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Incroci

di Route 66

(prima parte)

I personaggi di Xena e Gabrielle sono di proprietà della MCA/Universal Pictures, pertanto non intendo infrangere nessun Copiright.
Questo racconto è opera della fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto della mia immaginazione o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.

Un ringraziamento speciale va ad una persona in particolare....è stato un anno di scoperte e novità per me e tu sei stata quella più bella.

Potete scrivermi a questo indirizzo: us.route66@hotmail.it (siate buoni, è il mio primo racconto!).


MIAMI - FLORIDA

Il citofono interno della villa sulla spiaggia emise un suono stridulo.
-"Mi dispiace signora, ma non sono riuscito a fermarla".
La donna seduta sul grande divano bianco in pelle leggeva una copia del Miami Herald e la notizia non sembrò turbarla più di quanto non facessero le foto delle sue rivali d'affari piazzate in terza pagina.
-"Non importa Gilbert". Non aveva dubbi su chi fosse la persona che aveva appena attraversato l'atrio della sua casa, come d'altronde non ne aveva mai avuti nel corso della sua vita. I dubbi li aveva lasciati a chi poteva permetterseli, a chi aveva tempo per pensare. Certo, ogni scelta era stata sempre ponderata, calcolata, mai lasciata al caso. Proprio per questo, a 60 anni suonati, Julia poteva addormentarsi la sera avendo la certezza di un tetto sulla testa. E perchè no, per questo ora poteva anche guardare con sufficienza coloro che l'avevano derisa. C'era un certo vantaggio nell'essere la donna più ricca della città.
La porta della sala si aprì con forza ed entrò una giovane donna di 28 anni, bionda, col viso rosso dalla collera. Raggiunse il divano e, senza neanche dire una parola, gettò con disprezzo sul tavolino un gruppo di fotografie.
La copertina del giornale fu abbassata tanto da permettere allo sguardo di Julia di far capolino e scrutare ciò che sua figlia aveva appena posato davanti a lei.
-"Mia cara, che piacere vederti. Sono le tue ultime opere?"
-"Lascia perdere le mie opere! Se solo ti fossi degnata di venire alla mia mostra sapresti che non hanno nulla a che vedere con queste!". L'ira aveva reso i suoi occhi di fuoco.
-"Oh tesoro, ancora con questa storia! Ti ho già detto che mi dispiace di non essere stata presente all'evento, ma come credi che avrei potuto ovviare ai miei impegni?!". Sul volto della giovane comparve un sorriso amaro: gli "impegni", come la madre amava definire le continue festicciole e cocktail party dati dall'alta società di Miami, avevano costellato ogni momento della sua esistenza e per un certo periodo ne aveva fatto parte anche lei, quando ancora Julia aveva potere decisionale sulla sua giovane vita. In cuor suo aveva sempre sperato che la madre potesse cambiare, poi aveva deciso di non sprecare più energie inseguendo false speranze e di farle confluire invece nella sua unica e più grande passione: la fotografia.
-"Ma certo i tuoi impegni!"
-"Kate, se sei venuta qui per offendermi, ti avviso che non è aria". Detto questo si alzò, raggiunse il mobile-bar e si versò del cognac. "Che diavolo vuoi?"
-"Finalmente ecco la vera Julia, mi stavo quasi preoccupando. Vuoi dirmi di queste foto?"
Senza neanche guardarle, tornò a sedersi e disse: "Non so cosa siano".
-"Ma davvero?! Strano, perchè erano tra la tua posta!". La voce carica di rabbia si bloccò qualche secondo, poi continuò. "Sono di papà...erano per me...come hai potuto nascondermele?". Tacque come per aspettare una risposta, anche se non era sicura di voler sentire ancora bugie.
-"Tesoro, l'ho fatto solo per il tuo bene", bevve l'ultimo sorso di liquore, "Prima accetterai il fatto che tuo padre ci ha abbandonate, prima ricomincerai a vivere".
Kate guardò la donna che era davanti a lei, avrebbe voluto aggredirla e strozzarla, le sue mani avrebbero trovato il sollievo che bramavano, ma nelle stesso istante subentrò a quel sentimento un altro di egual misura. Una pena infinita per Julia si impossessò della giovane.
-"Tu....non sei altro che una povera pazza. Non avevi nessun diritto di intrometterti nelle mie cose, nè tantomeno di decidere della mia vita. Pensi che papà non tornerà solo perchè ti fa comodo che sia così!". Disse tutto d'un fiato e fece per uscire.
-"Kate...insultami pure se questo può aiutarti, ma sappi che non è così che farai ritornare tuo padre"
-"Lo sai? Hai perfettamente ragione! E' per questo che non me ne starò più con le mani in mano: vado a cercarlo! Che ti piaccia o no!". La porta sbattè per la seconda volta nella giornata e poi calò il silenzio.

