di
Nihal
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il racconto
PREMESSA:
Per la realizzazione di questo duplice episodio ho accolto come vera
la teoria secondo la quale il personaggio leggendario di re Artù
prende avvio dalle reali vicende di un condottiero britannico del V-VI
sec d. C, ambientando così la vicenda a cavallo tra questi due
secoli.
Inoltre a chi ha letto “Le nebbie di Avalon”, di Marion
Zimmer Bradley, risulterà evidente quanto mi sia avvalsa della
sua autorevole voce per costruire la sacra isola di Avalon ed il culto
della Dea. Con ciò non era mia intenzione infrangere alcun copyright.
Da ultimo è mia premura ricordare che, essendo il V ed il VI
secolo i primi periodi dell’affermazione del Cristianesimo e non
potendo prescindere da questa realtà in modo assoluto, ho ripreso
il filone intrapreso nella serie con il quale si identificava la religione
cristiana con la nuova dottrina di Belur.
Detto questo, buona lettura.
CAPITOLO VIII
Erano
partiti di prima mattina, non appena il sole aveva fatto capolino oltre
il basso orizzonte di colline boscose che circondavano Camelot, ed ora
le dolevano le gambe: era una regina, nient’affatto abituata a
percorrere a cavallo così lunghi tratti. Di fronte a lei Lancillotto
avanzava ritto in sella, senza nessun segno di stanchezza. I suoi capelli
corvini, legati in una bassa coda, scendevano ondeggiando appena sul
suo lungo mantello blu. Stavano attraversando una piccola zona boscosa
ed avanzavano al passo per evitare che gli animali si ferissero. Da
quando erano partiti, il cavaliere le aveva rivolto pochissime frasi,
limitandosi all’indispensabile ed evitando i suoi occhi. Possibile
che anch’egli avvertisse le sue stesse sensazioni?
Il cielo aveva cominciato a coprirsi di nuvole e si era levato un vento
insolitamente gelido per la stagione che fece stringere Ginevra nel
suo mantello e che la spinse a calare il cappuccio sul capo. Era stanca,
terribilmente stanca, ma Lancillotto sembrava intenzionato a continuare
e lei non aveva intenzione di mostrarsi da meno. Un moto di stizza la
fece drizzare sulla sella.
“Non devo dimostrare nulla a nessuno…Sono la sua regina!”
Quando si erano fermati, alcune ore prima, il sole appena oltre lo zenit,
aveva avuto appena il tempo di consumare un pasto frugale che non le
aveva in nessun modo permesso di recuperare le energie. Anche in quell’occasione
il cavaliere era rimasto in silenzio. Ginevra sperava sinceramente che
Lancillotto non avesse intenzione di proseguire anche durante la notte.
La pioggia che cominciò a cadere colse entrambi impreparati.
Crebbe d’intensità rapidamente e li costrinse a scendere
da cavallo, avanzando con estrema cautela sul terreno, che si era fatto
fangoso e infido.
Lancillotto imprecò tra sé: dovevano trovare un riparo
al più presto. Accelerò il passo, dando per scontato che
la regina fosse in grado di sostenere quel ritmo anche in quelle condizioni.
Il cavallo cominciava a farsi irrequieto ed alcuni lampi presero ad
illuminare il cielo. Finalmente la vegetazione si fece più rada
ed il cavaliere intravide una casupola ai margini, poco distante. Ringraziò
mentalmente la Dea e si voltò verso Ginevra.
<<Maestà…>>
Quando non la vide ebbe un tuffo al cuore. Assicurò l’animale
ad un ramo basso, legando le briglie con mani tremanti e corse nella
direzione da cui era venuto, la mente quasi paralizzata dal terrore.
Ginevra non riusciva più a tenere a freno la sua cavalcatura,
che strattonava le redini, cercando di liberarsi dalla sua stretta incerta.
La pioggia scendeva implacabile e le sue vesti erano completamente zuppe.
Un tuono fece impennare il cavalo e le redini le scivolarono di mano:
l’animale, spaventato ma libero, partì in un galoppo furioso.
