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ELIZABETH

Nota bene: ho dovuto alterare molte date e avvenimenti (vedi Shakespeare etc…) a causa di OVVIE incongruenze cronologiche. Non è di certo colpa mia se la vera Elizabeth era una tranquilla settantenne quando il buon William iniziava a farsi conoscere ;-) ad ogni modo abbiate pazienza e perdonatemi, sono costretta a cancellare circa venti anni dalla storia del mondo. ^__^”

Part two
WARS AND ROSES

LONDRA, 15 giugno 1565
La Sala del Consiglio era ghermita di gente, tutti i Ministri attendevano impazientemente che la Regina parlasse. Elizabeth li squadrò uno ad uno con sguardo severo, sedette con calma sul proprio trono, rimase qualche altro istante in silenzio ed infine parlò. “Ora che siete tutti qui riuniti, dobbiamo decidere le sorti del nostro Regno. L’armata scozzese è troppo numerosa, e troppo vicina alle nostre frontiere. Dobbiamo costituire un esercito numeroso e arginare l’avanzata di Mary a nord ovest” “Eppure le nostre truppe sono decimate, e i pochi sopravvissuti all’ultima guerra sono esausti, o semplicemente incapaci di combattere” “Allora dobbiamo reclutare nuovi soldati, chiamare pirati, anche dei mercenari se necessario. In qualche modo dobbiamo riuscire a respingere l’attacco scozzese” il ministro della politica interna si alzò di scatto “Non possiamo chiedere di nuovo l’aiuto a Francia e Spagna?” “Lord Windsor, questo purtroppo non è possibile. La Spagna sta dando i propri aiuti alla Scozia mentre la Francia ha deciso di non immischiarsi in questo conflitto. Siamo rimasti soli” “Senza contare che molti inglesi si stanno schierando dalla parte di Mary” aggiunse Edward con espressione grave. Subito si levò nella Camera un brusio di stupore che ben presto saturò l’aria. Elizabeth richiamò l’ordine battendo rumorosamente lo scettro a terra, e tutti gli sguardi furono nuovamente su di lei “Tuttavia una soluzione ci sarebbe” annunciò. Un sorriso beffardo si dipinse sul suo volto mentre continuava il discorso. “Noi possediamo qualcosa che Mary non potrà mai ottenere” rimase in silenzio qualche interminabile istante, osservò divertita le facce disorientate ed interrogative dei propri subordinati. Pendevano tutti dalle sue labbra “E cosa sarebbe?!” gridò uno di loro esasperato. “La pazienza, tanto per iniziare - esclamò seccata - e l’astuzia. Quando sono salita al trono ho scelto i migliori uomini di tutta l’Europa e li ho riuniti alla mia corte. Voi siete quanto di meglio il mondo abbia da offrire, mi aspetto il massimo da ognuno. Dobbiamo far credere a Mary che abbiamo il pieno controllo della situazione, la vita deve andare avanti normalmente; e voglio che voi tutti iniziate subito a formulare una strategia difensiva che regga. Nessuno di voi lascerà il Palazzo finché non saremo pronti a respingere l’attacco scozzese” “E quale sarebbe il compito di Vostra Maestà, se mi è concesso?” Chiese Windsor “Edward ed io cercheremo di reclutare altri soldati per rinsaldare le nostre armate” Tutti rimasero ammutoliti “Avanti! Al lavoro!” detto ciò Elizabeth si alzò seguita a ruota da Edward. I Ministri si misero immediatamente al lavoro, sedettero tutti attorno al tavolo circolare sistemato al centro della sala. C’era così tanto lavoro da fare e così poco tempo…
“Dove hai intenzione di trovare le nuove reclute, me lo spiegheresti per favore?!” sbottò Edward non appena i due furono fuori dal salone “Tu non preoccuparti, qualcuno troveremo…” “Che intendi dire?!” “Se ci sono disertori da questa parte, ce ne devono essere sicuramente anche dall’altra. Ricordi il nostro amico cuoco nell’accampamento di Mary?” “Che ha a che fare Matthew con tutto questo?!” “Bè, ho mantenuto i contatti con lui dopo la nostra fuga. Ha scovato dei valorosi guerrieri in Scozia disposti a seguirci. Non dimenticare Hawkins e Raleigh, saranno un aiuto prezioso.” “Ed ecco che Elizabeth tira fuori come al solito un coniglio dal cappello! Ammetto che non avevo nemmeno preso in considerazione una tale idea. Sei geniale!” “Modestamente…” la regina si gonfiò d’orgoglio e scoppiò in una sommessa risatina compiaciuta “Non vantarti troppo, però! Vedremo se e come Matthew ci potrà essere utile” Elizabeth annuì “Lo so” si fermò in mezzo al corridoio, portò le mani dietro la schiena e curvò le spalle in avanti, come faceva sempre quando si buttava un po’ sulla difensiva. Edward aveva già capito, la guardò incuriosito “Che c’è” “Senti c’è una cosa…sì, insomma…sabato sera inauguro il nuovo teatro, lo ‘Swan’ e per l’occasione ci sarà un giovane poeta di nome Shakespeare. Mi hanno detto cose fantastiche sul suo conto” “Arriva al punto” “Bè ci potremmo andare” “Tu dici?” “A dire il vero pensavo di invitare Kira…ma non so se saresti d’accordo” “Che?! Kira?!? Sei impazzita, spero! - bisbigliò con tono sommesso ma autoritario - non mi farai mai mettere una di quelle fastidiose e ingombranti cose! Ah no, scordatelo!” “E dai! Una volta soltanto!” “No, no e ancora no!” “Ti pregooooo! Voglio vedere la nuova commedia di questo scrittore. Si chiama ‘Romeo and Juliet’, sembra interessante” “Ti ci può benissimo accompagnare Edward” “Io voglio andarci con Kira!” “Masseimatta! Neanche per tutto l’oro del mondo. Ah no tesoro, stavolta non te la do vinta. Non avrai la soddisfazione di vedermi in gonnella nem…” Edward interruppe la frase e tossì rumorosamente, delle ancelle stavano arrivando. Quando le quattro madame furono abbastanza lontane Edward tirò Elizabeth verso una parete e abbassò il tono della voce “Ho detto no e no sarà” “Non oserai trasgredire ad un ordine della tua regina” “Ah no, questo trucco l’hai usato troppe volte. È vecchia, Elizabeth! Non funziona più!” La regina allora fece una faccia tristissima e quasi rassegnata, sospirò abbattuta e iniziò ad andarsene con fare sconsolato, come un cane bastonato. “E va bene, se non ti va…” alzò le spalle, scosse il capo delusa. Edward allora sbuffò, batté un piede a terra e raggiunse Elizabeth “D’accordo, come vuoi tu, ma giuro che questa prima o poi me la paghi!” l’altra si voltò, fece un salto dalla gioia e cinse il cavaliere per il collo “Grazie!!!” “E come dirti no… - commentò lei rassegnata. - Torniamo alle cose serie. Dobbiamo contattare Raleigh e Hawkins, poi contatteremo Matthew” “Non serve, già fatto! Ci stanno aspettando tutti e tre nella sala dell’Adunanza” “Ah! La donna delle sorprese! Avanti allora, andiamo”. Qualche minuto più tardi la regina ed il cavaliere erano nell’ala ovest dell’immenso palazzo reale, a parlare con i tre nuovi alleati.
“Allora, che tipo di supporto potete offrire all’Inghilterra?” “La mia flotta è composta da 200 imbarcazioni di cui 100 rapide e 100 adatte allo scontro in mare aperto. Su ogni nave ci sono 150 uomini addestrati anche al combattimento a terra, il che fa in totale 30000 uomini” “Perfetto! - esclamò la regina entusiasta - sinceramente non mi aspettavo così tanto. Voi che mi dite?” “Nella mia flotta ci sono 250 navi rapide con 100 uomini per nave, quindi 25000 uomini” “Questo mi conforta, ma purtroppo ora non abbiamo bisogno di marinai. Le truppe scozzesi non attaccheranno via mare. Ci servono contingenti da poter spedire al fronte, corazzate, uomini a cavallo, lancieri, arcieri. Il nostro esercito di terra per ora conta 130000 unità circa mentre quello di Mary circa il triplo. O troviamo un modo per equilibrare lo scontro, o siamo morti tutti quanti” “In questo caso credo di potervi essere utile” si intromise Matthew timidamente “Avanti, parla” “Bè, assieme ad alcuni soldati ribelli sono riuscito a raccogliere forze da Galles, Cornovaglia, Scozia e Irlanda. In tutto sono circa 150000 uomini divisi nei diversi settori” “Fantastico! Sembra che la sorte sorrida alla nostra adorata Inghilterra!” “Ascoltate un attimo, mi è venuta un’idea: se riusciamo a spingere l’esercito di Mary in questa valle forse avremmo una minima possibilità di farcela” “Sarebbe troppo scontato. Mia cugina è furba, non passerà mai per quella via. Ci sono decine di altre strade fra cui scegliere, quella è decisamente l’ultima che userebbe.” “A meno che…” bisbigliò Hawkins lisciandosi la barba sul mento con fare pensieroso “A meno che?” replicò Matthew “A meno che non facciamo saltare il ponte di Abingdon a nord e blocchiamo il passo di Salisbury a sud; allora sarà obbligata a far passare il proprio esercito per Chippenham” “Geniale!” esclamò Elizabeth. In meno di un’ora avevano già preparato un piano per bloccare i due passaggi e poter affrontare le truppe scozzesi. Elizabeth aveva tenuto un Consiglio con i Ministri, aveva spiegato loro la situazione ed avevano deciso all’unanimità di approvare il piano d’attacco. La prima parte del lavoro era conclusa, ma il difficile doveva ancora venire. In due mesi avrebbero dovuto riunire le truppe provenienti dalle varie nazioni, cercare di farle collaborare, bloccare le due strade e attendere l’attacco di Mary. Tutto in due giorni, praticamente impossibile. Era ormai notte tarda quando Elizabeth si ritirò nella propria ala di Palazzo assieme ad Edward. Era stata l’ultima ad abbandonare il lavoro: aveva dovuto spedire due messaggeri a Nikki e Yoshi, per mandarli a bloccare rispettivamente Abingdon e Chippenham. I due erano sudditi fidati, valorosi guerrieri, abili nell’arte dell’occultamento. Affidando a loro la missione era sicura di un successo. Ad un certo punto era dovuto intervenire Edward e trascinarla di peso verso i suoi alloggi “Edward, fermo! Che fai?” “È tardi, vieni a dormire” “Non posso, ho del lavoro da finire” “Avanti è quasi l’alba. Devi riposare” “Aspetta ancora un attimo. Finisco questa lettera e arrivo” “La puoi benissimo finire domani. Ora basta” il cavaliere si caricò Elizabeth di peso sulle spalle e, nonostante la sua vistosa riluttanza, la portò senza troppe cerimonie nella stanza da letto “Mollami! Edward!” le sue grida risuonavano lungo tutti i corridoi “Non urlare o sveglierai tutti quanti” “Ho del lavoro da sbrigare!” continuava lei imperterrita. Edward dovette coprirle la bocca con una mano per farla stare almeno un po’ zitta, ma facendo ciò rimediò un bel morso. L’uomo si fece sfuggire solo un sommesso grugnito di dolore, diede una pacca sul sedere a Elizabeth e continuò imperterrito “Tu devi riposare, punto e basta” “Chi sei tu per darmi degli ordini!” strillò la regina “Elizabeth, sei sicura di stare bene? - egli la fissò meditabondo - …hai bevuto?!” “Come osi! Bè a dire il…forse un paio…boh, non ricordo” “Lo sapevo. Vieni, ti accompagno nella tua stanza” la regina rise con tono sciocco, poi pretese che Edward la mettesse giù ma quando il cavaliere obbedì egli dovette sostenerla di nuovo per evitare che Elizabeth cadesse in avanti “Coraggio, manca poco. Siamo arrivati” la sorresse fino alla sua stanza e, una volta dentro, la adagiò delicatamente sul letto. Fece per andarsene ma la regina lo afferrò per un braccio “Dove credi di andare?” disse con accento bislacco “A dormire, se permetti” “E resta qua! Che ti costa?” “In effetti hai ragione, così posso vedere di te” “Non è esattamente questo che volevo dire” il tono della regina era singolarmente sensuale, ma la guerriera non vi badò molto. Kira invece accese dei lumi, prese una bacinella con dell’acqua, uno straccio umido e tornò al capezzale di Elizabeth. Sapeva bene che lei non reggeva l’alcool e che sarebbe crollata da un momento all’altro. Chissà quanti ne aveva bevuti… “E smettila di farmi da mammina, sto bene!” insistette. Ormai non controllava più il tono della voce, urlava senza accorgersene. “Per favore smettila! Sono quasi le due di notte, domani sarà un’altra giornata dura e devi essere al massimo della forma” “Al massimo super più!” Kira dovette ributtare Elizabeth contro il letto e cercare di calmarla come poteva “Fai la brava e stai calma un po’ per favore” le pose lo straccio sulla fronte e la coccolò amorevolmente; pian piano Elizabeth iniziò a tranquillizzarsi un poco “Quante volte ti ho detto di non bere, ma tu niente! Mai una volta che mi ascolti!” tolse giacca e gilet, si distese sul letto a fianco della regina. Elizabeth le si accoccolò accanto e l’abbracciò, allora Kira si lasciò andare e si addormentò. Il suo riposo però, già lo sapeva, non sarebbe durato a lungo. Meno di mezz’ora dopo, infatti, Elizabeth era nuovamente sveglia ed in piena fase di iper attività. Aveva iniziato a ridere come una stupida e camminare senza posa per la stanza “E va bene Elizabeth; se non vuoi farmi dormire d’accordo. Ascoltami bene: se prometti di non fare rumore ti porto a fare un bel giro per i corridoi, ti va?” La regina rispose con un secco ‘No!’ iniziò a levarsi gli abiti e a tirarli addosso a Kira “No, sul serio, è meglio se io e te ora ce ne andiamo a fare una camminata o domani mi odierai per non avertici portata” Kira cercò di vestire Elizabeth, ma più lei tentava di infilarle la vestaglia, più la regina si divincolava e meno successo avevano i tentativi della guerriera. Un vero disastro. “Per favore Elizabeth, ora guardami e concentrati. Ci dobbiamo vestire perché fuori fa freddo e dobbiamo andare sulla Green Tower a vedere che ora è, hai capito?” La sua linea di ‘attacco’ era patetica, ma del resto la Green Tower era l’edificio del Palazzo più distante da dove si trovavano in quel momento, e doveva farla camminare un bel po’ per farle smaltire la sbronza, ma soprattutto per stancarla a dovere. Sorprendentemente il suo trucco funzionò. Doveva essere proprio ubriaca per