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I
giorni dellamore e della gloria
Di
IPPOLITA
PARTE XI L’INCONTRO. "L’amore è rendersi conto che un altro essere è reale quanto noi" Voglio dedicare questa mia modesta fatica oltre a tutti coloro che mi apprezzano e a Xandrella e tutti i fans di Xena e Olimpia, in modo particolare a Giuni Russo e alla sua meravigliosa voce che ho scoperto tardi ma che ormai fa parte della mia vita quotidiana e illumina e scalda il mio cuore, se potessi realizzare un film da questa mia "fanfiction" vorrei che la colonna sonora fosse intessuta con le sue canzoni (sognare è sempre lecito!)
Angelica considerava questi momenti come un piccolo premio alle sue fatiche quotidiane, si scaldavano, lei e i suoi bambini, al calore familiare emanato da queste persone che mostravano loro affetto in ogni piccolo particolare, anzi, nutrivano per lei un’ammirazione che pensava fosse esagerata. Ogni sera, prima di addormentarsi, carezzava e baciava il ritratto di Samuele e c’era sempre qualche ricordo che affiorava della loro vita in comune, il loro primo incontro o le canzoni che cantavano insieme mentre sua madre Natalie li accompagnava al piano: stagioni felici ormai perdute. "Se non ci fosseri stati i nostri figli sarei morta d’amore per te" gli sussurrava e poi, dolcemente cadeva addormentata. Al liceo intanto le sue classi cominciavano a sentire la sua positiva influenza e i suoi alunni mostravano di apprezzarla sempre di più, come i suoi colleghi e tutte le persone che la incontravano. Quel giorno stava piovendo a dirotto, la mattinata di scuola era a metà del suo corso, c’era una certa noia nell’aria, finalmente arrivò lo stacco per il caffè e la ricreazione per gli studenti. Tutti quanti, insegnanti, bidelli, impiegati di segreteria si ritrovavano per le solite chiacchiere di rito, un modo per stare insieme e distrarsi dall’opprimente situazione in atto. La guerra infuriava dovunque, le notizie erano spesso contraddittorie e non si riusciva a sapere con esattezza cosa stesse accadendo, ma i fatti concreti sbucavano fuori dalla mappa di reticenze e mezze verità come lividi su una faccia pestata e non si potevano negare: l’Italia aveva definitivamente perso le sue colonie africane, la flotta degli Stati Uniti stava impegnando fino allo stremo le forze navali giapponesi, sembrava tutto in discussione e non c’era alcuna certezza, non si vedeva spiraglio alcuno di arrivare comunque alla fine del conflitto. A Montesangioioso, stranamente, non c’era stata, almeno fino a quel momento, nessuna incursione aerea e tutti si auguravano che si andasse avanti così il più a lungo possibile. Angelica aveva l’ultima ora di lezione nella terza, desiderava tornare a casa al più presto per rivedere i suoi bambini, riposare, correggere i compiti. Quel giorno si sentiva particolarmente inquieta ma non capiva il perché. Quando finalmente finì la lezione si ricordò che aveva promesso a Daniele, di comprargli, urgentemente, l’album da disegno, il piccolo ,infatti, aveva un grande talento, sarebbe diventato un artista, chissà.... Angelica sorrise tra sè, ripensando ai suoi figli doveva considerarsi fortunata malgrado tutto. Pasquale era già tornato a casa, altrimenti l’avrebbe certamente accompagnata, la cartoleria era alla periferia della città, doveva affrettarsi perché mancava poco alle tredici e lei non voleva deludere il suo cucciolo. La pioggia si era fatta meno insistente. Le strade sembravano deserte, forse quella era una zona poco frequentata. Anna era uscita dall’ospedale con un certo anticipo, aveva avuto il tempo di tornare a casa, mangiare in fretta e uscire nuovamente questa volta in groppa ad Ercole, il suo fantastico stallone arabo, nero dalla criniera