ELIZABETH
Nota bene: ho dovuto alterare molte date e
avvenimenti (vedi Shakespeare etc…) a causa di OVVIE incongruenze
cronologiche. Non è di certo colpa mia se la vera Elizabeth
era una tranquilla settantenne quando il buon William iniziava a farsi
conoscere ;-) ad ogni modo abbiate pazienza e perdonatemi, sono costretta
a cancellare circa venti anni dalla storia del mondo. ^__^”
Part two
WARS AND ROSES
LONDRA, 15 giugno
1565
La Sala del Consiglio era ghermita di gente, tutti i Ministri attendevano
impazientemente che la Regina parlasse. Elizabeth li squadrò
uno ad uno con sguardo severo, sedette con calma sul proprio trono,
rimase qualche altro istante in silenzio ed infine parlò. “Ora
che siete tutti qui riuniti, dobbiamo decidere le sorti del nostro
Regno. L’armata scozzese è troppo numerosa, e troppo
vicina alle nostre frontiere. Dobbiamo costituire un esercito numeroso
e arginare l’avanzata di Mary a nord ovest” “Eppure
le nostre truppe sono decimate, e i pochi sopravvissuti all’ultima
guerra sono esausti, o semplicemente incapaci di combattere”
“Allora dobbiamo reclutare nuovi soldati, chiamare pirati, anche
dei mercenari se necessario. In qualche modo dobbiamo riuscire a respingere
l’attacco scozzese” il ministro della politica interna
si alzò di scatto “Non possiamo chiedere di nuovo l’aiuto
a Francia e Spagna?” “Lord Windsor, questo purtroppo non
è possibile. La Spagna sta dando i propri aiuti alla Scozia
mentre la Francia ha deciso di non immischiarsi in questo conflitto.
Siamo rimasti soli” “Senza contare che molti inglesi si
stanno schierando dalla parte di Mary” aggiunse Edward con espressione
grave. Subito si levò nella Camera un brusio di stupore che
ben presto saturò l’aria. Elizabeth richiamò l’ordine
battendo rumorosamente lo scettro a terra, e tutti gli sguardi furono
nuovamente su di lei “Tuttavia una soluzione ci sarebbe”
annunciò. Un sorriso beffardo si dipinse sul suo volto mentre
continuava il discorso. “Noi possediamo qualcosa che Mary non
potrà mai ottenere” rimase in silenzio qualche interminabile
istante, osservò divertita le facce disorientate ed interrogative
dei propri subordinati. Pendevano tutti dalle sue labbra “E
cosa sarebbe?!” gridò uno di loro esasperato. “La
pazienza, tanto per iniziare - esclamò seccata - e l’astuzia.
Quando sono salita al trono ho scelto i migliori uomini di tutta l’Europa
e li ho riuniti alla mia corte. Voi siete quanto di meglio il mondo
abbia da offrire, mi aspetto il massimo da ognuno. Dobbiamo far credere
a Mary che abbiamo il pieno controllo della situazione, la vita deve
andare avanti normalmente; e voglio che voi tutti iniziate subito
a formulare una strategia difensiva che regga. Nessuno di voi lascerà
il Palazzo finché non saremo pronti a respingere l’attacco
scozzese” “E quale sarebbe il compito di Vostra Maestà,
se mi è concesso?” Chiese Windsor “Edward ed io
cercheremo di reclutare altri soldati per rinsaldare le nostre armate”
Tutti rimasero ammutoliti “Avanti! Al lavoro!” detto ciò
Elizabeth si alzò seguita a ruota da Edward. I Ministri si
misero immediatamente al lavoro, sedettero tutti attorno al tavolo
circolare sistemato al centro della sala. C’era così
tanto lavoro da fare e così poco tempo…
“Dove hai intenzione di trovare le nuove reclute, me lo spiegheresti
per favore?!” sbottò Edward non appena i due furono fuori
dal salone “Tu non preoccuparti, qualcuno troveremo…”
“Che intendi dire?!” “Se ci sono disertori da questa
parte, ce ne devono essere sicuramente anche dall’altra. Ricordi
il nostro amico cuoco nell’accampamento di Mary?” “Che
ha a che fare Matthew con tutto questo?!” “Bè,
ho mantenuto i contatti con lui dopo la nostra fuga. Ha scovato dei
valorosi guerrieri in Scozia disposti a seguirci. Non dimenticare
Hawkins e Raleigh, saranno un aiuto prezioso.” “Ed ecco
che Elizabeth tira fuori come al solito un coniglio dal cappello!
Ammetto che non avevo nemmeno preso in considerazione una tale idea.
Sei geniale!” “Modestamente…” la regina si
gonfiò d’orgoglio e scoppiò in una sommessa risatina
compiaciuta “Non vantarti troppo, però! Vedremo se e
come Matthew ci potrà essere utile” Elizabeth annuì
“Lo so” si fermò in mezzo al corridoio, portò
le mani dietro la schiena e curvò le spalle in avanti, come
faceva sempre quando si buttava un po’ sulla difensiva. Edward
aveva già capito, la guardò incuriosito “Che c’è”
“Senti c’è una cosa…sì, insomma…sabato
sera inauguro il nuovo teatro, lo ‘Swan’ e per l’occasione
ci sarà un giovane poeta di nome Shakespeare. Mi hanno detto
cose fantastiche sul suo conto” “Arriva al punto”
“Bè ci potremmo andare” “Tu dici?”
“A dire il vero pensavo di invitare Kira…ma non so se
saresti d’accordo” “Che?! Kira?!? Sei impazzita,
spero! - bisbigliò con tono sommesso ma autoritario - non mi
farai mai mettere una di quelle fastidiose e ingombranti cose! Ah
no, scordatelo!” “E dai! Una volta soltanto!” “No,
no e ancora no!” “Ti pregooooo! Voglio vedere la nuova
commedia di questo scrittore. Si chiama ‘Romeo and Juliet’,
sembra interessante” “Ti ci può benissimo accompagnare
Edward” “Io voglio andarci con Kira!” “Masseimatta!
Neanche per tutto l’oro del mondo. Ah no tesoro, stavolta non
te la do vinta. Non avrai la soddisfazione di vedermi in gonnella
nem…” Edward interruppe la frase e tossì rumorosamente,
delle ancelle stavano arrivando. Quando le quattro madame furono abbastanza
lontane Edward tirò Elizabeth verso una parete e abbassò
il tono della voce “Ho detto no e no sarà” “Non
oserai trasgredire ad un ordine della tua regina” “Ah
no, questo trucco l’hai usato troppe volte. È vecchia,
Elizabeth! Non funziona più!” La regina allora fece una
faccia tristissima e quasi rassegnata, sospirò abbattuta e
iniziò ad andarsene con fare sconsolato, come un cane bastonato.
“E va bene, se non ti va…” alzò le spalle,
scosse il capo delusa. Edward allora sbuffò, batté un
piede a terra e raggiunse Elizabeth “D’accordo, come vuoi
tu, ma giuro che questa prima o poi me la paghi!” l’altra
si voltò, fece un salto dalla gioia e cinse il cavaliere per
il collo “Grazie!!!” “E come dirti no… - commentò
lei rassegnata. - Torniamo alle cose serie. Dobbiamo contattare Raleigh
e Hawkins, poi contatteremo Matthew” “Non serve, già
fatto! Ci stanno aspettando tutti e tre nella sala dell’Adunanza”
“Ah! La donna delle sorprese! Avanti allora, andiamo”.
Qualche minuto più tardi la regina ed il cavaliere erano nell’ala
ovest dell’immenso palazzo reale, a parlare con i tre nuovi
alleati.
“Allora, che tipo di supporto potete offrire all’Inghilterra?”
“La mia flotta è composta da 200 imbarcazioni di cui
100 rapide e 100 adatte allo scontro in mare aperto. Su ogni nave
ci sono 150 uomini addestrati anche al combattimento a terra, il che
fa in totale 30000 uomini” “Perfetto! - esclamò
la regina entusiasta - sinceramente non mi aspettavo così tanto.
Voi che mi dite?” “Nella mia flotta ci sono 250 navi rapide
con 100 uomini per nave, quindi 25000 uomini” “Questo
mi conforta, ma purtroppo ora non abbiamo bisogno di marinai. Le truppe
scozzesi non attaccheranno via mare. Ci servono contingenti da poter
spedire al fronte, corazzate, uomini a cavallo, lancieri, arcieri.
Il nostro esercito di terra per ora conta 130000 unità circa
mentre quello di Mary circa il triplo. O troviamo un modo per equilibrare
lo scontro, o siamo morti tutti quanti” “In questo caso
credo di potervi essere utile” si intromise Matthew timidamente
“Avanti, parla” “Bè, assieme ad alcuni soldati
ribelli sono riuscito a raccogliere forze da Galles, Cornovaglia,
Scozia e Irlanda. In tutto sono circa 150000 uomini divisi nei diversi
settori” “Fantastico! Sembra che la sorte sorrida alla
nostra adorata Inghilterra!” “Ascoltate un attimo, mi
è venuta un’idea: se riusciamo a spingere l’esercito
di Mary in questa valle forse avremmo una minima possibilità
di farcela” “Sarebbe troppo scontato. Mia cugina è
furba, non passerà mai per quella via. Ci sono decine di altre
strade fra cui scegliere, quella è decisamente l’ultima
che userebbe.” “A meno che…” bisbigliò
Hawkins lisciandosi la barba sul mento con fare pensieroso “A
meno che?” replicò Matthew “A meno che non facciamo
saltare il ponte di Abingdon a nord e blocchiamo il passo di Salisbury
a sud; allora sarà obbligata a far passare il proprio esercito
per Chippenham” “Geniale!” esclamò Elizabeth.
In meno di un’ora avevano già preparato un piano per
bloccare i due passaggi e poter affrontare le truppe scozzesi. Elizabeth
aveva tenuto un Consiglio con i Ministri, aveva spiegato loro la situazione
ed avevano deciso all’unanimità di approvare il piano
d’attacco. La prima parte del lavoro era conclusa, ma il difficile
doveva ancora venire. In due mesi avrebbero dovuto riunire le truppe
provenienti dalle varie nazioni, cercare di farle collaborare, bloccare
le due strade e attendere l’attacco di Mary. Tutto in due giorni,
praticamente impossibile. Era ormai notte tarda quando Elizabeth si
ritirò nella propria ala di Palazzo assieme ad Edward. Era
stata l’ultima ad abbandonare il lavoro: aveva dovuto spedire
due messaggeri a Nikki e Yoshi, per mandarli a bloccare rispettivamente
Abingdon e Chippenham. I due erano sudditi fidati, valorosi guerrieri,
abili nell’arte dell’occultamento. Affidando a loro la
missione era sicura di un successo. Ad un certo punto era dovuto intervenire
Edward e trascinarla di peso verso i suoi alloggi “Edward, fermo!
Che fai?” “È tardi, vieni a dormire” “Non
posso, ho del lavoro da finire” “Avanti è quasi
l’alba. Devi riposare” “Aspetta ancora un attimo.
Finisco questa lettera e arrivo” “La puoi benissimo finire
domani. Ora basta” il cavaliere si caricò Elizabeth di
peso sulle spalle e, nonostante la sua vistosa riluttanza, la portò
senza troppe cerimonie nella stanza da letto “Mollami! Edward!”
le sue grida risuonavano lungo tutti i corridoi “Non urlare
o sveglierai tutti quanti” “Ho del lavoro da sbrigare!”
continuava lei imperterrita. Edward dovette coprirle la bocca con
una mano per farla stare almeno un po’ zitta, ma facendo ciò
rimediò un bel morso. L’uomo si fece sfuggire solo un
sommesso grugnito di dolore, diede una pacca sul sedere a Elizabeth
e continuò imperterrito “Tu devi riposare, punto e basta”
“Chi sei tu per darmi degli ordini!” strillò la
regina “Elizabeth, sei sicura di stare bene? - egli la fissò
meditabondo - …hai bevuto?!” “Come osi! Bè
a dire il…forse un paio…boh, non ricordo” “Lo
sapevo. Vieni, ti accompagno nella tua stanza” la regina rise
con tono sciocco, poi pretese che Edward la mettesse giù ma
quando il cavaliere obbedì egli dovette sostenerla di nuovo
per evitare che Elizabeth cadesse in avanti “Coraggio, manca
poco. Siamo arrivati” la sorresse fino alla sua stanza e, una
volta dentro, la adagiò delicatamente sul letto. Fece per andarsene
ma la regina lo afferrò per un braccio “Dove credi di
andare?” disse con accento bislacco “A dormire, se permetti”
“E resta qua! Che ti costa?” “In effetti hai ragione,
così posso vedere di te” “Non è esattamente
questo che volevo dire” il tono della regina era singolarmente
sensuale, ma la guerriera non vi badò molto. Kira invece accese
dei lumi, prese una bacinella con dell’acqua, uno straccio umido
e tornò al capezzale di Elizabeth. Sapeva bene che lei non
reggeva l’alcool e che sarebbe crollata da un momento all’altro.
Chissà quanti ne aveva bevuti… “E smettila di farmi
da mammina, sto bene!” insistette. Ormai non controllava più
il tono della voce, urlava senza accorgersene. “Per favore smettila!