Due ore più tardi Kate si trovava sotto casa sua con la spesa in mano, una montagna di lavoro da sbrigare e tanta stanchezza accumulata. Una volta entrata posò le buste sul tavolo e si gettò letteralmente sul divano. L'uomo che stava trafficando in cucina si sporse appena per vederla compiere quel gesto e lasciò ciò che stava facendo con molta cura.
-"Ehi, non si saluta neanche?!". Sorrise e appoggiò le mani sulle spalle della giovane, cominciando a massaggiarle.
-"Scusa Luke, sono a pezzi!". E la cosa non sfuggì al tocco sapiente del giovane. "Accidenti! Sei un ammasso di nervi! Cos'è, c'è stato un torneo di lotta libera allo studio?!"
-"Magari, almeno avrei potuto scaricare la tensione!", si stava quasi addormentando sotto quel massaggio rilassante, ma poi si ricordò che aveva molto da fare e riaprì gli occhi di colpo, irrigidendosi di nuovo.
-"Vorrei che non smettessi mai, ma ho parecchio lavoro: domani devo consegnare il book fotografico e ho ancora una pila di foto da esaminare". Detto questo si alzò e accarezzò la guancia del giovane.
-"Aspetta un attimo...le tue foto possono attendere ancora un pò...prima la meravigliosa cenetta che ho preparato con le mie manine!". Si diresse in cucina e portò una grande pentola sulla tavola imbandita. "Non vorrai mica metterti al lavoro con lo stomaco vuoto?!". Prese le mani di Kate e la condusse a sedere. "Luke...non dovevi... però hai ragione, in effetti ho una certa fame! Allora, che mi hai preparato di buono?"
-"Quello che so fare meglio: piatti italiani! Ce n'è per tutti i gusti, avanti buttati!". La cena era squisita, il momento che Kate preferiva di più, perchè significava la fine della giornata ed implicava un rilassamento generale di corpo e membra. Questo, naturalmente, quando non c'era lavoro extra per il giorno dopo.
-"Sono un pò preoccupata per domani, non so se le mie foto passeranno incolumi sotto lo sguardo degli esaminatori", si toccò la fronte come se in quel punto ci fosse tutta la tensione accumulata e così facendo volesse scacciarla via.
-"Oh, vedrai che andrà benone! Secondo me rimarranno affascinati! Vorrei tanto accompagnarti, ma ho degli investitori così zelanti...", lasciò la frase incompiuta come faceva sempre con Kate. Ormai non c'era più bisogno di frasi intere tra di loro e d'altro canto Kate conosceva bene il carattere di Luke. Era sempre stato un ragazzo solare ed espansivo, l'unico che era riuscitoa conquistare la fiducia di suo padre nell'azienda e l'unico che fosse mai stato suo amico all'interno di quella cerchia gretta e meschina. Anzi era stato proprio lui a farsi avanti con lei, a volere qualcosa di più di una semplice amicizia, anche se per Kate tra loro non vi era altro che questo. Eppure, da quando lei aveva deciso di dargli un'opportunità, lui era sempre stato sfuggevole. E non nei momenti importanti, ma nel quotidiano. Certo la sua era più una sensazione che qualcosa di concreto, perchè se Luke aveva un pregio era proprio quello di far sembrare che tutto andasse benissimo. Forse per questo era stato scelto come intermediario tra l'azienda e gli acquirenti.
Kate decise che prima di ritirarsi fosse opportuno parlare con Luke della sua scelta di ritrovare suo padre. Perciò gli accennò delle foto e della discussione con la madre.
-"Voglio trovarlo e non posso più aspettare". Il giovane la guardò qualche istante negli occhi stanchi e poi disse:
-"Perfetto! Ho io la persona giusta per te. Domani andremo da lui!".
Kate era troppo stanca per rimanere sbalordita da quelle parole, perciò lo abbracciò e si chiuse in camera, dove un mucchio di foto non aspettava che il suo spietato giudizio finale. Lo sguardo si posò su quelle stampe che tanto l'avevano angosciata per tutto il giorno. Prese la busta che le conteneva e la esaminò: ancora nessun indirizzo.
-"Oh, papà....se continui a inviarmele senza alcun indizio come credi che possa trovarti?".Guardò la luna che pian piano prendeva posto nella cornice della sua finestra. Le foto che di mese in mese aveva ricevuto ritraevano suo padre su uno sfondo che variava sempre, ma mai che inglobava particolari di spicco da cui avrebbe potuto dedurne il luogo. Il suo era un modo per dirle che stava bene, questo lo aveva capito, ma non le bastava più.
-"O forse è proprio questo il punto? Non vuoi che ti trovi....forse la mamma ha ragione". Appoggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la testa fra le mani. Rimase così qualche minuto, poi scattò d'improvviso, battendo un pugno sulla scrivania.
-"No! Non può essere! Io ti conosco troppo bene e so che non mi faresti mai del male! Se davvero avessi voluto chiudere con me, che senso avrebbe continuare così? Forse c'è un motivo per cui non puoi dirmi dove sei...". Scansò quelle foto e si mise al lavoro, come se d'improvviso avesse ricevuto una carica misteriosa. Concluse che era l'una passata e si gettò sul letto sfinita. Prima di chiudere gli occhi però un ultimo pensiero andò a Luke. Era nei gesti come quelli della sera passata che aveva visto in lui il compagno ideale, ma accanto a questi c'era tutto un lato del suo carattere che la mandava in confusione e di cui dubitava, un lato fatto non di gesti concreti, ma di silenzi, di momenti fuggevoli. Decise che era troppo poco per poter intavolare un discorso serio e che era troppo stanca per capire se fosse logico ciò che aveva appena pensato. Domani l'aspettava una giornata decisamente faticosa.