darle retta, Kira non sarebbe riuscita a farla a Elizabeth in nessun altra occasione. “Facciamo gara a chi arriva prima?” “Ci sto se insieme facciamo il gioco del silenzio. La prima che parla perde” Elizabeth infilò la vestaglia, aprì la porta di scatto e corse via silenziosamente, ridendo come una bambina sorpresa a rubare la marmellata. Kira si rivestì in fretta e furia, rincorse Elizabeth lungo i corridoi solitari del Palazzo “Aspetta! Piano! Non correre così o ti farai male!” ma la regina non rispondeva. Ovvio, stava giocando. E in nessuna occasione Elizabeth accettava di perdere, tanto meno in quegli stati. Kira dovette correre più veloce che poteva (data l’ora) per riuscire ad affiancare la compagna. Ormai erano quasi fuori, mancavano pochi metri all’uscita nord, che portava ai giardini reali. Lì Kira riuscì a superare Elizabeth “Non è giusto!” gridò la regina “Hai perso!” replicò la guerriera soddisfatta “Non è vero, hai parlato tu prima!” Ormai le due erano appaiate e continuavano a correre come forsennate. Improvvisamente Elizabeth si girò, afferrò Kira per le spalle e la spinse a terra. Rotolarono entrambe sulla morbida erba bagnata dalla rugiada, e nella caduta la guerriera si ferì al volto. Un maledetto taglio che le segnava la faccia sulla parte destra partendo da sotto l’occhio fin quasi al collo. Non che fosse una ferita grave, ma se la gente avesse visto Edward con quel taglio, allora Kira non sarebbe potuta andare al ballo o si sarebbe scoperto il suo segreto. “Dannazione!” la regina sembrava non curarsi affatto di ciò, continuava a ridere e agitarsi nell’erba, e abbracciarla e baciarle il collo “Ora basta, Elizabeth! Dobbiamo tornare dentro!” niente, non capiva. Era ancora sotto l’effetto dei fumi di Bacco. “Avanti, in piedi. Questo gioco è durato anche troppo” la tirò su di peso, se la issò nuovamente sulle spalle e la riportò a Palazzo. Non nella sua stanza, bensì in quella di Shakti. Si presentò di fronte all’uscio con Elizabeth che strillava e si dimenava e, quasi ve ne fosse bisogno, bussò forte alla porta. La guaritrice si affacciò assonnata e seccata “Che diamine succede?! È prestissim…oh, numi del cielo, è arrivato il circo e non me l’ha detto nessuno?!” “Non fare troppo la spiritosa e aiutami. Non ci sta con la testa” “No, dico sul serio, siete uno spettacolino impedibile” “Avanti, guarda qua! Sto per morire dissanguata! E tu lo trovi divertente…” “Dai entrate, vedo che posso fare” “Prima di tutto falla stare zitta! È un’ora che va avanti a strillare, non ce la faccio più!” “Non ti preoccupare, un po’ di sonnifero e dormirà come un sasso” “Sì ma solo per stanotte, domani abbiamo molto lavoro da sbrigare” Shakti rifilò una minima dose di sonnifero alla regina mescolandolo con della spremuta e dandoglielo come ‘pozione che dona l’invisibilità’. Risultato: nei cinque minuti successivi Elizabeth non la smise di correre avanti e indietro, facendo dispetti e disordinando le ampolle, credendo di non essere veduta “Gran bella idea, sul serio” commentò Kira esasperata “Kira, ho sonno…” mugugnò infine la regina “Vieni qui a riposare” Elizabeth si adagiò sul grembo della guerriera, come una bambina che dormiva beata sul grembo materno. Kira allora la distese meglio sul letto di Shakti e si fece medicare la ferita. Non era profonda e sarebbe guarita in qualche giorno senza lasciare la benché minima traccia. Per fortuna. Shakti le diede anche qualche unguento per medicare il taglio. Kira allora prese in braccio Elizabeth, con passo felpato la riportò nella sua stanza; stava per andarsene quando decise di rimanere. Quella notte burrascosa, del resto, non era ancora finita. Fortunatamente però non vi furono altre seccature, Elizabeth dormì di filata il resto della notte (com’era naturale) e Kira riuscì a dormire quelle tre o quattro che rimanevano. Alle sei del mattino, infatti, Edward Norfalk era già sveglio, si doveva occupare delle sue truppe. Mancava mezz’ora alle otto quando il Generale Maggiore fece il suo ingresso trionfale nell’ala riservata all’esercito. Oltrepassò senza battere ciglio gli alloggiamenti dei soldati, sovrastati dal chiassoso risveglio delle truppe. Il cavaliere camminava lungo un corridoio che divideva in due la caserma; sia a destra che a sinistra si diramavano camerate, alloggiamenti, spazi ricreativi, mense e tutto ciò di cui i soldati necessitavano. Al passare del Generale tutte le grida scemarono in un silenzio religioso, i guerrieri si disposero subito all’attenti. Edward superò anche le stalle reali, il dislocamento dei comandanti. Là, nella sala degli Ufficiali Regi, incontrò i più alti in grado dell’esercito inglese. Erano seduti all’enorme tavolo rettangolare di mogano, discutevano animatamente sul da farsi. C’erano indubbiamente pareri contraddittori, a sentire dal trambusto che si poteva udire da fuori. Edward entrò, chiuse rumorosamente la porta dietro di sé. Tutta l’attenzione dei presenti fu improvvisamente focalizzata su di lui “Bene, signori, qual è il tema della discussione? Mi sembra ci sia ben poco da dibattere: i giochi sono fatti” “Non è affatto vero! Il piano di attacco studiato non è razionale né fattibile! La Regina non può veramente pensare che funzionerebbe” il Generale sembrò irritato “Qualcuno di voi ha per caso un’idea migliore?” uno degli altri generali si alzò in piedi “Dobbiamo attaccare senza risparmiare alcun uomo! Dobbiamo partire all’attacco subito e coglierli di sorpresa!” “Senza contare che le nostre armate sono un terzo di quelle nemiche e notevolmente debilitate? Sarebbe un suicidio. Non possiamo metterci ad attaccare come scriteriati a occhi chiusi senza riflettere! Dobbiamo avere un piano di attacco solido, una strategia, dobbiamo usare l’astuzia. La forza con Mary è inutile. Se c’è qualcun altro che non concorda con me potemmo mettere la questione ai voti” disse improvvisamente. I generali brontolarono un poco, ma poi si dissero d’accordo. “Bene, allora alzi la mano chi è d’accordo con il generale Strand” solamente due o tre alzarono la mano. “Il risultato sembra piuttosto evidente, vi pare? Partire alla cieca non è una strategia accettabile, perciò proseguiamo con il piano già accettato” una volta messi in riga i generali e aver dato loro altre istruzioni, Edward tornò a Palazzo e chiese informazioni riguardo Elizabeth. Le prime due volte gli andò male, sembrava che nessuno ne sapesse niente; ma infine fu sollevato nell’incontrare Madame Catherine Champernowne. Lei era la damigella personale di Elizabeth, l’aveva vista nascere, l’aveva cresciuta, era stata la sua balia più fidata “Elizabeth dici? No, non si è ancora alzata, sta dormendo. È stata una notte piuttosto turbolenta, ho ragione?” “Più o meno” rispose Edward dopo essersi lasciato scappare uno sbadiglio distratto “Ah, la mia bambina sta crescendo! Si è anche trovata un bel ragazzotto robusto e coraggioso che la ama…” la balia sospirò incantata e felice “No! Kat, no, non è come pensi tu! È un altro motivo quello per cui non abbiamo dormito stanotte!” Edward si prodigò in una serie infinita di scuse, alibi e spiegazioni ma nulla sembrava far crollare il sogno romantico di Catherine. “E va bene, pensala come ti pare. Io vado a svegliarla” “Oh si, vai, vai!” esclamò l’ancella con aria maliziosa “Kat!” “Cosa?” “Per Dio smettila!” “E va bene, non fare il permaloso Edward” il cavaliere alzò le braccia sconsolato, girò i tacchi e se ne andò. Qualche minuto dopo era di fronte alla camera della regina. Aprì silenziosamente la porta e la richiuse alle proprie spalle. Le tende erano ancora tirare e la luce entrava solo in minima parte, sotto forma di pulviscolo invisibile. Edward girò attorno al letto, sedette sulla metà vuota, si sporse in avanti e posò un leggero bacio sulle labbra della regina. Elizabeth si mosse un po’, sorrise ma non aprì gli occhi. Si limitò a sussurrare un pigro e goffo ‘Buongiorno’. Anche Edward sorrise e si mise comodo accanto alla regnante. Nonostante fosse entrato con tutta l’intenzione di farle una bella ramanzina, non appena dentro tutti i suoi buoni propositi erano crollati. Gli bastava anche solo guardarla per sciogliersi come un pezzo di ghiaccio sotto il sole. Non c’era niente da fare, Elizabeth aveva molto più ascendente su di lui di quanto Edward fosse pronto ad ammettere. Tuttavia il cavaliere tirò fuori tutta la fermezza che aveva ancora in corpo e si decise a sgridare Elizabeth “Quante volte ti ho detto che non devi bere?” bisbigliò improvvisamente “Tante” “E quante volte mi hai ascoltato?” “A occhio e croce nessuna…ma perché me lo chiedi?” “E mi chiedi perché?! Ah! Ma guarda te, non si ricorda niente” “Dovrei forse?” “Mi hai tenuto sveglio fino alle tre della mattina, e mi hai fatto svegliare Shakti nel cuore della notte per farti stare un po’ buona” la regina arrossì notevolmente e divenne seria “Ho davvero fatto questo?” “Sembravi una bambina! Hai passato metà della notte a fare il gioco del silenzio, l’altra metà a fare la donna invisibile. Avrei voluto strangolarti!!” replicò il cavaliere con tono divertito “Non ti credo. Per quanto io possa bere non arriverò mai a quel punto” “A quanto pare invece sì! Dio, ho un tale sonno!” “Hai dormito qui?” “Dovevo pur stare attenta che tu non scappassi mezza nuda in mezzo alla notte per i corridoi del palazzo…” “Potresti trasferirti qui. Tanto ormai…” “Sai benissimo che non posso. Io sono un cavaliere di origini aristocratiche, tu sei una regina. La nostra storia sarebbe impossibile e giudicata eretica. Specialmente quando verrà fuori la verità su di me” “A proposito, quella cicatrice come te la sei fatta?” “Dovrei chiederlo a te. Presa dall’impeto della gioia mi sei saltata addosso in giardino così sono caduta e mi sono tagliata chissà come” “È solo una scusa per boicottare lo spettacolo di sabato, vero?!” “Ma per favore! Sto facendo sacrifici indicibili per poterci essere come Kira e tu mi accusi di vigliaccheria!” “Piuttosto, tu sai come comportarti vero?” “Certo” “Intendevo come nobildonna. Tu sei abituata a fare il cavaliere, non la nobildonna. È completamente differente, sai?” “Tu dici?” “Sì. Per essere una signora come si deve ci vuole grazia, eleganza, moderazione, controllo, umiltà e cortesia. Non sono doti proprie del tuo carattere” Kira allora ebbe uno scatto di orgoglio, scattò in piedi “Te la faccio vedere io l’eleganza!” si esibì in un inchino perfetto ma poi inciampò e ricadde sul letto “Ecco, vedi? Dovrò darti delle lezioni” “Tu che dai lezioni di eleganza a me?! Impensabile!” “Zitta e guarda: mano destra un po’ avanti, palmo ben teso, la schiena curvata ma non troppo, i piedi vicini mentre la sinistra tiene la gonna. Ci sei?” “La…cosa?! No, la gonna no!” “Come pretendi di venire vestita?! Una donna non può presentarsi a una rappresentazione di gala vestita come un uomo! Sei matta?” “Non puoi davvero chiedermi questo! Senza contare che per sabato sera qualcun altro sarà il tuo accompagnatore! A questo punto mi tiro indietro” “Hai fatto una promessa solenne e ora la devi mantenere. Non sei forse tu Edward il coraggioso?” “Non voglio essere Edward il cornuto!” “E non lo sarai! Cavolo, dopo tutto questo tempo ancora non ti fidi?” “È che ne so, magari incontri un tizio carino e ricco, figlio di chissà quale re, e lui chiederà la tua mano e così alla fine io finirò col diventare la tua damigella d’onore!!!” disse con tono esasperato e molto melodrammatico. Elizabeth sbuffò “Se c’è una persona che sposerò, quella è Sir Edward Norfalk Leicester, e nessun altro. Capito? Non mi interessa nessun altro al mondo” “Però con qualcuno ci dovrai andare accompagnata. Se questo qualcuno ci provasse con te?” “Ti autorizzo a ucciderlo seduta stante” Kira allora si arrese, tornò a bussarsi sul letto, chiuse gli occhi. Aveva così tanto sonno…stava quasi per addormentarsi quando Elizabeth la riportò bruscamente alla realtà scuotendola per le spalle “Per favore Elizabeth, ho sonno” “Ma ora non puoi dormire. Abbiamo tanto lavoro da sbrigare!” “Hai tanto lavoro da sbrigare, precisiamo. Io in pratica ho già fatto tutto” “Non ti credo! Non è neanche mezzogiorno” “Colpa mia se gran parte del lavoro tocca a te! Così impari a tenermi sveglia tutta la notte” Kira si risistemò fra le coperte ed un sorriso solare le nacque fra le labbra. Elizabeth si vestì “E va bene allora. Io vado a lavorare, tu non ti muovere. Torno fra un po’ e magari ti porto il pranzo, ci stai?” “Ecco, sì. E se qualcuno te lo chiede Edward è andato a sbrigare qualche commissione in città d’accordo?” il ‘si’ di Elizabeth giunse sotto la forma di un lungo bacio appassionato. In cuor suo Kira desiderò ardentemente che quel momento non finisse mai, ed in fondo anche Elizabeth provava le stesse cose: la guerriera poteva sentire distintamente il suo cuore battere a mille. Oh, quant’era dolce l’incanto in cui Cupido le aveva legate, e quanto benevola la morsa che le stringeva assieme! Quanto l’amava; Dio, quanto l’amava! Quanto aveva disperatamente bisogno di lei, e quanto aveva lodato i benevoli numi del cielo per ogni singolo istante di felicità passato assieme a lei. Non esistevano parole abbastanza belle o degne per esprimere ciò che provava. Si sentiva come un ubriaco, gioiosa e spensierata, senza più impegni, preoccupazioni o fastidi. Quando stava con Elizabeth, tutte le cose brutte della vita sbiadivano, la collera veniva azzerata totalmente ed un intenso stato di pace s’impadroniva gelosamente del suo animo.