Sono quasi le due di notte, domani sarà un’altra giornata
dura e devi essere al massimo della forma” “Al massimo
super più!” Kira dovette ributtare Elizabeth contro il
letto e cercare di calmarla come poteva “Fai la brava e stai
calma un po’ per favore” le pose lo straccio sulla fronte
e la coccolò amorevolmente; pian piano Elizabeth iniziò
a tranquillizzarsi un poco “Quante volte ti ho detto di non
bere, ma tu niente! Mai una volta che mi ascolti!” tolse giacca
e gilet, si distese sul letto a fianco della regina. Elizabeth le
si accoccolò accanto e l’abbracciò, allora Kira
si lasciò andare e si addormentò. Il suo riposo però,
già lo sapeva, non sarebbe durato a lungo. Meno di mezz’ora
dopo, infatti, Elizabeth era nuovamente sveglia ed in piena fase di
iper attività. Aveva iniziato a ridere come una stupida e camminare
senza posa per la stanza “E va bene Elizabeth; se non vuoi farmi
dormire d’accordo. Ascoltami bene: se prometti di non fare rumore
ti porto a fare un bel giro per i corridoi, ti va?” La regina
rispose con un secco ‘No!’ iniziò a levarsi gli
abiti e a tirarli addosso a Kira “No, sul serio, è meglio
se io e te ora ce ne andiamo a fare una camminata o domani mi odierai
per non avertici portata” Kira cercò di vestire Elizabeth,
ma più lei tentava di infilarle la vestaglia, più la
regina si divincolava e meno successo avevano i tentativi della guerriera.
Un vero disastro. “Per favore Elizabeth, ora guardami e concentrati.
Ci dobbiamo vestire perché fuori fa freddo e dobbiamo andare
sulla Green Tower a vedere che ora è, hai capito?” La
sua linea di ‘attacco’ era patetica, ma del resto la Green
Tower era l’edificio del Palazzo più distante da dove
si trovavano in quel momento, e doveva farla camminare un bel po’
per farle smaltire la sbronza, ma soprattutto per stancarla a dovere.
Sorprendentemente il suo trucco funzionò. Doveva essere proprio
ubriaca per darle retta, Kira non sarebbe riuscita a farla a Elizabeth
in nessun altra occasione. “Facciamo gara a chi arriva prima?”
“Ci sto se insieme facciamo il gioco del silenzio. La prima
che parla perde” Elizabeth infilò la vestaglia, aprì
la porta di scatto e corse via silenziosamente, ridendo come una bambina
sorpresa a rubare la marmellata. Kira si rivestì in fretta
e furia, rincorse Elizabeth lungo i corridoi solitari del Palazzo
“Aspetta! Piano! Non correre così o ti farai male!”
ma la regina non rispondeva. Ovvio, stava giocando. E in nessuna occasione
Elizabeth accettava di perdere, tanto meno in quegli stati. Kira dovette
correre più veloce che poteva (data l’ora) per riuscire
ad affiancare la compagna. Ormai erano quasi fuori, mancavano pochi
metri all’uscita nord, che portava ai giardini reali. Lì
Kira riuscì a superare Elizabeth “Non è giusto!”
gridò la regina “Hai perso!” replicò la
guerriera soddisfatta “Non è vero, hai parlato tu prima!”
Ormai le due erano appaiate e continuavano a correre come forsennate.
Improvvisamente Elizabeth si girò, afferrò Kira per
le spalle e la spinse a terra. Rotolarono entrambe sulla morbida erba
bagnata dalla rugiada, e nella caduta la guerriera si ferì
al volto. Un maledetto taglio che le segnava la faccia sulla parte
destra partendo da sotto l’occhio fin quasi al collo. Non che
fosse una ferita grave, ma se la gente avesse visto Edward con quel
taglio, allora Kira non sarebbe potuta andare al ballo o si sarebbe
scoperto il suo segreto. “Dannazione!” la regina sembrava
non curarsi affatto di ciò, continuava a ridere e agitarsi
nell’erba, e abbracciarla e baciarle il collo “Ora basta,
Elizabeth! Dobbiamo tornare dentro!” niente, non capiva. Era
ancora sotto l’effetto dei fumi di Bacco. “Avanti, in
piedi. Questo gioco è durato anche troppo” la tirò
su di peso, se la issò nuovamente sulle spalle e la riportò
a Palazzo. Non nella sua stanza, bensì in quella di Shakti.
Si presentò di fronte all’uscio con Elizabeth che strillava
e si dimenava e, quasi ve ne fosse bisogno, bussò forte alla
porta. La guaritrice si affacciò assonnata e seccata “Che
diamine succede?! È prestissim…oh, numi del cielo, è
arrivato il circo e non me l’ha detto nessuno?!” “Non
fare troppo la spiritosa e aiutami. Non ci sta con la testa”
“No, dico sul serio, siete uno spettacolino impedibile”
“Avanti, guarda qua! Sto per morire dissanguata! E tu lo trovi
divertente…” “Dai entrate, vedo che posso fare”
“Prima di tutto falla stare zitta! È un’ora che
va avanti a strillare, non ce la faccio più!” “Non
ti preoccupare, un po’ di sonnifero e dormirà come un
sasso” “Sì ma solo per stanotte, domani abbiamo
molto lavoro da sbrigare” Shakti rifilò una minima dose
di sonnifero alla regina mescolandolo con della spremuta e dandoglielo
come ‘pozione che dona l’invisibilità’. Risultato:
nei cinque minuti successivi Elizabeth non la smise di correre avanti
e indietro, facendo dispetti e disordinando le ampolle, credendo di
non essere veduta “Gran bella idea, sul serio” commentò
Kira esasperata “Kira, ho sonno…” mugugnò
infine la regina “Vieni qui a riposare” Elizabeth si adagiò
sul grembo della guerriera, come una bambina che dormiva beata sul
grembo materno. Kira allora la distese meglio sul letto di Shakti
e si fece medicare la ferita. Non era profonda e sarebbe guarita in
qualche giorno senza lasciare la benché minima traccia. Per
fortuna. Shakti le diede anche qualche unguento per medicare il taglio.
Kira allora prese in braccio Elizabeth, con passo felpato la riportò
nella sua stanza; stava per andarsene quando decise di rimanere. Quella
notte burrascosa, del resto, non era ancora finita. Fortunatamente
però non vi furono altre seccature, Elizabeth dormì
di filata il resto della notte (com’era naturale) e Kira riuscì
a dormire quelle tre o quattro che rimanevano. Alle sei del mattino,
infatti, Edward Norfalk era già sveglio, si doveva occupare
delle sue truppe. Mancava mezz’ora alle otto quando il Generale
Maggiore fece il suo ingresso trionfale nell’ala riservata all’esercito.
Oltrepassò senza battere ciglio gli alloggiamenti dei soldati,
sovrastati dal chiassoso risveglio delle truppe. Il cavaliere camminava
lungo un corridoio che divideva in due la caserma; sia a destra che
a sinistra si diramavano camerate, alloggiamenti, spazi ricreativi,
mense e tutto ciò di cui i soldati necessitavano. Al passare
del Generale tutte le grida scemarono in un silenzio religioso, i
guerrieri si disposero subito all’attenti. Edward superò
anche le stalle reali, il dislocamento dei comandanti. Là,
nella sala degli Ufficiali Regi, incontrò i più alti
in grado dell’esercito inglese. Erano seduti all’enorme
tavolo rettangolare di mogano, discutevano animatamente sul da farsi.
C’erano indubbiamente pareri contraddittori, a sentire dal trambusto
che si poteva udire da fuori. Edward entrò, chiuse rumorosamente
la porta dietro di sé. Tutta l’attenzione dei presenti
fu improvvisamente focalizzata su di lui “Bene, signori, qual
è il tema della discussione? Mi sembra ci sia ben poco da dibattere:
i giochi sono fatti” “Non è affatto vero! Il piano
di attacco studiato non è razionale né fattibile! La
Regina non può veramente pensare che funzionerebbe” il
Generale sembrò irritato “Qualcuno di voi ha per caso
un’idea migliore?” uno degli altri generali si alzò
in piedi “Dobbiamo attaccare senza risparmiare alcun uomo! Dobbiamo
partire all’attacco subito e coglierli di sorpresa!” “Senza
contare che le nostre armate sono un terzo di quelle nemiche e notevolmente
debilitate? Sarebbe un suicidio. Non possiamo metterci ad attaccare
come scriteriati a occhi chiusi senza riflettere! Dobbiamo avere un
piano di attacco solido, una strategia, dobbiamo usare l’astuzia.
La forza con Mary è inutile. Se c’è qualcun altro
che non concorda con me potemmo mettere la questione ai voti”
disse improvvisamente. I generali brontolarono un poco, ma poi si
dissero d’accordo. “Bene, allora alzi la mano chi è
d’accordo con il generale Strand” solamente due o tre
alzarono la mano. “Il risultato sembra piuttosto evidente, vi
pare? Partire alla cieca non è una strategia accettabile, perciò
proseguiamo con il piano già accettato” una volta messi
in riga i generali e aver dato loro altre istruzioni, Edward tornò
a Palazzo e chiese informazioni riguardo Elizabeth. Le prime due volte
gli andò male, sembrava che nessuno ne sapesse niente; ma infine
fu sollevato nell’incontrare Madame Catherine Champernowne.
Lei era la damigella personale di Elizabeth, l’aveva vista nascere,
l’aveva cresciuta, era stata la sua balia più fidata
“Elizabeth dici? No, non si è ancora alzata, sta dormendo.
È stata una notte piuttosto turbolenta, ho ragione?”
“Più o meno” rispose Edward dopo essersi lasciato
scappare uno sbadiglio distratto “Ah, la mia bambina sta crescendo!
Si è anche trovata un bel ragazzotto robusto e coraggioso che
la ama…” la balia sospirò incantata e felice “No!
Kat, no, non è come pensi tu! È un altro motivo quello
per cui non abbiamo dormito stanotte!” Edward si prodigò
in una serie infinita di scuse, alibi e spiegazioni ma nulla sembrava
far crollare il sogno romantico di Catherine. “E va bene, pensala
come ti pare. Io vado a svegliarla” “Oh si, vai, vai!”
esclamò l’ancella con aria maliziosa “Kat!”
“Cosa?” “Per Dio smettila!” “E va bene,
non fare il permaloso Edward” il cavaliere alzò le braccia
sconsolato, girò i tacchi e se ne andò. Qualche minuto
dopo era di fronte alla camera della regina. Aprì silenziosamente
la porta e la richiuse alle proprie spalle. Le tende erano ancora
tirare e la luce entrava solo in minima parte, sotto forma di pulviscolo
invisibile. Edward girò attorno al letto, sedette sulla metà
vuota, si sporse in avanti e posò un leggero bacio sulle labbra
della regina. Elizabeth si mosse un po’, sorrise ma non aprì
gli occhi. Si limitò a sussurrare un pigro e goffo ‘Buongiorno’.
Anche Edward sorrise e si mise comodo accanto alla regnante. Nonostante
fosse entrato con tutta l’intenzione di farle una bella ramanzina,
non appena dentro tutti i suoi buoni propositi erano crollati. Gli
bastava anche solo guardarla per sciogliersi come un pezzo di ghiaccio
sotto il sole. Non c’era niente da fare, Elizabeth aveva molto
più ascendente su di lui di quanto Edward fosse pronto ad ammettere.
Tuttavia il cavaliere tirò fuori tutta la fermezza che aveva
ancora in corpo e si decise a sgridare Elizabeth “Quante volte
ti ho detto che non devi bere?” bisbigliò improvvisamente
“Tante” “E quante volte mi hai ascoltato?”
“A occhio e croce nessuna…ma perché me lo chiedi?”
“E mi chiedi perché?! Ah! Ma guarda te, non si ricorda
niente” “Dovrei forse?” “Mi hai tenuto sveglio
fino alle tre della mattina, e mi hai fatto svegliare Shakti nel cuore
della notte per farti stare un po’ buona” la regina arrossì
notevolmente e divenne seria “Ho davvero fatto questo?”
“Sembravi una bambina! Hai passato metà della notte a
fare il gioco del silenzio, l’altra metà a fare la donna
invisibile. Avrei voluto strangolarti!!” replicò il cavaliere
con tono divertito “Non ti credo. Per quanto io possa bere non
arriverò mai a quel punto” “A quanto pare invece
sì! Dio, ho un tale sonno!” “Hai dormito qui?”
“Dovevo pur stare attenta che tu non scappassi mezza nuda in
mezzo alla notte per i corridoi del palazzo…” “Potresti
trasferirti qui. Tanto ormai…” “Sai benissimo che
non posso. Io sono un cavaliere di origini aristocratiche, tu sei
una regina. La nostra storia sarebbe impossibile e giudicata eretica.
Specialmente quando verrà fuori la verità su di me”
“A proposito, quella cicatrice come te la sei fatta?”
“Dovrei chiederlo a te. Presa dall’impeto della gioia
mi sei saltata addosso in giardino così sono caduta e mi sono
tagliata chissà come” “È solo una scusa
per boicottare lo spettacolo di sabato, vero?!” “Ma per
favore! Sto facendo sacrifici indicibili per poterci essere come Kira
e tu mi accusi di vigliaccheria!” “Piuttosto, tu sai come
comportarti vero?” “Certo” “Intendevo come
nobildonna. Tu sei abituata a fare il cavaliere, non la nobildonna.
È completamente differente, sai?” “Tu dici?”
“Sì. Per essere una signora come si deve ci vuole grazia,
eleganza, moderazione, controllo, umiltà e cortesia. Non sono
doti proprie del tuo carattere” Kira allora ebbe uno scatto
di orgoglio, scattò in piedi “Te la faccio vedere io
l’eleganza!” si esibì in un inchino perfetto ma
poi inciampò e ricadde sul letto “Ecco, vedi? Dovrò
darti delle lezioni” “Tu che dai lezioni di eleganza a
me?! Impensabile!” “Zitta e guarda: mano destra un po’
avanti, palmo ben teso, la schiena curvata ma non troppo, i piedi
vicini mentre la sinistra tiene la gonna. Ci sei?” “La…cosa?!