Ginevra fece per rincorrerlo, ma mise un piede in fallo e scivolò
nel fango. Cercò a fatica di rialzarsi, ma una fitta di dolore
alla caviglia la fece ricadere, gli occhi colmi di lacrime.
“Accidenti…”
Si tastò l’articolazione, ma gli stivali che indossavano
erano di cuoio rigido e le impedirono di verificare se si stesse gonfiando.
<<MAESTÀ!>> nel rumore della pioggia, che non le
era parso mai così assordante, l’urlo di Lancillotto le
sembrò il suono più melodioso che avesse mai udito.
<<Sono qui!>> urlò a sua volta.
Quando lo vide sentì un moto di gioia riscaldarla dall’interno.
Il cavaliere, anch’egli fradicio e sporco, le corse incontro,
visibilmente preoccupato.
<<Sta bene, maestà?>> le chiese quando l’ebbe
raggiunta.
<<Credo di essermi slogata una caviglia…>>gli rispose,
indicando con gli occhi la gamba destra.
Il guerriero si accigliò ancora di più.
<<Qui non posso fare nulla,ma ho trovato un riparo ai margini
del bosco>>
Le mise un braccio dietro la schiena e l’aiutò ad alzarsi,
poi la prese in braccio, avanzando con cautela. Ginevra gli si strinse
al collo, confortata dalla sua stretta salda. Quando giunsero dove Lancillotto
aveva legato il cavallo, la regina si accorse che il cavaliere aveva
il respiro corto ed il viso contratto per lo sforzo, anche se la sua
presa era ancora solida.
<<Posso camminare un po’…non è necessario che
mi porti in braccio….>>gli disse, allentando la stretta
attorno al suo collo e cercando di scendere.
<<Non è il caso di rischiare>> le rispose Lancillotto
<<Non so in quali condizioni è la sua caviglia e voglio
evitare di aggravarla>> il suo tono non ammetteva repliche.
Dopo che furono al riparo nella casupola, il cavaliere adagiò
la donna su un covone di fieno.
“Deve essere un ricovero di pastori” pensò, osservando
alcune pelli di pecora e dei bastoni accantonati in un angolo.
<<Maestà, si tolga lo stivale>> disse alla regina
dopo che le ebbe tolto il mantello zuppo e l’ebbe poggiato assieme
al suo su di una panca di legno.
Ginevra si sfilò la calzatura contraendo il viso per il dolore.
Lancillotto prese tra le mani la caviglia della donna, osservandola
con occhio esperto.
<<Mi dica quando le fa male>> le disse, premendo alcuni
punti con le dita.
<<AHI! Qui…>> esclamò sobbalzando la regina
quando lui le mosse il piede verso l’alto.
<<È fortunata: non è rotta. Basteranno delle bende
ben strette>> concluse estraendo dallo stivale un pugnale e riducendo
a fasce una manica della sua blusa. Le avvolse con precisione attorno
alla caviglia della donna, lasciandole poi andare la gamba. In silenzio
ed ancora gocciolante si alzò e sistemò le pelli che aveva
visto su di un altro mucchio di paglia, ottenendo un giaciglio improvvisato
ma sufficientemente comodo e caldo.
<<Maestà, io devo trovare un riparo per il mio cavallo…è
meglio se mentre sono via si tolga quegli abiti bagnati e si mette a
riposo>> le disse con gentilezza notando il suo imbarazzo.
La regina apprezzò il suo gesto ed annuì con un sorriso.
Lancillotto si inchinò ed uscì, chiudendosi la porta alle
spalle. Dopo che ebbe sistemato la sua cavalcatura sotto un’ampia
tettoia alle spalle della capanna, prese le bisacce dalla sella e si
assicurò di rimanere fuori abbastanza perché Ginevra potesse
sistemarsi con comodo. Sorrise tra sé mentre aspettava accanto
all’animale, raccogliendo alcuni sassi.
“Se sapesse che sono una donna anch’io non dovrei starmene
qui”
Quando entrò la vide nel giaciglio che aveva preparato, gli abiti
posati assieme ai mantelli. Ne incrociò gli occhi e l’intensità
del senso di familiarità che essi trasmettevano avvolse il suo
cuore. Si riscosse immediatamente e, dandosi dell’idiota, dispose
in circolo i sassi che aveva raccolto e, spezzati all’interno
due bastoni, aggiunse della paglia. Da una sacca estrasse due pietre
focaie con le quali accese una fiamma vivace.