Inaspettatamente, l'incontro con i rappresentanti di un'importante galleria di New York si rivelò più facile del previsto. I due erano un uomo e una donna molto disponibili. Avevano capito subito, guardando alcune foto nello studio di Kate che ritraevano per lo più amici in pose buffe, che la ragazza aveva grandi qualità. Perciò si stupì quando, entrando affannata e di corsa per il ritardo, li trovò sorridenti ad aspettarla. "Magnifico!" aveva pensato " devo sempre farmi riconoscere già dal primo incontro". Ma quando li vide che ridacchiavano per il suo aspetto e le porgevano cordialmente la mano, dicendole di non preoccuparsi, le fu subito chiaro che da lì in poi sarebbe stato tutto in discesa. Prese accordi per l'esposizione dei suoi lavori nella loro art gallery e li salutò.
Alle 15.20, con una puntualità svizzera, arrivò Luke e insieme si avviarono dall'uomo che forse avrebbe ritrovato suo padre.
L'edificio era poco distante dal suo studio, ma Kate lo notava ora per la prima volta. L'ascensore li portò al terzo piano e una segretaria fin troppo gentile li fece accomodare nella sala d'aspetto.
Dopo pochi minuti i due furono introdotti nello studio dell'uomo. La stanza era arredata secondo un gusto classico molto in voga tra gli uomini d'affari che amavano ostentare il loro potere. L'investigatore privato, un ometto sulla cinquantina piuttosto basso e in carne, sedeva su una poltrona in pelle scura e stava sfogliando delle carte. Appena li vide si alzò e li raggiunse. Tutto questo, la stanza e quell'omuncolo che ben si addiceva a quel contesto, lasciarono Kate un attimo titubante. Forse era stupido giudicare quella persona solo dall'aspetto.
-"Oh, Luke! Che bello rivederti!" e gli strinse la mano.
-"Anche per me è un piacere John"
-"Forse...sarebbe meglio lasciar perdere Luke". Kate si lasciò sfuggire quelle parole sottovoce, ma arrivarono comunque alle orecchie dell'uomo che si avvicinò alla giovane e le strinse la mano.
-"Lei è?". Il contatto con la sua mano umida fu la cosa peggiore della giornata e contribuì ad alimentare la sensazione di disagio che Kate aveva.
-"Sono Kate Walters". John la scrutò con quegli occhietti piccoli e neri che a Kate erano apparsi subito come la parte più inquietante dell'uomo. In quell'istante le parve di scorgere un guizzo di malvagità, dietro le lenti ovali che male incorniciavano quel viso. Probabilmente era davvero stanca.
-"Suvvia signorina Walters, vedrà che troveremo suo padre e tutta questa storia sarà presto dimenticata", disse tornando dietro la scrivania e incrociando le mani.
-"Come fa a sapere di mio padre? Lei ancora non sa il motivo per cui sono qui...come...". L'inaspettata frase dell'investigatore l'aveva lasciata senza parole ed era calato il silenzio. Luke guardò John con uno sguardo di intesa e si affrettò a dire:
-"Ehm... Kate...sono stato io ad avvisarlo, l'ho chiamato stamane. Ora rilassati, so che è stata una giornata stressante per te". La accompagnò a sedersi e, dopo che John ebbe preso un taccuino, iniziarono ad esporre i fatti.