Anche Elizabeth si abbandonò fra le morbide coltri, si strinse forte a Kira e sembrò non volersi più separare da lei “Ti staranno aspettando” riuscì a mormorare la guerriera fra i baci di Elizabeth “Che aspettino” rispose la regnante. Era esattamente la risposta che voleva sentirsi dare. Eppure qualcosa nella sua mente continuava a urlarle di smetterla. Era la sua razionalità: se Elizabeth avesse iniziato a trascurare i propri impegni per stare con lei, le malelingue e lo scontento sarebbero stati infermabili e alla fine gli oppositori avrebbero organizzato una rivolta, e sarebbero state uccise entrambe senza pietà. Kira si appoggiò sui gomiti e allontanò Elizabeth con fermezza “Che c’è?” “Ora devi andare” sospirò a malincuore “Ma cosa dici? Avanti Kira, non fare la guastafeste” “No, sul serio. Devi andare a svolgere il tuo lavoro o ci saranno lamentele; e le lamentele sono l’ultima cosa che vogliamo giusto?” “Giusto” brontolò la regina, molto seccata “E dai, non fare quella faccia! Quando avrai finito con i tuoi impegni, sarò qua ad aspettarti” “Prometti?” “Non ti fidi di me?! Mi sento offesa!” Elizabeth rise compiaciuta, stampò un enorme bacio sulle labbra di Kira e uscì saltellando dalla stanza. La guerriera rise, prima di addormentarsi.
“Kira! Kira! Avanti pigra, svegliati!” la guerriera aprì gli occhi trafelata, si guardò attorno ancora mezza stordita e focalizzò la propria attenzione su colei che le stava gesticolando di fronte “Che succede?” “Arrivano brutte notizie dal fronte, sembra che le truppe di Mary stiano avanzando senza incontrare alcuna resistenza. Secondo le stime stilate, l’esercito nemico dovrebbe impiegare poco più di due settimane per giungere a Londra.”. “Allora è peggio di quel che pensavamo! Dobbiamo correre subito ai ripari, anche se temo sia tardi ormai” “Ho mandato Nikki e Yoshi a bloccare i passi, non dovrebbero incontrare troppe difficoltà. Saranno di ritorno fra una settimana al massimo. In quanto all’esercito, Matthew è già partito alla volta di Glasgow per dare le direttive ai vari comandanti. Non possiamo riunire i rinforzi in Scozia e farli arrivare assieme fino a Londra altrimenti Mary potrebbe intercettare le truppe e tagliar loro l’avanzata. E se le truppe non arrivano a Londra…” “…siamo spacciati. D’accordo, aspettiamo che arrivino tutti qui, troveremo in seguito un modo per farli collaborare come si deve. Piuttosto, che fine ha fatto il pranzo che mi avevi promesso?!” “Diciamo che se ti sbrighi a rivestirti, riesci a venire a cena in tempo” “Cena?! Che razza di ora è?” “Sono quasi le sette” “Ti avevo detto di svegliarmi per pranzo!” “A parte il fatto che ho avuto da lavorare praticamente fino ad ora, bè…dormivi talmente bene che non ho voluto svegliarti” Kira si alzò, si rivestì e uscì con Elizabeth. Andarono nell’enorme salone adibito ai pasti dei più potenti, lì c’erano già i ministri che cenavano. Tutti quanti però si alzarono quando videro entrare i due personaggi più potenti dell’intera Inghilterra. Nonostante ciò, e nonostante tutti provassero un tacito e timoroso sentimento di rispetto verso l’indiscussa autorità di quei due, i ministri sparlavano alle loro spalle quasi ininterrottamente. I pettegolezzi riguardo Edward ed Elizabeth erano all’ordine del giorno, ne nascevano sempre di nuovi, eppure loro riuscivano sempre a smentire tute le sparlate, tranne ovviamente quella che riguardava la loro relazione. Era universalmente noto che la regina “se la faceva” con il suo cavaliere più fidato, ma era altrettanto nota l’abilità di Edward e nessuno osava dire che egli era diventato il Generale Maggiore solo per il favore che godeva agli occhi di Sua Maestà. Del resto né Edward, né Elizabeth si scomodavano più a smentire né dare assensi, si limitavano a fare quel che facevano sempre senza badare a ciò che dicevano gli altri. E mentre loro stavano entrando nel salone, c’era chi scommetteva su come avessero trascorso le ore in cui nessuno li aveva visti in giro, ma l’argomento più gettonato riguardava la possibile data del loro matrimonio. Lì le scommesse si sprecavano. C’era chi diceva dopo lo scontro con la Scozia, chi invece credeva fosse questione di giorni, chi di qualche mese. Ogni data era plausibile. “Silenzio! Silenzio, entrano la Regina e Sir Edward Norfalk” i ministri calarono in un rigoroso silenzio. Sapevano bene che se facevano innervosire la regina rischiavano di incorrere in guai seri. Elizabeth non era di certo famosa per essere permissiva ed arrendevole… “Noto con piacere che i signori Ministri hanno iniziato a mangiare senza attendere il nostro arrivo” sbottò con tono ironico “Se qui non siamo graditi…” “Vostra Maestà, La prego!” esclamò improvvisamente Stephen. Stava facendo un disperato tentativo diplomatico per salvare la situazione e impedire un disastro diplomatico: era infatti un affronto enorme non attendere la Regina per i pasti. Solo se fosse stata la Regina stessa a concedere ciò, o se lei fosse stata lontana da Palazzo...solo in quel caso la Corte sarebbe stata autorizzata a organizzarsi in maniera autonoma. “La Corte non intendeva mancarLe di rispetto, ma pensavamo che non sarebbe venuta.” “Sapevate benissimo che ci sarei stata invece! Avete deliberatamente scelto di fare un tale affronto alla vostra nobile sovrana, e non ho intenzione di tollerare una tale offesa” “Per pietà, Vostra Maestà, placate la vostra ira. In fondo abbiamo appena iniziato, non mi sembra onestamente un fatto così grave” insistette Stephen, che ormai si arrampicava sugli specchi pur di calmare Elizabeth “Sono state fissate delle regole precise in questa corte, nessuno vi ha autorizzato a infrangerle o modificarle!” continuò invece la regina con tono imperioso. Edward le posò una mano sulla spalla della compagna e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Elizabeth allora sembrò calmarsi, si girò e uscì dalla stanza (ovviamente seguita da Edward). Per quella sera avrebbe cenato nella sua sala privata, e tutti i Ministri avrebbero passato la notte nel terrore ad aspettarsi una punizione. Cosa che invece non accadde. Elizabeth e Edward cenarono in tutta tranquillità nella stanza privata della Regina, passarono una tranquilla serata assieme e ben presto l’affronto era dimenticato. Elizabeth era rigida, vendicativa ed ostinata; ma ottusa no. Sapeva riconoscere quando valeva la pena di arrabbiarsi e quando invece era il caso di lasciar perdere.
Elizabeth e Kira entrarono nel salone situato nell’ala nord del Palazzo. Lì dieci minuti dopo tutte le cibarie erano pronte e disposte ordinatamente. Kira divorò tutto in circa cinque minuti, mentre Elizabeth mangiava in modo più composto e regale. “Vedi Kira? C’è modo e modo di cenare. Quando sabato sera andremo alla cena di gala, non potrai comportarti così. Ci vuole compostezza, eleganza nei gesti e discrezione. Comportarsi a tavola è un’arte, deve sembrare che tu stia danzando. Ogni movimento è calcolato, non deve eccedere, non puoi mangiare come un uomo, o peggio come una bestia. Numi del cielo, non sarai mai pronta per sabato!” “Tanto vale che ci venga come Edward, non ti pare?” “E aspetta! Non vorrai mancare alla tua parola!” “Sia mai! Allora cosa suggeriresti di fare, o saggia educatrice?” “Lezioni intensive di bon ton. Hai una vita da recuperare come dama, e una settimana non è abbastanza; ma possiamo provare. Se ti metti d’impegno sono certa che puoi farcela, sei molto svelta ad imparare” “E tu sei un’insuperabile insegnante!” rispose Kira ridacchiando. Dopo aver terminato la cena si alzarono discretamente, Elizabeth si appese al braccio di Edward e i due uscirono, fino al centro del giardino. Sedettero su una panchina sistemata sotto un pesco fiorito. Finalmente era arrivata l’estate e iniziava a farsi sentire tiepido il calore del sole inglese, anche se ormai esso era tramontato. L’abito che Elizabeth indossava quella sera era stupendo, Edward dovette ammetterlo. Era un corpetto rosso senza spalle con ricami arancio che raffiguravano fiori primaverili, una collana dai fulgidi riflessi rossi che risaltava sul collo, una gonna voluminosa composta da mille veli viola, e per finire i suoi lunghi capelli color rame erano raccolti in un’acconciatura regale e ricercata, con due lunghi ciuffi che le ricadevano sul collo. Quella sera si era anche fatta truccare: il solito colorito rosa era stato coperto da un innaturale bianco avorio, e le labbra dipinte di rosso fuoco risaltavano assieme ai suoi solari occhi verdi. Edward sentì una frecciata al cuore, sentiva la morsa di Cupido conquistarlo e spingerlo verso Elizabeth. Quant’era bella, quale meravigliosa creatura si presentava davanti ai suoi occhi, illuminata dalla luce del sole morente. Colto da passione incontrollabile Edward si voltò verso Elizabeth e, cingendola per la vita, la baciò con ardore. La regina si distese indietro mentre il cavaliere si sistemava a cavalcioni sopra di lei. Elizabeth si lasciò scappare un gemito di piacere, sentiva il gentil tocco di Edward addosso, avvertiva la sua passione e tutto il suo amore mentre le carezzava il volto con dolcezza, leggeva devota sincerità nei suoi occhi cerulei. Le sue mani; oh, quanto gentili erano le sue mani, e quanto diverso quel tocco, quanto leggero ed amorevole, diverso da ciò che era abituata a vedere, così dolcemente attento ed inebriante. Edward iniziò a coprirle di baci il collo, e allora la regnante lo allontanò “No, eh! Non di nuovo” il cavaliere fece una faccia offesa “Donna di poca fede!” detto ciò si tuffò sul petto di Elizabeth con la ferma intenzione di non riemergere più. Elizabeth nel frattempo si divertì a sciogliere la lunga coda che portava Edward e a scompigliare i suoi capelli corvini. Sapeva già dove voleva arrivare “Kira…” sospirò la regina fremente. Non poteva più aspettare, e sapeva che Kira si divertiva incredibilmente a farla impazzire. Era come una sfida, uno scontro fra due fiamme che si univano, si separavano, si mescolavano e si confondevano una nell’altra; era poesia, una poesia perfetta, armoniosa, divina, creata da aedi immortali e cantori celesti, composta dall’infinito, alimentata da tutto, da niente, dalla vita, dalla morte, dalla luce e dalle tenebre; poesia d’amore, d’amicizia, di fratellanza e di vittoria, forgiata dal fuoco del nulla, temprata nel fiume della conoscenza e adorata nella luce degli animi. In quel momento ad Elizabeth pareva di sfiorare il cielo con un dito e fare invidia agli angeli in paradiso, toccare le nuvole di panna e riposarsi all’ombra della docile luna; tutto l’universo scompariva, rimaneva solo Kira, il suo grande cuore da guerriera, i suoi lucenti occhi ammalianti ed il suo sorriso incantevole, le sue carezze morbide che la facevano sentire viva. Finalmente Kira arrivò dove Elizabeth la voleva, e la regina si strinse forte a lei. Voleva che ciascuno di quegli istanti durasse un’eternità intera, voleva fermare il tempo, il tiranno dei Mondi. “Kira…” mormorò in preda all’estasi.

