Incroci
di Route
66
(prima
parte)
I
personaggi di Xena e Gabrielle sono di proprietà della MCA/Universal
Pictures, pertanto non intendo infrangere nessun Copiright.
Questo racconto è opera della fantasia. Nomi, personaggi, luoghi
e avvenimenti sono prodotto della mia immaginazione o, se reali, sono
utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi
o scomparse è del tutto casuale.
Un
ringraziamento speciale va ad una persona in particolare....è
stato un anno di scoperte e novità per me e tu sei stata quella
più bella.
Potete
scrivermi a questo indirizzo: us.route66@hotmail.it (siate buoni,
è il mio primo racconto!).
MIAMI - FLORIDA
Il
citofono interno della villa sulla spiaggia emise un suono stridulo.
-"Mi dispiace signora, ma non sono riuscito a fermarla".
La donna seduta sul grande divano bianco in pelle leggeva una copia
del Miami Herald e la notizia non sembrò turbarla più
di quanto non facessero le foto delle sue rivali d'affari piazzate
in terza pagina.
-"Non importa Gilbert". Non aveva dubbi su chi fosse la
persona che aveva appena attraversato l'atrio della sua casa, come
d'altronde non ne aveva mai avuti nel corso della sua vita. I dubbi
li aveva lasciati a chi poteva permetterseli, a chi aveva tempo per
pensare. Certo, ogni scelta era stata sempre ponderata, calcolata,
mai lasciata al caso. Proprio per questo, a 60 anni suonati, Julia
poteva addormentarsi la sera avendo la certezza di un tetto sulla
testa. E perchè no, per questo ora poteva anche guardare con
sufficienza coloro che l'avevano derisa. C'era un certo vantaggio
nell'essere la donna più ricca della città.
La porta della sala si aprì con forza ed entrò una giovane
donna di 28 anni, bionda, col viso rosso dalla collera. Raggiunse
il divano e, senza neanche dire una parola, gettò con disprezzo
sul tavolino un gruppo di fotografie.
La copertina del giornale fu abbassata tanto da permettere allo sguardo
di Julia di far capolino e scrutare ciò che sua figlia aveva
appena posato davanti a lei.
-"Mia cara, che piacere vederti. Sono le tue ultime opere?"
-"Lascia perdere le mie opere! Se solo ti fossi degnata di venire
alla mia mostra sapresti che non hanno nulla a che vedere con queste!".
L'ira aveva reso i suoi occhi di fuoco.
-"Oh tesoro, ancora con questa storia! Ti ho già detto
che mi dispiace di non essere stata presente all'evento, ma come credi
che avrei potuto ovviare ai miei impegni?!". Sul volto della
giovane comparve un sorriso amaro: gli "impegni", come la
madre amava definire le continue festicciole e cocktail party dati
dall'alta società di Miami, avevano costellato ogni momento
della sua esistenza e per un certo periodo ne aveva fatto parte anche
lei, quando ancora Julia aveva potere decisionale sulla sua giovane
vita. In cuor suo aveva sempre sperato che la madre potesse cambiare,
poi aveva deciso di non sprecare più energie inseguendo false
speranze e di farle confluire invece nella sua unica e più
grande passione: la fotografia.
-"Ma certo i tuoi impegni!"
-"Kate, se sei venuta qui per offendermi, ti avviso che non è
aria". Detto questo si alzò, raggiunse il mobile-bar e
si versò del cognac. "Che diavolo vuoi?"
-"Finalmente ecco la vera Julia, mi stavo quasi preoccupando.
Vuoi dirmi di queste foto?"
Senza neanche guardarle, tornò a sedersi e disse: "Non
so cosa siano".
-"Ma davvero?! Strano, perchè erano tra la tua posta!".
La voce carica di rabbia si bloccò qualche secondo, poi continuò.
"Sono di papà...erano per me...come hai potuto nascondermele?".
Tacque come per aspettare una risposta, anche se non era sicura di
voler sentire ancora bugie.
-"Tesoro, l'ho fatto solo per il tuo bene", bevve l'ultimo
sorso di liquore, "Prima accetterai il fatto che tuo padre ci
ha abbandonate, prima ricomincerai a vivere".
Kate guardò la donna che era davanti a lei, avrebbe voluto
aggredirla e strozzarla, le sue mani avrebbero trovato il sollievo
che bramavano, ma nelle stesso istante subentrò a quel sentimento
un altro di egual misura. Una pena infinita per Julia si impossessò
della giovane.
