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I giorni dell’amore e della gloria

Di IPPOLITA

PARTE II ROM/ALT

Ogni allusione a persone o avvenimenti reali è soltanto casuale.

"Si è soli con tutto ciò che si ama"(Novalis)

IL TRASFERIMENTO

ROMA SETTEMBRE 1942

il sor Cesare, portinaio di uno dei palazzi più eleganti al centro di Roma, guardava con una certa apprensione il telegramma che stava lì, in bella mostra sulla sua consolle. La missiva era indirizzata alla "Professoressa Angelica Biancaspina Sereni". Il sor Cesare, un omone grassoccio e attempato, sospirò pensando che gli sarebbe dispiaciuto se là dentro ci fossero state cattive notizie per quella giovane donna già duramente provata dalla vita.

"Curioso" pensò l’uomo- come basta un colpo di telefono o un pezzo di carta per sconvolgere un’esistenza", sospirò ancora in preda a una grossa irritazione, in quella mattina, insolitamente grigia per il clima romano, anche la sua vecchia ulcera si stava facendo risentire, e come se non bastasse le notizie dal fronte russo erano disastrose, notizie non ufficiali naturalmente:" L’ultima lettera di suo figlio Piero risaliva alla fine di Luglio, proveniva da Stalingrado dove le forze italo-tedesche si stavano dissanguando in un terribile assedio e dava l’immagine netta e cruda di una disfatta imminente per le gloriose forze dell’asse. In quell’istante fece il suo ingresso nel portone la bella Angelica. Quella dolce visione lo distolse dai tristi pensieri. "-Signora c’è un telegramma per voi"-l’omone uscì dalla sua tana di vetro con una certa leggerezza, si avvicinò alla donna porgendole il messaggio con molta attenzione, come se temesse di darle un serpente velenoso. Angelica scosse il capo in maniera interrogativa ma aprì subito il telegramma. "E’ la conferma del mio trasferimento!" esclamò come a rassicurare se stessa e l’uomo che la guardava con apprensione.

"Così ve ne andate, ma dove?" "A ***** in Abruzzo, c’era una cattedra di lettere disponibile al liceo classico della città". Il sor Cesare rimase sorpreso e anche dispiaciuto. Si era affezionato a quella giovane donna e ai suoi due bambini, così piccoli e già tanto provati dalla vita .Dopo averlo salutato, Angelica salì le scale di corsa, anche se mancavano ancora dieci giorni all’inizio delle lezioni, occorreva sempre del tempo per organizzare la partenza e a lei piaceva fare ogni cosa alla perfezione. Ad aspettarla trovò la signora Ester, sua suocera, una donna ancora giovane, d’aspetto piacevole e distinto, guardandola provò una fitta al cuore: doveva dirle che se ne andava e che i piccoli Natalie e Daniele, naturalmente, l’avrebbero seguita. Da quando il suo Samuele era morto Ester viveva per i suoi nipotini confortata dall’affetto della nuora, la sua dolce e cara Angelica. Aveva anche un’altra figlia, Giulia, sposata con un uomo per bene, un gentile, ingegnere minerario che l’amava e la rispettava moltissimo, entrambi avevano due figli belli e intelligenti che adoravano la loro nonna tuttavia la donna, pur volendo un bene infinito al resto della sua famiglia, si sentiva veramente felice e appagata soltanto insieme a quelle tre creature. La giovane non aveva parlato chiaramente alla suocera, allusioni certo a un suo desiderio di cambiamento ma niente di preciso. Adesso, però, non poteva più rimanere nel vago, doveva darle la notizia. -Ester- fra due settimane lascerò Roma-si fermò, guardò l’altra negli occhi, poi abbassò il capo, si sentiva in colpa, ma proseguì con fermezza- ho bisogno di prendere la distanza da tutto quello che è accaduto, non ce la faccio più a stare qui...ogni cosa, ogni angolo di questa città mi ricorda Samuele- la voce le si incrinò un poco- ma credo che comunque ritornerò-"Perché aveva aggiunto quelle parole? Voleva ingannare se stessa o addolcire la pillola alla donna che la fissava in silenzio con i suoi grandi occhi scuri lucidi di lacrime? "- Sai che ti aspetterò. Questa sarà sempre la tua casa, tua e dei piccoli- le rispose con un tono affettuoso, poi l ‘abbracciò con un tocco caldo e sicuro senza mostrare cedimenti; la sua condizione sociale, l’intelligenza e sopra ogni cosa la consapevolezza dell’instabilità delle vicende umane, avevano rafforzato il suo carattere lasciandone integra la sensibilità, essere un’ebrea le dava la possibilità di guardare la realtà con uno sguardo fermo e attento, ogni debolezza doveva essere bandita, soltanto la lucida coscienza di quel che stava accadendo avrebbe potuto salvare lei e i suoi cari, già, ma cosa stava veramente succedendo? Si sentivano voci minacciose, dicerie sconcertanti sulla sorte degli ebrei tedeschi e slavi: deportazioni, sparizioni d’intere famiglie ma non c’era niente di preciso e forse questo poteva dare l’illusione pericolosa che tutto fosse normale, la solita ondata antisemita che periodicamente percorreva l’Europa come carestie e pestilenze ma che si sarebbe ben presto acquietata e tutto sarebbe tornato in ordine. Di questo genere erano i pensieri della signora Ester e altro ancora.