EXETER, 4 ottobre 1565
Le truppe di Mary stavano per giungere a Chippenham. La guerriera sapeva che era una trappola, ma sapeva che non le rimanevano alternative. Elizabeth era stata scaltra, doveva ammetterlo. Bloccando le altre due vie, aveva costruito un passaggio obbligato attraverso l’unica trappola che avrebbe potuto ostacolarla. Inoltre, aveva avuto notizie di ammutinamenti nel suo esercito, che si erano alleati (assieme a rappresentative gallesi ed irlandesi) con l’odiata cugina. Secondo i suoi calcoli, tenendo conto del terreno sfavorevole, Elizabeth aveva molte più possibilità rispetto a lei in quel momento. Eppure non voleva darsi per vinta, aveva già chiesto altri rinforzi alla Spagna. Temeva di non riuscire ad ottenerli: Filippo si era già lamentato più volte dell’ingente numero di truppe mandato in soccorso della Scozia che, a detta del re, lasciava indifesi i territori spagnoli, facili prede per uno stratega formidabile come Edward Norfalk. “La guerra è qui, a Londra!” aveva risposto Mary infuriata. Così, meno di una settimana dopo, Filippo era stato ‘Cordialmente pregato’, in pratica costretto, a mandare altri 5000 uomini al fronte. Mary era decisa a fare le cose in grande, a calcolare ogni minima possibilità e rischio. Non poteva assolutamente perdere. Quel maledetto trono le apparteneva, ed aveva la ferma intenzione di riprenderselo.
Tutto ebbe inizio in una fredda mattinata autunnale. L’esercito di Mary era infine giunto a Chippenham, con i rinforzi tanto acclamati. Le truppe di Edward erano appostate oltre la gola, lei lo sapeva. Ciò che non sapeva era la reale consistenza di tale esercito: erano arrivati gli aiuti dai traditori scozzesi? Se si, in che quantità? Di una cosa sola era certa: le sue armate erano più numerose e preparate. Elizabeth poteva spingerla nel passo più angusto, sulla montagna più alta, o dove le pareva. Nulla sarebbe servito ad arrestare la sua avanzata. In cima all’esercito scozzese, prima delle truppe armate, c’era una fila di coraggiosi guerrieri con le cornamuse, i tamburi, gli stendardi e i gagliardetti. Indossavano il costume tradizionale con il kilt, una giacca bianca, il cappello messo un po’ di traverso e i calzari bianchi. Facevano così tanto rumore che li sentivano fino in fondo all’insenatura, e anche oltre. Prepararono un precario campo di riposo, ma non delle tende troppo grandi: sarebbero rimasti in quel luogo per pochi giorni. Eppure non attaccarono subito; non c’era fretta di andare a morire. Quando ormai si faceva sera Mary prese il più veloce dei cavalli in suo possesso e partì per una perlustrazione, voleva cercare almeno di scorgere il nemico, vedere dove erano appostati i soldati, trovare dei punti deboli nella disposizione o un punto in cui attaccare. Tempest correva veloce lungo la pianura, del resto era un prezioso cavallo arabo donatole da Filippo stesso, era rapido come il vento e nulla avrebbe potuto superarlo. Aveva un lucido manto bianco, e per cercare di renderlo meno appariscente l’aveva cosparso di un unguento nero e cavalcava senza sella. Per sicurezza decise di coprirsi di fango lei stessa, anche se così facendo dovette sporcare tutti i suoi capelli biondi (cosa che detestava infinitamente). Attraversò la piana galoppando silenziosa, salì su uno dei colli che circondavano Chippenham e lo discese lungo il versante opposto. La fortuna doveva essere con lei, perché nessuno la vide, ma Mary riuscì a scorgere perfettamente tutte le guarnigioni appostate in tende da dieci; scorse in lontananza i fuochi dell’accampamento centrale. Erano a centinaia, sistemati nella parte in cui la pianura a forma di imbuto si allargava nuovamente, sembravano tanti piccoli puntini disposti a grappolo. Erano più di quanto immaginava, per essere solo la prima linea. Ad ogni modo, spazzare via quei moscerini non sarebbe stato difficile. Fece un altro passaggio attorno per essere sicura di aver calcolato bene il numero, girò per tornare al proprio accampamento ma qualcuno evidentemente la vide: Mary udì il suono di un corno squarciare l’aria, seguito da un secondo rumore e un terzo. “Maledizione!” diresse Tempest di nuovo a ovest, verso la gola, ma decise di uscirne attraverso la via principale. Era l’unico modo per sperare di farla franca. Nessuno poteva superare il suo cavallo in quanto a velocità, questo lo sapeva, ma se qualcuno le tirava una freccia? Se l’avessero attaccata da più fronti? Passare per il portone principale non era la più furba delle idee eppure, in un modo o nell’altro, doveva uscire da là. Ormai era in vista del suo obiettivo, il punto più stretto di Chippenham; qualche metro e avrebbe oltrepassato la strettoia. Sentiva un forte rumore alle sue spalle, la stavano inseguendo. L’aria era coperta da grida, suoni di avvertimento, possenti passi di cavalli. “Prendetela!” “È una maledetta spia scozzese!” gridava un altro “Poveri stolti, se voi sapeste chi sono scappereste come formiche” bisbigliò la regina con una punta di divertimento. Le sarebbe piaciuto rimanere lì e distruggerli uno ad uno, ma non se lo poteva permettere. Spinse Tempest oltre ogni limite possibile, sfrecciò fuori da Chippenham ed infine ritornò al proprio accampamento, al sicuro. Decise che il giorno seguente avrebbe sfondato le difese nemiche, così da poter entrare indisturbata a Londra. Il sole si fece vedere timido oltre le nubi il mattino del 6 ottobre, quasi a voler seguire anch’egli col fiato sospeso l’imminente scontro. All’alba le truppe di Mary si mossero in avanti, arrivarono fino all’imboccatura del passo. Lì furono bloccati dalle prime file di Edward e, data la conformazione del terreno, era sufficiente un numero esiguo di uomini per tenere a bada l’intera armata scozzese. Mary optò per una soluzione estrema: far salire i propri uomini lungo le alte colline e farli sciamare come insetti nella stretta pianura. Era un piano rischioso, ma del resto qualche perdita era accettabile al fine del risultato. “Avanzate lungo le colline, muoversi, muoversi!” Mary impartiva ordini a destra e a manca, sbracciava come una forsennata, ricacciava in avanti quei pochi che osavano fuggire, gridava come una pazza. Ogni uomo aveva la sua precisa sistemazione, un ordine da eseguire, e non poteva fallire. La regina era un’ottima motivatrice, e ancor prima una selettiva esaminatrice: solo gli uomini più forti fisicamente e di spirito, senza scrupoli, indomiti e coraggiosi potevano entrare a far parte del suo esercito.
Il sole splendeva alto nel cielo, le nuvole avevano lasciato spazio ad un cielo limpido e si soffocava dentro le armature smaltate. Gli uomini faticavano a muoversi, a cavalcare, persino a respirare. Tentare di combattere, poi, diventava quasi un’impresa. Ciononostante Mary non accettava alcuna lamentela né ripiegamento né ritirata né sosta. Aveva posto degli arcieri a fare da estrema retrovia e aveva minacciato di uccidere chiunque fosse retrocesso. I cavalieri di Edward non dovevano aver ricevuto lo stesso ordine; egli non era solito a decisioni così drastiche. No, loro combattevano per lealtà verso il proprio comandante, verso la propria regina, verso la propria Patria. Poveri stupidi! Sarebbero morti tutti come cani, e condannati al tormento eterno.
Il piano di Mary risultò più difficile del previsto: gli uomini saliti lungo i pendii erano stati trucidati: Edward aveva disposto delle catapulte sull’altro lato del passo, assieme a un caparbio nonché nutrito gruppo di arcieri scelti che scagliavano dardi infuocati a chiunque tentasse di discendere per i colli. La scozzese dovette ripiegare così sul piano originale: sfondare attraverso l’unica via rimanente. Purtroppo però era più facile a dirsi che a farsi, i guerrieri di Edward erano abili, ed il passaggio stretto. Mary si gettò in mezzo alla mischia con i suoi otto fidi generali, attaccò senza ritegno in ogni direzione, riuscì a infondere rinnovato vigore nell’animo dei suoi cavalieri ed in fine, dopo quasi un’intera giornata di scontri, riuscì a creare un piccolo varco. Subito ne approfittò, intensificò il proprio attacco e sfondò le linee di difesa nemiche. L’esercitò scozzese dilagò nella pianura come un branco di bufali inferociti, compì stragi e razzie; anche se guadagnò ben poco dalla nuova conquista: gli inglesi avevano bruciato ogni cosa subito prima di fuggire per evitare di far finire nelle mani scozzesi altre armi o rifornimenti. Mary guardò da lontano la ritirata inglese con soddisfazione; da lì in avanti la strada sarebbe stata tutta in discesa, e lei lo sapeva. Girò il cavallo per guardare il proprio esercito, face alzare la bestia sulle zampe posteriori, levò in alto la spada e si lasciò andare a un grido liberatorio. Per quel giorno le era andata bene, ma quanto ancora sarebbe durata la sua fortuna? L’Inghilterra era un nemico temibile. Mary conosceva bene gli inglesi, più di quanto desiderasse; conosceva il loro carattere, la loro temperanza e cocciutaggine, sapeva come ragionavano e su che valori basavano la propria vita. Poteva prevedere ogni loro mossa, aveva già intuito che strategia stavano adottando: si sarebbero gradualmente ritirati fino a Londra per fiaccare l’esercito nemico e poterlo sconfiggere poco prima delle mura cittadine. E così infatti fecero i soldati inglesi: prima Chippenham, poi Newbury, Slough ed infine Londra. Il prezzo da pagare però fu veramente alto: di quei nobili baluardi non rimase più nulla. Mary intanto meditava, studiava, osservava e prendeva nota. Nelle cinque battaglie che aveva combattuto non aveva visto mai Edward né a capo dell’esercito, né a metà, né in fondo. Mai una volta che l’ormai mitico Generale Maggiore si fosse fatto vivo fra le truppe. E la cosa le puzzava. Oh, se le puzzava! L’armata inglese era sempre stata guidata da due pivellini, ma che sforzo c’era nel condurre una ritirata? Mancavano pochi chilometri a Londra, doveva solo superare una lieve collina, un’ampia pianura e varcare gloriosa le mura cittadine. Tutti in Inghilterra la odiavano profondamente, ma una volta ritornata al trono avrebbero dovuto cambiare idea, o sarebbero morti. Uno ad uno. L’unica cosa che desiderava era il potere illimitato ed incondizionato, il controllo totale sulle vite dei suoi sudditi. Non c’era limite né freno alla sua avidità di potere; più ne otteneva, e più ne desiderava. La Scozia non era abbastanza, né bastava l’Inghilterra. Tutto il mondo! Voleva tutto il mondo ai suoi piedi; e forse nemmeno allora la sua bramosia si sarebbe placata. Quello era l’unico scopo della sua esistenza: combattere e conquistare fino a non poterne più della propria insulsa vita. Non esisteva altro motivo della sua presenza sulla Terra o, per lo meno, lei non ne aveva trovati. Le sole cose che sapeva fare erano combattere, pianificare…e odiare. C’era stato un tempo, molti anni prima, in cui Mary non era così accecata da odio e bramosia; c’era stato un tempo in cui Mary era umana. Tutti a corte la amavano e rispettavano, tutti le volevano bene e la adulavano. Ciò accadeva prima che Elizabeth nascesse. Mary aveva circa nove anni e sua madre Caterina era ancora Regina d’Inghilterra. Enrico era un padre severo, austero e un po’ lunatico, ma in fin dei conti giusto. Spesso si arrabbiava per le marachelle che la principessina combinava e ancor più spesso s’infuriava con i propri ciambellani, tuonava imprecazioni e rimproveri, menava un po’ le mani ma poi si calmava sempre. Il suo comportamento era adulatore quasi quanto quello dei ciambellani: non le faceva mancare nulla e ogni capriccio di Mary veniva puntualmente soddisfatto. Poi, improvvisamente, tutto cambiò: Caterina venne ripudiata perché incapace di dare l’erede maschio che il re tanto desiderava, e a corte prese sempre più piede un’altra figura, Anna Bolena. Lei era una giovane molto attraente, ma aristocratica. Non scorreva sangue regale nelle sue vene. Tuttavia divennero sempre più insistenti le voci di una sua gravidanza, e per di più Enrico non si decideva a smentirle. Era troppo impegnato a correr per prati cantando la bellezza del suo nuovo amore. Tre mesi dopo vi fu l’epilogo finale: Caterina e Mary vennero strategicamente mandate a Manchester, in una delle residenze estive reali, mentre Anna era nominata sovrana inglese. Qualche mese più tardi, in seguito ad un parto travagliato, venne alla luce Elizabeth. Immenso fu lo stupore di tutta la corte: sia i saggi di corte che i medici avevano fatto auspici favorevoli per il futuro nascituro, “Sarà sicuramente un maschio” avevano detto, e invece…eccola lì, con i suoi lucidi occhi verdi che si lamentava nella culla e sfidava l’intero mondo. Dopo lo stupore iniziale Enrico si addolcì, ed Elizabeth divenne la sua preferita. All’improvviso Mary non esisteva più. Anzi, peggio: doveva portarle rispetto e salutarla come una schiava. Doveva genuflettersi quando la vedeva, chiamarla “Sua Maestà”, parlare sempre rispettosamente di lei. Inoltre, gran parte dei fondi che fino ad allora erano suoi, divennero della nuova erede. Il nemico numero uno di Mary però non era direttamente Elizabeth, ma il fratello Henry Fitzroy, figlio bastardo di Enrico e della sorella stessa di Anna, la regina. Il bambino era tenuto in gran considerazione dal re nonostante egli non avesse alcun diritto di salire al trono. Se Enrico ne avesse avuto bisogno, non avrebbe esitato a ripudiare Anna per la sorella, pur di avere un successore al trono. Per il momento decise di attendere e sperare che quel “piccolo incidente di percorso” non si sarebbe ripetuto. Da allora Mary dovette sempre faticare per riuscire ad ottenere l’attenzione del padre, e ciò diveniva snervante col passare del tempo. Finché decise di farla finita e, dopo la morte di Edoardo VI (il figlio della sesta ed ultima consorte di Enrico) salì al trono inglese. Il resto era storia.