<<La maggior parte delle provviste era nelle mie bisacce>>
disse la regina amareggiata mentre Lancillotto sistemava gli abiti della
donna vicino al fuoco perché si asciugassero.
<<Già…domattina cercherò di seguire le tracce
del suo cavallo sperando di riuscire a recuperare qualcosa, ma per stasera
dovremo arrangiare>> fu la risposta neutra del cavaliere.
<<Però ho visto del formaggio in quello scaffale>>
insistette Ginevra, indicandogli il mobile in legno appoggiato alla
parete, decisa a fargli spezzare il voto di silenzio che sembrava aver
prestato.
<<Bene. Durante il viaggio potrò comunque cacciare qualcosa.
La Carmelide fortunatamente è solo ad una luna di distanza>>
disse Lancillotto mentre tornava accanto al fuoco con una piccola forma
di formaggio tra le mani, affettandola poi con il suo pugnale.
Ne porse alcuni pezzi alla donna e, sedendosi, si sciolse dalla vita
il pesante cinturone cui era fissata la sua spada, poggiandolo sulle
bisacce semiaperte.
Ginevra si mise seduta sul giaciglio, ben attenta a non scoprirsi, e
non riusciva a staccare gli occhi dal viso del cavaliere: tutto in lui
era tanto familiare quando remoto…
<<Non le piace? So che non è il massimo, ma ora non posso
fare niente di meglio>> le disse d’un tratto Lancillotto,
avendo notato che aveva dato appena un morso al formaggio.
<<No, anzi…ero solo assorta nei miei pensieri..>>
Alcune gocce caddero dai capelli del cavaliere, scendendogli lungo il
viso, e solo allora Ginevra si rese conto che aveva ancora addosso gli
abiti bagnati. Fece per dire qualcosa, ma il guerriero la precedette,
avendo intuito i suoi pensieri.
<<Devo uscire ancora: anche il cavallo deve mangiare. Togliermi
le vesti per asciugarle non avrebbe senso dal momento che si dovranno
bagnare ancora subito dopo>> le concesse, poi, uno dei suoi rari
sorrisi, che la regina ricambiò.
Quando ebbe finito di mangiare ed ebbe aggiunto altri bastoni al focolare
improvvisato, Lancillotto raccolse del fieno e si avviò alla
porta.
<<Farebbe meglio a dormire, maestà. Domani non sarà
una giornata semplice, specialmente se continuerà a piovere>>le
disse, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Rimasta sola, Ginevra finì l’ultimo tocco di formaggio
e tornò a sdraiarsi, lasciandosi cullare dal calore della lana
in cui era avvolta. Chiuse gli occhi: poteva sentire la pioggia battere
sul tetto ed il fuoco consumare la legna…Lasciò che il
suo corpo si rilassasse e che la sua mente si distendesse.
“Non ascoltare i suoni, ma quello che c’è dietro
i suoni”
Sbarrò gli occhi: ancora quella voce. Questa volta, però,
non aveva dubbi: era quella di Lancillotto, non poteva sbagliare. Ma
quando le aveva rivolto quelle parole? Perché? Tornò a
chiudere gli occhi, la mente carica di pensieri. Il richiamo di Morfeo,
però, acuito dall’inaspettata comodità del suo giaciglio
fu più forte della sua irrequietezza e si addormentò.
Il cavallo mangiava serenamente il fieno che il cavaliere aveva portato
mentre questi ne accarezzava il collo robusto. Poteva sentire il pelo
color del grano ancora umido sotto il palmo delle mani. Oltre la tettoia,
la pioggia continuava a cadere, implacabile, ed il cielo era coperto
da nuvole scure. Lancillotto si appoggiò alla parete di legno
e piegò le gambe fin quasi a sedersi. Si fermò quando
qualcosa di appuntito lacerò la stoffa della sua blusa bagnata
e s’infilò nella carne. Mormorò un’imprecazione
e, rialzandosi, portò una mano alla ferita. Corrugò la
fronte quando vide del sangue sulle dita.