-"Tu....non sei altro che una povera pazza. Non avevi nessun
diritto di intrometterti nelle mie cose, nè tantomeno di decidere
della mia vita. Pensi che papà non tornerà solo perchè
ti fa comodo che sia così!". Disse tutto d'un fiato e
fece per uscire.
-"Kate...insultami pure se questo può aiutarti, ma sappi
che non è così che farai ritornare tuo padre"
-"Lo sai? Hai perfettamente ragione! E' per questo che non me
ne starò più con le mani in mano: vado a cercarlo! Che
ti piaccia o no!". La porta sbattè per la seconda volta
nella giornata e poi calò il silenzio.
Due
ore più tardi Kate si trovava sotto casa sua con la spesa in
mano, una montagna di lavoro da sbrigare e tanta stanchezza accumulata.
Una volta entrata posò le buste sul tavolo e si gettò
letteralmente sul divano. L'uomo che stava trafficando in cucina si
sporse appena per vederla compiere quel gesto e lasciò ciò
che stava facendo con molta cura.
-"Ehi, non si saluta neanche?!". Sorrise e appoggiò
le mani sulle spalle della giovane, cominciando a massaggiarle.
-"Scusa Luke, sono a pezzi!". E la cosa non sfuggì
al tocco sapiente del giovane. "Accidenti! Sei un ammasso di
nervi! Cos'è, c'è stato un torneo di lotta libera allo
studio?!"
-"Magari, almeno avrei potuto scaricare la tensione!", si
stava quasi addormentando sotto quel massaggio rilassante, ma poi
si ricordò che aveva molto da fare e riaprì gli occhi
di colpo, irrigidendosi di nuovo.
-"Vorrei che non smettessi mai, ma ho parecchio lavoro: domani
devo consegnare il book fotografico e ho ancora una pila di foto da
esaminare". Detto questo si alzò e accarezzò la
guancia del giovane.
-"Aspetta un attimo...le tue foto possono attendere ancora un
pò...prima la meravigliosa cenetta che ho preparato con le
mie manine!". Si diresse in cucina e portò una grande
pentola sulla tavola imbandita. "Non vorrai mica metterti al
lavoro con lo stomaco vuoto?!". Prese le mani di Kate e la condusse
a sedere. "Luke...non dovevi... però hai ragione, in effetti
ho una certa fame! Allora, che mi hai preparato di buono?"
-"Quello che so fare meglio: piatti italiani! Ce n'è per
tutti i gusti, avanti buttati!". La cena era squisita, il momento
che Kate preferiva di più, perchè significava la fine
della giornata ed implicava un rilassamento generale di corpo e membra.
Questo, naturalmente, quando non c'era lavoro extra per il giorno
dopo.
-"Sono un pò preoccupata per domani, non so se le mie
foto passeranno incolumi sotto lo sguardo degli esaminatori",
si toccò la fronte come se in quel punto ci fosse tutta la
tensione accumulata e così facendo volesse scacciarla via.
-"Oh, vedrai che andrà benone! Secondo me rimarranno affascinati!
Vorrei tanto accompagnarti, ma ho degli investitori così zelanti...",
lasciò la frase incompiuta come faceva sempre con Kate. Ormai
non c'era più bisogno di frasi intere tra di loro e d'altro
canto Kate conosceva bene il carattere di Luke. Era sempre stato un
ragazzo solare ed espansivo, l'unico che era riuscitoa conquistare
la fiducia di suo padre nell'azienda e l'unico che fosse mai stato
suo amico all'interno di quella cerchia gretta e meschina. Anzi era
stato proprio lui a farsi avanti con lei, a volere qualcosa di più
di una semplice amicizia, anche se per Kate tra loro non vi era altro
che questo. Eppure, da quando lei aveva deciso di dargli un'opportunità,
lui era sempre stato sfuggevole. E non nei momenti importanti, ma
nel quotidiano. Certo la sua era più una sensazione che qualcosa
di concreto, perchè se Luke aveva un pregio era proprio quello
di far sembrare che tutto andasse benissimo. Forse per questo era
stato scelto come intermediario tra l'azienda e gli acquirenti.
Kate decise che prima di ritirarsi fosse opportuno parlare con Luke
della sua scelta di ritrovare suo padre. Perciò gli accennò
delle foto e della discussione con la madre.