fulva. La sera prima nel mettere a posto una giacca di Valerio aveva istintivamente frugato nelle sue tasche scoprendovi un fazzolettino profumato sporco di rossetto, evidentemente apparteneva a una donna che non poteva essere lei. Aveva il sentore che il marito, da vero maschio italico della gloriosa epoca fascista, ogni tanto forse, si concedeva qualche scappatella, ma toccarne con mano la concretezza le diede un urto di collera, sconforto, disgusto. voleva andarsene lontano ma non sapeva dove nè incontro a che cosa o a chi. Angelica aveva terminato i suoi acquisti. Uscì dalla cartoleria e si accorse che si era fatto tardi. Le strade erano deserte. La donna avvertì la spiacevole sensazione di sentirsi osservata, girò attorno lo sguardo ma non vide nessuno, affrettò i suoi passi. Da un vicolo alla sua destra uscirono fuori due uomini, erano piuttosto alti e massicci, la barba lunga e uno sguardo lupigno che la colpì sgradevolmente, Angelica sentì il suo cuore accellerare i battiti, cercò di camminare ancora più alla svelta, ma stavolta davanti a lei apparvero altri due brutti ceffi: le venivano incontro come belve affamate, la giovane si vide rapidamente circondata da tutti i lati, la fuga le era stata preclusa, i quattro la guatavano pregustando lo scempio che ne avrebbero fatto. Angelica cercò di non perdere il controllo della situazione, era agile e forte, aveva sempre praticato molto sport e gentaglia come questa prova il godimento maggiore proprio nel vedere la paura dipinta sul volto delle loro vittime. Ci fu un attimo eterno di sospensione, poi i bruti le si lanciarono addosso, la ragazza sferrò un calcio nei testicoli del primo che le si parò davanti e un pugno sul muso del secondo, sentì un mugolio di dolore ma la rabbia e la foia degli omaccioni ebbero il sopravvento sul suo disperato coraggio: due la immobilizzarono alle spalle e gli altri due cominciarono a strapparle gli abiti di dosso, Angelica chiuse gli occhi in un moto di terrore e ribrezzo e : "Lasciatela stare, canaglie!" Una voce calda, vibrante e minacciosa risuonò improvvisa in quel silenzio innaturale. Angelica aprì gli occhi: alta, su un magnifico cavallo nero stava una donna, i capelli scuri, gli occhi azzurri splendenti di sdegno, bellissima e maestosa, un istante dopo si lanciò sui bruti roteando una frusta, il destriero colpì uno di quelli che trattenevano la ragazza scaraventandolo a terra, la frusta sibilando piombò sulle schiene, sulle facce dei bruti ferendoli a sangue, confusi e sorpresi fuggirono tranne uno che venne trattenuto alla gola dall’arma impropria usata con estrema perizia da Anna Sanzio. L’uomo cadde pesantemente a terra, subito Anna gli fu sopra, calcò un piede tra le scapole del malcapitato facendogli schricchiolare le vertebre: "Dimmi- gli sussurrò- perché non dovrei schiacciarti come uno scarafaggio?" Un lieve gemito attirò la sua attenzione. Nell’impeto della collera si era quasi dimenticata della giovane donna che aveva difeso:"Non muoverti"-intimò all’uomo sparso sul selciato. Rapidamente Anna aiutò la ragazza ad alzarsi, con cura le prese la mano e la portò più alla luce, i loro sguardi s’incrociarono, una strana, improvvisa, emozione s’impadronì di loro. Angelica fissò quel volto, era proprio lei, la bellissima donna del ritratto. Anna guardò quegli occhi così intensi e profondi e per un momento si sentì smarrire : "Tutto bene?"