Quando rientrò ringraziò che Ginevra dormisse. Si tolse
la casacca e parte delle bende che le fasciavano il seno. Lentamente
pulì la piccola ferita con dell’acqua, sollevata che fosse
poco più di un’escoriazione, anche se più profonda
di quanto pensasse. Si voltò per prendere alcune erbe da applicare
alla ferita per evitare che s’infettasse, ma si fermò di
scatto quando incrociò gli occhi aperti della regina che la osservava
con espressione sconvolta.
<<Maestà…io…>> fece per dire il cavaliere,
ma si rese ben presto conto che ogni suo tentativo di difesa sarebbe
stato pressoché inutile. Si limitò ad attendere le accuse
della donna.
<<Cosa sono quelle fasce?>> chiese la regina mettendosi
a sedere.
Lancillotto prese un profondo respiro, rassegnata al fatto che non poteva
mentire di fronte all’evidenza.
<<Sono una donna>> disse poi, colpita lei stessa dalla potenza
di quelle tre parole. Si scoprì a pregare che fosse tutto un
incubo.
<<E come…?>>
<<Come faccio ad essere un cavaliere? Sono stata addestrata presso
Avalon, come Guardiana della Luna, le armi terrene della Dea>>
le rispose, ripetendo meccanicamente le parole che anni prima le aveva
riferito Viviana.
<<Qual è il tuo nome?>> chiese la regina dopo un
lungo silenzio.
<<Selene>> le rispose la guerriera, togliendosi dal viso
la barba e sciogliendosi i capelli.
“Sei tu: sei tornata da me” fu il pensiero che, prepotente,
si fece largo nella mente ancora scossa di Ginevra.
<<Chi sei?>> le chiese poi, con gli occhi colmi di lacrime.
Selene corrugò la fronte: le aveva appena detto il suo nome,
cos’altro poteva voler sapere?
<<Maestà, cosa mi sta chiedendo? Non capisco…>>
le sue parole tradivano il fremito possente che gli occhi verdi dell’altra,
fissi nei suoi, avevano scatenato in lei.
<<Non capisci?>> il tono sorpreso di Ginevra, forte di una
solida consapevolezza, la lasciò spiazzata, ma ebbe la sensazione
che un velo che le copriva il viso si stesse finalmente sollevando,
permettendole di vedere….
<<O non ricordi?>> insistette la regina, travolgendo così
definitivamente e senza sforzi il controllo che Selene si era rigidamente
autoimposta. Le parole le salirono così alle labbra d’impeto.
<<Sì che ricordo, ma è tutto così vago ed
informe….>>
<<Come se giungesse da un’altra vita?>> le chiese
Ginevra, anticipandola.
<<Sì, come se non appartenessero a questa vita….>>
le rispose appena, colta da una verità che aveva sempre avuto
davanti agli occhi senza mai esser stata in grado di comprenderla.
<<Xena, non basterebbero cento vite per farmi dimenticare i tuoi
occhi >>
“Eri tu riflessa nel lago, eri tu nel mio cuore” pensò
la regina.
Di fronte a lei Selene, la sua Xena, sbatté più volte
le palpebre e scosse la testa, come se volesse assestare dentro di sé
le immagini che stavano scorrendo nella sua mente: lotta, gioia, amicizia,
sofferenza, amore…
Erano loro, insieme, l’una di fianco all’altra, mano nella
mano, instancabilmente, ineffabilmente legate da null’altro che
non fosse un amore eterno, come eterno è il sole.
“Olimpia, amore mio, eccoti…” pensò la guerriera,
la voce paralizzata nella gola, serrata da un misto di emozioni remote
che ora finalmente sentiva sue.
<<Olimpia…>> le disse appena, socchiudendo gli occhi
mentre il suo di quel nome riportava in vita una parte di se stessa
ben più antica di quanto credesse.
Dai loro sguardi sembrò nascere un calore che le avvolse entrambe,
saturando l’intero ambiente di una potente dolcezza, di un amore
che si ridesta, intenso e totalizzante come sempre, vivo come non mai.