-"Sei un imbecille! Non dovevo fidarmi della tua idea!"
-"Oh, forza! Non ingigantiamo la cosa! C'è stata questa defaillance, ma poi è andata bene"
-"Credi che mia figlia sia una stupida?!". Julia camminava su e giù per la stanza, la sigaretta in mano, con fare isterico.
-"Non lo credo affatto. In questi mesi di convivenza con lei ho imparato proprio questo!". I due tacquero qualche minuto, poi la donna riprese:
-"Mio caro Luke, sappi che se mia figlia ha solo un minimo sospetto...."
-"Signora Walters le assicuro che non succederà. Presto quell'uomo si metterà al lavoro e in meno di un mese troveremo suo marito"
-"Me lo auguro per il tuo bene! E per quello di mia figlia: sai che odio vederla soffrire!". Spense la sigaretta e si avviò verso il telefono: "Ora sparisci! Ho delle telefonate urgenti da fare!".


Se c'era qualcosa che Kate sapeva con certezza era che il suo istinto poche volte si era sbagliato. Fin da piccola suo padre le aveva detto: "Quando nulla di razionale può aiutarti, fidati del tuo istinto". Beh, da allora era sempre andata bene, a parte quando aveva pensato che con una pozione la sua rana sarebbe ritornata in vita. Comunque ora sentiva di non potersi fidare di quell'uomo. Troppe cose non la convincevano e, come sempre quando c'entrava Luke, non c'era nulla di concreto che l'aveva indotta a pensarlo. Era semplicemente una sua sensazione.
La mattinata era particolarmente calda, il che non era una novità a Miami, ma il fatto, associato ad un nervosismo galoppante, aveva reso Kate un bagno di sudore. Tuttavia il suo aspetto era radioso. Lo aveva imparato da piccola. Era una virtù necessaria quando si aveva a che fare con un determinato target di persone. E sua madre l'aveva istruita bene in proposito: non lasciare che gli altri capiscano quello che provi. Le aveva sempre ripugnato agire in quel modo, abituata com'era ad essere una bambina molto solare, ma doveva ammettere che in più di un'occasione nella sua vita la lezione le era tornata utile.
Aveva letto l'inserzione su un giornale: "Agatha Investigations" e il nome le era piaciuto. Tantopiù che sarebbe stato meglio parlarne con una donna.
Giunse nel luogo indicato: il locale era un vecchio loft ristrutturato e arredato con pezzi moderni, ma in effetti sembrava che la padrona mancasse in quel posto da un'eternità. C'erano carte e giornali accatastati in ogni angolo della stanza, bottiglie di alcolici sulle poltrone, un gatto che rovistava in uno scatolone pieno di libri e, come se non bastasse, un misero ventilatore che avrebbe dovuto rinfrescare quella sottospecie di sauna!
-"Accidenti!" pensò, "chi diavolo è che al giorno d'oggi non ha ancora l'aria condizionata?!"
-"Salve!". Un uomo arrivò da dietro e le cinse le spalle col braccio, invitandola ad entrare. Aveva la barba incolta, i vestiti sgualciti, un sigaro tra i denti e puzzava di whiskij.
-"B..buongiorno", sgranò gli occhi, "Cercavo la signora Agatha dell'agenzia", disse cercando di allontanarsi dall'uomo che barcollava verso la scrivania.
-"Chi?"
-"La signora Agatha", alzò un pò di più la voce: era chiaro che era ubriaco.
-"Agatha? Ma chi diav....Ah, Agatha! Si riferisce alla scritta! Ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah!", e rise così di gusto che persino il gatto si voltò e smise di frugare.
-"Mi scusi ma non capisco proprio cosa ci sia da ridere!"
L'uomo vide il volto spazientito della cliente e si ricompose cercando di rimediare. "Oh scusi tanto! E' che qui non c'è nessuna signora Agatha, solo io e Walt, il mio gatto", prese un altro sigaro e lo accese, aspirando una grossa boccata di fumo che poi mandò in faccia ad una statuetta maya posta sulla scrivania. "Il nome" continuò, "è dovuto alla mia grande passione per Agatha Christie, la scrittrice di gialli. Io sono Colin. Forza, si sieda e mi dica il motivo per cui è qui".
Kate alzò gli occhi al cielo in segno di rassegnazione: non era possibile che capitassero tutte a lei! Appena si sedette, il gatto andò a piazzarsi vicino i suoi piedi, ma non ci badò e cominciò a raccontare.
-"Interessante....un padre sparito, una figlia in ansia e niente di niente su cui lavorare!", mise le gambe incrociate sulla scrivania e disse: "Ha mai pensato che il caro paparino sia scappato con la sua amante alle Maldive? E' un classico, sa?".
A quelle parole Kate scattò in piedi: questo era troppo. "Mi stia a sentire brutto ubriacone da quattro soldi, oltre ad essere così smodatamente rivoltante e sudicio lei è anche prepotente ed arrogante! Come si permette di dare giudizi su una persona che neanche conosce e perdipiù offende davanti a me che sono sua figlia?! Dovrebbe vergognarsi!". Le frasi tutte d'un fiato erano la sua specialità: l'uomo rimase a bocca aperta e la vide allontanarsi verso la porta. Quella ragazza aveva fegato e le bastò quello scatto per capire che non si trattava delle solite fanciulle viziate che cercavano solo di arrivare all'eredità di famiglia.
-"Aspetti un attimo". Kate si fermò sulla soglia e si voltò: aveva gli occhi velati di lacrime, ma riusciva ad ostentare una forza incredibile. "Lei vuole davvero ritrovare suo padre?", la guardò negli occhi così seriamente che ora la sbornia pareva essersi volatilizzata.
-"E' la persona più importane della mia vita. Non posso rinunciare a lui".
-"Bene, ma devo premetterle che non abbiamo nulla in mano: quelle foto sono l'unica cosa che ci collegano a lui e forse la chiave è lì, ma non è così facile. Può essere ovunque, con chiunque, forse è stato rapito, forse è morto, forse lo tengono prigioniero e vogliono un riscatto...insomma le possibilità sono infinite. E' come cercare un ago in un pagliaio, senza contare che potremmo finire nei guai, se ne rende conto?".
Kate si fece scura in volto: la sua smania di trovare il padre non le aveva fatto calcolare tutte queste variabili. Guardò Colin negli occhi più seria che mai.
-" Si, capisco. Ma voglio farlo comunque".
-"Allora è deciso. Ecco, prenda", le porse un foglietto spiegazzato con un nome scritto sopra.
-"E questo cos'è?"
-"Per una missione così, ci vuole l'unica persona in grado di affrontarla". Si alzò e andò verso un mobile impolverato. "Ora che ne direbbe di brindare?!". Un lieve sorriso riaffiorò sul volto della ragazza.