No, la gonna no!” “Come pretendi di venire vestita?! Una
donna non può presentarsi a una rappresentazione di gala vestita
come un uomo! Sei matta?” “Non puoi davvero chiedermi
questo! Senza contare che per sabato sera qualcun altro sarà
il tuo accompagnatore! A questo punto mi tiro indietro” “Hai
fatto una promessa solenne e ora la devi mantenere. Non sei forse
tu Edward il coraggioso?” “Non voglio essere Edward il
cornuto!” “E non lo sarai! Cavolo, dopo tutto questo tempo
ancora non ti fidi?” “È che ne so, magari incontri
un tizio carino e ricco, figlio di chissà quale re, e lui chiederà
la tua mano e così alla fine io finirò col diventare
la tua damigella d’onore!!!” disse con tono esasperato
e molto melodrammatico. Elizabeth sbuffò “Se c’è
una persona che sposerò, quella è Sir Edward Norfalk
Leicester, e nessun altro. Capito? Non mi interessa nessun altro al
mondo” “Però con qualcuno ci dovrai andare accompagnata.
Se questo qualcuno ci provasse con te?” “Ti autorizzo
a ucciderlo seduta stante” Kira allora si arrese, tornò
a bussarsi sul letto, chiuse gli occhi. Aveva così tanto sonno…stava
quasi per addormentarsi quando Elizabeth la riportò bruscamente
alla realtà scuotendola per le spalle “Per favore Elizabeth,
ho sonno” “Ma ora non puoi dormire. Abbiamo tanto lavoro
da sbrigare!” “Hai tanto lavoro da sbrigare, precisiamo.
Io in pratica ho già fatto tutto” “Non ti credo!
Non è neanche mezzogiorno” “Colpa mia se gran parte
del lavoro tocca a te! Così impari a tenermi sveglia tutta
la notte” Kira si risistemò fra le coperte ed un sorriso
solare le nacque fra le labbra. Elizabeth si vestì “E
va bene allora. Io vado a lavorare, tu non ti muovere. Torno fra un
po’ e magari ti porto il pranzo, ci stai?” “Ecco,
sì. E se qualcuno te lo chiede Edward è andato a sbrigare
qualche commissione in città d’accordo?” il ‘si’
di Elizabeth giunse sotto la forma di un lungo bacio appassionato.
In cuor suo Kira desiderò ardentemente che quel momento non
finisse mai, ed in fondo anche Elizabeth provava le stesse cose: la
guerriera poteva sentire distintamente il suo cuore battere a mille.
Oh, quant’era dolce l’incanto in cui Cupido le aveva legate,
e quanto benevola la morsa che le stringeva assieme! Quanto l’amava;
Dio, quanto l’amava! Quanto aveva disperatamente bisogno di
lei, e quanto aveva lodato i benevoli numi del cielo per ogni singolo
istante di felicità passato assieme a lei. Non esistevano parole
abbastanza belle o degne per esprimere ciò che provava. Si
sentiva come un ubriaco, gioiosa e spensierata, senza più impegni,
preoccupazioni o fastidi. Quando stava con Elizabeth, tutte le cose
brutte della vita sbiadivano, la collera veniva azzerata totalmente
ed un intenso stato di pace s’impadroniva gelosamente del suo
animo.
Anche Elizabeth si abbandonò fra le morbide coltri, si strinse
forte a Kira e sembrò non volersi più separare da lei
“Ti staranno aspettando” riuscì a mormorare la
guerriera fra i baci di Elizabeth “Che aspettino” rispose
la regnante. Era esattamente la risposta che voleva sentirsi dare.
Eppure qualcosa nella sua mente continuava a urlarle di smetterla.
Era la sua razionalità: se Elizabeth avesse iniziato a trascurare
i propri impegni per stare con lei, le malelingue e lo scontento sarebbero
stati infermabili e alla fine gli oppositori avrebbero organizzato
una rivolta, e sarebbero state uccise entrambe senza pietà.
Kira si appoggiò sui gomiti e allontanò Elizabeth con
fermezza “Che c’è?” “Ora devi andare”
sospirò a malincuore “Ma cosa dici? Avanti Kira, non
fare la guastafeste” “No, sul serio. Devi andare a svolgere
il tuo lavoro o ci saranno lamentele; e le lamentele sono l’ultima
cosa che vogliamo giusto?” “Giusto” brontolò
la regina, molto seccata “E dai, non fare quella faccia! Quando
avrai finito con i tuoi impegni, sarò qua ad aspettarti”
“Prometti?” “Non ti fidi di me?! Mi sento offesa!”
Elizabeth rise compiaciuta, stampò un enorme bacio sulle labbra
di Kira e uscì saltellando dalla stanza. La guerriera rise,
prima di addormentarsi.
“Kira! Kira! Avanti pigra, svegliati!” la guerriera aprì
gli occhi trafelata, si guardò attorno ancora mezza stordita
e focalizzò la propria attenzione su colei che le stava gesticolando
di fronte “Che succede?” “Arrivano brutte notizie
dal fronte, sembra che le truppe di Mary stiano avanzando senza incontrare
alcuna resistenza. Secondo le stime stilate, l’esercito nemico
dovrebbe impiegare poco più di due settimane per giungere a
Londra.”. “Allora è peggio di quel che pensavamo!
Dobbiamo correre subito ai ripari, anche se temo sia tardi ormai”
“Ho mandato Nikki e Yoshi a bloccare i passi, non dovrebbero
incontrare troppe difficoltà. Saranno di ritorno fra una settimana
al massimo. In quanto all’esercito, Matthew è già
partito alla volta di Glasgow per dare le direttive ai vari comandanti.
Non possiamo riunire i rinforzi in Scozia e farli arrivare assieme
fino a Londra altrimenti Mary potrebbe intercettare le truppe e tagliar
loro l’avanzata. E se le truppe non arrivano a Londra…”
“…siamo spacciati. D’accordo, aspettiamo che arrivino
tutti qui, troveremo in seguito un modo per farli collaborare come
si deve. Piuttosto, che fine ha fatto il pranzo che mi avevi promesso?!”
“Diciamo che se ti sbrighi a rivestirti, riesci a venire a cena
in tempo” “Cena?! Che razza di ora è?” “Sono
quasi le sette” “Ti avevo detto di svegliarmi per pranzo!”
“A parte il fatto che ho avuto da lavorare praticamente fino
ad ora, bè…dormivi talmente bene che non ho voluto svegliarti”
Kira si alzò, si rivestì e uscì con Elizabeth.
Andarono nell’enorme salone adibito ai pasti dei più
potenti, lì c’erano già i ministri che cenavano.
Tutti quanti però si alzarono quando videro entrare i due personaggi
più potenti dell’intera Inghilterra. Nonostante ciò,
e nonostante tutti provassero un tacito e timoroso sentimento di rispetto
verso l’indiscussa autorità di quei due, i ministri sparlavano
alle loro spalle quasi ininterrottamente. I pettegolezzi riguardo
Edward ed Elizabeth erano all’ordine del giorno, ne nascevano
sempre di nuovi, eppure loro riuscivano sempre a smentire tute le
sparlate, tranne ovviamente quella che riguardava la loro relazione.
Era universalmente noto che la regina “se la faceva” con
il suo cavaliere più fidato, ma era altrettanto nota l’abilità
di Edward e nessuno osava dire che egli era diventato il Generale
Maggiore solo per il favore che godeva agli occhi di Sua Maestà.
Del resto né Edward, né Elizabeth si scomodavano più
a smentire né dare assensi, si limitavano a fare quel che facevano
sempre senza badare a ciò che dicevano gli altri. E mentre
loro stavano entrando nel salone, c’era chi scommetteva su come
avessero trascorso le ore in cui nessuno li aveva visti in giro, ma
l’argomento più gettonato riguardava la possibile data
del loro matrimonio. Lì le scommesse si sprecavano. C’era
chi diceva dopo lo scontro con la Scozia, chi invece credeva fosse
questione di giorni, chi di qualche mese. Ogni data era plausibile.
“Silenzio! Silenzio, entrano la Regina e Sir Edward Norfalk”
i ministri calarono in un rigoroso silenzio. Sapevano bene che se
facevano innervosire la regina rischiavano di incorrere in guai seri.
Elizabeth non era di certo famosa per essere permissiva ed arrendevole…
“Noto con piacere che i signori Ministri hanno iniziato a mangiare
senza attendere il nostro arrivo” sbottò con tono ironico
“Se qui non siamo graditi…” “Vostra Maestà,
La prego!” esclamò improvvisamente Stephen. Stava facendo
un disperato tentativo diplomatico per salvare la situazione e impedire
un disastro diplomatico: era infatti un affronto enorme non attendere
la Regina per i pasti. Solo se fosse stata la Regina stessa a concedere
ciò, o se lei fosse stata lontana da Palazzo...solo in quel
caso la Corte sarebbe stata autorizzata a organizzarsi in maniera
autonoma. “La Corte non intendeva mancarLe di rispetto, ma pensavamo
che non sarebbe venuta.” “Sapevate benissimo che ci sarei
stata invece! Avete deliberatamente scelto di fare un tale affronto
alla vostra nobile sovrana, e non ho intenzione di tollerare una tale
offesa” “Per pietà, Vostra Maestà, placate
la vostra ira. In fondo abbiamo appena iniziato, non mi sembra onestamente
un fatto così grave” insistette Stephen, che ormai si
arrampicava sugli specchi pur di calmare Elizabeth “Sono state
fissate delle regole precise in questa corte, nessuno vi ha autorizzato
a infrangerle o modificarle!” continuò invece la regina
con tono imperioso. Edward le posò una mano sulla spalla della
compagna e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Elizabeth
allora sembrò calmarsi, si girò e uscì dalla
stanza (ovviamente seguita da Edward). Per quella sera avrebbe cenato
nella sua sala privata, e tutti i Ministri avrebbero passato la notte
nel terrore ad aspettarsi una punizione. Cosa che invece non accadde.
Elizabeth e Edward cenarono in tutta tranquillità nella stanza
privata della Regina, passarono una tranquilla serata assieme e ben
presto l’affronto era dimenticato. Elizabeth era rigida, vendicativa
ed ostinata; ma ottusa no. Sapeva riconoscere quando valeva la pena
di arrabbiarsi e quando invece era il caso di lasciar perdere.
Elizabeth e Kira entrarono nel salone situato nell’ala nord
del Palazzo. Lì dieci minuti dopo tutte le cibarie erano pronte
e disposte ordinatamente. Kira divorò tutto in circa cinque
minuti, mentre Elizabeth mangiava in modo più composto e regale.
“Vedi Kira? C’è modo e modo di cenare. Quando sabato
sera andremo alla cena di gala, non potrai comportarti così.
Ci vuole compostezza, eleganza nei gesti e discrezione. Comportarsi
a tavola è un’arte, deve sembrare che tu stia danzando.
Ogni movimento è calcolato, non deve eccedere, non puoi mangiare
come un uomo, o peggio come una bestia. Numi del cielo, non sarai
mai pronta per sabato!” “Tanto vale che ci venga come
Edward, non ti pare?” “E aspetta! Non vorrai mancare alla
tua parola!” “Sia mai! Allora cosa suggeriresti di fare,
o saggia educatrice?” “Lezioni intensive di bon ton. Hai
una vita da recuperare come dama, e una settimana non è abbastanza;
ma possiamo provare. Se ti metti d’impegno sono certa che puoi
farcela, sei molto svelta ad imparare” “E tu sei un’insuperabile
insegnante!” rispose Kira ridacchiando. Dopo aver terminato
la cena si alzarono discretamente, Elizabeth si appese al braccio
di Edward e i due uscirono, fino al centro del giardino. Sedettero
su una panchina sistemata sotto un pesco fiorito. Finalmente era arrivata
l’estate e iniziava a farsi sentire tiepido il calore del sole
inglese, anche se ormai esso era tramontato. L’abito che Elizabeth
indossava quella sera era stupendo, Edward dovette ammetterlo. Era
un corpetto rosso senza spalle con ricami arancio che raffiguravano
fiori primaverili, una collana dai fulgidi riflessi rossi che risaltava
sul collo, una gonna voluminosa composta da mille veli viola, e per
finire i suoi lunghi capelli color rame erano raccolti in un’acconciatura
regale e ricercata, con due lunghi ciuffi che le ricadevano sul collo.
Quella sera si era anche fatta truccare: il solito colorito rosa era
stato coperto da un innaturale bianco avorio, e le labbra dipinte
di rosso fuoco risaltavano assieme ai suoi solari occhi verdi. Edward
sentì una frecciata al cuore, sentiva la morsa di Cupido conquistarlo
e spingerlo verso Elizabeth. Quant’era bella, quale meravigliosa
creatura si presentava davanti ai suoi occhi, illuminata dalla luce
del sole morente. Colto da passione incontrollabile Edward si voltò
verso Elizabeth e, cingendola per la vita, la baciò con ardore.