Ginevra le si sedette accanto, di fronte al fuoco, e posò il
suo capo sulla sua spalla nuda. La guerriera riconobbe sul suo viso
l’innocente e limpido sorriso che aveva sconfitto la sua corazza
di solitudine e che ben presto aveva imparato ad amare. Le circondò
le spalle con un braccio, stringendola a sé, affatto sorpresa
di ritrovare in quel contatto l’intimità di sempre. Un
desiderio prepotente le fece perdere il respiro. Il suo ansito non sfuggì
ad Olimpia, che sollevò gli occhi verso di lei, incrociandone
le iridi cerulee. Il bacio che ne seguì fu l’inondazione
che travolse tutti gli argini del loro controllo. Ginevra le cinse il
collo con le braccia e la guerriera le avvolse con le mani i fianchi,
protesi verso di lei per assecondare l’onda imperante che le stava
travolgendo.
Xena la fece distendere, gravando leggermente su di lei, mentre con
una mano seguiva le forme del suo corpo, le labbra che si posavano,
gentili, sul suo collo. Olimpia insinuò le sue dita tra i lunghi
capelli corvini della guerriera, scendendo poi lungo la sua schiena
per cercare il punto che teneva ferme le fasce che le coprivano il seno,
gli occhi colmi di desiderio. Quando l’ebbe liberata da quelle
bende, le sorrise, sfiorandole il profilo delle labbra con l’indice.
Xena le posò un bacio sulla fronte, poi sugli occhi. Era sul
punto di baciarla ancora quando il luccichio dell’anello nuziale
di Ginevra la fece tornare in sé.
“Cosa sto facendo?” la domanda le rimbombò nella
mente ed il suo viso si corrugò improvvisamente. Dolcemente si
scostò dall’altra donna, sfuggendo al suo sguardo interrogativo.
Ginevra, pur sorpresa, l’assecondò, attendendo spiegazioni.
Di fronte al suo silenzio prolungato le prese le mani.
<<Xena, qualcosa non va?>> le chiese con voce soffusa.
La guerriera la guardò con uno sguardo di profonda malinconia
che la fece rabbrividire e la piega amara, pallida imitazione di un
sorriso, che le arricciava le labbra non fece che peggiorare la situazione.
<<Olimpia…cosa faremo domani?>>
<<Domani? Xena, cosa vuoi dire?>> le chiese la regina, anche
se, in cuor suo, sapeva benissimo a cosa Xena stesse facendo riferimento…
<<Nulla…ne parleremo domattina….Sono molto stanca
e sarebbe meglio se riposassi anche tu: domani sarà una giornata
faticosa ed il tragitto è ancora lungo>> le rispose, sviando
dall’argomento e sorridendole.
Si alzò e, indossata la casacca, ora asciutta, si premurò
di prenderla in braccio e di posarla tra le coltri improvvisate di morbida
lana, dandole un bacio sulla fronte. Toltasi gli stivali si sdraiò
nel suo giaciglio, incrociando le mani dietro la testa e fissando le
travi del soffitto.
“Già…ed ora? Tu se la sposa di Artù ed io
il suo amico più fidato: nulla potrà più essere
come prima. Noi stesse non siamo più solo Xena ed Olimpia: tu
sei una regina ed io un cavaliere con un giuramento di fedeltà
da osservare….Sarà difficile d’ora in poi, molto
difficile….”
Rivolse poi gli occhi oltre le fiamme e vide il viso delicato di Olimpia
rilassato nel sonno.
“Ma come posso non amarti?” si chiese, sospirando.
Chiuse gli occhi, ascoltando la pioggia cadere regolare sul tetto di
legno e si lasciò ipnotizzare dal suo suono ritmico, trovandosi
ben presto tra le braccia di Morfeo…
Quando
comparve il profilo del castello, Olimpia si rammaricò che il
loro viaggio fosse terminato. Sospirò stringendosi ai fianchi
della guerriera mentre lo scalpiccio del cavallo scandiva inesorabile
lo scorrere del tempo.
<<Entro un paio d’ore dovremo arrivare>> disse Xena
con voce neutrale.
“E sarà tutto finito” pensò, guardandosi bene
però, dall’esprimerlo ad alta voce.
<<Resterai?>> la domanda della regina la colse impreparata.
