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Fantavventure a 21 pollici: la televisione
di Roberto Chiavini

(trascritto da Debora)

Diversamente dalla fantascienza e dal thriller anche fantastico-orrorifico, che arrivano in televisione fin quasi dalla sua nascita (ed hanno precedenti nei serial cinematografici degli anni Trenta e Quaranta), il fantasy televisivo è un fenomeno tardo, addirittura molto recente se lo si vuole definire tale come dimensioni.
Gli anni Cinquanta e Sessanta sono infatti del tutto privi di serie televisive che possano essere considerate fantasy vero e proprio, se si eccettuano gli sporadici episodi delle serie antologiche (in primis la celebre Ai confini della realtà e l’inedita nel nostro paese The Outer Limits), oppure le sit-com venate di fantastico quali Vita da Strega e Strega per amore, quest’ultima con un genio della lampada (Barbara Eden) che si innamora di un astronauta (Larry Hagman), esaudendone i desideri in modo da creare quasi sempre scompiglio nella sua esistenza.

Tra le serie di avventura in qualche modo legate al mondo medievale, ma prive di elementi fantastici, ci piace ricordare almeno alcuni serial britannici come Ivanhoe (trampolino di lancio per Roger Moore), La spada di Re Artù e Arthur, re dei Britanni.
Per arrivare al primo telefilm heroic fantasy propriamente detto bisogna attendere il 1983: si tratta di Storie di maghi e di guerrieri, un progetto colossale trasformatosi in un flop clamoroso. Ambientato nel reame fantastico di Caramand (modellato sul medioevo britannico, ma del tutto avulso dalla storia terrestre), il telefilm è durato soltanto otto episodi, pieni di magia, combattimenti fra mostri ed eroi, ma privo di quello spessore e di quel fascino che avevano decretato il trionfo cinematografico di Conan il barbaro e la nascita della fantasia eroica al cinema. Il suo maggior difetto era forse quello di essersi modellato sull’allora nascente fenomeno del gioco di ruolo stile Dungeons and Dragons senza coglierne gli aspetti migliori, trasformandolo in una serie di stereotipi che non affascinavano i non addetti ai lavori e insultavano i veri giocatori – un difetto che si è ripetuto pari pari nella trasposizione cinematografica del progetto ludico di Gary Gygax e compagni. Un tale insuccesso bloccò di nuovo per un altro decennio la fantasy eroica in TV, limitandone lo sviluppo a strane commistioni di genere, tra le quali segnaliamo La bella e la bestia (rilettura della classica fiaba, ambientata in un mondo sotterraneo dove la bella – Linda Hamilton – vi trova la bestia – Ron Perlman – creatura deforme nel volto, ma dal grandissimo cuore, di cui lentamente si innamora, serie di notevole successo durata numerose stagioni).
Sono gli anni Novanta a scoprire il vero interesse del pubblico per il genere, grazie ad una serie di produzioni, tutte più o meno coeve e spesso di buon successo, dovute per lo più all’intuito e alla capacità realizzativa del team di Sam Raimi (regista di culto del cinema splatter prima, ed ormai del fantastico in generale), che dopo L’armata delle tenebre scoprì le potenzialità del fantasy anche in TV, sfruttando i magici paesaggi naturali offerti dalla Nuova Zelanda (le cui meraviglie naturali hanno permesso poi a Peter Jackson di donarci la Terra di Mezzo tolkieniana), e i relativamente poco noti miti classici (almeno per il pubblico americano), come soprattutto la saga di Ercole. Fu così che nacque la prima miniserie di 5 film televisivi dedicati appunto a Hercules. Eravamo nel 1995 e Raimi e soci, affidando il volto del figlio di Zeus allo statuario Kevin Sorbo e sfruttando una guest star del calibro di Anthony Quinn nel ruolo del sovrano dell’Olimpo, riscossero un grande successo di audience rimpastando i miti classci di un alone moderno, e riproponendo le creature mostruose dei miti greci, che avevano decretato il successo della stop motion di Harryhausen, in una più appropriata digitalizzazione computerizzata (era fresco il successo dello straordinario – quanto a capacità di sfruttamento della tecnologia digitale – Terminator 2 di James Cameron) piuttosto nuova per lo schermo. Ammaestrato dall’immeritato insuccesso della sua prima esperienza televisiva (il misconosciuto western-fantasy Le avventure di Brisco County Jr, interpretato dall’attore-feticcio di Raimi, Bruce Campbell), il regista di Chicago e i suoi amici (tra cui il produttore Rob Tapert) scoprono la gallina dalle uova d’oro: il successo dei film iniziali si guadagnò la possibilità di una serie vera e propria, durata cinque stagioni, prima che il suo protagonista, Kevin Sorbo, si stancasse del personaggio e lasciasse nel bel mezzo della stagione, costringendo i produttori a tagliarne la realizzazione. Nel corso della serie, caratterizzata da una profusione di scazzottate e di belle donne sempre poco vestite, Ercole si distacca notevolmente dall’eroe del mito, diventando un avventuriero che affronta mostri e creature prese dall’immaginario del mondo intero, finendo talvolta per viaggiare nel tempo e nello spazio. Accanto a lui si muovono una pletora di personaggi (tra i quali ricordiamo almeno Iolao, il suo fido compagno, interpretato da Michael Hurst, e il principe dei ladri, Autolico, altro ruolo di culto per Bruce Campbell), che diventano talora protagonisti della scena, dando ad ogni episodio connotati più passionali (come le vicende amorose di Ercole e compagni, vuoi per l’intervento di Venere – la bionda mozzafiato Alexandra Tydings – vuoi per i viaggi dell’eroe agli inferi per ritrovare la sua defunta consorte Deianira – Tawny Kitaen), più comici (con le comparsate di Autolico e di Salmoneo) o più bellicosi (con l’intervento di Ares – il compianto Kevin Smith – e di Xena).