La regina si distese indietro mentre il cavaliere si sistemava a cavalcioni
sopra di lei. Elizabeth si lasciò scappare un gemito di piacere,
sentiva il gentil tocco di Edward addosso, avvertiva la sua passione
e tutto il suo amore mentre le carezzava il volto con dolcezza, leggeva
devota sincerità nei suoi occhi cerulei. Le sue mani; oh, quanto
gentili erano le sue mani, e quanto diverso quel tocco, quanto leggero
ed amorevole, diverso da ciò che era abituata a vedere, così
dolcemente attento ed inebriante. Edward iniziò a coprirle
di baci il collo, e allora la regnante lo allontanò “No,
eh! Non di nuovo” il cavaliere fece una faccia offesa “Donna
di poca fede!” detto ciò si tuffò sul petto di
Elizabeth con la ferma intenzione di non riemergere più. Elizabeth
nel frattempo si divertì a sciogliere la lunga coda che portava
Edward e a scompigliare i suoi capelli corvini. Sapeva già
dove voleva arrivare “Kira…” sospirò la regina
fremente. Non poteva più aspettare, e sapeva che Kira si divertiva
incredibilmente a farla impazzire. Era come una sfida, uno scontro
fra due fiamme che si univano, si separavano, si mescolavano e si
confondevano una nell’altra; era poesia, una poesia perfetta,
armoniosa, divina, creata da aedi immortali e cantori celesti, composta
dall’infinito, alimentata da tutto, da niente, dalla vita, dalla
morte, dalla luce e dalle tenebre; poesia d’amore, d’amicizia,
di fratellanza e di vittoria, forgiata dal fuoco del nulla, temprata
nel fiume della conoscenza e adorata nella luce degli animi. In quel
momento ad Elizabeth pareva di sfiorare il cielo con un dito e fare
invidia agli angeli in paradiso, toccare le nuvole di panna e riposarsi
all’ombra della docile luna; tutto l’universo scompariva,
rimaneva solo Kira, il suo grande cuore da guerriera, i suoi lucenti
occhi ammalianti ed il suo sorriso incantevole, le sue carezze morbide
che la facevano sentire viva. Finalmente Kira arrivò dove Elizabeth
la voleva, e la regina si strinse forte a lei. Voleva che ciascuno
di quegli istanti durasse un’eternità intera, voleva
fermare il tempo, il tiranno dei Mondi. “Kira…”
mormorò in preda all’estasi.
EXETER, 4 ottobre
1565
Le truppe di Mary stavano per giungere a Chippenham. La guerriera
sapeva che era una trappola, ma sapeva che non le rimanevano alternative.
Elizabeth era stata scaltra, doveva ammetterlo. Bloccando le altre
due vie, aveva costruito un passaggio obbligato attraverso l’unica
trappola che avrebbe potuto ostacolarla. Inoltre, aveva avuto notizie
di ammutinamenti nel suo esercito, che si erano alleati (assieme a
rappresentative gallesi ed irlandesi) con l’odiata cugina. Secondo
i suoi calcoli, tenendo conto del terreno sfavorevole, Elizabeth aveva
molte più possibilità rispetto a lei in quel momento.
Eppure non voleva darsi per vinta, aveva già chiesto altri
rinforzi alla Spagna. Temeva di non riuscire ad ottenerli: Filippo
si era già lamentato più volte dell’ingente numero
di truppe mandato in soccorso della Scozia che, a detta del re, lasciava
indifesi i territori spagnoli, facili prede per uno stratega formidabile
come Edward Norfalk. “La guerra è qui, a Londra!”
aveva risposto Mary infuriata. Così, meno di una settimana
dopo, Filippo era stato ‘Cordialmente pregato’, in pratica
costretto, a mandare altri 5000 uomini al fronte. Mary era decisa
a fare le cose in grande, a calcolare ogni minima possibilità
e rischio. Non poteva assolutamente perdere. Quel maledetto trono
le apparteneva, ed aveva la ferma intenzione di riprenderselo.
Tutto ebbe inizio in una fredda mattinata autunnale. L’esercito
di Mary era infine giunto a Chippenham, con i rinforzi tanto acclamati.
Le truppe di Edward erano appostate oltre la gola, lei lo sapeva.
Ciò che non sapeva era la reale consistenza di tale esercito:
erano arrivati gli aiuti dai traditori scozzesi? Se si, in che quantità?
Di una cosa sola era certa: le sue armate erano più numerose
e preparate. Elizabeth poteva spingerla nel passo più angusto,
sulla montagna più alta, o dove le pareva. Nulla sarebbe servito
ad arrestare la sua avanzata. In cima all’esercito scozzese,
prima delle truppe armate, c’era una fila di coraggiosi guerrieri
con le cornamuse, i tamburi, gli stendardi e i gagliardetti. Indossavano
il costume tradizionale con il kilt, una giacca bianca, il cappello
messo un po’ di traverso e i calzari bianchi. Facevano così
tanto rumore che li sentivano fino in fondo all’insenatura,
e anche oltre. Prepararono un precario campo di riposo, ma non delle
tende troppo grandi: sarebbero rimasti in quel luogo per pochi giorni.
Eppure non attaccarono subito; non c’era fretta di andare a
morire. Quando ormai si faceva sera Mary prese il più veloce
dei cavalli in suo possesso e partì per una perlustrazione,
voleva cercare almeno di scorgere il nemico, vedere dove erano appostati
i soldati, trovare dei punti deboli nella disposizione o un punto
in cui attaccare. Tempest correva veloce lungo la pianura, del resto
era un prezioso cavallo arabo donatole da Filippo stesso, era rapido
come il vento e nulla avrebbe potuto superarlo. Aveva un lucido manto
bianco, e per cercare di renderlo meno appariscente l’aveva
cosparso di un unguento nero e cavalcava senza sella. Per sicurezza
decise di coprirsi di fango lei stessa, anche se così facendo
dovette sporcare tutti i suoi capelli biondi (cosa che detestava infinitamente).
Attraversò la piana galoppando silenziosa, salì su uno
dei colli che circondavano Chippenham e lo discese lungo il versante
opposto. La fortuna doveva essere con lei, perché nessuno la
vide, ma Mary riuscì a scorgere perfettamente tutte le guarnigioni
appostate in tende da dieci; scorse in lontananza i fuochi dell’accampamento
centrale. Erano a centinaia, sistemati nella parte in cui la pianura
a forma di imbuto si allargava nuovamente, sembravano tanti piccoli
puntini disposti a grappolo. Erano più di quanto immaginava,
per essere solo la prima linea. Ad ogni modo, spazzare via quei moscerini
non sarebbe stato difficile. Fece un altro passaggio attorno per essere
sicura di aver calcolato bene il numero, girò per tornare al
proprio accampamento ma qualcuno evidentemente la vide: Mary udì
il suono di un corno squarciare l’aria, seguito da un secondo
rumore e un terzo. “Maledizione!” diresse Tempest di nuovo
a ovest, verso la gola, ma decise di uscirne attraverso la via principale.
Era l’unico modo per sperare di farla franca. Nessuno poteva
superare il suo cavallo in quanto a velocità, questo lo sapeva,
ma se qualcuno le tirava una freccia? Se l’avessero attaccata
da più fronti? Passare per il portone principale non era la
più furba delle idee eppure, in un modo o nell’altro,
doveva uscire da là. Ormai era in vista del suo obiettivo,
il punto più stretto di Chippenham; qualche metro e avrebbe
oltrepassato la strettoia. Sentiva un forte rumore alle sue spalle,
la stavano inseguendo. L’aria era coperta da grida, suoni di
avvertimento, possenti passi di cavalli. “Prendetela!”
“È una maledetta spia scozzese!” gridava un altro
“Poveri stolti, se voi sapeste chi sono scappereste come formiche”
bisbigliò la regina con una punta di divertimento. Le sarebbe
piaciuto rimanere lì e distruggerli uno ad uno, ma non se lo
poteva permettere. Spinse Tempest oltre ogni limite possibile, sfrecciò
fuori da Chippenham ed infine ritornò al proprio accampamento,
al sicuro. Decise che il giorno seguente avrebbe sfondato le difese
nemiche, così da poter entrare indisturbata a Londra. Il sole
si fece vedere timido oltre le nubi il mattino del 6 ottobre, quasi
a voler seguire anch’egli col fiato sospeso l’imminente
scontro. All’alba le truppe di Mary si mossero in avanti, arrivarono
fino all’imboccatura del passo. Lì furono bloccati dalle
prime file di Edward e, data la conformazione del terreno, era sufficiente
un numero esiguo di uomini per tenere a bada l’intera armata
scozzese. Mary optò per una soluzione estrema: far salire i
propri uomini lungo le alte colline e farli sciamare come insetti
nella stretta pianura. Era un piano rischioso, ma del resto qualche
perdita era accettabile al fine del risultato. “Avanzate lungo
le colline, muoversi, muoversi!” Mary impartiva ordini a destra
e a manca, sbracciava come una forsennata, ricacciava in avanti quei
pochi che osavano fuggire, gridava come una pazza. Ogni uomo aveva
la sua precisa sistemazione, un ordine da eseguire, e non poteva fallire.
La regina era un’ottima motivatrice, e ancor prima una selettiva
esaminatrice: solo gli uomini più forti fisicamente e di spirito,
senza scrupoli, indomiti e coraggiosi potevano entrare a far parte
del suo esercito.
Il sole splendeva alto nel cielo, le nuvole avevano lasciato spazio
ad un cielo limpido e si soffocava dentro le armature smaltate. Gli
uomini faticavano a muoversi, a cavalcare, persino a respirare. Tentare
di combattere, poi, diventava quasi un’impresa. Ciononostante
Mary non accettava alcuna lamentela né ripiegamento né
ritirata né sosta. Aveva posto degli arcieri a fare da estrema
retrovia e aveva minacciato di uccidere chiunque fosse retrocesso.
I cavalieri di Edward non dovevano aver ricevuto lo stesso ordine;
egli non era solito a decisioni così drastiche. No, loro combattevano
per lealtà verso il proprio comandante, verso la propria regina,
verso la propria Patria. Poveri stupidi! Sarebbero morti tutti come
cani, e condannati al tormento eterno.
Il piano di Mary risultò più difficile del previsto:
gli uomini saliti lungo i pendii erano stati trucidati: Edward aveva
disposto delle catapulte sull’altro lato del passo, assieme
a un caparbio nonché nutrito gruppo di arcieri scelti che scagliavano
dardi infuocati a chiunque tentasse di discendere per i colli. La
scozzese dovette ripiegare così sul piano originale: sfondare
attraverso l’unica via rimanente. Purtroppo però era
più facile a dirsi che a farsi, i guerrieri di Edward erano
abili, ed il passaggio stretto. Mary si gettò in mezzo alla
mischia con i suoi otto fidi generali, attaccò senza ritegno
in ogni direzione, riuscì a infondere rinnovato vigore nell’animo
dei suoi cavalieri ed in fine, dopo quasi un’intera giornata
di scontri, riuscì a creare un piccolo varco. Subito ne approfittò,
intensificò il proprio attacco e sfondò le linee di
difesa nemiche. L’esercitò scozzese dilagò nella
pianura come un branco di bufali inferociti, compì stragi e
razzie; anche se guadagnò ben poco dalla nuova conquista: gli
inglesi avevano bruciato ogni cosa subito prima di fuggire per evitare
di far finire nelle mani scozzesi altre armi o rifornimenti. Mary
guardò da lontano la ritirata inglese con soddisfazione; da
lì in avanti la strada sarebbe stata tutta in discesa, e lei
lo sapeva. Girò il cavallo per guardare il proprio esercito,
face alzare la bestia sulle zampe posteriori, levò in alto
la spada e si lasciò andare a un grido liberatorio. Per quel
giorno le era andata bene, ma quanto ancora sarebbe durata la sua
fortuna? L’Inghilterra era un nemico temibile. Mary conosceva
bene gli inglesi, più di quanto desiderasse; conosceva il loro
carattere, la loro temperanza e cocciutaggine, sapeva come ragionavano
e su che valori basavano la propria vita. Poteva prevedere ogni loro
mossa, aveva già intuito che strategia stavano adottando: si
sarebbero gradualmente ritirati fino a Londra per fiaccare l’esercito
nemico e poterlo sconfiggere poco prima delle mura cittadine. E così
infatti fecero i soldati inglesi: prima Chippenham, poi Newbury, Slough
ed infine Londra. Il prezzo da pagare però fu veramente alto:
di quei nobili baluardi non rimase più nulla. Mary intanto
meditava, studiava, osservava e prendeva nota. Nelle cinque battaglie
che aveva combattuto non aveva visto mai Edward né a capo dell’esercito,
né a metà, né in fondo. Mai una volta che l’ormai
mitico Generale Maggiore si fosse fatto vivo fra le truppe. E la cosa
le puzzava. Oh, se le puzzava! L’armata inglese era sempre stata
guidata da due pivellini, ma che sforzo c’era nel condurre una
ritirata? Mancavano pochi chilometri a Londra, doveva solo superare
una lieve collina, un’ampia pianura e varcare gloriosa le mura
cittadine. Tutti in Inghilterra la odiavano profondamente, ma una
volta ritornata al trono avrebbero dovuto cambiare idea, o sarebbero
morti. Uno ad uno. L’unica cosa che desiderava era il potere
illimitato ed incondizionato, il controllo totale sulle vite dei suoi
sudditi. Non c’era limite né freno alla sua avidità
di potere; più ne otteneva, e più ne desiderava. La
Scozia non era abbastanza, né bastava l’Inghilterra.
Tutto il mondo! Voleva tutto il mondo ai suoi piedi; e forse nemmeno
allora la sua bramosia si sarebbe placata. Quello era l’unico
scopo della sua esistenza: combattere e conquistare fino a non poterne
più della propria insulsa vita. Non esisteva altro motivo della
sua presenza sulla Terra o, per lo meno, lei non ne aveva trovati.