Elizabeth sedeva meditabonda nel proprio studio, con le mani giunte poggiate sulla fronte corrugata e gli occhi chiusi. Il piano stava funzionando alla perfezione, ma quanto era affidabile? Stava rischiando davvero troppo, non poteva permettersi di perdere il trono. Se le difese non avessero retto fuori le mura della città, sarebbe stata la fine. Nonostante tutte le rassicurazioni di Edward, Matthew e Stephen, non riusciva proprio a stare tranquilla. Era la resa dei conti finale, o la va o la spacca. Le tende rosse erano tirate, la luce a stento si faceva spazio nella sala oscurata. Ogni cosa era al suo posto, ogni singolo pezzo del mosaico combaciava, eppure la regina non era affatto tranquilla. Aveva avuto notizie allarmanti riguardanti l’esercito scozzese: Nikki e Yoshi avevano svolto un egregio lavoro, ma le forze nemiche erano ancora in numero superiore. I pensieri di Elizabeth furono bruscamente interrotti da un suono improvviso, qualcuno bussava alla porta. Tre colpi secchi “Sì?” “Elizabeth, sono Edward” “Entra pure” il cavaliere aprì la porta piano, ed altrettanto silenziosamente la richiuse alle proprie spalle “C’è forse qualcosa che non va?” “Si e no” “Che intendi dire?” “Il nostro piano sta funzionando, anche troppo per i miei gusti. Stiamo correndo un pericolo troppo grande, Kira” “È un rischio calcolato” “Eppure la posta in gioco è troppo alta, non possiamo permetterci di perdere” Kira strinse forte le mani di Elizabeth nelle proprie e la guardò intensamente negli occhi “Andrà tutto bene, hai capito? Non ti devi preoccupare di nulla” il volto della regina si corrugò ancor di più. Kira mormorò confusa ‘Sicura di star bene?’ quando vide Elizabeth sbiancare di botto. “No, è che…non può essere vero” “Non può essere vero cosa?” “N…no, niente. Niente” “Se qualcosa ti preoccupa me lo puoi dire tranquillamente. Non mi spavento di certo, io” “Credo sia meglio che non lo faccia” “Non merito dunque la tua fiducia?” “Non è questo il punto e tu lo sai” “Però qualcosa ti assilla e non mi vuoi dire cosa” “È un peso che devo portare da sola. Vorrei tanto poterti raccontare ogni cosa, Dio solo sa quanto; ma non posso. Cerca di capirmi, Kira” vedendo che il volto della regina si stava incupendo sempre più, la guerriera decise di non andare oltre. Asciugò con un gesto leggero quanto gentile le lacrime che avevano preso a sgorgare sul volto di Elizabeth, annuì mesta e la strinse forte al petto “Guardati da un uomo vestito da pirata con un uncino. Arriverà da Stratford Street, durante la battaglia” Kira spalancò gli occhi sbalordita e tirò indietro Elizabeth. La fissò in volto un istante e fece per dire qualcosa, ma poi si zittì. “Stai attenta” ribadì la reggente “Oh, maledizione, vieni qui.” Kira abbracciò Elizabeth di nuovo “Non ti devi preoccupare, vinceremo questa dura prova. Insieme” le sussurrò a un orecchio mentre carezzava dolcemente i suoi lunghi capelli lisci “Andrà tutto bene”

LONDRA, 11 aprile 1566
Tutto era pronto. Gli eserciti erano schierati, le trappole sistemate, le barriere innalzate. La tensione fuori dalle mura nord di Londra era palpabile, lo scontro sarebbe iniziato presto. Il Generale Maggiore decise di perlustrare i paraggi per cercare di allentare la tensione. Si allontanò dall’esercito e si diresse a ovest, guadò a cavallo un fiumiciattolo, salì lungo un pendio e si guardò attorno svogliato, sostò all’ombra di una foresta e osservò la luce del sole lottare per farsi spazio fra i rami. Tutto era così silenzioso, pacifico e gioioso; nulla sembrava presagire il disastro che si sarebbe scatenato di lì a poco su quella florida pianura. Edward spostò con una mano le fronde della quercia che gli impedivano la vista, osservò il fiume gettarsi fra le braccia di un piccolo lago. Il cavaliere si avvicinò allo specchio d’acqua con trotto lento, scese da cavallo ed andò ad abbeverarsi. Chiuse la mano a coppa, raccolse un po’ d’acqua e bevve. Era molto fresca. Il cavaliere si asciugò il viso col dorso della mano e fece correre lo sguardo lungo tutta la radura in cui si era fermato. Fissò gli occhi sul velo d’acqua, gettò un piccolo sasso nel lago e guardò distratto gli anelli che si rincorrevano sulla superficie liscia. Gli parve di scorgere qualcosa fra i flutti, inarcò le sopracciglia e si sporse per vedere meglio. Intravide un viso, e gli parve un’illusione. Conosceva bene quel volto, i suoi lineamenti e la sua grazia. Portò avanti una mano e sfiorò l’acqua, quasi a voler carezzare il viso che tanto adorava. L’immagine fu distorta e scomparve in mezzo al lago “Elizabeth…” mormorò il guerriero incupito. Si rialzò di scatto, rimise i pesanti guanti di cotta, prese in mano l’elmo e montò in sella. Non era ancora pronto a tornare dal proprio esercito, gli serviva la concentrazione giusta e pensare a Elizabeth di certo non l’avrebbe aiutato. Edward riprese il proprio cammino attraverso la foresta, girò attorno al lago e si addentrò dove gli alberi erano più fitti. Sotto la benevola ombra della boscaglia il caldo era meno assillante, riusciva persino a respirare bene. Quasi non sentiva i trenta chili di ferro che portava addosso, solo il fastidioso rumore che emettevano mentre cavalcava gli ricordava la loro presenza. ‘non c’è alcuna fretta per tornare’ pensò meditabondo. Sapeva che non era vero, le truppe di Mary avrebbero attaccato da un momento all’altro e la sua presenza era indispensabile, ma finché nessuno veniva a cercarlo poteva stare tranquillo. Manco a dirlo, un guerriero irruppe nella selva correndo come un pazzo sul suo cavallo “Messer Edward! Messer Edward! Dove siete?” “Quaggiù, che succede?” “Si muovono! Le truppe di Mary stanno avanzando” “Maledizione - mormorò il cavaliere seccato - e va bene, andiamo” I due guerrieri cavalcarono rapidi lungo la via del ritorno, raggiunsero in breve tempo l’accampamento. “Guardate voi stesso” Edward guardò in direzione delle linee nemiche. I soldati si stavano riallineando secondo una disposizione ben stabilita. Non c’era tempo da perdere. Egli andò al fulcro dell’accampamento e diede l’ordine di disporsi in schieramento d’attacco. Yoshi e Nikki presero due parti dell’esercito, si disposero rispettivamente a destra e a sinistra di Edward. Gli arcieri andarono con Nikki a sinistra assieme alla cavalleria leggera, dieci plotoni di soldati corazzati e qualche catapulta. Lei era una guerriera molto strategica, raramente sfondava direttamente il nemico; preferiva fiaccare la resistenza delle armate avversarie per poi dare il colpo di grazia. Yoshi invece era più irruente e si prese la cavalleria pesante, i lancieri e venti legioni di cavalieri addestrati personalmente da lui. “Buona fortuna, Nikki” “E tu bada a te Yoshi” i due si scambiarono un intenso abbraccio e un frugale bacio prima di prendere le rispettive strade. Edward si diresse verso gli uomini che gli rimanevano, li fece disporre in file “È stato lungo il cammino per giungere qui e non è stato facile per molti di voi, lo so. Dobbiamo resistere ancora, per difendere la nostra Terra, per difendere la nostra Patria. Combattete con onore, respingete il nemico oltre le frontiere e la gloria dei posteri sarà vostra! Pensate a coloro che amate, a tutta la gente che vi aspetta a Londra. Se oggi noi falliremo, verranno tutti trucidati dalle truppe scozzesi. Il destino dell’Inghilterra è nelle vostre mani!” gridò il Generale Maggiore con foga inaudita. Tutti i soldati levarono un urlo all’unisono, simile a un tremendo boato che venne udito dall’esercito nemico, appostato nel lato opposto della vallata. Edward indossò l’elmo, brandì la propria spada e avanzò gridando come un leone. L’esercito di Mary fece lo stesso. Le due armate sembravano locuste che sciamavano inferocite nella pianura. Le truppe che stavano al centro si scontrarono per prime in un vivido scintillare di armature, spade, scudi e lance. Le frecce sibilavano in aria ed oscuravano il cielo da quante ne venivano scagliate. Edward si batteva con coraggio e furore in mezzo alla mischia, disarcionava cavalieri e schiacciava guerrieri con gli zoccoli del cavallo. Nessuno veniva risparmiato. Ogni tanto controllava la situazione nelle due ali a destra e sinistra, risistemava gli squadroni che rimanevano isolati. Quasi non bastasse, il sole era salito alto nel cielo e faceva un caldo infernale nell’armatura. Edward decise di levare l’elmo, non riusciva a vedere con quella ferraglia addosso. Si guardò attorno sconcertato, non riusciva a vedere Mary. Controllò meglio; eccola là, in mezzo alla mischia, che si batteva come una belva. Il guerriero spronò il cavallo e corse in sua direzione. I loro sguardi si incrociarono, e Mary non smise più di guardarlo. Lo stava aspettando da tempo, Edward lo sapeva. In un certo senso l’aveva cercata anche lui, per farla finita: Mary aveva causato troppe sofferenze a Elizabeth, era ora che morisse. “Finalmente ci rivediamo!” esclamò la regina “E sarà l’ultima volta, contaci” “Oh, ora che ci siamo ritrovati! Come sprecare un’occasione simile?” Mary balzò sul cavallo di Edward, lo disarcionò e rovinarono entrambi a terra. Il peso dell’armatura compresse i polmoni del guerriero, che emise un acuto grugnito quando cadde. Mary, invece, indossava un’armatura più leggera ed aggraziata, la sua caduta fu meno dura. “Che ferraglia orribile ti fanno mettere? Sei in Generale Maggiore, mi aspettavo qualcosa di meglio” “Tu pensa a te stessa, che è meglio” “Però così non sarà uno scontro equo” Edward allora sganciò le cinghie e si liberò di quel peso ingombrante “Ah, così mi piaci” rispose Mary rimettendosi in piedi “Nemmeno ora è uno scontro alla pari, sai?” replicò Edward alzatosi di sua volta “Oh, e va bene, tanto non fa nessuna differenza per me. Ti ucciderò lo stesso, tesoro” Anche Mary si disfò dell’armatura e prese in mano la propria spada “Iniziamo a combattere o vuoi che ce ne restiamo qui a civettare come due passerottini?” per tutta risposta Edward si buttò in avanti con tutta la forza che aveva, e le spade si incrociarono in una pioggia di scintille. Nessuno dei due si muoveva o indietreggiava anche di un solo millimetro, Edward e Mary rimanevano fissi sulla propria posizione. Da lì prese vita un lungo braccio di ferro, ad un certo punto il cavaliere riuscì ad avere la meglio, spinse la lama in avanti e ferì il braccio destro della regina che però riequilibrò la situazione immediatamente. Un guerriero arrivò all’improvviso da dietro Edward urlando come un pazzo. Il generale buttò in avanti Mary, si girò e colpì il malcapitato con un fendente dritto nello stomaco. Il malcapitato crollò immediatamente a terra senza vita. Altri due giunsero da sinistra, Edward si inginocchiò e scaraventò a terra il primo, si rialzò e freddò il secondo. Si girò di scatto, alzò la spada e sferrò un colpo verticale tremendo. Il nemico non ebbe scampo. Quando il Generale si voltò nella direzione in cui prima c’era Mary, però, non trovò nessuno “Mary!” ringhiò rabbioso mentre levava lo sguardo al cielo. La regina era sparita di nuovo. Il cavaliere montò in groppa al proprio cavallo, si guardò attorno. Le truppe di Yoshi stavano avendo la meglio su quelle scozzesi, mentre Nikki era in difficoltà “Edward, vai