-"Voglio trovarlo e non posso più aspettare". Il
giovane la guardò qualche istante negli occhi stanchi e poi
disse:
-"Perfetto! Ho io la persona giusta per te. Domani andremo da
lui!".
Kate era troppo stanca per rimanere sbalordita da quelle parole, perciò
lo abbracciò e si chiuse in camera, dove un mucchio di foto
non aspettava che il suo spietato giudizio finale. Lo sguardo si posò
su quelle stampe che tanto l'avevano angosciata per tutto il giorno.
Prese la busta che le conteneva e la esaminò: ancora nessun
indirizzo.
-"Oh, papà....se continui a inviarmele senza alcun indizio
come credi che possa trovarti?".Guardò la luna che pian
piano prendeva posto nella cornice della sua finestra. Le foto che
di mese in mese aveva ricevuto ritraevano suo padre su uno sfondo
che variava sempre, ma mai che inglobava particolari di spicco da
cui avrebbe potuto dedurne il luogo. Il suo era un modo per dirle
che stava bene, questo lo aveva capito, ma non le bastava più.
-"O forse è proprio questo il punto? Non vuoi che ti trovi....forse
la mamma ha ragione". Appoggiò i gomiti sulla scrivania
e si prese la testa fra le mani. Rimase così qualche minuto,
poi scattò d'improvviso, battendo un pugno sulla scrivania.
-"No! Non può essere! Io ti conosco troppo bene e so che
non mi faresti mai del male! Se davvero avessi voluto chiudere con
me, che senso avrebbe continuare così? Forse c'è un
motivo per cui non puoi dirmi dove sei...". Scansò quelle
foto e si mise al lavoro, come se d'improvviso avesse ricevuto una
carica misteriosa. Concluse che era l'una passata e si gettò
sul letto sfinita. Prima di chiudere gli occhi però un ultimo
pensiero andò a Luke. Era nei gesti come quelli della sera
passata che aveva visto in lui il compagno ideale, ma accanto a questi
c'era tutto un lato del suo carattere che la mandava in confusione
e di cui dubitava, un lato fatto non di gesti concreti, ma di silenzi,
di momenti fuggevoli. Decise che era troppo poco per poter intavolare
un discorso serio e che era troppo stanca per capire se fosse logico
ciò che aveva appena pensato. Domani l'aspettava una giornata
decisamente faticosa.
Inaspettatamente, l'incontro con i rappresentanti di un'importante
galleria di New York si rivelò più facile del previsto.
I due erano un uomo e una donna molto disponibili. Avevano capito
subito, guardando alcune foto nello studio di Kate che ritraevano
per lo più amici in pose buffe, che la ragazza aveva grandi
qualità. Perciò si stupì quando, entrando affannata
e di corsa per il ritardo, li trovò sorridenti ad aspettarla.
"Magnifico!" aveva pensato " devo sempre farmi riconoscere
già dal primo incontro". Ma quando li vide che ridacchiavano
per il suo aspetto e le porgevano cordialmente la mano, dicendole
di non preoccuparsi, le fu subito chiaro che da lì in poi sarebbe
stato tutto in discesa. Prese accordi per l'esposizione dei suoi lavori
nella loro art gallery e li salutò.
Alle 15.20, con una puntualità svizzera, arrivò Luke
e insieme si avviarono dall'uomo che forse avrebbe ritrovato suo padre.
L'edificio era poco distante dal suo studio, ma Kate lo notava ora
per la prima volta. L'ascensore li portò al terzo piano e una
segretaria fin troppo gentile li fece accomodare nella sala d'aspetto.
Dopo pochi minuti i due furono introdotti nello studio dell'uomo.
La stanza era arredata secondo un gusto classico molto in voga tra
gli uomini d'affari che amavano ostentare il loro potere. L'investigatore
privato, un ometto sulla cinquantina piuttosto basso e in carne, sedeva
su una poltrona in pelle scura e stava sfogliando delle carte. Appena
li vide si alzò e li raggiunse. Tutto questo, la stanza e quell'omuncolo
che ben si addiceva a quel contesto, lasciarono Kate un attimo titubante.
Forse era stupido giudicare quella persona solo dall'aspetto.
-"Oh, Luke! Che bello rivederti!" e gli strinse la mano.
-"Anche per me è un piacere John"
-"Forse...sarebbe meglio lasciar perdere Luke". Kate si
lasciò sfuggire quelle parole sottovoce, ma arrivarono comunque
alle orecchie dell'uomo che si avvicinò alla giovane e le strinse
la mano.
