Episodio N. 9
di Nihal


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di Nihal

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PREMESSA: Per la realizzazione di questo duplice episodio ho accolto come vera la teoria secondo la quale il personaggio leggendario di re Artù prende avvio dalle reali vicende di un condottiero britannico del V-VI sec d. C, ambientando così la vicenda a cavallo tra questi due secoli.
Inoltre a chi ha letto “Le nebbie di Avalon”, di Marion Zimmer Bradley, risulterà evidente quanto mi sia avvalsa della sua autorevole voce per costruire la sacra isola di Avalon ed il culto della Dea. Con ciò non era mia intenzione infrangere alcun copyright.
Da ultimo è mia premura ricordare che, essendo il V ed il VI secolo i primi periodi dell’affermazione del Cristianesimo e non potendo prescindere da questa realtà in modo assoluto, ho ripreso il filone intrapreso nella serie con il quale si identificava la religione cristiana con la nuova dottrina di Belur.
Detto questo, buona lettura.


CAPITOLO VIII

Erano partiti di prima mattina, non appena il sole aveva fatto capolino oltre il basso orizzonte di colline boscose che circondavano Camelot, ed ora le dolevano le gambe: era una regina, nient’affatto abituata a percorrere a cavallo così lunghi tratti. Di fronte a lei Lancillotto avanzava ritto in sella, senza nessun segno di stanchezza. I suoi capelli corvini, legati in una bassa coda, scendevano ondeggiando appena sul suo lungo mantello blu. Stavano attraversando una piccola zona boscosa ed avanzavano al passo per evitare che gli animali si ferissero. Da quando erano partiti, il cavaliere le aveva rivolto pochissime frasi, limitandosi all’indispensabile ed evitando i suoi occhi. Possibile che anch’egli avvertisse le sue stesse sensazioni?
Il cielo aveva cominciato a coprirsi di nuvole e si era levato un vento insolitamente gelido per la stagione che fece stringere Ginevra nel suo mantello e che la spinse a calare il cappuccio sul capo. Era stanca, terribilmente stanca, ma Lancillotto sembrava intenzionato a continuare e lei non aveva intenzione di mostrarsi da meno. Un moto di stizza la fece drizzare sulla sella.
“Non devo dimostrare nulla a nessuno…Sono la sua regina!”
Quando si erano fermati, alcune ore prima, il sole appena oltre lo zenit, aveva avuto appena il tempo di consumare un pasto frugale che non le aveva in nessun modo permesso di recuperare le energie. Anche in quell’occasione il cavaliere era rimasto in silenzio. Ginevra sperava sinceramente che Lancillotto non avesse intenzione di proseguire anche durante la notte.
La pioggia che cominciò a cadere colse entrambi impreparati. Crebbe d’intensità rapidamente e li costrinse a scendere da cavallo, avanzando con estrema cautela sul terreno, che si era fatto fangoso e infido.
Lancillotto imprecò tra sé: dovevano trovare un riparo al più presto. Accelerò il passo, dando per scontato che la regina fosse in grado di sostenere quel ritmo anche in quelle condizioni. Il cavallo cominciava a farsi irrequieto ed alcuni lampi presero ad illuminare il cielo. Finalmente la vegetazione si fece più rada ed il cavaliere intravide una casupola ai margini, poco distante. Ringraziò mentalmente la Dea e si voltò verso Ginevra.
<<Maestà…>>
Quando non la vide ebbe un tuffo al cuore. Assicurò l’animale ad un ramo basso, legando le briglie con mani tremanti e corse nella direzione da cui era venuto, la mente quasi paralizzata dal terrore.
Ginevra non riusciva più a tenere a freno la sua cavalcatura, che strattonava le redini, cercando di liberarsi dalla sua stretta incerta. La pioggia scendeva implacabile e le sue vesti erano completamente zuppe. Un tuono fece impennare il cavalo e le redini le scivolarono di mano: l’animale, spaventato ma libero, partì in un galoppo furioso. Ginevra fece per rincorrerlo, ma mise un piede in fallo e scivolò nel fango. Cercò a fatica di rialzarsi, ma una fitta di dolore alla caviglia la fece ricadere, gli occhi colmi di lacrime.