<<No…Artù mi attende lungo la via per la Scozia.
Se dovrà combattere avrà bisogno del mio aiuto>>
le rispose poi, malcelando una vena d’amarezza.
Olimpia rimase in silenzio e poggiò il viso sulla schiena della
donna ad occhi chiusi, ascoltando il battito regolare del suo cuore.
<<Sai bene che questi giorni sono stati solo un miraggio…Tu
ora sei la regina di Britannia e la sposa di re Artù: hai dei
vincoli cui non puoi sfuggire, così come sono anch’io legata
al re da un giuramento di fedeltà>> le disse con voluta
durezza, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo dolore per le sue
stesse parole.
<<Così essere regina m’impedisce di stare vicino
a chi amo?>>
Xena non le rispose subito, prendendosi tempo per non mostrarsi sofferente,
neppure a lei, che la conosceva meglio di quanto conoscesse se stessa
e per la quale non avrebbe esitato a rischiare la sua stessa vita.
<<Olimpia….Ginevra…per te ci sarò sempre, che
tu sia un’amazzone o una regina….>>
L’avvicinarsi al galoppo di un cavaliere la fece fermare ed Olimpia
sentì nettamente i muscoli della sua schiena che si tendevano,
pronti a combattere. La guerriera lasciò scivolare discretamente
una mano sulla spada, senza però arrestare la sua cavalcatura.
Quando la figura fu più vicina, Olimpia sorrise: avrebbe riconosciuto
i ricci fulvi di sua sorella Eilan fra mille.
<<Xena, non c’è pericolo: è mia sorella>>
le disse.
L’altra donna continuò a fissare la figura in avvicinamento
con sospetto, ma si rilassò un po’, allentando la presa
sull’arma. Olimpia le fece cenno di fermarsi e scese da cavallo,
sorridente.
<<Ginevra!>> la voce di Eilan era argentina come ricordava.
Xena scese da cavallo, mantenendosi in disparte mentre le due sorelle
si abbracciavano.
<<Stai bene? Il messaggio del Grande Re ci ha messi tutti in allarme:
parlava solo del tentativo di ucciderti ed abbiamo temuto che fossi
ferita!>>
<<Come vedi, Eilan, sto bene. Per fortuna sir Lancillotto era
accanto a me e quell’uomo non ha neppure avuto il tempo di avvicinarsi
a me>> le rispose la regina, volgendo gli occhi verso il cavaliere
che, elegantemente, chinò il capo nella loro direzione.
La principessa Eilan, incrociandone le iridi glaciali, sentì
il cuore accelerare i battiti e le gote le presero fuoco, costringendola
a distogliere lo sguardo per nascondere il suo imbarazzo. Ginevra se
ne accorse e sorrise, anche se un fremito di gelosia le prese lo stomaco.
Si impose però di scacciarla e si rivolse al cavaliere, sciogliendo
l’abbraccio con la fanciulla.
<<Sir Lancillotto, questa è mia sorella minore, Eilan di
Carmelide>>
Xena si avvicinò e prese la mano che la ragazza le porgeva, sfiorandola
appena con le labbra.
<<Onorato di conoscerla, mia signora>> le disse formalmente.
Eilan avvampò ancora e balbettò una risposta che il cavaliere
finse di capire e le sorrise, lasciandole poi la mano per tornare a
rivolgersi alla regina.
<<Maestà, sicuramente siamo attesi presso suo padre: sarebbe
meglio se ci avviassimo>>
Ginevra annuì ed il cavaliere montò a cavallo, aiutandola
poi a salire alle sue spalle. Quando, finalmente, entrarono all’interno
della cinta esterna delle mura, Olimpia sentì una stretta al
cuore. era finita. Mentre riabbracciava il padre e Xena lo informava
circa la formazione della spedizione che Artù stava guidando
verso la Scozia, si rese conto di quanto le parole della guerriera fossero
vere: non erano più solo Xena ed Olimpia…
Lo sguardo che rivolse all’altra donna fu quasi una supplica,
ma non riuscì ad incrociarne gli occhi, voltata com’era.
La voce di Dorilea la distrasse dai suoi pensieri e, entrando nel castello,
si costrinse a sorridere...
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