Ricordava fin nei minimi particolari quella sera di quasi dieci anni fa, quando suo figlio Samuele, giovane ufficiale di marina, le aveva detto con gli occhi scintillanti di gioia, che aveva incontrato la donna dei suoi sogni e che desiderava presentargliela al più presto. Certo, Samuele era un ragazzo romantico ma di ragazze ne aveva incontrato tante e di nessuna aveva mai parlato così. Il giovanotto era bello, alto, capelli castani ondulati, occhi azzurri radiosi ed espressivi, il naso era diritto e ben proporzionato e la bocca dalle linee morbide e insieme decise sembrava fatta apposta per attirare i baci, nessuna meraviglia, quindi se le donne gli cadevano alla lettera fra le braccia. Così, un giorno, anzi, una sera, Samuele venne a cena con questa sua nuova ragazza. Ester si trovò davanti una fanciulla bionda, grandi occhi verdi luminosi e intensi, un viso spiritoso e intelligente con lineamenti finemente modellati come la "Psiche" del Canova, corpo agile e snello, estremamente femminile, e infine, un sorriso dolce che avrebbe intenerito un macigno. "Questa è Angelica"-disse Samuele. Ester ne fu immediatamente conquistata. Angelica non era ebrea ma ciò non costituì mai un problema. In quegli anni la giovane frequentava il secondo anno della facoltà di lettere, a Roma, si laureò

due anni e mezzo dopo, già sposata e madre di una stupenda bambina, con il massimo dei voti in lettere antiche. Nel frattempo anche Angelica stava andando sul filo dei ricordi.

Il suo incontro con Samuele era stato dei più banali. Una collega di corso con cui stava studiando filologia greca, una certa Clotilde Bonetti, morettina florida e piacente, le parlava spesso della sua cotta per il ragazzo più "figo", più bello ed estroso della sua comitiva: Samuele Sereni, figlio del direttore del Banco di Napoli, Daniele. Si dilungava a descriverne il carattere, i vezzi, le abitudini e soprattutto, l’aspetto fisico. "Lo sai- diceva- è un gran calciatore- sarebbe potuto diventare un campione ma gli piace tanto il mare, l’avventura, e poi, secondo me lo sa che la divisa lo rende ancora più attraente... che spalle, che fianchi, lo devo avere a tutti i costi, anzi, tu mi devi aiutare a conquistarlo!" A furia di vederla così in fregola per quel tipo ad Angelica cominciava a stare sulle scatole, oltretutto le faceva perdere del tempo prezioso interrompendo continuamente lo studio con i suoi sproloqui libidinosi sul fascinoso ufficiale.

Il destino stava tessendo le sue trame, o forse il caso o chissà chi, comunque, una sera Clotilde con gli occhi neri più lucidi del solito annunciò all’amica che il "Lele", così confidenzialmente

veniva chiamato Samuele, le aveva concesso un appuntamento ma che sentiva un certo scrupolo

ad uscire da sola con lui e allora le avrebbe fatto cosa gradita se fosse venuta anche lei, naturalmente Lele avrebbe portato un amico. Ad Angelica questo accoppiamento garbava pochissimo, aveva concluso da un mese un flirt con un compagno di corso, un tipo fanatico della teoria del superuomo e della superiorità della razza italica, insomma un cretino perfetto, che le aveva lasciato una certa amarezza, adesso desiderava soltanto starsene tranquilla e dedicarsi a corpo morto agli studi. Ma Clotilde le si appiccicò piagnucolosa, insistendo tanto lungamente che la giovane aderì alle sue richieste più per stanchezza che per convinzione. E venne la sera tanto attesa. Clotilde si era preparata curando il suo aspetto fin nei minimi dettagli, il vestito rosso attillato, il trucco vistoso, tutto studiato per accendere il cuore del ragazzo tanto desiderato. Angelica si era vestita con la sua naturale eleganza, un abito blu scuro leggermente scollato dietro, quel tanto da mettere in risalto quella sua schiena che madre natura aveva così ben disegnato. Non aveva aspettative e ciò costituì la sua forza. Alle venti in punto i ragazzi passarono a prenderle a casa della Bonetti con un’automobile strepitosa. L’accompagnatore di Angelica si chiamava Ermanno, fisicamente era piuttosto avvenente, ufficiale pure lui, occhio languido da esperto conquistatore, sorriso a quarantaquattro denti, parlantina sciolta, tutto in regola per far passare a una ragazza una serata molto piacevole. Samuele era al volante, la macchinona sportiva era sua. Le fanciulle si accomodarono sul sedile posteriore. Immediatamente il guidatore aggiustò lo specchietto posto in alto davanti a lui per

poter guardare a suo agio la ragazza seduta alle sue spalle, per guardare attentamente Angelica.




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