, anzi un ghigno malefico
si stampò sul suo volto. Senza preoccuparsi della ferita al fianco,
l’uomo si mise nuovamente nella posizione di carica e, mentre
le due si erano distratte a parlare tra loro, si scagliò in corsa
su Olimpia, che non ebbe neanche il tempo di rendersi conto dell’attacco.
La ragazza venne colpita in pieno, ma a Krono questo non sembrò
bastare. Continuò la sua carica, trascinando con sè Olimpia,
finchè non la schiantò contro il muro. La povera barda
rimase alcuni attimi attaccata alla parete in una posizione innaturale,
poi cominciò a scivolare lentamente a terra.
- Olimpia! – gridò la principessa guerriera, e corse subito
verso la sua amica per accertarsi delle sue condizioni. La strinse delicatamente
tra le sue braccia e le tastò il polso. Olimpia era ancora viva,
ma molte delle sue ossa si erano rotte e il suo cuore batteva sempre
più lentamente. Vedendo quella scena, Krono scoppiò nuovamente
in una risata malvagia.
- Krono, sei un maledetto bastardo! – mormorò la principessa
guerriera, il cui volto, ormai, era diventato una maschera di sangue
e lacrime.
Xena si voltò di scatto verso il suo nemico, guardandolo con
occhi carichi d’odio e, con la rapidità della folgore,
gli scagliò contro il suo chakram, colpendolo alla gola. Krono
venne preso di striscio, ma uno zampillo di sangue cominciò a
sprizzargli fuori dalla ferita. Xena non gli lasciò neanche il
tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo, perché
si gettò subito su di lui e, afferratolo per le braccia, cominciò
a colpirlo con una serie di testate che gli fracassarono il setto nasale.
Il suo sguardo non era più quello dell’eroina che combatte
per la giustizia, ma era tornato ad essere lo sguardo spietato della
Xena di un tempo. Non le interessava più di consegnare Krono
nelle mani del re, lei, ormai, voleva solo la sua morte e che avvenisse
nel più orribile dei modi. Xena continuò a colpire il
nemico con pugni, calci e gomitate, finchè questo non cadde a
terra riverso nel suo stesso sangue. Stavolta era lei a non essere soddisfatta
e, nonostante Krono fosse ormai completamente inerme, lo colpì
con il pinch proprio nel punto dove era stato ferito dal chakram.
- Ho bloccato l’afflusso di sangue al tuo cervello, morirai tra
qualche minuto fra atroci sofferenze – disse freddamente Xena
– E stai certo che io lascerò che questo avvenga. -
La guerriera sembrava aver perso tutta la sua umanità. Vedeva
Krono urlare e contorcersi per il dolore, ma lei non accennava un’emozione.
Anzi, sembrava quasi divertersi nel vederlo agonizzare. Poi, all’improvviso…
- Xena! -
Olimpia aveva miracolosamente ripreso i sensi e aveva usato quel poco
di forza che le era rimasta per invocare, seppure a stento, il nome
dell’amica. Xena udì la voce della ragazza e bastò
quel poco per cancellarle tutto quell’odio che le aveva pervaso
l’animo. I suoi occhi tornarono ad essere limpidi e le sue dita
andarono a colpire di nuovo il collo di Krono, liberandolo da quella
terribile morsa. Krono rimase a terra svenuto, mentre Xena, disinteressandosi
completamente di lui andò dalla sua amica. Olimpia la guardava
e sorrideva, ma non aveva più la forza per parlare nuovamente.
Xena si chinò su di lei e la aiutò a sollevare il capo.
Il battito del suo cuore era tornato regolare, ma le ferite erano profonde
e avevano bisogno di essere curate.
- Olimpia… – Xena non riuscì a dire altre parole.
Accarezzava il viso della sua amica mentre nuove lacrime le bagnarono
le guance.
Nel frattempo, anche Firpide e Mesonio raggiunsero le due, di sopra.
- Xena, è tutto sistemato – disse Firpide, prima ancora
di rendersi conto di ciò che era successo.
- Olimpia! – gridarono, poi i due uomini.
Firpide si precipitò subito sulla giovane amazzone, mentre Mesonio
si guardava attorno, immaginandosi il combattimento appena avvenuto.
- Cosa è successo? – chiese il fabbro.
- E’un po’lungo da spiegare, adesso – rispose Xena
– per favore, Mesonio, prendi una corda e lega quell’uomo
laggiù a terra.
Mesonio si guardò nuovamente a torno, poi, rivolto alla principessa
guerriera, disse:
- Quale uomo? Qui non c’è nessuno. -
Xena si voltò di scatto, uno scatto rabbioso. Krono non c’era
più. Al suo posto erano rimaste solo delle tracce di sangue che
terminavano di fronte alla finestra aperta. La guerriera si avvicinò
per controllare e notò, per terra, una scritta fatta col sangue.
C’era scritto soltanto “Alla prossima!”. Xena, allora,
corse subito ad affacciarsi. La finestra dava sulla strada, ma non si
vedeva nessuno di sotto. Il temporale era cessato e il sole era tornato
ad illuminare la città. Ancora una volta Krono era riuscito a
fuggire. La guerriera sbattè i pugni sul davanzale per la rabbia.
Stava per saltare giù anche lei, ma Mesonio la trattenne per
un braccio.
- E’ inutile – le disse – Non sappiamo dove sia andato
a nascondersi e, in questo momento, è più importante pensare
ad Olimpia. -
Xena rimase di stucco a quelle parole. Non si sarebbe mai aspettata
di sentirle pronunciare da un tipo come Mesonio. Guardò un’altra
volta l’amica, che Firpide aveva sollevato tra le braccia, poi
si girò ancora verso la finestra.
- Krono – mormorò tra sé e sé la principessa
guerriera, piena di rabbia – Giuro che da questo momento non avrò
pace finchè non te l’abbia fatta pagare. Scappa pure, ma
sappi che io sarò sempre sulle tue tracce e, prima o poi, ti
troverò. -
Ma, sul volto di Xena, tornò presto il sorriso. Olimpia era viva
e questo era l’importante, in più, aveva trovato due nuovi
amici: Firpide e Mesonio. Le guardie reali, intanto, li avevano raggiunti
e avevano cominciato a portar via tutti gli scagnozzi al piano di sotto.
I quattro si allontanarono dalla bisca, diretti al più vicino
ricovero dove curare Olimpia.
- Tutto è bene quel che finisce bene – sentenziò
Firpide.
- Già – rispose Xena – Tu non devi più preoccuparti
degli uomini di Krono, tuo fratello ha di nuovo il suo martello ed io
ho ancora Olimpia. -
La poetessa sorrise tra le braccia di Firpide.
- E voi due avete finalmente fatto pace – disse la ragazza ai
due fratelli. Le era tornata almeno l’energia per parlare e Xena
le diede un’affettuosa strofinata ai capelli.
I quattro percorsero un altro po’ di strada insieme, poi, d’un
tratto, Xena si fermò e, rivolta a Mesonio, disse:
- Mesonio, più tardi potresti darmi una riparata all’armatura?
Sai, nello scontro con Krono ha finito col deformarsi e adesso mi stringe
qui alla vita. -
Xena e Olimpia si guardarono per un attimo negli occhi e iniziarono
a ridere, mentre il sole, pian piano, calava alle loro spalle.
Fine
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