Le sole cose che sapeva fare erano combattere, pianificare…e
odiare. C’era stato un tempo, molti anni prima, in cui Mary
non era così accecata da odio e bramosia; c’era stato
un tempo in cui Mary era umana. Tutti a corte la amavano e rispettavano,
tutti le volevano bene e la adulavano. Ciò accadeva prima che
Elizabeth nascesse. Mary aveva circa nove anni e sua madre Caterina
era ancora Regina d’Inghilterra. Enrico era un padre severo,
austero e un po’ lunatico, ma in fin dei conti giusto. Spesso
si arrabbiava per le marachelle che la principessina combinava e ancor
più spesso s’infuriava con i propri ciambellani, tuonava
imprecazioni e rimproveri, menava un po’ le mani ma poi si calmava
sempre. Il suo comportamento era adulatore quasi quanto quello dei
ciambellani: non le faceva mancare nulla e ogni capriccio di Mary
veniva puntualmente soddisfatto. Poi, improvvisamente, tutto cambiò:
Caterina venne ripudiata perché incapace di dare l’erede
maschio che il re tanto desiderava, e a corte prese sempre più
piede un’altra figura, Anna Bolena. Lei era una giovane molto
attraente, ma aristocratica. Non scorreva sangue regale nelle sue
vene. Tuttavia divennero sempre più insistenti le voci di una
sua gravidanza, e per di più Enrico non si decideva a smentirle.
Era troppo impegnato a correr per prati cantando la bellezza del suo
nuovo amore. Tre mesi dopo vi fu l’epilogo finale: Caterina
e Mary vennero strategicamente mandate a Manchester, in una delle
residenze estive reali, mentre Anna era nominata sovrana inglese.
Qualche mese più tardi, in seguito ad un parto travagliato,
venne alla luce Elizabeth. Immenso fu lo stupore di tutta la corte:
sia i saggi di corte che i medici avevano fatto auspici favorevoli
per il futuro nascituro, “Sarà sicuramente un maschio”
avevano detto, e invece…eccola lì, con i suoi lucidi
occhi verdi che si lamentava nella culla e sfidava l’intero
mondo. Dopo lo stupore iniziale Enrico si addolcì, ed Elizabeth
divenne la sua preferita. All’improvviso Mary non esisteva più.
Anzi, peggio: doveva portarle rispetto e salutarla come una schiava.
Doveva genuflettersi quando la vedeva, chiamarla “Sua Maestà”,
parlare sempre rispettosamente di lei. Inoltre, gran parte dei fondi
che fino ad allora erano suoi, divennero della nuova erede. Il nemico
numero uno di Mary però non era direttamente Elizabeth, ma
il fratello Henry Fitzroy, figlio bastardo di Enrico e della sorella
stessa di Anna, la regina. Il bambino era tenuto in gran considerazione
dal re nonostante egli non avesse alcun diritto di salire al trono.
Se Enrico ne avesse avuto bisogno, non avrebbe esitato a ripudiare
Anna per la sorella, pur di avere un successore al trono. Per il momento
decise di attendere e sperare che quel “piccolo incidente di
percorso” non si sarebbe ripetuto. Da allora Mary dovette sempre
faticare per riuscire ad ottenere l’attenzione del padre, e
ciò diveniva snervante col passare del tempo. Finché
decise di farla finita e, dopo la morte di Edoardo VI (il figlio della
sesta ed ultima consorte di Enrico) salì al trono inglese.
Il resto era storia.
Elizabeth sedeva meditabonda nel proprio studio, con le mani giunte
poggiate sulla fronte corrugata e gli occhi chiusi. Il piano stava
funzionando alla perfezione, ma quanto era affidabile? Stava rischiando
davvero troppo, non poteva permettersi di perdere il trono. Se le
difese non avessero retto fuori le mura della città, sarebbe
stata la fine. Nonostante tutte le rassicurazioni di Edward, Matthew
e Stephen, non riusciva proprio a stare tranquilla. Era la resa dei
conti finale, o la va o la spacca. Le tende rosse erano tirate, la
luce a stento si faceva spazio nella sala oscurata. Ogni cosa era
al suo posto, ogni singolo pezzo del mosaico combaciava, eppure la
regina non era affatto tranquilla. Aveva avuto notizie allarmanti
riguardanti l’esercito scozzese: Nikki e Yoshi avevano svolto
un egregio lavoro, ma le forze nemiche erano ancora in numero superiore.
I pensieri di Elizabeth furono bruscamente interrotti da un suono
improvviso, qualcuno bussava alla porta. Tre colpi secchi “Sì?”
“Elizabeth, sono Edward” “Entra pure” il cavaliere
aprì la porta piano, ed altrettanto silenziosamente la richiuse
alle proprie spalle “C’è forse qualcosa che non
va?” “Si e no” “Che intendi dire?” “Il
nostro piano sta funzionando, anche troppo per i miei gusti. Stiamo
correndo un pericolo troppo grande, Kira” “È un
rischio calcolato” “Eppure la posta in gioco è
troppo alta, non possiamo permetterci di perdere” Kira strinse
forte le mani di Elizabeth nelle proprie e la guardò intensamente
negli occhi “Andrà tutto bene, hai capito? Non ti devi
preoccupare di nulla” il volto della regina si corrugò
ancor di più. Kira mormorò confusa ‘Sicura di
star bene?’ quando vide Elizabeth sbiancare di botto. “No,
è che…non può essere vero” “Non può
essere vero cosa?” “N…no, niente. Niente”
“Se qualcosa ti preoccupa me lo puoi dire tranquillamente. Non
mi spavento di certo, io” “Credo sia meglio che non lo
faccia” “Non merito dunque la tua fiducia?” “Non
è questo il punto e tu lo sai” “Però qualcosa
ti assilla e non mi vuoi dire cosa” “È un peso
che devo portare da sola. Vorrei tanto poterti raccontare ogni cosa,
Dio solo sa quanto; ma non posso. Cerca di capirmi, Kira” vedendo
che il volto della regina si stava incupendo sempre più, la
guerriera decise di non andare oltre. Asciugò con un gesto
leggero quanto gentile le lacrime che avevano preso a sgorgare sul
volto di Elizabeth, annuì mesta e la strinse forte al petto
“Guardati da un uomo vestito da pirata con un uncino. Arriverà
da Stratford Street, durante la battaglia” Kira spalancò
gli occhi sbalordita e tirò indietro Elizabeth. La fissò
in volto un istante e fece per dire qualcosa, ma poi si zittì.
“Stai attenta” ribadì la reggente “Oh, maledizione,
vieni qui.” Kira abbracciò Elizabeth di nuovo “Non
ti devi preoccupare, vinceremo questa dura prova. Insieme” le
sussurrò a un orecchio mentre carezzava dolcemente i suoi lunghi
capelli lisci “Andrà tutto bene”
LONDRA, 11 aprile
1566
Tutto era pronto. Gli eserciti erano schierati, le trappole sistemate,
le barriere innalzate. La tensione fuori dalle mura nord di Londra
era palpabile, lo scontro sarebbe iniziato presto. Il Generale Maggiore
decise di perlustrare i paraggi per cercare di allentare la tensione.
Si allontanò dall’esercito e si diresse a ovest, guadò
a cavallo un fiumiciattolo, salì lungo un pendio e si guardò
attorno svogliato, sostò all’ombra di una foresta e osservò
la luce del sole lottare per farsi spazio fra i rami. Tutto era così
silenzioso, pacifico e gioioso; nulla sembrava presagire il disastro
che si sarebbe scatenato di lì a poco su quella florida pianura.
Edward spostò con una mano le fronde della quercia che gli
impedivano la vista, osservò il fiume gettarsi fra le braccia
di un piccolo lago. Il cavaliere si avvicinò allo specchio
d’acqua con trotto lento, scese da cavallo ed andò ad
abbeverarsi. Chiuse la mano a coppa, raccolse un po’ d’acqua
e bevve. Era molto fresca. Il cavaliere si asciugò il viso
col dorso della mano e fece correre lo sguardo lungo tutta la radura
in cui si era fermato. Fissò gli occhi sul velo d’acqua,
gettò un piccolo sasso nel lago e guardò distratto gli
anelli che si rincorrevano sulla superficie liscia. Gli parve di scorgere
qualcosa fra i flutti, inarcò le sopracciglia e si sporse per
vedere meglio. Intravide un viso, e gli parve un’illusione.
Conosceva bene quel volto, i suoi lineamenti e la sua grazia. Portò
avanti una mano e sfiorò l’acqua, quasi a voler carezzare
il viso che tanto adorava. L’immagine fu distorta e scomparve
in mezzo al lago “Elizabeth…” mormorò il
guerriero incupito. Si rialzò di scatto, rimise i pesanti guanti
di cotta, prese in mano l’elmo e montò in sella. Non
era ancora pronto a tornare dal proprio esercito, gli serviva la concentrazione
giusta e pensare a Elizabeth di certo non l’avrebbe aiutato.
Edward riprese il proprio cammino attraverso la foresta, girò
attorno al lago e si addentrò dove gli alberi erano più
fitti. Sotto la benevola ombra della boscaglia il caldo era meno assillante,
riusciva persino a respirare bene. Quasi non sentiva i trenta chili
di ferro che portava addosso, solo il fastidioso rumore che emettevano
mentre cavalcava gli ricordava la loro presenza. ‘non c’è
alcuna fretta per tornare’ pensò meditabondo. Sapeva
che non era vero, le truppe di Mary avrebbero attaccato da un momento
all’altro e la sua presenza era indispensabile, ma finché
nessuno veniva a cercarlo poteva stare tranquillo. Manco a dirlo,
un guerriero irruppe nella selva correndo come un pazzo sul suo cavallo
“Messer Edward! Messer Edward! Dove siete?” “Quaggiù,
che succede?” “Si muovono! Le truppe di Mary stanno avanzando”
“Maledizione - mormorò il cavaliere seccato - e va bene,
andiamo” I due guerrieri cavalcarono rapidi lungo la via del
ritorno, raggiunsero in breve tempo l’accampamento. “Guardate
voi stesso” Edward guardò in direzione delle linee nemiche.
I soldati si stavano riallineando secondo una disposizione ben stabilita.
Non c’era tempo da perdere. Egli andò al fulcro dell’accampamento
e diede l’ordine di disporsi in schieramento d’attacco.
Yoshi e Nikki presero due parti dell’esercito, si disposero
rispettivamente a destra e a sinistra di Edward. Gli arcieri andarono
con Nikki a sinistra assieme alla cavalleria leggera, dieci plotoni
di soldati corazzati e qualche catapulta. Lei era una guerriera molto
strategica, raramente sfondava direttamente il nemico; preferiva fiaccare
la resistenza delle armate avversarie per poi dare il colpo di grazia.
Yoshi invece era più irruente e si prese la cavalleria pesante,
i lancieri e venti legioni di cavalieri addestrati personalmente da
lui. “Buona fortuna, Nikki” “E tu bada a te Yoshi”
i due si scambiarono un intenso abbraccio e un frugale bacio prima
di prendere le rispettive strade. Edward si diresse verso gli uomini
che gli rimanevano, li fece disporre in file “È stato
lungo il cammino per giungere qui e non è stato facile per
molti di voi, lo so. Dobbiamo resistere ancora, per difendere la nostra
Terra, per difendere la nostra Patria. Combattete con onore, respingete
il nemico oltre le frontiere e la gloria dei posteri sarà vostra!
Pensate a coloro che amate, a tutta la gente che vi aspetta a Londra.
Se oggi noi falliremo, verranno tutti trucidati dalle truppe scozzesi.
Il destino dell’Inghilterra è nelle vostre mani!”
gridò il Generale Maggiore con foga inaudita. Tutti i soldati
levarono un urlo all’unisono, simile a un tremendo boato che
venne udito dall’esercito nemico, appostato nel lato opposto
della vallata. Edward indossò l’elmo, brandì la
propria spada e avanzò gridando come un leone. L’esercito
di Mary fece lo stesso. Le due armate sembravano locuste che sciamavano
inferocite nella pianura. Le truppe che stavano al centro si scontrarono
per prime in un vivido scintillare di armature, spade, scudi e lance.
Le frecce sibilavano in aria ed oscuravano il cielo da quante ne venivano
scagliate. Edward si batteva con coraggio e furore in mezzo alla mischia,
disarcionava cavalieri e schiacciava guerrieri con gli zoccoli del
cavallo. Nessuno veniva risparmiato. Ogni tanto controllava la situazione
nelle due ali a destra e sinistra, risistemava gli squadroni che rimanevano
isolati. Quasi non bastasse, il sole era salito alto nel cielo e faceva
un caldo infernale nell’armatura. Edward decise di levare l’elmo,
non riusciva a vedere con quella ferraglia addosso. Si guardò
attorno sconcertato, non riusciva a vedere Mary. Controllò
meglio; eccola là, in mezzo alla mischia, che si batteva come
una belva. Il guerriero spronò il cavallo e corse in sua direzione.
I loro sguardi si incrociarono, e Mary non smise più di guardarlo.
Lo stava aspettando da tempo, Edward lo sapeva. In un certo senso
l’aveva cercata anche lui, per farla finita: Mary aveva causato
troppe sofferenze a Elizabeth, era ora che morisse. “Finalmente
ci rivediamo!” esclamò la regina “E sarà
l’ultima volta, contaci” “Oh, ora che ci siamo ritrovati!