“Accidenti…”
Si tastò l’articolazione, ma gli stivali che indossavano erano di cuoio rigido e le impedirono di verificare se si stesse gonfiando.
<<MAESTÀ!>> nel rumore della pioggia, che non le era parso mai così assordante, l’urlo di Lancillotto le sembrò il suono più melodioso che avesse mai udito.
<<Sono qui!>> urlò a sua volta.
Quando lo vide sentì un moto di gioia riscaldarla dall’interno. Il cavaliere, anch’egli fradicio e sporco, le corse incontro, visibilmente preoccupato.
<<Sta bene, maestà?>> le chiese quando l’ebbe raggiunta.
<<Credo di essermi slogata una caviglia…>>gli rispose, indicando con gli occhi la gamba destra.
Il guerriero si accigliò ancora di più.
<<Qui non posso fare nulla,ma ho trovato un riparo ai margini del bosco>>
Le mise un braccio dietro la schiena e l’aiutò ad alzarsi, poi la prese in braccio, avanzando con cautela. Ginevra gli si strinse al collo, confortata dalla sua stretta salda. Quando giunsero dove Lancillotto aveva legato il cavallo, la regina si accorse che il cavaliere aveva il respiro corto ed il viso contratto per lo sforzo, anche se la sua presa era ancora solida.
<<Posso camminare un po’…non è necessario che mi porti in braccio….>>gli disse, allentando la stretta attorno al suo collo e cercando di scendere.
<<Non è il caso di rischiare>> le rispose Lancillotto <<Non so in quali condizioni è la sua caviglia e voglio evitare di aggravarla>> il suo tono non ammetteva repliche.
Dopo che furono al riparo nella casupola, il cavaliere adagiò la donna su un covone di fieno.
“Deve essere un ricovero di pastori” pensò, osservando alcune pelli di pecora e dei bastoni accantonati in un angolo.
<<Maestà, si tolga lo stivale>> disse alla regina dopo che le ebbe tolto il mantello zuppo e l’ebbe poggiato assieme al suo su di una panca di legno.
Ginevra si sfilò la calzatura contraendo il viso per il dolore. Lancillotto prese tra le mani la caviglia della donna, osservandola con occhio esperto.
<<Mi dica quando le fa male>> le disse, premendo alcuni punti con le dita.
<<AHI! Qui…>> esclamò sobbalzando la regina quando lui le mosse il piede verso l’alto.
<<È fortunata: non è rotta. Basteranno delle bende ben strette>> concluse estraendo dallo stivale un pugnale e riducendo a fasce una manica della sua blusa. Le avvolse con precisione attorno alla caviglia della donna, lasciandole poi andare la gamba. In silenzio ed ancora gocciolante si alzò e sistemò le pelli che aveva visto su di un altro mucchio di paglia, ottenendo un giaciglio improvvisato ma sufficientemente comodo e caldo.
<<Maestà, io devo trovare un riparo per il mio cavallo…è meglio se mentre sono via si tolga quegli abiti bagnati e si mette a riposo>> le disse con gentilezza notando il suo imbarazzo.
La regina apprezzò il suo gesto ed annuì con un sorriso. Lancillotto si inchinò ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Dopo che ebbe sistemato la sua cavalcatura sotto un’ampia tettoia alle spalle della capanna, prese le bisacce dalla sella e si assicurò di rimanere fuori abbastanza perché Ginevra potesse sistemarsi con comodo. Sorrise tra sé mentre aspettava accanto all’animale, raccogliendo alcuni sassi.
“Se sapesse che sono una donna anch’io non dovrei starmene qui”
Quando entrò la vide nel giaciglio che aveva preparato, gli abiti posati assieme ai mantelli. Ne incrociò gli occhi e l’intensità del senso di familiarità che essi trasmettevano avvolse il suo cuore. Si riscosse immediatamente e, dandosi dell’idiota, dispose in circolo i sassi che aveva raccolto e, spezzati all’interno due bastoni, aggiunse della paglia. Da una sacca estrasse due pietre focaie con le quali accese una fiamma vivace.