-"Lei è?". Il contatto con la sua mano umida fu la
cosa peggiore della giornata e contribuì ad alimentare la sensazione
di disagio che Kate aveva.
-"Sono Kate Walters". John la scrutò con quegli occhietti
piccoli e neri che a Kate erano apparsi subito come la parte più
inquietante dell'uomo. In quell'istante le parve di scorgere un guizzo
di malvagità, dietro le lenti ovali che male incorniciavano
quel viso. Probabilmente era davvero stanca.
-"Suvvia signorina Walters, vedrà che troveremo suo padre
e tutta questa storia sarà presto dimenticata", disse
tornando dietro la scrivania e incrociando le mani.
-"Come fa a sapere di mio padre? Lei ancora non sa il motivo
per cui sono qui...come...". L'inaspettata frase dell'investigatore
l'aveva lasciata senza parole ed era calato il silenzio. Luke guardò
John con uno sguardo di intesa e si affrettò a dire:
-"Ehm... Kate...sono stato io ad avvisarlo, l'ho chiamato stamane.
Ora rilassati, so che è stata una giornata stressante per te".
La accompagnò a sedersi e, dopo che John ebbe preso un taccuino,
iniziarono ad esporre i fatti.
-"Sei un imbecille! Non dovevo fidarmi della tua idea!"
-"Oh, forza! Non ingigantiamo la cosa! C'è stata questa
defaillance, ma poi è andata bene"
-"Credi che mia figlia sia una stupida?!". Julia camminava
su e giù per la stanza, la sigaretta in mano, con fare isterico.
-"Non lo credo affatto. In questi mesi di convivenza con lei
ho imparato proprio questo!". I due tacquero qualche minuto,
poi la donna riprese:
-"Mio caro Luke, sappi che se mia figlia ha solo un minimo sospetto...."
-"Signora Walters le assicuro che non succederà. Presto
quell'uomo si metterà al lavoro e in meno di un mese troveremo
suo marito"
-"Me lo auguro per il tuo bene! E per quello di mia figlia: sai
che odio vederla soffrire!". Spense la sigaretta e si avviò
verso il telefono: "Ora sparisci! Ho delle telefonate urgenti
da fare!".
Se c'era qualcosa che Kate sapeva con certezza era che il suo istinto
poche volte si era sbagliato. Fin da piccola suo padre le aveva detto:
"Quando nulla di razionale può aiutarti, fidati del tuo
istinto". Beh, da allora era sempre andata bene, a parte quando
aveva pensato che con una pozione la sua rana sarebbe ritornata in
vita. Comunque ora sentiva di non potersi fidare di quell'uomo. Troppe
cose non la convincevano e, come sempre quando c'entrava Luke, non
c'era nulla di concreto che l'aveva indotta a pensarlo. Era semplicemente
una sua sensazione.
La mattinata era particolarmente calda, il che non era una novità
a Miami, ma il fatto, associato ad un nervosismo galoppante, aveva
reso Kate un bagno di sudore. Tuttavia il suo aspetto era radioso.
Lo aveva imparato da piccola. Era una virtù necessaria quando
si aveva a che fare con un determinato target di persone. E sua madre
l'aveva istruita bene in proposito: non lasciare che gli altri capiscano
quello che provi. Le aveva sempre ripugnato agire in quel modo, abituata
com'era ad essere una bambina molto solare, ma doveva ammettere che
in più di un'occasione nella sua vita la lezione le era tornata
utile.
Aveva letto l'inserzione su un giornale: "Agatha Investigations"
e il nome le era piaciuto. Tantopiù che sarebbe stato meglio
parlarne con una donna.
Giunse nel luogo indicato: il locale era un vecchio loft ristrutturato
e arredato con pezzi moderni, ma in effetti sembrava che la padrona
mancasse in quel posto da un'eternità. C'erano carte e giornali
accatastati in ogni angolo della stanza, bottiglie di alcolici sulle
poltrone, un gatto che rovistava in uno scatolone pieno di libri e,
come se non bastasse, un misero ventilatore che avrebbe dovuto rinfrescare
quella sottospecie di sauna!
-"Accidenti!" pensò, "chi diavolo è che
al giorno d'oggi non ha ancora l'aria condizionata?!"
-"Salve!". Un uomo arrivò da dietro e le cinse le
spalle col braccio, invitandola ad entrare. Aveva la barba incolta,
i vestiti sgualciti, un sigaro tra i denti e puzzava di whiskij.