Come sprecare un’occasione simile?” Mary balzò
sul cavallo di Edward, lo disarcionò e rovinarono entrambi
a terra. Il peso dell’armatura compresse i polmoni del guerriero,
che emise un acuto grugnito quando cadde. Mary, invece, indossava
un’armatura più leggera ed aggraziata, la sua caduta
fu meno dura. “Che ferraglia orribile ti fanno mettere? Sei
in Generale Maggiore, mi aspettavo qualcosa di meglio” “Tu
pensa a te stessa, che è meglio” “Però così
non sarà uno scontro equo” Edward allora sganciò
le cinghie e si liberò di quel peso ingombrante “Ah,
così mi piaci” rispose Mary rimettendosi in piedi “Nemmeno
ora è uno scontro alla pari, sai?” replicò Edward
alzatosi di sua volta “Oh, e va bene, tanto non fa nessuna differenza
per me. Ti ucciderò lo stesso, tesoro” Anche Mary si
disfò dell’armatura e prese in mano la propria spada
“Iniziamo a combattere o vuoi che ce ne restiamo qui a civettare
come due passerottini?” per tutta risposta Edward si buttò
in avanti con tutta la forza che aveva, e le spade si incrociarono
in una pioggia di scintille. Nessuno dei due si muoveva o indietreggiava
anche di un solo millimetro, Edward e Mary rimanevano fissi sulla
propria posizione. Da lì prese vita un lungo braccio di ferro,
ad un certo punto il cavaliere riuscì ad avere la meglio, spinse
la lama in avanti e ferì il braccio destro della regina che
però riequilibrò la situazione immediatamente. Un guerriero
arrivò all’improvviso da dietro Edward urlando come un
pazzo. Il generale buttò in avanti Mary, si girò e colpì
il malcapitato con un fendente dritto nello stomaco. Il malcapitato
crollò immediatamente a terra senza vita. Altri due giunsero
da sinistra, Edward si inginocchiò e scaraventò a terra
il primo, si rialzò e freddò il secondo. Si girò
di scatto, alzò la spada e sferrò un colpo verticale
tremendo. Il nemico non ebbe scampo. Quando il Generale si voltò
nella direzione in cui prima c’era Mary, però, non trovò
nessuno “Mary!” ringhiò rabbioso mentre levava
lo sguardo al cielo. La regina era sparita di nuovo. Il cavaliere
montò in groppa al proprio cavallo, si guardò attorno.
Le truppe di Yoshi stavano avendo la meglio su quelle scozzesi, mentre
Nikki era in difficoltà “Edward, vai ad aiutare Nikki!”
gridò il comandante mentre ancora stava dirigendo la propria
porzione di esercito “Se mando le mie truppe a ovest allora
si creerà un buco al centro e Mary sarà libera di entrare
dall’ingresso principale! È questo che vuoi?” “No,
ma cerca di aiutarla in qualche modo per Dio!” “Cerca
di gestire la situazione al centro e a est mentre io vado a dare supporto
a Nikki” Yoshi annuì, il Generale si diresse a ovest
con un contingente limitato di uomini. Nikki era veramente in difficoltà,
le catapulte erano inutili sulla piccola distanza, i soldati erano
stati decimati e gli arcieri non bastavano ad arginare il fiume di
guerrieri che stava avanzando; le truppe di sostegno giunsero come
una manna per gli uomini esausti. Edward raggiunse Nikki al confine
della foresta orientale “Ti ringrazio, Edward. Non avremmo resistito
ancora a lungo” “Dovere. Ascolta, Nikki, dobbiamo cambiare
strategia. Gli uomini di Mary sono troppo compatti, se continuiamo
così perderemo la guerra. Porta le tue legioni nella foresta
e attira lì il nemico, avrete più possibilità”
“Tu cosa farai?” “Torno da Yoshi per far muovere
il suo esercito, mentre noi arretreremo” “Non è
una mossa troppo azzardata? Se perdete Mary avrà la strada
spianata” “Noi non perderemo” “Per favore,
guarda come se la cava Yoshi” “Piuttosto bene, direi.
Ora devo andare” i due si salutarono, Edward attraversò
il campo di battaglia, diede istruzioni a Yoshi di avanzare verso
nord-ovest e spingere una parte dell’esercito nemico sulle colline.
In seguito raggiunse i suoi uomini e arretrò di almeno cento
metri ma mantenne una distanza di sicurezza dalla cinta muraria londinese,
anche se temeva che cinquecento metri non fossero abbastanza. Eppure
dovevano frantumare le truppe nemiche se volevano sperare di vincere.
Edward continuava a guardarsi attorno freneticamente, non riusciva
a vedere Mary. Chissà cosa diavolo stava architettando. Sentì
un sibilo alla sua sinistra, si voltò e buttò avanti
le braccia giusto in tempo per afferrare una lancia diretta verso
di lui. Con orrore guardò oltre le colline: altri uomini a
cavallo stavano raggiungendo l’esercito di Mary “Non è
possibile…” mormorò il Generale. Aveva sottovalutato
la forza del nemico, era ora di pagare. Gli uomini di Yoshi erano
spacciati, a meno che non avessero ripiegato nella selva a ovest “Yoshi!
- gridò il Generale con tutto il fiato che aveva in gola -
a sinistra! Ripiega a sinistra! Arrivano altri nemici!” il comandante
guardò la cavalleria scendere dalle colline, deviò repentinamente
verso ovest e attese. Attese che il nemico arrivasse. Si sentì
un rombo squarciare l’aria e il terreno vibrare sotto i piedi
dei soldati inglesi. La cavalleria stava arrivando. Yoshi fece nascondere
i propri soldati nel bosco, e diede loro l’ordine di non muoversi
fino a un suo ordine. La cavalleria era ormai arrivata, le bestie
fecero irruzione nella foresta “Ora!!” gridò il
condottiero, alzatosi di scatto. Le truppe si gettarono sulla cavalleria,
disarcionarono i guerrieri e li uccisero senza pietà. Altri
invece erano nascosti fra le fronde degli alberi, piombarono sui malcapitati
e si impossessarono dei destrieri. Nessuno dei nemici rimase in vita.
Fu allora che Yoshi ebbe un’idea: presero le armature ed i vessilli
scozzesi, li indossarono, montarono in sella ed andarono a schierarsi
fra le linee di Mary. Così avrebbero potuto colpire il fulcro
dell’esercito nemico indisturbati. Un ufficiale li dispose a
destra, dove c’era il buco lasciato dalle stesse legioni di
Yoshi (che nel frattempo era stato ‘tamponato’ dagli uomini
di Edward). Gli inglesi però invece di attaccare i propri compagni
attaccarono gli scozzesi, ed in breve ebbero la meglio. Il nucleo
centrale del nemico fortunatamente non riuscì a vedere lo svolgimento
della battaglia perché troppo lontano, la copertura di Yoshi
era ancora valida. “Bel lavoro” gridò Edward mentre
si occupava di un plotone che stava avanzando in sua direzione. Yoshi
non rispose, si limitò ad annuire. Dopotutto era un nemico
in quel momento. Chiamò a raccolta i propri uomini e tornò
velocemente nell’esercito scozzese “Che è successo?!”
esclamò un ufficiale contrariato “Nemici…troppi…siamo
stati sopraffatti signore” replicò Yoshi, recitando come
un attore provetto. “Non potete essere stati battuti da quelle
mammoline raggrinzite, soprattutto perché siamo almeno quattro
volte più numerosi!” “Sono delle belve, lottano
come leoni. Non cedono di un solo metro” “E allora voi
ammazzateli come cani! In fondo sono uomini, non déi! Prima
o poi si dovranno stancare, no?! Li dovete abbattere uno ad uno, se
necessario! Avanti, e non tornate senza le loro teste!” Yoshi
decise che ne aveva abbastanza, fece un cenno con la mano e scagliò
i propri soldati contro gli ufficiali. Fu una carneficina; le truppe
ben addestrate di Yoshi grazie anche al fattore sorpresa furono in
grado di eliminare i capi maggiori dell’esercito scozzese. Così
facendo sperava di gettare scompiglio e confusione, di far crollare
la gerarchia sul campo. Cosa che infatti accadde: i soldati si accorsero
di quanto era successo e tutti smisero improvvisamente di combattere.
Il silenzio calò sulla pianura, nessuno si muoveva né
fiatava; sia inglesi che scozzesi. Edward colse subito l’occasione;
non gli sarebbe più capitato di avere l’esercito nemico
così vulnerabile. “Attaccate ora!!!” i suoi uomini
ripresero vigore e si lanciarono all’attacco. I soldati di Mary,
senza comandanti, non riuscivano a coordinarsi, venivano puntualmente
sconfitti. Il Generale Maggiore però non poteva stare tranquillo
“Mary! Dove ti sei nascosta, maledetta?! Vieni fuori e affrontami
se hai coraggio!” urlò iracondo. Il suo appello fu ascoltato:
da nord giunse la regina alla testa di una immensa legione composta
da almeno mille cavalieri che cavalcavano pregiati e formidabili cavalli
arabi bianchissimi, dieci legioni di lancieri ed altrettante di truppe
corazzate. Ancora nemici! Sembrava non avessero più fine. Il
gruppo di Yoshi si venne a trovare nell’occhio del ciclone,
fu circondato dalla cavalleria ed isolato dal resto degli inglesi
“Yoshi!” gridò Edward “Non ti preoccupare
per me, pensa ai corazzati! Li devi fermare!” riuscì
a dire il comandante prima di rigettarsi nella mischia. A est la situazione
non era di certo migliore: le truppe di Nikki erano dovute uscire
dalla foresta dopo aver vinto il nemico ma subito furono ingaggiate
dai rinforzi appena giunti. Edward tentò di andare ad aiutarle
ma un plotone di scozzesi gli bloccò la strada “Levatevi
di mezzo!” il Generale li affrontò ed in breve di loro
non rimase nemmeno il ricordo. A quel punto il sentiero era praticamente
libero. “Dove te ne vai, lasci i tuoi uomini in mezzo alla battaglia?”
Edward fece girare il cavallo e guardò in volto il proprio
nemico “Nemmeno tu sei stata leale ad andartene in mezzo a un
duello” Mary ridacchiò e fece l’occhiolino, poi
prese la propria arma “Pardon, cherie. Rimedio subito”
i due si affrontarono in un accanito duello, i cavalli scalciavano
indispettiti e sollevavano un’incredibile quantità di
polvere dal terreno arido mentre le spade dei contendenti cozzavano
una contro l’altra e producevano un secco rumore metallico.
Era l’ultima volta che si sarebbero affrontati, Edward lo sapeva.
Dopo quel duello uno di loro sarebbe morto, ma chi? Mary aveva una
dannata espressione soddisfatta dipinta in volto, e lui non la sopportava.
Tolse il piede sinistro dalla staffa e sferrò un colpo dritto
allo stomaco della regina. Per tutta risposta lei tagliò la
gola del suo cavallo, che si accasciò al suolo privo di vita.
“Non dovevi farlo!” Edward si rialzò di scatto,
corse verso Mary e con un pugnale recise la fibbia che legava la sella
sul ventre del cavallo. Come risultato la donna piombò a terra
pesantemente e nella caduta si slogò la spalla sinistra. Mary
grugnì, si mise seduta, rimise dolorosamente la spalla in sede
e si rialzò “A quanto pare non ti piacciono i duelli
a cavallo, eh?” “Non mi piace quando si uccide il cavallo
migliore che abbia!” Edward piombò sulla scozzese come
un falco, con la spada spianata davanti a sé. Mary scansò
di lato, fece un giro su se stessa e così facendo mise Edward
in una posizione svantaggiata, girato di spalle “Sei morto”
disse lei con tono calmo e rilassato “Touchè!”
replicò il Generale. Improvvisamente egli si abbassò,
fece una giravolta, falciò Mary e la fece volare gambe all’aria.
Entrambi si rialzarono subito e ripartirono in avanti come due belve.
Non c’era più tecnica, non c’era razionalità,
non c’era stile ne umanità nel loro scontro. Era solo
una lotta fra due energie contrapposte, l’uno era la nemesi
dell’altra, non c’era possibilità di avvicinamento
né trattative fra di loro, non c’era altro scopo delle
loro esistenze se non quello di eliminarsi a vicenda. Edward si chinò
repentinamente per schivare un fendente di Mary, puntò le mani
a terra e colpì la regina con un calcio stomaco. La scozzese
dovette retrocedere ma mezzo secondo dopo stava già fendendo
l’aria con lo spadone. Edward dovette contrarre tutti i propri
muscoli e buttare indietro il busto per non venire tranciato di netto.
Mary cercò di portare a segno una serie di attacchi ma Edward
era sempre un passo avanti ed evitava ogni colpo con calcolata precisione.
Per quanto la regina si sforzasse di ferire il Generale, ella non
riusciva nemmeno ad avvicinarsi ad Edward. Egli sembrava praticamente
inattaccabile. Si muoveva con una destrezza che Mary aveva imparato
a conoscere negli anni, ma c’era qualcosa di diverso in lui.
Stava combattendo per Elizabeth, per salvarla, egli sapeva che se
avesse perso allora la sua amata regina sarebbe morta e non poteva
permetterlo. Rise della sua stupidità, o per lo meno immaginò
di ridere. In realtà era troppo occupata a combattere per fare
qualsiasi altra cosa. Guardò fisso nei suoi profondi occhi
cerulei, scorse tutta la determinazione e la rabbia che vi ribollivano
dentro. Aveva capito cosa era risposto a rischiare per Elizabeth,
e la cosa un po’ la spaventava. Poteva sentire la sua aura ardente
espandersi attorno al suo corpo come una fiamma accecante e bruciare
più alta del sole. In quel momento nulla avrebbe potuto fermarlo
dal suo proposito. Nulla a parte lei. Aveva ancora qualche asso nella
manica da sfoderare prima di alzare bandiera bianca, poteva ancora
vincere. Se solo quello stupido avesse saputo non avrebbe più
dimostrato tanta audacia, ma sarebbe scappato come un coniglio! Nessuno
aveva mai osato sfidare Mary la Sanguinaria senza pagarla cara; e
Edward era in cima alla sua lista nera. Nonostante ciò provava
una forte attrazione nei suoi confronti, e non ne capiva il motivo.