Proprio la crudele e spietata amazzone guerriera, interpretata dalla giunonica Lucy Lawless, si guadagnò un tale seguito fra il pubblico (immaginiamo specialmente quello maschile), da meritarsi uno spin-off tutto suo, che ha finito per avere più successo del fratello maggiore: sono state infatti ben sei le stagioni che ci hanno narrato le avventure della bella principessa-guerriera, passata dalla parte del bene – quasi sempre – ed accompagnata nelle sue peregrinazioni dalla giovane amazzone Olimpia. Se già con Hercules gli sceneggiatori si erano ben presto affrancati dalle pastoie dei miti classici per regalarci vicende spesso altamente improbabili per qualsiasi mitologia, con Xena principessa guerriera questo problema viene meno fin dalla partenza, e il sostrato classico resta molto in secondo piano (soprattutto attraverso i personaggi degli dei greci, Ares e Afrodite, prestati dal primo telefilm), per finire miscelato con altre mitologie (c’è una lunga saga dedicata al viaggio in India delle due eroine, delle improbabili commistioni storiche che vedono Xena combattere contro Cesare e contro Cleopatra, per finire con una lunga saga giapponese, che vedrà la morte della guerriera), per non parlare delle consuete incursioni nel futuro.
Se Hercules era un prodotto avventuroso per ragazzi, Xena si aggancia invece al prodotto adolescenziale e al girl power che nella seconda metà degli anni Novanta invade il mercato televisivo mondiale (pensiamo soltanto a Buffy l’ammazzavampiri, una derivazione orrorifica delle soap adolescenziali tipo Beverly Hills 90210 e Melrose Place), affrontando tematiche a volte scabrose (come il possibile rapporto omosessuale che lega le protagoniste, una sorta di scheletro nell’armadio perbenista degli eroi americani che rimanda alle stesse accuse mosse, per esempio, al “dinamico duo” Batman e Robin), più spesso regalando 40 minuti di spensierata avventura, a volte comica, a volte drammatica, sempre e comunque all’insegna di bellezze amazzoniche, sogno proibito dell’adolescente (e non solo) maschio (e non solo) americano (e non solo).
Sulla scia del successo di Hercules e Xena altre serie televisive di heroic fantasy hanno provato ad affacciarsi all’orizzonte, ma quasi sempre con modesto successo: la prima può essere ritenuta Sinbad, nata nel 1996 da un’idea di Ed Naha, e durata per poco più di una stagione: il canovaccio è sempre lo stesso, con la sola diversità data dall’ambientazione esotica stile Mille e una notte, ma nonostante la presenza di attrici del calibro di Julianne Moore (che ancora era ovviamente ben lontana dalla candidatura all’Oscar), non resse le pressioni dell’audience.
Fine ancor meno prestigiosa (resse per circa mezza stagione) per Roar, prodotto nel 1997, una specie di fantasy del Medioevo oscuro, avente a protagonista Heath Ledger nei panni di Conor, un giovane guerriero in possesso di una spada magica, che usa per combattere contro il malvagio sovrano e i suoi accoliti che vessano la sua tribù.
Rivolta invece più dichiaratamente a un pubblico giovanile è invece Mystic Knights: quattro cavalieri da leggenda, del 1998 e proseguita per oltre due stagioni, che sfrutta gli splendidi paesaggi irlandesi per una saga fiabesca, ricca di magia e di mistero, ma anche pericolosamente – per lo spettatore adulto – assimilabile ai Power Rangers.
Due parole (e non di più, purtroppo) per il modestissimo tentativo di trasferire anche sul piccolo schermo le avventure di Conan nel serial Conan the Adventurer: scegliendo il culturista tedesco Rolf Moeller nel ruolo del cimmero (forse perché Schwarzenegger è austriaco…) ed affiancandogli un gruppo di attori poco conosciuti, la produzione cercò di portare in televisione il gusto non tanto del barbaro letterario, quanto di quello fumettistico (anche se alcuni dei pochi episodi trasmessi sono riduzioni di racconti di Howard, peraltro trasposti anche come fumetto), ma la modestia del budget a disposizione si vede in maniera clamorosa (la cartapesta ed il polistirolo regnano sovrani in quasi ogni sfondo ed ogni scena) e l’effetto complessivo è decisamente patetico per tutti coloro che hanno amato il film di Milius (o anche solo quello di Fleischer).
Non ci sembra invece il caso di estendere il nostro discorso alle serie a cartoni animati, anche se partendo da Jeeg robot d’acciaio (fantascientifico, ma che affonda le radici nella mitologia nipponica) e attraverso The Monkey, ispirato al romanzo fantastico di Wu Ch’eng-en (1505-1580), e Il fantastico mondo di Paul, si arriverebbe a prodotti di un certo interesse come King Arthur, dedicato al mitico re Artù, Conan, Le Cronache della Guerra di Lodoss, Berserk (tutti di produzione giapponese) e Dungeons & Dragons (americana).





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