-"B..buongiorno", sgranò gli occhi, "Cercavo
la signora Agatha dell'agenzia", disse cercando di allontanarsi
dall'uomo che barcollava verso la scrivania.
-"Chi?"
-"La signora Agatha", alzò un pò di più
la voce: era chiaro che era ubriaco.
-"Agatha? Ma chi diav....Ah, Agatha! Si riferisce alla scritta!
Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah!", e rise così di gusto che
persino il gatto si voltò e smise di frugare.
-"Mi scusi ma non capisco proprio cosa ci sia da ridere!"
L'uomo vide il volto spazientito della cliente e si ricompose cercando
di rimediare. "Oh scusi tanto! E' che qui non c'è nessuna
signora Agatha, solo io e Walt, il mio gatto", prese un altro
sigaro e lo accese, aspirando una grossa boccata di fumo che poi mandò
in faccia ad una statuetta maya posta sulla scrivania. "Il nome"
continuò, "è dovuto alla mia grande passione per
Agatha Christie, la scrittrice di gialli. Io sono Colin. Forza, si
sieda e mi dica il motivo per cui è qui".
Kate alzò gli occhi al cielo in segno di rassegnazione: non
era possibile che capitassero tutte a lei! Appena si sedette, il gatto
andò a piazzarsi vicino i suoi piedi, ma non ci badò
e cominciò a raccontare.
-"Interessante....un padre sparito, una figlia in ansia e niente
di niente su cui lavorare!", mise le gambe incrociate sulla scrivania
e disse: "Ha mai pensato che il caro paparino sia scappato con
la sua amante alle Maldive? E' un classico, sa?".
A quelle parole Kate scattò in piedi: questo era troppo. "Mi
stia a sentire brutto ubriacone da quattro soldi, oltre ad essere
così smodatamente rivoltante e sudicio lei è anche prepotente
ed arrogante! Come si permette di dare giudizi su una persona che
neanche conosce e perdipiù offende davanti a me che sono sua
figlia?! Dovrebbe vergognarsi!". Le frasi tutte d'un fiato erano
la sua specialità: l'uomo rimase a bocca aperta e la vide allontanarsi
verso la porta. Quella ragazza aveva fegato e le bastò quello
scatto per capire che non si trattava delle solite fanciulle viziate
che cercavano solo di arrivare all'eredità di famiglia.
-"Aspetti un attimo". Kate si fermò sulla soglia
e si voltò: aveva gli occhi velati di lacrime, ma riusciva
ad ostentare una forza incredibile. "Lei vuole davvero ritrovare
suo padre?", la guardò negli occhi così seriamente
che ora la sbornia pareva essersi volatilizzata.
-"E' la persona più importane della mia vita. Non posso
rinunciare a lui".
-"Bene, ma devo premetterle che non abbiamo nulla in mano: quelle
foto sono l'unica cosa che ci collegano a lui e forse la chiave è
lì, ma non è così facile. Può essere ovunque,
con chiunque, forse è stato rapito, forse è morto, forse
lo tengono prigioniero e vogliono un riscatto...insomma le possibilità
sono infinite. E' come cercare un ago in un pagliaio, senza contare
che potremmo finire nei guai, se ne rende conto?".
Kate si fece scura in volto: la sua smania di trovare il padre non
le aveva fatto calcolare tutte queste variabili. Guardò Colin
negli occhi più seria che mai.
-" Si, capisco. Ma voglio farlo comunque".
-"Allora è deciso. Ecco, prenda", le porse un foglietto
spiegazzato con un nome scritto sopra.
-"E questo cos'è?"
-"Per una missione così, ci vuole l'unica persona in grado
di affrontarla". Si alzò e andò verso un mobile
impolverato. "Ora che ne direbbe di brindare?!". Un lieve
sorriso riaffiorò sul volto della ragazza.
SANTIAGO DE CUBA - CUBA
C'era
un gran movimento quella mattina sulle banchine del porto, anche se
in effetti era così ogni giorno. Centinaia di imbarcazioni
entravano e uscivano, come tante formiche indaffarate a portare le
provviste nella tana. Alcune di esse scaricavano merci, altre partivano
per la pesca giornaliera, altre ancora si occupavano di quei turisti
che volevano fare il giro dell'isola.