Lo odiava con tutte le sue forze per averle rovinato la vita ma allo
stesso tempo lo desiderava più della sua stessa vita. ‘Gli
opposti si attraggono’ le aveva detto qualcuno molto tempo prima.
Evidentemente aveva ragione. In quel momento però le riusciva
di pensare ad una cosa solamente, vendetta. Doveva eliminare l’unico
ostacolo che ancora le impediva di raggiungere Elizabeth, solo in
seguito il trono sarebbe stato suo. Senza Kira Elizabeth sarebbe crollata
come un castello di carta, Mary lo sapeva bene.
Lo scontro sembrava non avere più fine, Edward e Mary erano
in uno stato di assoluta parità quindi nessuno dei due riusciva
a prevalere sul nemico. Ormai era un gioco di sguardi, gesti, finte
e attacchi evitati. Il primo giorno di battaglia giungeva al termine,
il sole stava per calare e gli eserciti erano esausti. Anche Edward
e Mary, dopo ore di combattimento, erano allo stremo. La regina, dopo
un violento attacco del cavaliere, crollò a terra esausta.
Aveva il respiro pesante e non sentiva più le braccia dalla
fatica “Ora potrei ucciderti, lo sai vero?” “Fallo
allora” rispose lei con tono di sfida mentre guardava Edward
con i suoi occhi gelidi. Edward non rispose “Avanti, uccidimi.
Ti basterebbe così poco” “Appunto, sarebbe troppo
facile. Se mai dovessi ucciderti ciò avverrà in uno
scontro leale e combattuto alla pari.” Detto ciò ripose
l’arma nel fodero, si voltò e fece ritorno dalle proprie
truppe. “Ritirata! Tutti all’accampamento, è stata
stabilita una tregua!” “Non mi pare di aver sottoscritto
alcun documento” replicò Mary contrariata “Oh si
invece. È una norma di cavalleria che viene sempre rispettata
nelle guerre. Non vorrai mica continuare a combattere ininterrottamente
spero! Almeno la notte le truppe devono riposare” “Non
ti darò tregua, Edward” “Allora io e te rimarremo
qui tutta la notte, ma i nostri uomini devono riposare. Prima di domani
mattina la guerra non riprenderà” la regina dovette arrendersi
all’evidenza e far ritirare le proprie truppe fino all’accampamento.
Gli inglesi rientrarono mesti all’accampamento, c’era
molto da fare: i feriti andavano curati, i fuochi accesi, la cena
preparata ed inoltre bisognava costituire una squadra di ricerca per
andare a trovare eventuali feriti rimasti sul campo e recuperare i
deceduti per dare loro una degna sepoltura. Edward invece tornò
a Londra per fare rapporto alla Regina e a tutti i ministri. Prese
un cavallo arabo fra quelli depredati agli scozzesi, meno di due minuti
dopo stava già attraversando l’entrata della città.
Lì arrivarono cinque cortigiani ad accoglierlo, presero il
suo cavallo, lo fecero salire su una carrozza dorata e lo portarono
a palazzo. Elizabeth lo attendeva con trepidazione, Edward era partito
da un mese ormai e lei non aveva più avuto la possibilità
di vederlo. Il Generale entrò nella grande sala del Parlamento
dove tutta la Corte era riunita. “Lord Leicester, qual è
l’esito del primo giorno di battaglia?” iniziò
la regina con tono controllato. In realtà altre erano le cose
che avrebbe voluto chiedere e fare, ma non era quello il momento né
il luogo. “Le forze nemiche sono più numerose di quanto
avessimo potuto immaginare ma con una strategia adeguata potremmo
riequilibrare la situazione” “Dunque lo svantaggio non
è incolmabile” chiese uno dei ministri “Modificando
l’assetto delle truppe possiamo vincere la guerra” “Gli
uomini in campo sono sufficienti?” chiese Matthew preoccupato
“Gli uomini non sono mai abbastanza, ma siamo in grado di arginare
l’avanzata scozzese per il momento” in realtà gli
uomini non erano affatto sufficienti per bloccare le truppe di Mary,
ma questo i ministri non lo dovevano sapere. I Parlamentari volevano
fare altre domande, ma Elizabeth intervenne e li fece smettere “Messer
Leicester ha bisogno di riposare ora, penso che le sue risposte siano
state esaurienti. La seduta è sciolta” detto ciò
uscì dalla stanza, seguita da quattro dame personali, dai cinque
cortigiani ed infine Edward. Il Generale si liberò degli ingombranti
assistenti e Elizabeth delle pettegole madame, finalmente i due rimasero
soli. “Quanto mi sei mancato…” sospirò la
regina con un filo di voce mentre si stringeva forte al cavaliere
“Mi è sembrava una vita” rispose Edward con altrettanto
ardore. “Vieni nella mia stanza, così puoi riposare un
po’” “Ti ringrazio” una volta entrati, Kira
si distese subito sul letto “È andato tutto bene?”
chiese la regina “Bè, date le prospettive…abbastanza”
“Sono contenta. Gli uomini sono davvero abbastanza? O mi stai
nascondendo qualcosa?” “Le nostre truppe non resisteranno
ancora a lungo, ma questo a Londra non si deve sapere o si scatenerà
il panico. Penso di riuscire ad andare avanti un paio di settimane,
ma non di più. Tu devi iniziare a preparare ogni cosa qui.
Sarà necessario lottare per le vie di Londra, è l’unico
modo di pareggiare i conti. Nelle vie strette della città l’esercito
di Mary, per quanto numeroso, si dovrà dividere, e allora saremo
noi a vincere. Siamo più addestrati” “Vuoi portare
la guerra in città?! Stai scherzando, spero! Sarà un
massacro!” “Non in tutta Londra. Se tu riuscissi a spostare
la popolazione nel dipartimento a nord noi potremmo avere campo libero
a sud. Credo che se riusciamo a portare lo scontro in città,
allora la sua durata sarà anche inferiore” “È
troppo rischioso, non posso lasciartelo fare” “Perché?
Solo perché hai paura che io muoia?” “Sì,
proprio così!” esclamò Elizabeth ansiosa. Kira
allora si alzò dal letto e si accostò alla regina “Devi
smetterla di preoccuparti, so badare benissimo a me stessa. E comunque
devi scegliere fra rischiare la mia vita e rischiare la sicurezza
dell’intero regno. Il bene di molti è più importante
del bene di pochi, sei stata tu ad insegnarmi questa importante lezione”
Elizabeth chinò il capo incupita, non riusciva a trovare il
modo di rispondere. Sapeva perfettamente che Kira aveva ragione, eppure…si
sentiva morire al solo pensiero di perderla “Non voglio perderti”
mormorò con un filo di voce. Kira strinse le sue mani e la
guardò in volto “Tu non mi perderai, hai capito? Ti prometto
che tornerò intera da questa guerra” “E se…”
“Ho mai mancato alla parola data?” “No” “E
allora stai tranquilla. Anzi no, facciamo una cosa, così stai
più tranquilla. Io ti lascio questo ciondolo e tu me lo restituirai
quando torno, d’accordo?” Kira prese il prezioso ciondolo
che portava al collo e lo mise ad Elizabeth. Era piccolo e fatto in
oro, su di esso vi era rappresentata l’effige di Johnatan Norfalk
“Mi stai davvero dando il tuo ciondolo? Da quando ti conosco
non l’hai mai voluto togliere” “Ti ho detto che
quando torno me lo ridarai” “Se la metti su questo piano…bè…anche
io ho qualcosa per te” “E sarebbe?” Elizabeth prese
un cofanetto scarlatto e lo aprì. Dentro c’era una collanina
in oro bianco con un altro ciondolo, in esso vi era rappresentata
una miniatura di Elizabeth “Così ti ricordi di me quando
sei lontana” disse la regina con un filo di voce. Le sue guance
si tinsero di un rosso acceso e la voce le si spezzava in gola per
l’emozione “È…è bellissima”
rispose Kira. Subito indossò la collana, poi si avvicinò
ad Elizabeth e le stampò un enorme ‘grazie’ sulle
labbra. La regina chiuse gli occhi e si abbandonò a quella
calda sensazione, era passato così tanto tempo dall’ultima
volta in cui aveva sentito il dolce sapore del suo bacio; ed era un’emozione
indescrivibile. Kira si ritrasse e stiracchiò le braccia “Sono
proprio stanca…è meglio che me ne vada a dormire”
fece per ributtarsi sul letto di Elizabeth ma ella la fermò
trattenendola per le vesti “Dove credi di andare?! Non ti getterai
sul mio letto in quegli stati! Esigo che tu ti lavi e che tu ti cambi
quei vestiti puzzolenti” “Eddai ho sonno!” “Niente
da fare cara mia. O ti lavi o sul mio giaciglio non ti ci distendi”
“Ma che pignola sei stasera! Non mi pare affatto il caso”
“E bè certo, tanto il letto non è tuo!”
Elizabeth prese Kira per un braccio, aprì la porta che stava
alla sua destra e la trascinò oltre. Lì c’era
una vasca colma di acqua calda già pronta “Avanti! Datti
una bella lavata” per tutta risposta Kira la afferrò
e la gettò nell’acqua. Elizabeth esplose in un gridolino
stridulo, si rialzò, afferrò Kira per la vita e le restituì
il favore “Soddisfatta?!” esclamò poi cercando
inutilmente di strizzare le vesti. La guerriera fece per rialzarsi
ma Elizabeth la spinse con la testa di nuovo sott’acqua “Ti
lavi da sola o devo venire lì a farti da mammina?” Kira
si agitò nell’acqua come una bambina che non vuole farsi
il bagno, sorrise ed esclamò un acuto ‘Sì mamminaaaaaa’
Elizabeth sbuffò infastidita, si rimboccò le maniche,
prese una spugna “Non ti puoi di certo lavare con gli abiti
addosso” Kira ridacchiò, levò giacca, camicia
e fasciature. La regina si inginocchiò a lato della vasca,
strizzò un paio di volte la spugna nell’acqua (creando
così una marea di schiuma e bolle) e la passò sulle
spalle spossate della guerriera “Singolare, sai? Una regina
che lava la schiena al suo Primo Ufficiale. Non è decoroso”
“Però a te piace” “E chi l’ha detto?!
Stare qui a lavarti la schiena! Dah! Stai scherzando, spero”
“Allora alzati e vattene” la punzecchiò Kira. Elizabeth
sbuffò, sapeva di aver perso la sfida verbale, ma si prese
la propria rivincita insaponando tutto il volto della guerriera “Ah!
Non vale! Brucia, maledizione! Brucia brucia brucia!” Elizabeth
rise divertita, raccolse con la mano un po’ d’acqua e
pulì il volto della guerriera “Così impari a prenderti
gioco della tua Regina” “Ah, ma io mica ti stavo prendendo
in giro? Ho solo detto la verità, e niente più”
“Braccio destro” Kira porse ad Elizabeth il braccio, ed
ella lo lavò. La guerriera poi portò avanti la mano
e con una ditata posò sulla punta del naso della regina una
montagna di schiuma. Elizabeth arricciò il naso e si ripulì,
poi bagnò la spugna nuovamente e la porse a Kira “Arrangiati
tu ora” l’altra prese la spugna e, canticchiando tranquillamente,
finì di ripulirsi. Approfittò di un attimo di distrazione
di Elizabeth che era girata, le lanciò in faccia la spugna
zuppa “Non è valido! Uffa, devi smetterla” “E
che sarà mai un po’ di sapone…” Kira scoppiò
in una fragorosa risata, e lo stesso fece Elizabeth “Guardati
lì, sei piena di schiuma” la guerriera portò avanti
una mano, ripulì il viso della regina, il suo gesto si sciolse
prima in una carezza, poi in un appassionato bacio che sembrò
non finire più. Per la prima volta dopo molte settimane, finalmente
Kira si sentiva bene e in pace. Elizabeth le era mancata così
tanto da toglierle persino la voglia di sorridere. Ora che era lì
accanto a lei tutto era più bello e solare, ogni singolo aspetto
della vita le sembrava radioso come non mai.
LONDRA, 20 aprile
1566
Il piano di Edward aveva funzionato alla perfezione, la popolazione
era stata dislocata a nord con la scusa di ‘lavori di ristrutturazione
e bonifica’. L’esercito inglese si era progressivamente
ritirato fino alle porte di Londra. Gli scontri erano proseguiti senza
alti né bassi, ovviamente gli inglesi si risparmiavano per
la fase decisiva mentre gli scozzesi studiavano cauti le mosse del
nemico, cercando di capire cosa stesse accadendo. Non era di certo
normale che l’impavido esercito inglese si ritirasse a quel
modo. Mary stava letteralmente diventando pazza per tentare di comprendere
la strategia di Edward “Cosa diavolo stai architettando?!”
aveva urlato inviperita “Se te lo dico poi non sarà più
una sorpresa” “Che ci guadagnerai mai a ritirarti…”
“Tu aspetta e stupisciti” aveva risposto Edward soddisfatto.