<<La maggior parte delle provviste era nelle mie bisacce>> disse la regina amareggiata mentre Lancillotto sistemava gli abiti della donna vicino al fuoco perché si asciugassero.
<<Già…domattina cercherò di seguire le tracce del suo cavallo sperando di riuscire a recuperare qualcosa, ma per stasera dovremo arrangiare>> fu la risposta neutra del cavaliere.
<<Però ho visto del formaggio in quello scaffale>> insistette Ginevra, indicandogli il mobile in legno appoggiato alla parete, decisa a fargli spezzare il voto di silenzio che sembrava aver prestato.
<<Bene. Durante il viaggio potrò comunque cacciare qualcosa. La Carmelide fortunatamente è solo ad una luna di distanza>> disse Lancillotto mentre tornava accanto al fuoco con una piccola forma di formaggio tra le mani, affettandola poi con il suo pugnale.
Ne porse alcuni pezzi alla donna e, sedendosi, si sciolse dalla vita il pesante cinturone cui era fissata la sua spada, poggiandolo sulle bisacce semiaperte.
Ginevra si mise seduta sul giaciglio, ben attenta a non scoprirsi, e non riusciva a staccare gli occhi dal viso del cavaliere: tutto in lui era tanto familiare quando remoto…
<<Non le piace? So che non è il massimo, ma ora non posso fare niente di meglio>> le disse d’un tratto Lancillotto, avendo notato che aveva dato appena un morso al formaggio.
<<No, anzi…ero solo assorta nei miei pensieri..>>
Alcune gocce caddero dai capelli del cavaliere, scendendogli lungo il viso, e solo allora Ginevra si rese conto che aveva ancora addosso gli abiti bagnati. Fece per dire qualcosa, ma il guerriero la precedette, avendo intuito i suoi pensieri.
<<Devo uscire ancora: anche il cavallo deve mangiare. Togliermi le vesti per asciugarle non avrebbe senso dal momento che si dovranno bagnare ancora subito dopo>> le concesse, poi, uno dei suoi rari sorrisi, che la regina ricambiò.
Quando ebbe finito di mangiare ed ebbe aggiunto altri bastoni al focolare improvvisato, Lancillotto raccolse del fieno e si avviò alla porta.
<<Farebbe meglio a dormire, maestà. Domani non sarà una giornata semplice, specialmente se continuerà a piovere>>le disse, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Rimasta sola, Ginevra finì l’ultimo tocco di formaggio e tornò a sdraiarsi, lasciandosi cullare dal calore della lana in cui era avvolta. Chiuse gli occhi: poteva sentire la pioggia battere sul tetto ed il fuoco consumare la legna…Lasciò che il suo corpo si rilassasse e che la sua mente si distendesse.
“Non ascoltare i suoni, ma quello che c’è dietro i suoni”
Sbarrò gli occhi: ancora quella voce. Questa volta, però, non aveva dubbi: era quella di Lancillotto, non poteva sbagliare. Ma quando le aveva rivolto quelle parole? Perché? Tornò a chiudere gli occhi, la mente carica di pensieri. Il richiamo di Morfeo, però, acuito dall’inaspettata comodità del suo giaciglio fu più forte della sua irrequietezza e si addormentò.
Il cavallo mangiava serenamente il fieno che il cavaliere aveva portato mentre questi ne accarezzava il collo robusto. Poteva sentire il pelo color del grano ancora umido sotto il palmo delle mani. Oltre la tettoia, la pioggia continuava a cadere, implacabile, ed il cielo era coperto da nuvole scure. Lancillotto si appoggiò alla parete di legno e piegò le gambe fin quasi a sedersi. Si fermò quando qualcosa di appuntito lacerò la stoffa della sua blusa bagnata e s’infilò nella carne. Mormorò un’imprecazione e, rialzandosi, portò una mano alla ferita. Corrugò la fronte quando vide del sangue sulle dita.