ad aiutare Nikki!” gridò il comandante mentre ancora stava dirigendo la propria porzione di esercito “Se mando le mie truppe a ovest allora si creerà un buco al centro e Mary sarà libera di entrare dall’ingresso principale! È questo che vuoi?” “No, ma cerca di aiutarla in qualche modo per Dio!” “Cerca di gestire la situazione al centro e a est mentre io vado a dare supporto a Nikki” Yoshi annuì, il Generale si diresse a ovest con un contingente limitato di uomini. Nikki era veramente in difficoltà, le catapulte erano inutili sulla piccola distanza, i soldati erano stati decimati e gli arcieri non bastavano ad arginare il fiume di guerrieri che stava avanzando; le truppe di sostegno giunsero come una manna per gli uomini esausti. Edward raggiunse Nikki al confine della foresta orientale “Ti ringrazio, Edward. Non avremmo resistito ancora a lungo” “Dovere. Ascolta, Nikki, dobbiamo cambiare strategia. Gli uomini di Mary sono troppo compatti, se continuiamo così perderemo la guerra. Porta le tue legioni nella foresta e attira lì il nemico, avrete più possibilità” “Tu cosa farai?” “Torno da Yoshi per far muovere il suo esercito, mentre noi arretreremo” “Non è una mossa troppo azzardata? Se perdete Mary avrà la strada spianata” “Noi non perderemo” “Per favore, guarda come se la cava Yoshi” “Piuttosto bene, direi. Ora devo andare” i due si salutarono, Edward attraversò il campo di battaglia, diede istruzioni a Yoshi di avanzare verso nord-ovest e spingere una parte dell’esercito nemico sulle colline. In seguito raggiunse i suoi uomini e arretrò di almeno cento metri ma mantenne una distanza di sicurezza dalla cinta muraria londinese, anche se temeva che cinquecento metri non fossero abbastanza. Eppure dovevano frantumare le truppe nemiche se volevano sperare di vincere. Edward continuava a guardarsi attorno freneticamente, non riusciva a vedere Mary. Chissà cosa diavolo stava architettando. Sentì un sibilo alla sua sinistra, si voltò e buttò avanti le braccia giusto in tempo per afferrare una lancia diretta verso di lui. Con orrore guardò oltre le colline: altri uomini a cavallo stavano raggiungendo l’esercito di Mary “Non è possibile…” mormorò il Generale. Aveva sottovalutato la forza del nemico, era ora di pagare. Gli uomini di Yoshi erano spacciati, a meno che non avessero ripiegato nella selva a ovest “Yoshi! - gridò il Generale con tutto il fiato che aveva in gola - a sinistra! Ripiega a sinistra! Arrivano altri nemici!” il comandante guardò la cavalleria scendere dalle colline, deviò repentinamente verso ovest e attese. Attese che il nemico arrivasse. Si sentì un rombo squarciare l’aria e il terreno vibrare sotto i piedi dei soldati inglesi. La cavalleria stava arrivando. Yoshi fece nascondere i propri soldati nel bosco, e diede loro l’ordine di non muoversi fino a un suo ordine. La cavalleria era ormai arrivata, le bestie fecero irruzione nella foresta “Ora!!” gridò il condottiero, alzatosi di scatto. Le truppe si gettarono sulla cavalleria, disarcionarono i guerrieri e li uccisero senza pietà. Altri invece erano nascosti fra le fronde degli alberi, piombarono sui malcapitati e si impossessarono dei destrieri. Nessuno dei nemici rimase in vita. Fu allora che Yoshi ebbe un’idea: presero le armature ed i vessilli scozzesi, li indossarono, montarono in sella ed andarono a schierarsi fra le linee di Mary. Così avrebbero potuto colpire il fulcro dell’esercito nemico indisturbati. Un ufficiale li dispose a destra, dove c’era il buco lasciato dalle stesse legioni di Yoshi (che nel frattempo era stato ‘tamponato’ dagli uomini di Edward). Gli inglesi però invece di attaccare i propri compagni attaccarono gli scozzesi, ed in breve ebbero la meglio. Il nucleo centrale del nemico fortunatamente non riuscì a vedere lo svolgimento della battaglia perché troppo lontano, la copertura di Yoshi era ancora valida. “Bel lavoro” gridò Edward mentre si occupava di un plotone che stava avanzando in sua direzione. Yoshi non rispose, si limitò ad annuire. Dopotutto era un nemico in quel momento. Chiamò a raccolta i propri uomini e tornò velocemente nell’esercito scozzese “Che è successo?!” esclamò un ufficiale contrariato “Nemici…troppi…siamo stati sopraffatti signore” replicò Yoshi, recitando come un attore provetto. “Non potete essere stati battuti da quelle mammoline raggrinzite, soprattutto perché siamo almeno quattro volte più numerosi!” “Sono delle belve, lottano come leoni. Non cedono di un solo metro” “E allora voi ammazzateli come cani! In fondo sono uomini, non déi! Prima o poi si dovranno stancare, no?! Li dovete abbattere uno ad uno, se necessario! Avanti, e non tornate senza le loro teste!” Yoshi decise che ne aveva abbastanza, fece un cenno con la mano e scagliò i propri soldati contro gli ufficiali. Fu una carneficina; le truppe ben addestrate di Yoshi grazie anche al fattore sorpresa furono in grado di eliminare i capi maggiori dell’esercito scozzese. Così facendo sperava di gettare scompiglio e confusione, di far crollare la gerarchia sul campo. Cosa che infatti accadde: i soldati si accorsero di quanto era successo e tutti smisero improvvisamente di combattere. Il silenzio calò sulla pianura, nessuno si muoveva né fiatava; sia inglesi che scozzesi. Edward colse subito l’occasione; non gli sarebbe più capitato di avere l’esercito nemico così vulnerabile. “Attaccate ora!!!” i suoi uomini ripresero vigore e si lanciarono all’attacco. I soldati di Mary, senza comandanti, non riuscivano a coordinarsi, venivano puntualmente sconfitti. Il Generale Maggiore però non poteva stare tranquillo “Mary! Dove ti sei nascosta, maledetta?! Vieni fuori e affrontami se hai coraggio!” urlò iracondo. Il suo appello fu ascoltato: da nord giunse la regina alla testa di una immensa legione composta da almeno mille cavalieri che cavalcavano pregiati e formidabili cavalli arabi bianchissimi, dieci legioni di lancieri ed altrettante di truppe corazzate. Ancora nemici! Sembrava non avessero più fine. Il gruppo di Yoshi si venne a trovare nell’occhio del ciclone, fu circondato dalla cavalleria ed isolato dal resto degli inglesi “Yoshi!” gridò Edward “Non ti preoccupare per me, pensa ai corazzati! Li devi fermare!” riuscì a dire il comandante prima di rigettarsi nella mischia. A est la situazione non era di certo migliore: le truppe di Nikki erano dovute uscire dalla foresta dopo aver vinto il nemico ma subito furono ingaggiate dai rinforzi appena giunti. Edward tentò di andare ad aiutarle ma un plotone di scozzesi gli bloccò la strada “Levatevi di mezzo!” il Generale li affrontò ed in breve di loro non rimase nemmeno il ricordo. A quel punto il sentiero era praticamente libero. “Dove te ne vai, lasci i tuoi uomini in mezzo alla battaglia?” Edward fece girare il cavallo e guardò in volto il proprio nemico “Nemmeno tu sei stata leale ad andartene in mezzo a un duello” Mary ridacchiò e fece l’occhiolino, poi prese la propria arma “Pardon, cherie. Rimedio subito” i due si affrontarono in un accanito duello, i cavalli scalciavano indispettiti e sollevavano un’incredibile quantità di polvere dal terreno arido mentre le spade dei contendenti cozzavano una contro l’altra e producevano un secco rumore metallico. Era l’ultima volta che si sarebbero affrontati, Edward lo sapeva. Dopo quel duello uno di loro sarebbe morto, ma chi? Mary aveva una dannata espressione soddisfatta dipinta in volto, e lui non la sopportava. Tolse il piede sinistro dalla staffa e sferrò un colpo dritto allo stomaco della regina. Per tutta risposta lei tagliò la gola del suo cavallo, che si accasciò al suolo privo di vita. “Non dovevi farlo!” Edward si rialzò di scatto, corse verso Mary e con un pugnale recise la fibbia che legava la sella sul ventre del cavallo. Come risultato la donna piombò a terra pesantemente e nella caduta si slogò la spalla sinistra. Mary grugnì, si mise seduta, rimise dolorosamente la spalla in sede e si rialzò “A quanto pare non ti piacciono i duelli a cavallo, eh?” “Non mi piace quando si uccide il cavallo migliore che abbia!” Edward piombò sulla scozzese come un falco, con la spada spianata davanti a sé. Mary scansò di lato, fece un giro su se stessa e così facendo mise Edward in una posizione svantaggiata, girato di spalle “Sei morto” disse lei con tono calmo e rilassato “Touchè!” replicò il Generale. Improvvisamente egli si abbassò, fece una giravolta, falciò Mary e la fece volare gambe all’aria. Entrambi si rialzarono subito e ripartirono in avanti come due belve. Non c’era più tecnica, non c’era razionalità, non c’era stile ne umanità nel loro scontro. Era solo una lotta fra due energie contrapposte, l’uno era la nemesi dell’altra, non c’era possibilità di avvicinamento né trattative fra di loro, non c’era altro scopo delle loro esistenze se non quello di eliminarsi a vicenda. Edward si chinò repentinamente per schivare un fendente di Mary, puntò le mani a terra e colpì la regina con un calcio stomaco. La scozzese dovette retrocedere ma mezzo secondo dopo stava già fendendo l’aria con lo spadone. Edward dovette contrarre tutti i propri muscoli e buttare indietro il busto per non venire tranciato di netto. Mary cercò di portare a segno una serie di attacchi ma Edward era sempre un passo avanti ed evitava ogni colpo con calcolata precisione. Per quanto la regina si sforzasse di ferire il Generale, ella non riusciva nemmeno ad avvicinarsi ad Edward. Egli sembrava praticamente inattaccabile. Si muoveva con una destrezza che Mary aveva imparato a conoscere negli anni, ma c’era qualcosa di diverso in lui. Stava combattendo per Elizabeth, per salvarla, egli sapeva che se avesse perso allora la sua amata regina sarebbe morta e non poteva permetterlo. Rise della sua stupidità, o per lo meno immaginò di ridere. In realtà era troppo occupata a combattere per fare qualsiasi altra cosa. Guardò fisso nei suoi profondi occhi cerulei, scorse tutta la determinazione e la rabbia che vi ribollivano dentro. Aveva capito cosa era risposto a rischiare per Elizabeth, e la cosa un po’ la spaventava. Poteva sentire la sua aura ardente espandersi attorno al suo corpo come una fiamma accecante e bruciare più alta del sole. In quel momento nulla avrebbe potuto fermarlo dal suo proposito. Nulla a parte lei. Aveva ancora qualche asso nella manica da sfoderare prima di alzare bandiera bianca, poteva ancora vincere. Se solo quello stupido avesse saputo non avrebbe più dimostrato tanta audacia, ma sarebbe scappato come un coniglio! Nessuno aveva mai osato sfidare Mary la Sanguinaria senza pagarla cara; e Edward era in cima alla sua lista nera. Nonostante ciò provava una forte attrazione nei suoi confronti, e non ne capiva il motivo. Lo odiava con tutte le sue forze per averle rovinato la vita ma allo stesso tempo lo desiderava più della sua stessa vita. ‘Gli opposti si attraggono’ le aveva detto qualcuno molto tempo prima. Evidentemente aveva ragione. In quel momento però le riusciva di pensare ad una cosa solamente, vendetta. Doveva eliminare l’unico ostacolo che ancora le impediva di raggiungere Elizabeth, solo in seguito il trono sarebbe stato suo. Senza Kira Elizabeth sarebbe crollata come un castello di carta, Mary lo sapeva bene.
