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I giorni dell’amore e della gloria

Di IPPOLITA

PARTE III ROM/ALT

Ogni allusione a persone o avvenimenti reali è soltanto casuale.

"Si è soli con tutto ciò che si ama"(Novalis)

Tra passato e presente

Prg.1

Ancora ricordi.

Lo so che i personaggi di Gabrielle -Olimpia (Angelica),di Xena (Anna), di Vanessa (Venere-Afrodite), di Nicos (Marte-Ares) appartengono alla Universal, ma non intendo infrangere alcun copyright e non sto scrivendo a fini di lucro, inoltre molti personaggi sono di mia invenzione. Dedico questo romanzo a tutti coloro che apprezzano la serie di XENA, e specialmente, agli amici del subtesto.

Qualsiasi riferimento a persone o a circostanze reali è puramente casuale.

All’interno di uno dei ristoranti più eleganti e raffinati di Roma, quattro giovani, nel Gennaio del 1932, si accingevano a consumare una prelibata cenetta preludio a qualcosa di altrettanto prelibato, chissà. I nostri amici, Samuele o Lele Sereni, Clotilde o Tilde Bonetti, Ermanno Scamporlino e infine Angelica Biancaspina sedevano attorno

a un tavolo ovale apparecchiato con una tovaglia di merletti bianchi spilluzzicando gli antipasti. Ermanno veramente si stava godendo alla grande tutte quelle ghiottonerie e Angelica gli teneva testa; dal canto suo Tilde ciarlava sparando tutto quello che le

passava per la mente al solo scopo di attirare l’attenzione di un Lele letteralmente sotto ipnosi che non smetteva un istante di fissare la bella Angelica, questa, tra un bocconcino e l’altro non lo perdeva di vista, il suo atteggiamento era tuttavia più

discreto; il ragazzo l’attirava molto ma il suo desiderio era in contrasto con la sua amicizia per Tilde."Mammina ho fame"- la vocina gentile di Natalie distolse Angelica dal suo vagabondaggio nel paese dei ricordi. I bambini erano rientrati dalla scuola.

La nonna Ester li portò in cucina dove appena sfornata, calda e profumata, li attendeva una deliziosa torta di mele. Angelica sopraggiunse con una certa fretta: non sapeva resistere al tenero richiamo dei suoi figli, e, perché negarlo?, anche alla voglia di un dolce, si sentiva così sola spesso, così desiderosa di consolazione e d’affetto. Attorno

al grande tavolo di massello la piccola Natalie, il fratellino Daniele, Ester e infine, Angelica, mangiavano di gusto la loro fetta di torta. La bambina, poi, si avvicinò alla mamma che la cinse in un morbido e carezzevole abbraccio, anche il bimbo pretese la sua parte di coccole e mentre fra la giovane madre e i suoi piccoli accadeva una larga distribuzione di bacetti e paroline scherzose Ester rimetteva in ordine godendosi

quegli istanti preziosi d’intimità con le persone care-" Cosa desiderate per cena?" -disse Ester-c’è del riso e il sor Cesare mi ha portato funghi porcini di ottima scelta-sicuri- aggiunse con un tono deciso per scongiurare eventuali obiezioni- "Uhmm, che ne dite ragazzi?", rispose Angelica- rivolgendosi ai bambini smettendo per un attimo di sbaciucchiarseli. Ester guardò compiaciuta il terzetto e si accinse a preparare da mangiare. I bambini corsero in salotto, Natalie, dieci anni a Dicembre, bionda, occhi scuri profondi e vivaci, a leggere un libro di fiabe, Daniele, quattro anni appena compiuti, bruno, alto per la sua età, viso dolce e arguto, a disegnare e a pasticciare con le sue matite colorate. Angelica andò in camera sua per iniziare a scegliere cosa doveva portare con sé a Monte Sangioioso. Ma appena aprì il grande armadio a muro

vedendo gli abiti di Lele ancora appesi alle grucce subito gli occhi le si riempirono di lagrime. Piangeva silenziosamente, le gocce brucianti le colavano sulle guance, sul petto, cercò un fazzoletto, si asciugò gli occhi, il viso, il collo, seduta sul lettone, con le mani tremanti si accese una sigaretta, dal balcone socchiuso giungevano, smorzati, i suoni della strada, si calmò un poco: la sua mente la trasportò ancora nel passato.

Le portate della cena si susseguivano invitanti. Tilde parlava di quanto fosse corteggiata dal professore Brunetti, assistente di Lingua e letteratura Latina che le aveva dichiarato, piuttosto esplicitamente le sue focose intenzioni, fissava con intenzione il bel Samuele che, invece, era molto interessato ai tentativi di Angelica di acchiappare con la forchettina le olive nere della pietanza a base di pesce che stava consumando, Ermanno aveva già divorato tutto e stava pensando al dessert, ogni tanto, gli occhi gli scivolavano sulla scollatura di Tilde i cui seni prosperosi schizzavano fuori gloriosamente, quello spettacolo gli sembrò degno della sua attenzione.

Ad un tratto l’orchestrina del locale cominciò a suonare una dolce e sensuale melodia,

subito Lele si alzò e invitò Angelica a ballare, dopo un momento d’esitazione Ermanno, con molta galanteria si propose a Tilde che, seppure con una certa riluttanza accettò.

Da quell’istante in poi la brunetta comprese d’aver perso la partita definitivamente, per qualche tempo tenne il broncio alla sua amica accusandola "d’averle rubato l’amore

della sua vita" ma si sposò abbastanza in fretta proprio con Ermanno. Samuele strinse sé Angelica con tenerezza e desiderio, si era innamorato di lei immediatamente, la ragazza si abbandonò a lui con lo stesso impeto, non aveva dubbio alcuno, sentiva di amarlo e di volerlo con tutta se stessa. L’amore li aveva sorpresi entrambi a tradimento come un ladro nella notte. Il suono arcano del pendolo richiamò la giovane al presente,

era l’ora di cena. Angelica si fece forza, non le era permesso restare nell’oblio dei giorni felici ormai trascorsi, i bambini avevano bisogno di lei. Il profumo del risotto le sollevò l’animo, i visi così belli e lo sguardo fiducioso dei suoi figli le ridonarono un senso fisico di calore al cuore, sorrise ad Ester che la ricambiò anche se i suoi occhi

si velarono di malinconia. I giorni seguenti furono densi di preparativi, Angelica si recò

al Provveditorato per sbrigare tutti gli incartamenti che la pedante burocrazia scolastica

esigeva, non si concesse tregua cercando di tenere a bada l’improvvisa paura di andarsene, desiderava cambiare non poteva tirarsi indietro. Il giorno prima fissato per la partenza la donna passeggiò ancora una volta nelle strade di Roma, quelle stesse che l’avevano vista felice con suo marito. Passò da Via Condotti, si fermò a Piazza di Spagna, sedette sulla scalinata di Trinità Dei Monti, si guardò attorno respirando l’aria tiepida lievemente profumata, la vista di una coppia abbastanza attempata attirò la sua

attenzione: lui era magro, scattante, parlava vivacemente e di tanto in tanto attirava a sè la sua compagna e la baciava, lei rideva sensualmente e lo abbracciava, Angelica pensò che erano davvero in pieno idillio, un pensiero improvviso le lacerò il cuore: lei non avrebbe mai più conosciuto tanta gioia, lei era sola ormai. Si alzò decisa a tornare a casa, era stanca di piangere, la nostalgia la stava consumando da quattro anni, tanti

da quando Samuele era morto. Domani il treno l’avrebbe portata a Monte SANGIOIOSO.

 




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