Quando rientrò ringraziò che Ginevra dormisse. Si tolse la casacca e parte delle bende che le fasciavano il seno. Lentamente pulì la piccola ferita con dell’acqua, sollevata che fosse poco più di un’escoriazione, anche se più profonda di quanto pensasse. Si voltò per prendere alcune erbe da applicare alla ferita per evitare che s’infettasse, ma si fermò di scatto quando incrociò gli occhi aperti della regina che la osservava con espressione sconvolta.
<<Maestà…io…>> fece per dire il cavaliere, ma si rese ben presto conto che ogni suo tentativo di difesa sarebbe stato pressoché inutile. Si limitò ad attendere le accuse della donna.
<<Cosa sono quelle fasce?>> chiese la regina mettendosi a sedere.
Lancillotto prese un profondo respiro, rassegnata al fatto che non poteva mentire di fronte all’evidenza.
<<Sono una donna>> disse poi, colpita lei stessa dalla potenza di quelle tre parole. Si scoprì a pregare che fosse tutto un incubo.
<<E come…?>>
<<Come faccio ad essere un cavaliere? Sono stata addestrata presso Avalon, come Guardiana della Luna, le armi terrene della Dea>> le rispose, ripetendo meccanicamente le parole che anni prima le aveva riferito Viviana.
<<Qual è il tuo nome?>> chiese la regina dopo un lungo silenzio.
<<Selene>> le rispose la guerriera, togliendosi dal viso la barba e sciogliendosi i capelli.
“Sei tu: sei tornata da me” fu il pensiero che, prepotente, si fece largo nella mente ancora scossa di Ginevra.
<<Chi sei?>> le chiese poi, con gli occhi colmi di lacrime.
Selene corrugò la fronte: le aveva appena detto il suo nome, cos’altro poteva voler sapere?
<<Maestà, cosa mi sta chiedendo? Non capisco…>> le sue parole tradivano il fremito possente che gli occhi verdi dell’altra, fissi nei suoi, avevano scatenato in lei.
<<Non capisci?>> il tono sorpreso di Ginevra, forte di una solida consapevolezza, la lasciò spiazzata, ma ebbe la sensazione che un velo che le copriva il viso si stesse finalmente sollevando, permettendole di vedere….
<<O non ricordi?>> insistette la regina, travolgendo così definitivamente e senza sforzi il controllo che Selene si era rigidamente autoimposta. Le parole le salirono così alle labbra d’impeto.
<<Sì che ricordo, ma è tutto così vago ed informe….>>
<<Come se giungesse da un’altra vita?>> le chiese Ginevra, anticipandola.
<<Sì, come se non appartenessero a questa vita….>> le rispose appena, colta da una verità che aveva sempre avuto davanti agli occhi senza mai esser stata in grado di comprenderla.
<<Xena, non basterebbero cento vite per farmi dimenticare i tuoi occhi >>
“Eri tu riflessa nel lago, eri tu nel mio cuore” pensò la regina.
Di fronte a lei Selene, la sua Xena, sbatté più volte le palpebre e scosse la testa, come se volesse assestare dentro di sé le immagini che stavano scorrendo nella sua mente: lotta, gioia, amicizia, sofferenza, amore…
Erano loro, insieme, l’una di fianco all’altra, mano nella mano, instancabilmente, ineffabilmente legate da null’altro che non fosse un amore eterno, come eterno è il sole.
“Olimpia, amore mio, eccoti…” pensò la guerriera, la voce paralizzata nella gola, serrata da un misto di emozioni remote che ora finalmente sentiva sue.
<<Olimpia…>> le disse appena, socchiudendo gli occhi mentre il suo di quel nome riportava in vita una parte di se stessa ben più antica di quanto credesse.
Dai loro sguardi sembrò nascere un calore che le avvolse entrambe, saturando l’intero ambiente di una potente dolcezza, di un amore che si ridesta, intenso e totalizzante come sempre, vivo come non mai.