Lo scontro sembrava non avere più fine, Edward e Mary erano in uno stato di assoluta parità quindi nessuno dei due riusciva a prevalere sul nemico. Ormai era un gioco di sguardi, gesti, finte e attacchi evitati. Il primo giorno di battaglia giungeva al termine, il sole stava per calare e gli eserciti erano esausti. Anche Edward e Mary, dopo ore di combattimento, erano allo stremo. La regina, dopo un violento attacco del cavaliere, crollò a terra esausta. Aveva il respiro pesante e non sentiva più le braccia dalla fatica “Ora potrei ucciderti, lo sai vero?” “Fallo allora” rispose lei con tono di sfida mentre guardava Edward con i suoi occhi gelidi. Edward non rispose “Avanti, uccidimi. Ti basterebbe così poco” “Appunto, sarebbe troppo facile. Se mai dovessi ucciderti ciò avverrà in uno scontro leale e combattuto alla pari.” Detto ciò ripose l’arma nel fodero, si voltò e fece ritorno dalle proprie truppe. “Ritirata! Tutti all’accampamento, è stata stabilita una tregua!” “Non mi pare di aver sottoscritto alcun documento” replicò Mary contrariata “Oh si invece. È una norma di cavalleria che viene sempre rispettata nelle guerre. Non vorrai mica continuare a combattere ininterrottamente spero! Almeno la notte le truppe devono riposare” “Non ti darò tregua, Edward” “Allora io e te rimarremo qui tutta la notte, ma i nostri uomini devono riposare. Prima di domani mattina la guerra non riprenderà” la regina dovette arrendersi all’evidenza e far ritirare le proprie truppe fino all’accampamento. Gli inglesi rientrarono mesti all’accampamento, c’era molto da fare: i feriti andavano curati, i fuochi accesi, la cena preparata ed inoltre bisognava costituire una squadra di ricerca per andare a trovare eventuali feriti rimasti sul campo e recuperare i deceduti per dare loro una degna sepoltura. Edward invece tornò a Londra per fare rapporto alla Regina e a tutti i ministri. Prese un cavallo arabo fra quelli depredati agli scozzesi, meno di due minuti dopo stava già attraversando l’entrata della città. Lì arrivarono cinque cortigiani ad accoglierlo, presero il suo cavallo, lo fecero salire su una carrozza dorata e lo portarono a palazzo. Elizabeth lo attendeva con trepidazione, Edward era partito da un mese ormai e lei non aveva più avuto la possibilità di vederlo. Il Generale entrò nella grande sala del Parlamento dove tutta la Corte era riunita. “Lord Leicester, qual è l’esito del primo giorno di battaglia?” iniziò la regina con tono controllato. In realtà altre erano le cose che avrebbe voluto chiedere e fare, ma non era quello il momento né il luogo. “Le forze nemiche sono più numerose di quanto avessimo potuto immaginare ma con una strategia adeguata potremmo riequilibrare la situazione” “Dunque lo svantaggio non è incolmabile” chiese uno dei ministri “Modificando l’assetto delle truppe possiamo vincere la guerra” “Gli uomini in campo sono sufficienti?” chiese Matthew preoccupato “Gli uomini non sono mai abbastanza, ma siamo in grado di arginare l’avanzata scozzese per il momento” in realtà gli uomini non erano affatto sufficienti per bloccare le truppe di Mary, ma questo i ministri non lo dovevano sapere. I Parlamentari volevano fare altre domande, ma Elizabeth intervenne e li fece smettere “Messer Leicester ha bisogno di riposare ora, penso che le sue risposte siano state esaurienti. La seduta è sciolta” detto ciò uscì dalla stanza, seguita da quattro dame personali, dai cinque cortigiani ed infine Edward. Il Generale si liberò degli ingombranti assistenti e Elizabeth delle pettegole madame, finalmente i due rimasero soli. “Quanto mi sei mancato…” sospirò la regina con un filo di voce mentre si stringeva forte al cavaliere “Mi è sembrava una vita” rispose Edward con altrettanto ardore. “Vieni nella mia stanza, così puoi riposare un po’” “Ti ringrazio” una volta entrati, Kira si distese subito sul letto “È andato tutto bene?” chiese la regina “Bè, date le prospettive…abbastanza” “Sono contenta. Gli uomini sono davvero abbastanza? O mi stai nascondendo qualcosa?” “Le nostre truppe non resisteranno ancora a lungo, ma questo a Londra non si deve sapere o si scatenerà il panico. Penso di riuscire ad andare avanti un paio di settimane, ma non di più. Tu devi iniziare a preparare ogni cosa qui. Sarà necessario lottare per le vie di Londra, è l’unico modo di pareggiare i conti. Nelle vie strette della città l’esercito di Mary, per quanto numeroso, si dovrà dividere, e allora saremo noi a vincere. Siamo più addestrati” “Vuoi portare la guerra in città?! Stai scherzando, spero! Sarà un massacro!” “Non in tutta Londra. Se tu riuscissi a spostare la popolazione nel dipartimento a nord noi potremmo avere campo libero a sud. Credo che se riusciamo a portare lo scontro in città, allora la sua durata sarà anche inferiore” “È troppo rischioso, non posso lasciartelo fare” “Perché? Solo perché hai paura che io muoia?” “Sì, proprio così!” esclamò Elizabeth ansiosa. Kira allora si alzò dal letto e si accostò alla regina “Devi smetterla di preoccuparti, so badare benissimo a me stessa. E comunque devi scegliere fra rischiare la mia vita e rischiare la sicurezza dell’intero regno. Il bene di molti è più importante del bene di pochi, sei stata tu ad insegnarmi questa importante lezione” Elizabeth chinò il capo incupita, non riusciva a trovare il modo di rispondere. Sapeva perfettamente che Kira aveva ragione, eppure…si sentiva morire al solo pensiero di perderla “Non voglio perderti” mormorò con un filo di voce. Kira strinse le sue mani e la guardò in volto “Tu non mi perderai, hai capito? Ti prometto che tornerò intera da questa guerra” “E se…” “Ho mai mancato alla parola data?” “No” “E allora stai tranquilla. Anzi no, facciamo una cosa, così stai più tranquilla. Io ti lascio questo ciondolo e tu me lo restituirai quando torno, d’accordo?” Kira prese il prezioso ciondolo che portava al collo e lo mise ad Elizabeth. Era piccolo e fatto in oro, su di esso vi era rappresentata l’effige di Johnatan Norfalk “Mi stai davvero dando il tuo ciondolo? Da quando ti conosco non l’hai mai voluto togliere” “Ti ho detto che quando torno me lo ridarai” “Se la metti su questo piano…bè…anche io ho qualcosa per te” “E sarebbe?” Elizabeth prese un cofanetto scarlatto e lo aprì. Dentro c’era una collanina in oro bianco con un altro ciondolo, in esso vi era rappresentata una miniatura di Elizabeth “Così ti ricordi di me quando sei lontana” disse la regina con un filo di voce. Le sue guance si tinsero di un rosso acceso e la voce le si spezzava in gola per l’emozione “È…è bellissima” rispose Kira. Subito indossò la collana, poi si avvicinò ad Elizabeth e le stampò un enorme ‘grazie’ sulle labbra. La regina chiuse gli occhi e si abbandonò a quella calda sensazione, era passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva sentito il dolce sapore del suo bacio; ed era un’emozione indescrivibile. Kira si ritrasse e stiracchiò le braccia “Sono proprio stanca…è meglio che me ne vada a dormire” fece per ributtarsi sul letto di Elizabeth ma ella la fermò trattenendola per le vesti “Dove credi di andare?! Non ti getterai sul mio letto in quegli stati! Esigo che tu ti lavi e che tu ti cambi quei vestiti puzzolenti” “Eddai ho sonno!” “Niente da fare cara mia. O ti lavi o sul mio giaciglio non ti ci distendi” “Ma che pignola sei stasera! Non mi pare affatto il caso” “E bè certo, tanto il letto non è tuo!” Elizabeth prese Kira per un braccio, aprì la porta che stava alla sua destra e la trascinò oltre. Lì c’era una vasca colma di acqua calda già pronta “Avanti! Datti una bella lavata” per tutta risposta Kira la afferrò e la gettò nell’acqua. Elizabeth esplose in un gridolino stridulo, si rialzò, afferrò Kira per la vita e le restituì il favore “Soddisfatta?!” esclamò poi cercando inutilmente di strizzare le vesti. La guerriera fece per rialzarsi ma Elizabeth la spinse con la testa di nuovo sott’acqua “Ti lavi da sola o devo venire lì a farti da mammina?” Kira si agitò nell’acqua come una bambina che non vuole farsi il bagno, sorrise ed esclamò un acuto ‘Sì mamminaaaaaa’ Elizabeth sbuffò infastidita, si rimboccò le maniche, prese una spugna “Non ti puoi di certo lavare con gli abiti addosso” Kira ridacchiò, levò giacca, camicia e fasciature. La regina si inginocchiò a lato della vasca, strizzò un paio di volte la spugna nell’acqua (creando così una marea di schiuma e bolle) e la passò sulle spalle spossate della guerriera “Singolare, sai? Una regina che lava la schiena al suo Primo Ufficiale. Non è decoroso” “Però a te piace” “E chi l’ha detto?! Stare qui a lavarti la schiena! Dah! Stai scherzando, spero” “Allora alzati e vattene” la punzecchiò Kira. Elizabeth sbuffò, sapeva di aver perso la sfida verbale, ma si prese la propria rivincita insaponando tutto il volto della guerriera “Ah! Non vale! Brucia, maledizione! Brucia brucia brucia!” Elizabeth rise divertita, raccolse con la mano un po’ d’acqua e pulì il volto della guerriera “Così impari a prenderti gioco della tua Regina” “Ah, ma io mica ti stavo prendendo in giro? Ho solo detto la verità, e niente più” “Braccio destro” Kira porse ad Elizabeth il braccio, ed ella lo lavò. La guerriera poi portò avanti la mano e con una ditata posò sulla punta del naso della regina una montagna di schiuma. Elizabeth arricciò il naso e si ripulì, poi bagnò la spugna nuovamente e la porse a Kira “Arrangiati tu ora” l’altra prese la spugna e, canticchiando tranquillamente, finì di ripulirsi. Approfittò di un attimo di distrazione di Elizabeth che era girata, le lanciò in faccia la spugna zuppa “Non è valido! Uffa, devi smetterla” “E che sarà mai un po’ di sapone…” Kira scoppiò in una fragorosa risata, e lo stesso fece Elizabeth “Guardati lì, sei piena di schiuma” la guerriera portò avanti una mano, ripulì il viso della regina, il suo gesto si sciolse prima in una carezza, poi in un appassionato bacio che sembrò non finire più. Per la prima volta dopo molte settimane, finalmente Kira si sentiva bene e in pace. Elizabeth le era mancata così tanto da toglierle persino la voglia di sorridere. Ora che era lì accanto a lei tutto era più bello e solare, ogni singolo aspetto della vita le sembrava radioso come non mai.