Kate e Luke, camminando per quelle vie che conducevano al porto, riuscivano
a percepire gli odori meravigliosi della cucina locale, anche se mancava
ancora molto all'ora di pranzo.
-"E' incredibile! I colori, i profumi, i volti di queste persone!
Guarda quelle donne, sembra che conoscano il senso della vita e abbiano
trovato la felicità!". Camminava scattando foto e guardando
in ogni direzione come per catturare tutto e non lasciarsi sfuggire
nessun dettaglio.
-"Io so solo che queste viuzze sembrano non finire mai!"
-"Oh, andiamo, non essere pesante! Guarda!". Due donne stavano
lavando i panni ad un fontanella e dei bambini scherzavano con loro,
schizzandole in faccia.
-"Dovrebbero avere una bella punizione: non è bene sprecare
l'acqua!"
-"Oddio, Luke! Possibile che tu debba rovinare ogni momento di
poesia?!"
-"Ah, guarda! Ecco il porto finalmente", e allungò
il passo tirandosi dietro Kate.
Si immersero in quella moltitudine di persone e cominciarono a guardarsi
intorno.
-"Qui c'e scritto MOLO N° 5, chiediamo a qualcuno"
-"Già, sempre se capiscano!". Kate accelerò
il passo, lasciando indietro Luke che cercava di liberarsi di due
bambini attratti dalla sua giacca nuova di zecca.
-"Mi scusi cerco il M-O-L-O 5, mi capisce?". Il vecchio
stava fumando un sigaro e senza scomporsi troppo indicò in
una direzione.
-"Grazie mille! Vieni Luke...che stai facendo? Non è il
momento di giocare"
-"Giocare, certo! Se solo queste due zecche mi lasciano andare!".
Raggiunse Kate, ferma vicino la banchina."Accidenti a loro! Sono
dannatamente insistenti da queste parti!" e si rassettò
la giacca stropicciata.
-"Dovrebbe essere qui, ma quale di queste barche? Guarda, lì
c'è qualcuno!". Indicò un'imbarcazione poco distante.
"Mi scusi, stiamo cercando un certo Mac Gavin, saprebbe dirmi
dove posso trovarlo?".
La donna era intenta a sistemare attrezzature da viaggio e non si
voltò neppure. "Chi lo cerca?"
-"Vuol dire che lei lo conosce?". Kate cercava di guardare
la ragazza in faccia: il fatto di parlare di spalle non le piaceva.
La donna prese una corda, cominciò a riavvolgerla e nel farlo
si girò.
-"Può darsi", disse guardando in faccia Kate. Era
sulla trentina, alta, con lunghi capelli neri che le ricadevano sulle
spalle, un cappello da cowboy calato sugli occhi e indossava una canotta
nera su pantaloni verde militare.
-"Fiuuu!", il fischio di stupore di Luke fece comparire
una smorfia sul volto di Kate.
-"Luke, potrebbe sentirti!" e gli arrivò un colpetto
in pancia. "Senta, ci ha mandato Colin dell'agenzia Agatha Investigations
e dobbiamo parlare assolutamente con quest'uomo".
La donna posò la corda ormai riavvolta e cominciò a
sistemarne un'altra. "Se è così, allora. Ce l'avete
davanti"
-"Vuol dire che è lei il sign...ehm cioè questo
tizio in realtà è una lei?!", disse Luke con la
faccia di chi avesse appena visto un fantasma.
-"Ottima deduzione Watson!", incalzò la donna.
-"Avanti Luke, non era tuo quel fischietto di approvazione di
poco fa?!", Kate sorrise: la situazione la divertiva.
-"Signori io starei per partire. Se volete sbrigarvi, poi parleremo
a bordo"
-"Perfetto! Ci mancava solo un' Indiana Jones in gonnella!",
disse il giovane alzando le braccia al cielo.
La donna allungò una mano a Kate per aiutarla a salire. "Stai
attenta, i gradini sono bagnati".
Kate l'afferrò e riuscì finalmente a vedere i suoi occhi:
due specchi d'acqua di un blu mai visto, e un piccolo brivido l'attraversò.
-"Ehi tu, dammi la mano", si rivolse a Luke.
-"No grazie! Sono nel pieno delle mie forze e posso farcela benissimo
da solo!"
-"Se lo dici tu".
Aveva appena messo piede sull'ultimo scalino, quando perse l'equilibrio,
ma si aggrappò giusto in tempo per vedere la barca partire
e allontanarsi dal porto.