-Angelica si appoggiò istintivamente all’altra che la sorresse con attenzione, la ragazza sentì la forza di quel corpo saldo e accogliente al tempo stesso, ne percepì il calore, si sentì al sicuro. Finalmente riuscì a mormorare :"Grazie. Ora sto bene". Rassicurata, La dottoressa rimise in piedi l’uomo, gli legò le mani e le braccia strettamente e poi l’assicurò a un palo della luce, risalì a cavallo, sollevò la giovane come un fiore sistemandola dietro di sè, Ercole si avviò trottando contegnoso, così il singolare terzetto percorse trionfante la strada fino all’abitazione di Angelica. "Nessuno vi ha avvertito che circola una banda di stupratori? Quelle carogne non risparmiano nessuno, figuriamoci voi che siete...così", Anna non finì la frase, "bella" le rimase in sospeso, si sentiva stranamente impacciata, assunse un’aria burbera :"Fate più attenzione la prossima volta!"- "Non ci siamo nemmeno presentate", aggiunse Angelica, "Beh, io sono Anna!"- "Angelica Biancaspina Sereni, non volete entrare un momento?"- La donna si schermì-"Non posso, devo rientrare a casa, ma questa è una piccola città, sicuramente ci rivedremo. Oh, voi siete l’insegnante di lettere dei miei figli?" Mentre disse queste parole già ridiscendeva le scale, in un attimo scomparve. Angelica varcò la soglia di casa in preda a una irragionevole euforia. Nella stazione dei carabinieri il maresciallo Ottavio Rapagnetti non credeva ai suoi occhi, legato come un gigantesco provolone stava davanti a lui il capo dei malfattori che da mesi aveva terrorizzato le donne di Montesangioioso. "Ve lo affido, cercate di non farvelo scappare di nuovo", gli disse Anna, implacabile, "ho già abbastanza da fare per conto mio, dopotutto il mio lavoro è un altro!" Il brigadiere Cerchioni soffocò una risatina, Ottavio avrebbe voluto incenerirlo. "Sta bene dottoressa, ricordatevi di passare per rivedere e firmare la vostra deposizione, ma deve venire anche la professoressa Sereni, sa anche la sua testimonianza è fondamentale, lei è la parte lesa". "Veramente, si permise dì aggiungere timidamente Cerchioni, a guardare questo brutto muso, qui di parti "lese" ce ne sono parecchie!" Un giovane carabiniere trascinò il bruto in carcere che lo seguì docile ringraziando mentalmente la sua buona stella, la schiena gli doleva in modo lancinante,di tutto si augurava tranne che incontrare ancora quella magnifica, terribile donna. Valerio rientrò a casa un po’ più presto. Sornione si avvicinò alla moglie che sul letto sembrava assopita. Gli era venuto, prepotente, il desiderio di lei, ma quando stava per prenderla tra le braccia Anna spalancò i suoi splendidi occhi azzurri e sorridendo beffarda gli lanciò in faccia il fazzoletto sporco di rossetto. "Che significa? Che cos’è questo?" "Dovresti riconoscerlo, è tuo, ci sono le tue iniziali!" "Posso spiegarti". "Non mi interessano le tue spiegazioni, Valerio,ma almeno il bucato sporco portalo alle tue solerti segretarie o fa parte anche questo del manuale del dongiovanni di provincia?" "Sicuramente deve essermi scivolato dal taschino e qualche cretino dei miei uscieri se ne è appropriato" aggiunse con sicurezza Valerio a cui premeva mettere fine a tutti i costi a quell’increscioso incidente, quanto mai aveva permesso ad Adriana di fare sesso con lui, così,soprattutto per liberarsi la coscienza, dopo che lei gli aveva lanciato accuse e rimproveri d’ogni tipo, al primo posto di essere un pessimo padre. Anna
all’improvviso tacque, Si sentiva rimpicciolita nella sua dignità
di donna, era una fatica per lei ammettere di essere ancora gelosa di
Valerio a causa di Adriana, la stizza la fece incattivire, avrebbe voluto
umiliare il marito fino a farlo sentire un verme, avrebbe voluto picchiarlo
di santa ragione, inaspettatamente le ritornò in mente la giovane
donna che aveva salvato nel pomeriggio, quella visione attenuò
il suo risentimento, un lieve balsamo accarezzò il suo cuore
esacerbato, si alzò e senza aggiungere altro andò a dormire
nel suo studio lasciando l’uomo confuso e perplesso.
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