LONDRA, 20 aprile 1566
Il piano di Edward aveva funzionato alla perfezione, la popolazione era stata dislocata a nord con la scusa di ‘lavori di ristrutturazione e bonifica’. L’esercito inglese si era progressivamente ritirato fino alle porte di Londra. Gli scontri erano proseguiti senza alti né bassi, ovviamente gli inglesi si risparmiavano per la fase decisiva mentre gli scozzesi studiavano cauti le mosse del nemico, cercando di capire cosa stesse accadendo. Non era di certo normale che l’impavido esercito inglese si ritirasse a quel modo. Mary stava letteralmente diventando pazza per tentare di comprendere la strategia di Edward “Cosa diavolo stai architettando?!” aveva urlato inviperita “Se te lo dico poi non sarà più una sorpresa” “Che ci guadagnerai mai a ritirarti…” “Tu aspetta e stupisciti” aveva risposto Edward soddisfatto. Mary non aveva ancora capito il suo piano, ciò era un grande vantaggio per gli inglesi. Il venti aprile finalmente era tempo della mossa finale: le porte di Londra si aprirono e l’esercito andò ad appostarsi fra le vie. Quando gli scozzesi andarono a rincorrere il nemico trovarono una città deserta. Non c’era traccia di Edward, né Yoshi, né Nikki né tutti gli altri ufficiali. Niente di niente. Mary batté forte i piedi al suolo “Dove siete andati a nascondervi, maledetti?!” Solo in quell’istante si rese conto della trappola in cui si era andata a ficcare “No!!” strillò iraconda. Non poteva perdere, non contro Edward, non contro Elizabeth! “E va bene Edward, te la sei andata a cercare. Distruggerò il tuo esercito uomo per uomo, e poi verrò a sgozzare la tua cara Elizabeth, così scoprirai cosa significa sfidarmi” la regina divise il suo esercito in parti uguali e mandò ciascuna legione a perlustrare una via. Gli uomini si sparpagliarono a grappolo e iniziarono a setacciare ogni singolo anfratto, ogni singola casa, ogni singola strada. Nulla era lasciato al caso. La regina prese una legione di coraggiosi soldati e si diresse verso la via centrale. Aveva la ferma intenzione di stanare Edward e chiudere definitivamente i conti con lui.
“Avanti, da questa parte! E fate attenzione, mi raccomando. Gli inglesi sono astuti, potrebbero essere ovunque” un gruppo di scozzesi si addentrò verso Stratford Street, prese a guardare dentro ogni casa, in ogni singolo angolo buio alla ricerca di nemici. Niente, non riuscivano a trovarli. Come diavolo era possibile far scomparire un’intera armata?! Erano entrati in città meno di un’ora prima e di loro non rimaneva la minima traccia. Si sentì un rumore secco, poi qualche sassolino cadde sulle spalle dei soldati. Tutti guardarono in alto “Sui tetti! Sono sui tetti!” meno di un secondo dopo la legione inglese era già piombata sugli ignari scozzesi facendo una strage inaudita. Di venti uomini ne erano rimasti cinque, contro quindici nemici. Gli scozzesi si chiusero a cerchio e fronteggiarono con coraggio la morte. “Avete combattuto da eroi, ora morirete come eroi” disse Yoshi facendo il segno della croce prima di eliminarli. Evergreen Street era pattugliata dalle truppe di Nikki, ma gli scozzesi non si facevano ancora vedere. “Comandante, arrivano!” sussurrò la vedetta. Tutti salirono rapidamente sui tetti ed attesero l’arrivo degli avversari. Nikki li contò, erano almeno venti. “Abbassatevi, o vi vedranno. Appena vedete che sono entrati a Evergreen balzate giù, così li coglieremo di sorpresa” Quando il tempo fu propizio i soldati di Nikki saltarono giù dai tetti e attaccarono gli scozzesi alle spalle. La lotta che ne seguì fu accanita, senza esclusione di colpi. Fino all’ultimo il risultato fu incerto, ma l’indecisione degli uomini scozzesi diede ai nemici l’opportunità di chiudere la questione. E il secondo plotone era stato sconfitto. Il gruppo di Nikki si spostò a Central Square mentre Yoshi andò a Darwick Street. Edward aveva dato ordini di operare in autonomia; i collegamenti fra le squadre erano impossibili così ogni comandante era libero di agire a propria discrezione. Edward aveva disposto le proprie armate a nord, le aveva divise in piccole parti e le aveva fatte discendere verso sud per coprire ogni via. Da quel momento in poi ogni singola parte era libera di avanzare come più desiderava. Il Generale, a capo della sua squadra, si era diretto verso la via più grande e quindi più difficile da difendere. “Fate molta attenzione” da lontano vide gli uomini scozzesi avanzare con passo rapido e deciso “Bene, arrivano. Formazione di attacco!” in prima fila si disposero i corazzieri con i loro scudi dalla forma slanciata e snella, dietro di loro c’era un gruppo di lancieri, poi i Cavalieri Scelti della regina e qualche metro più indietro vi erano infine gli arcieri. Questi ultimi iniziarono a scoccare dardi infuocati quando gli scozzesi erano a circa trenta metri di distanza. Alcuni vennero colpiti e fuggirono nel tentativo di spegnere il fuoco, altri caddero a terra morti. Le loro armature erano molto resistenti quindi gli arcieri dovevano usare delle frecce molto grosse con punte particolari e cercare di mirare all’attaccatura del collo per sperare di avere successo. “Ora! Avanti!” i nemici erano a cinque o sei metri di distanza ormai; i corazzieri partirono in avanti, protesero gli scudi e spianarono la strada per gli altri guerrieri che si gettarono come belve sugli scozzesi. La battaglia finale era iniziata. “Mary, dove sei? Vieni e affrontami!” la regina superò con un balzo spettacolare le linee nemiche, si trovò proprio di fronte a Edward “I miei complimenti, mossa astuta. Non ci ero proprio arrivata. Solo quando vi ho visti fuggire oltre le mura delle città ho capito cosa volevi fare. Hai vanificato la nostra superiorità numerica, bravo. Purtroppo per te questo non ti salverà dalla mia furia” il combattimento fra i due aveva inizio. Di nuovo. Mary attaccava senza posa da destra e da sinistra, avanzava e retrocedeva, si muoveva come una pantera. Edward preferì aspettare per dare il meglio. Intanto gli faceva comodo lasciare che Mary si stancasse a dovere. Ben presto la lotta si trasformò in uno scontro a due: gli uomini di Edward erano riusciti a vincere e se ne stavano qualche metro in disparte a guardare colmi di ammirazione il loro Generale che dava battaglia. “Non restatevene lì impalati! Dominique, prendi tu il comando. Andate avanti, prendete un’altra strada e continuate a pattugliare le vie!” i soldati ubbidirono, lasciarono i due guerrieri alla propria lotta.
Lo scontro fra Edward e Mary andava avanti da quasi due ore ormai, i due lottavano senza posa e nel solito stato di parità. Edward si decise a lottare con tutte le sue energie, la differenza rispetto l’inizio era più che evidente e Mary iniziò ad essere in difficoltà. Ad un certo punto il Generale buttò in avanti la spada repentinamente, ferì la regina di striscio al volto. “Maledetta! Non ti è bastata la soddisfazione di sfigurarmi, vero? Dovevi anche infierire” “Tanto che te ne importa, tra poco morirai” “È tutto da vedere!” replicò la regina. Ella partì a testa bassa all’attacco con la spada spianata, ormai non capiva più nulla. Edward schivò di lato, girò su se stesso e sferrò un rapido fendente diretto al fianco di Mary. La lama della spada affondò senza pietà nella molle carne della regina “Huh!...brava, ti sei meritata la vittoria. Hai imbrogliato e mentito, grande guerriera sei” Mary sfilò dolorosamente la spada dall’addome, si avvicinò a Kira e accarezzò un’ultima volta il suo viso prima di morire. Edward fece il segno della croce e corse via. Non fece in tempo a svoltare per Straford Street che qualcuno lo fermò “Dove pensi di andare?!” il Generale si girò sorpreso. Era un uomo alto e corpulento, con una benda sull’occhio destro e un uncino al posto della mano sinistra. L’uomo di cui aveva parlato Elizabeth! Edward guardò meglio quell’uomo e inorridì. Era Drake! “Tu! Come hai fatto a sopravvivere?!” “Sono un uomo pieno di risorse, non lo sapevi?” il pirata allargò le braccia e sfoderò quella sua risata odiosa “Non mi interessa come tu abbia fatto, levati dalla mia strada” “Mi dispiace, non posso. Ho promesso a qualcuno di fermarti, e lo farò” “Così oltre che ricercato ora sei anche traditore, ma bene. Sarà un vero piacere ucciderti. Chi sarebbe questo potente Signore che ti avrebbe offerto protezione? No, aspetta! Non avrai osato allearti con Mary?! Tu che più di tutti la volevi morta!!” “Lei mi ha salvato dalla Traitor’s Gate, mi ha rimesso in sesto e mi ha dato una nuova flotta di pirati. Tutto in cambio di questo piccolo favore. Potrei forse desiderare di più?” “Vigliacco traditore!” Edward si lanciò all’attacco gridando come un pazzo, ma Darek era più abile di quanto il Generale avesse immaginato. Nel suo bizzarro modo di combattere riusciva a schivare tutti gli attacchi senza difficoltà. Per quanto Edward provasse, non riusciva mai a colpirlo in maniera seria. Darek invece aveva messo subito in difficoltà il Generale e lo spingeva spesso a retrocedere. Nonostante ciò Edward non si arrese, pensò di cambiare arma. Gettò il suo pesante spadone e tolse dal fodero la pregiata scimitarra, regalo personale di un potente Raja arabo. Con quella nuova arma riusciva a muoversi più velocemente e attaccare con maggior immediatezza, ma Darek rimaneva sempre il più forte. Del resto era grosso il doppio di Edward, aveva una forza spaventosa da pirata che nessuno era riuscito a superare. Edward strinse i denti ed andò avanti, incurante delle difficoltà e della stanchezza. Con un colpo fortuito riuscì a far cadere il pirata indietro. Il cavaliere si diresse verso Stratford Street alla ricerca di qualche alleato. Più erano, più possibilità avevano di uccidere Darek. Kira sapeva che non avrebbe potuto ucciderlo da sola.

LONDRA, 21 aprile 1566
Tutta la popolazione era riunita nella piazza centrale della città, dove era stato allestito un patibolo. L’esercito di Mary era stato sconfitto, la regina era stata catturata gravemente ferita e quella mattina sarebbe stata giustiziata. Tutta la nazione inglese però era in lutto: dal giorno precedente girava la voce che Edward fosse morto nella battaglia, anche se il suo cadavere non era stato trovato, e gli abiti funerei che Elizabeth indossava in quella grigia mattinata non facevano che alimentare i pettegolezzi. Si diceva che qualche soldato avesse trovato il pirata Darek morente disteso a terra in mezzo a Stratford Street con la scimitarra di Edward piantata nello stomaco e la sua giacca insanguinata nell’unica mano che gli rimaneva, e quei soldati riferirono le sue ultime parole: “l’ho ucciso quel bastardo…”. Era ovvio che quel traditore avesse tramato assieme a Mary la morte di Sir Leicester, ma non era chiaro come. Elizabeth non era sinceramente interessata a ciò, voleva solo eliminare l’artefice della sua disfatta sul piano sentimentale. La sera precedente era andata nella cella della cugina per cercare di avere informazioni sulle intenzioni di Filippo “Non ti dirò niente” aveva mormorato la scozzese contorcendo la faccia in una smorfia di odio. Elizabeth allora l’aveva colpita duramente al volto ed aveva ripetuto la domanda, ma di nuovo Mary si ostinava a tacere “Tu hai ucciso Edward, è colpa tua se ora lui è morto!” “Edward è morto?! Che peccato, avrei voluto ammazzarlo io. Mi dispiace, state impiccando la persona sbagliata” poi era scoppiata in una fragorosa risata, e non c’era stato verso di scucirle alcunché. Il giorno dopo ogni cosa era pronta: la corda fissata sul patibolo in mezzo la piazza, il prete aveva dato l’estrema unzione alla condannata, il boia era stato chiamato. Il fastidioso brusio della piazza fu zittito dal rumore dei tamburi che annunciavano l’arrivo della condannata. Due uomini la stavano praticamente trascinando su per gli scalini, innanzi tutto perché aveva un cappuccio di velluto legato sul capo, e secondariamente perché non riusciva nemmeno a camminare tanto debole era. Una volta giunta in cima al palco le tolsero il cappuccio “Hai un ultimo desiderio?” “È completamente inutile. Io sono la mano sinistra di Dio, non mi potete uccidere! Nell’Apocalisse vi giudicherò tutti e vi spedirò tutti quanti fra le fiamme dell’inferno!” gridò, sorprendentemente rinvigorita “Tu stai vaneggiando. Nessuna mano divina scenderà a salvarti” “Io sono la mano di Dio!!” continuava a gridare mentre le mettevano il cappio al collo. Nonostante tutte le sue minacce l’esecuzione andò bene, il suo corpo penzolò ai quattro venti mentre la popolazione vi scagliava una marea di pietre contro. Nessun Dio era giunto a salvarla, Mary era morta. Elizabeth la guardò con occhi gelidi prima di ritornare a Palazzo con le proprie dame. Kat era dietro di lei e non riusciva proprio a non piangere, le sue grida di dolore erano udibili fino a Winchester Street. “Calmati, Kat” “Padrona, come fate a rimanere così impassibile?! Lui è morto, non tornerà più” a quelle parole Elizabeth ebbe un mancamento, e sarebbe caduta se la fedele Kat non l’avesse sorretta “Fatevi forza, Padrona. Riuscirete a dimenticarlo prima o poi, ed allora vivrete di nuovo” “No, Kat. Non lo dimenticherò mai.” Elizabeth salì sulla carrozza che l’avrebbe scortata a Palazzo e pianse lacrime amare, colma di disperazione.

End of part two




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