Mary non aveva ancora capito il suo piano, ciò era un grande
vantaggio per gli inglesi. Il venti aprile finalmente era tempo della
mossa finale: le porte di Londra si aprirono e l’esercito andò
ad appostarsi fra le vie. Quando gli scozzesi andarono a rincorrere
il nemico trovarono una città deserta. Non c’era traccia
di Edward, né Yoshi, né Nikki né tutti gli altri
ufficiali. Niente di niente. Mary batté forte i piedi al suolo
“Dove siete andati a nascondervi, maledetti?!” Solo in
quell’istante si rese conto della trappola in cui si era andata
a ficcare “No!!” strillò iraconda. Non poteva perdere,
non contro Edward, non contro Elizabeth! “E va bene Edward,
te la sei andata a cercare. Distruggerò il tuo esercito uomo
per uomo, e poi verrò a sgozzare la tua cara Elizabeth, così
scoprirai cosa significa sfidarmi” la regina divise il suo esercito
in parti uguali e mandò ciascuna legione a perlustrare una
via. Gli uomini si sparpagliarono a grappolo e iniziarono a setacciare
ogni singolo anfratto, ogni singola casa, ogni singola strada. Nulla
era lasciato al caso. La regina prese una legione di coraggiosi soldati
e si diresse verso la via centrale. Aveva la ferma intenzione di stanare
Edward e chiudere definitivamente i conti con lui.
“Avanti, da questa parte! E fate attenzione, mi raccomando.
Gli inglesi sono astuti, potrebbero essere ovunque” un gruppo
di scozzesi si addentrò verso Stratford Street, prese a guardare
dentro ogni casa, in ogni singolo angolo buio alla ricerca di nemici.
Niente, non riuscivano a trovarli. Come diavolo era possibile far
scomparire un’intera armata?! Erano entrati in città
meno di un’ora prima e di loro non rimaneva la minima traccia.
Si sentì un rumore secco, poi qualche sassolino cadde sulle
spalle dei soldati. Tutti guardarono in alto “Sui tetti! Sono
sui tetti!” meno di un secondo dopo la legione inglese era già
piombata sugli ignari scozzesi facendo una strage inaudita. Di venti
uomini ne erano rimasti cinque, contro quindici nemici. Gli scozzesi
si chiusero a cerchio e fronteggiarono con coraggio la morte. “Avete
combattuto da eroi, ora morirete come eroi” disse Yoshi facendo
il segno della croce prima di eliminarli. Evergreen Street era pattugliata
dalle truppe di Nikki, ma gli scozzesi non si facevano ancora vedere.
“Comandante, arrivano!” sussurrò la vedetta. Tutti
salirono rapidamente sui tetti ed attesero l’arrivo degli avversari.
Nikki li contò, erano almeno venti. “Abbassatevi, o vi
vedranno. Appena vedete che sono entrati a Evergreen balzate giù,
così li coglieremo di sorpresa” Quando il tempo fu propizio
i soldati di Nikki saltarono giù dai tetti e attaccarono gli
scozzesi alle spalle. La lotta che ne seguì fu accanita, senza
esclusione di colpi. Fino all’ultimo il risultato fu incerto,
ma l’indecisione degli uomini scozzesi diede ai nemici l’opportunità
di chiudere la questione. E il secondo plotone era stato sconfitto.
Il gruppo di Nikki si spostò a Central Square mentre Yoshi
andò a Darwick Street. Edward aveva dato ordini di operare
in autonomia; i collegamenti fra le squadre erano impossibili così
ogni comandante era libero di agire a propria discrezione. Edward
aveva disposto le proprie armate a nord, le aveva divise in piccole
parti e le aveva fatte discendere verso sud per coprire ogni via.
Da quel momento in poi ogni singola parte era libera di avanzare come
più desiderava. Il Generale, a capo della sua squadra, si era
diretto verso la via più grande e quindi più difficile
da difendere. “Fate molta attenzione” da lontano vide
gli uomini scozzesi avanzare con passo rapido e deciso “Bene,
arrivano. Formazione di attacco!” in prima fila si disposero
i corazzieri con i loro scudi dalla forma slanciata e snella, dietro
di loro c’era un gruppo di lancieri, poi i Cavalieri Scelti
della regina e qualche metro più indietro vi erano infine gli
arcieri. Questi ultimi iniziarono a scoccare dardi infuocati quando
gli scozzesi erano a circa trenta metri di distanza. Alcuni vennero
colpiti e fuggirono nel tentativo di spegnere il fuoco, altri caddero
a terra morti. Le loro armature erano molto resistenti quindi gli
arcieri dovevano usare delle frecce molto grosse con punte particolari
e cercare di mirare all’attaccatura del collo per sperare di
avere successo. “Ora! Avanti!” i nemici erano a cinque
o sei metri di distanza ormai; i corazzieri partirono in avanti, protesero
gli scudi e spianarono la strada per gli altri guerrieri che si gettarono
come belve sugli scozzesi. La battaglia finale era iniziata. “Mary,
dove sei? Vieni e affrontami!” la regina superò con un
balzo spettacolare le linee nemiche, si trovò proprio di fronte
a Edward “I miei complimenti, mossa astuta. Non ci ero proprio
arrivata. Solo quando vi ho visti fuggire oltre le mura delle città
ho capito cosa volevi fare. Hai vanificato la nostra superiorità
numerica, bravo. Purtroppo per te questo non ti salverà dalla
mia furia” il combattimento fra i due aveva inizio. Di nuovo.
Mary attaccava senza posa da destra e da sinistra, avanzava e retrocedeva,
si muoveva come una pantera. Edward preferì aspettare per dare
il meglio. Intanto gli faceva comodo lasciare che Mary si stancasse
a dovere. Ben presto la lotta si trasformò in uno scontro a
due: gli uomini di Edward erano riusciti a vincere e se ne stavano
qualche metro in disparte a guardare colmi di ammirazione il loro
Generale che dava battaglia. “Non restatevene lì impalati!
Dominique, prendi tu il comando. Andate avanti, prendete un’altra
strada e continuate a pattugliare le vie!” i soldati ubbidirono,
lasciarono i due guerrieri alla propria lotta.
Lo scontro fra Edward e Mary andava avanti da quasi due ore ormai,
i due lottavano senza posa e nel solito stato di parità. Edward
si decise a lottare con tutte le sue energie, la differenza rispetto
l’inizio era più che evidente e Mary iniziò ad
essere in difficoltà. Ad un certo punto il Generale buttò
in avanti la spada repentinamente, ferì la regina di striscio
al volto. “Maledetta! Non ti è bastata la soddisfazione
di sfigurarmi, vero? Dovevi anche infierire” “Tanto che
te ne importa, tra poco morirai” “È tutto da vedere!”
replicò la regina. Ella partì a testa bassa all’attacco
con la spada spianata, ormai non capiva più nulla. Edward schivò
di lato, girò su se stesso e sferrò un rapido fendente
diretto al fianco di Mary. La lama della spada affondò senza
pietà nella molle carne della regina “Huh!...brava, ti
sei meritata la vittoria. Hai imbrogliato e mentito, grande guerriera
sei” Mary sfilò dolorosamente la spada dall’addome,
si avvicinò a Kira e accarezzò un’ultima volta
il suo viso prima di morire. Edward fece il segno della croce e corse
via. Non fece in tempo a svoltare per Straford Street che qualcuno
lo fermò “Dove pensi di andare?!” il Generale si
girò sorpreso. Era un uomo alto e corpulento, con una benda
sull’occhio destro e un uncino al posto della mano sinistra.
L’uomo di cui aveva parlato Elizabeth! Edward guardò
meglio quell’uomo e inorridì. Era Drake! “Tu! Come
hai fatto a sopravvivere?!” “Sono un uomo pieno di risorse,
non lo sapevi?” il pirata allargò le braccia e sfoderò
quella sua risata odiosa “Non mi interessa come tu abbia fatto,
levati dalla mia strada” “Mi dispiace, non posso. Ho promesso
a qualcuno di fermarti, e lo farò” “Così
oltre che ricercato ora sei anche traditore, ma bene. Sarà
un vero piacere ucciderti. Chi sarebbe questo potente Signore che
ti avrebbe offerto protezione? No, aspetta! Non avrai osato allearti
con Mary?! Tu che più di tutti la volevi morta!!” “Lei
mi ha salvato dalla Traitor’s Gate, mi ha rimesso in sesto e
mi ha dato una nuova flotta di pirati. Tutto in cambio di questo piccolo
favore. Potrei forse desiderare di più?” “Vigliacco
traditore!” Edward si lanciò all’attacco gridando
come un pazzo, ma Darek era più abile di quanto il Generale
avesse immaginato. Nel suo bizzarro modo di combattere riusciva a
schivare tutti gli attacchi senza difficoltà. Per quanto Edward
provasse, non riusciva mai a colpirlo in maniera seria. Darek invece
aveva messo subito in difficoltà il Generale e lo spingeva
spesso a retrocedere. Nonostante ciò Edward non si arrese,
pensò di cambiare arma. Gettò il suo pesante spadone
e tolse dal fodero la pregiata scimitarra, regalo personale di un
potente Raja arabo. Con quella nuova arma riusciva a muoversi più
velocemente e attaccare con maggior immediatezza, ma Darek rimaneva
sempre il più forte. Del resto era grosso il doppio di Edward,
aveva una forza spaventosa da pirata che nessuno era riuscito a superare.
Edward strinse i denti ed andò avanti, incurante delle difficoltà
e della stanchezza. Con un colpo fortuito riuscì a far cadere
il pirata indietro. Il cavaliere si diresse verso Stratford Street
alla ricerca di qualche alleato. Più erano, più possibilità
avevano di uccidere Darek. Kira sapeva che non avrebbe potuto ucciderlo
da sola.
LONDRA, 21 aprile
1566
Tutta la popolazione era riunita nella piazza centrale della città,
dove era stato allestito un patibolo. L’esercito di Mary era
stato sconfitto, la regina era stata catturata gravemente ferita e
quella mattina sarebbe stata giustiziata. Tutta la nazione inglese
però era in lutto: dal giorno precedente girava la voce che
Edward fosse morto nella battaglia, anche se il suo cadavere non era
stato trovato, e gli abiti funerei che Elizabeth indossava in quella
grigia mattinata non facevano che alimentare i pettegolezzi. Si diceva
che qualche soldato avesse trovato il pirata Darek morente disteso
a terra in mezzo a Stratford Street con la scimitarra di Edward piantata
nello stomaco e la sua giacca insanguinata nell’unica mano che
gli rimaneva, e quei soldati riferirono le sue ultime parole: “l’ho
ucciso quel bastardo…”. Era ovvio che quel traditore avesse
tramato assieme a Mary la morte di Sir Leicester, ma non era chiaro
come. Elizabeth non era sinceramente interessata a ciò, voleva
solo eliminare l’artefice della sua disfatta sul piano sentimentale.
La sera precedente era andata nella cella della cugina per cercare
di avere informazioni sulle intenzioni di Filippo “Non ti dirò
niente” aveva mormorato la scozzese contorcendo la faccia in
una smorfia di odio. Elizabeth allora l’aveva colpita duramente
al volto ed aveva ripetuto la domanda, ma di nuovo Mary si ostinava
a tacere “Tu hai ucciso Edward, è colpa tua se ora lui
è morto!” “Edward è morto?! Che peccato,
avrei voluto ammazzarlo io. Mi dispiace, state impiccando la persona
sbagliata” poi era scoppiata in una fragorosa risata, e non
c’era stato verso di scucirle alcunché. Il giorno dopo
ogni cosa era pronta: la corda fissata sul patibolo in mezzo la piazza,
il prete aveva dato l’estrema unzione alla condannata, il boia
era stato chiamato. Il fastidioso brusio della piazza fu zittito dal
rumore dei tamburi che annunciavano l’arrivo della condannata.
Due uomini la stavano praticamente trascinando su per gli scalini,
innanzi tutto perché aveva un cappuccio di velluto legato sul
capo, e secondariamente perché non riusciva nemmeno a camminare
tanto debole era. Una volta giunta in cima al palco le tolsero il
cappuccio “Hai un ultimo desiderio?” “È completamente
inutile. Io sono la mano sinistra di Dio, non mi potete uccidere!
Nell’Apocalisse vi giudicherò tutti e vi spedirò
tutti quanti fra le fiamme dell’inferno!” gridò,
sorprendentemente rinvigorita “Tu stai vaneggiando. Nessuna
mano divina scenderà a salvarti” “Io sono la mano
di Dio!!” continuava a gridare mentre le mettevano il cappio
al collo. Nonostante tutte le sue minacce l’esecuzione andò
bene, il suo corpo penzolò ai quattro venti mentre la popolazione
vi scagliava una marea di pietre contro. Nessun Dio era giunto a salvarla,
Mary era morta. Elizabeth la guardò con occhi gelidi prima
di ritornare a Palazzo con le proprie dame. Kat era dietro di lei
e non riusciva proprio a non piangere, le sue grida di dolore erano
udibili fino a Winchester Street. “Calmati, Kat” “Padrona,
come fate a rimanere così impassibile?! Lui è morto,
non tornerà più” a quelle parole Elizabeth ebbe
un mancamento, e sarebbe caduta se la fedele Kat non l’avesse
sorretta “Fatevi forza, Padrona. Riuscirete a dimenticarlo prima
o poi, ed allora vivrete di nuovo” “No, Kat. Non lo dimenticherò
mai.” Elizabeth salì sulla carrozza che l’avrebbe
scortata a Palazzo e pianse lacrime amare, colma di disperazione.
End
of part two