Ginevra le si sedette accanto, di fronte al fuoco, e posò il suo capo sulla sua spalla nuda. La guerriera riconobbe sul suo viso l’innocente e limpido sorriso che aveva sconfitto la sua corazza di solitudine e che ben presto aveva imparato ad amare. Le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé, affatto sorpresa di ritrovare in quel contatto l’intimità di sempre. Un desiderio prepotente le fece perdere il respiro. Il suo ansito non sfuggì ad Olimpia, che sollevò gli occhi verso di lei, incrociandone le iridi cerulee. Il bacio che ne seguì fu l’inondazione che travolse tutti gli argini del loro controllo. Ginevra le cinse il collo con le braccia e la guerriera le avvolse con le mani i fianchi, protesi verso di lei per assecondare l’onda imperante che le stava travolgendo.
Xena la fece distendere, gravando leggermente su di lei, mentre con una mano seguiva le forme del suo corpo, le labbra che si posavano, gentili, sul suo collo. Olimpia insinuò le sue dita tra i lunghi capelli corvini della guerriera, scendendo poi lungo la sua schiena per cercare il punto che teneva ferme le fasce che le coprivano il seno, gli occhi colmi di desiderio. Quando l’ebbe liberata da quelle bende, le sorrise, sfiorandole il profilo delle labbra con l’indice. Xena le posò un bacio sulla fronte, poi sugli occhi. Era sul punto di baciarla ancora quando il luccichio dell’anello nuziale di Ginevra la fece tornare in sé.
“Cosa sto facendo?” la domanda le rimbombò nella mente ed il suo viso si corrugò improvvisamente. Dolcemente si scostò dall’altra donna, sfuggendo al suo sguardo interrogativo. Ginevra, pur sorpresa, l’assecondò, attendendo spiegazioni. Di fronte al suo silenzio prolungato le prese le mani.
<<Xena, qualcosa non va?>> le chiese con voce soffusa.
La guerriera la guardò con uno sguardo di profonda malinconia che la fece rabbrividire e la piega amara, pallida imitazione di un sorriso, che le arricciava le labbra non fece che peggiorare la situazione.
<<Olimpia…cosa faremo domani?>>
<<Domani? Xena, cosa vuoi dire?>> le chiese la regina, anche se, in cuor suo, sapeva benissimo a cosa Xena stesse facendo riferimento…
<<Nulla…ne parleremo domattina….Sono molto stanca e sarebbe meglio se riposassi anche tu: domani sarà una giornata faticosa ed il tragitto è ancora lungo>> le rispose, sviando dall’argomento e sorridendole.
Si alzò e, indossata la casacca, ora asciutta, si premurò di prenderla in braccio e di posarla tra le coltri improvvisate di morbida lana, dandole un bacio sulla fronte. Toltasi gli stivali si sdraiò nel suo giaciglio, incrociando le mani dietro la testa e fissando le travi del soffitto.
“Già…ed ora? Tu se la sposa di Artù ed io il suo amico più fidato: nulla potrà più essere come prima. Noi stesse non siamo più solo Xena ed Olimpia: tu sei una regina ed io un cavaliere con un giuramento di fedeltà da osservare….Sarà difficile d’ora in poi, molto difficile….”
Rivolse poi gli occhi oltre le fiamme e vide il viso delicato di Olimpia rilassato nel sonno.
“Ma come posso non amarti?” si chiese, sospirando.
Chiuse gli occhi, ascoltando la pioggia cadere regolare sul tetto di legno e si lasciò ipnotizzare dal suo suono ritmico, trovandosi ben presto tra le braccia di Morfeo…

Quando comparve il profilo del castello, Olimpia si rammaricò che il loro viaggio fosse terminato. Sospirò stringendosi ai fianchi della guerriera mentre lo scalpiccio del cavallo scandiva inesorabile lo scorrere del tempo.
<<Entro un paio d’ore dovremo arrivare>> disse Xena con voce neutrale.
“E sarà tutto finito” pensò, guardandosi bene però, dall’esprimerlo ad alta voce.
<<Resterai?>> la domanda della regina la colse impreparata.
<<No…Artù mi attende lungo la via per la Scozia. Se dovrà combattere avrà bisogno del mio aiuto>> le rispose poi, malcelando una vena d’amarezza.
Olimpia rimase in silenzio e poggiò il viso sulla schiena della donna ad occhi chiusi, ascoltando il battito regolare del suo cuore.
<<Sai bene che questi giorni sono stati solo un miraggio…Tu ora sei la regina di Britannia e la sposa di re Artù: hai dei vincoli cui non puoi sfuggire, così come sono anch’io legata al re da un giuramento di fedeltà>> le disse con voluta durezza, sforzandosi di non lasciar trapelare il suo dolore per le sue stesse parole.
<<Così essere regina m’impedisce di stare vicino a chi amo?>>
Xena non le rispose subito, prendendosi tempo per non mostrarsi sofferente, neppure a lei, che la conosceva meglio di quanto conoscesse se stessa e per la quale non avrebbe esitato a rischiare la sua stessa vita.
<<Olimpia….Ginevra…per te ci sarò sempre, che tu sia un’amazzone o una regina….>>
L’avvicinarsi al galoppo di un cavaliere la fece fermare ed Olimpia sentì nettamente i muscoli della sua schiena che si tendevano, pronti a combattere. La guerriera lasciò scivolare discretamente una mano sulla spada, senza però arrestare la sua cavalcatura. Quando la figura fu più vicina, Olimpia sorrise: avrebbe riconosciuto i ricci fulvi di sua sorella Eilan fra mille.
<<Xena, non c’è pericolo: è mia sorella>> le disse.
L’altra donna continuò a fissare la figura in avvicinamento con sospetto, ma si rilassò un po’, allentando la presa sull’arma. Olimpia le fece cenno di fermarsi e scese da cavallo, sorridente.
<<Ginevra!>> la voce di Eilan era argentina come ricordava.
Xena scese da cavallo, mantenendosi in disparte mentre le due sorelle si abbracciavano.
<<Stai bene? Il messaggio del Grande Re ci ha messi tutti in allarme: parlava solo del tentativo di ucciderti ed abbiamo temuto che fossi ferita!>>
<<Come vedi, Eilan, sto bene. Per fortuna sir Lancillotto era accanto a me e quell’uomo non ha neppure avuto il tempo di avvicinarsi a me>> le rispose la regina, volgendo gli occhi verso il cavaliere che, elegantemente, chinò il capo nella loro direzione.
La principessa Eilan, incrociandone le iridi glaciali, sentì il cuore accelerare i battiti e le gote le presero fuoco, costringendola a distogliere lo sguardo per nascondere il suo imbarazzo. Ginevra se ne accorse e sorrise, anche se un fremito di gelosia le prese lo stomaco. Si impose però di scacciarla e si rivolse al cavaliere, sciogliendo l’abbraccio con la fanciulla.
<<Sir Lancillotto, questa è mia sorella minore, Eilan di Carmelide>>
Xena si avvicinò e prese la mano che la ragazza le porgeva, sfiorandola appena con le labbra.
<<Onorato di conoscerla, mia signora>> le disse formalmente.
Eilan avvampò ancora e balbettò una risposta che il cavaliere finse di capire e le sorrise, lasciandole poi la mano per tornare a rivolgersi alla regina.
<<Maestà, sicuramente siamo attesi presso suo padre: sarebbe meglio se ci avviassimo>>
Ginevra annuì ed il cavaliere montò a cavallo, aiutandola poi a salire alle sue spalle. Quando, finalmente, entrarono all’interno della cinta esterna delle mura, Olimpia sentì una stretta al cuore. era finita. Mentre riabbracciava il padre e Xena lo informava circa la formazione della spedizione che Artù stava guidando verso la Scozia, si rese conto di quanto le parole della guerriera fossero vere: non erano più solo Xena ed Olimpia…
Lo sguardo che rivolse all’altra donna fu quasi una supplica, ma non riuscì ad incrociarne gli occhi, voltata com’era. La voce di Dorilea la distrasse dai suoi pensieri e, entrando nel castello, si costrinse a sorridere...