SANTIAGO DE CUBA - CUBA

C'era un gran movimento quella mattina sulle banchine del porto, anche se in effetti era così ogni giorno. Centinaia di imbarcazioni entravano e uscivano, come tante formiche indaffarate a portare le provviste nella tana. Alcune di esse scaricavano merci, altre partivano per la pesca giornaliera, altre ancora si occupavano di quei turisti che volevano fare il giro dell'isola.
Kate e Luke, camminando per quelle vie che conducevano al porto, riuscivano a percepire gli odori meravigliosi della cucina locale, anche se mancava ancora molto all'ora di pranzo.
-"E' incredibile! I colori, i profumi, i volti di queste persone! Guarda quelle donne, sembra che conoscano il senso della vita e abbiano trovato la felicità!". Camminava scattando foto e guardando in ogni direzione come per catturare tutto e non lasciarsi sfuggire nessun dettaglio.
-"Io so solo che queste viuzze sembrano non finire mai!"
-"Oh, andiamo, non essere pesante! Guarda!". Due donne stavano lavando i panni ad un fontanella e dei bambini scherzavano con loro, schizzandole in faccia.
-"Dovrebbero avere una bella punizione: non è bene sprecare l'acqua!"
-"Oddio, Luke! Possibile che tu debba rovinare ogni momento di poesia?!"
-"Ah, guarda! Ecco il porto finalmente", e allungò il passo tirandosi dietro Kate.
Si immersero in quella moltitudine di persone e cominciarono a guardarsi intorno.
-"Qui c'e scritto MOLO N° 5, chiediamo a qualcuno"
-"Già, sempre se capiscano!". Kate accelerò il passo, lasciando indietro Luke che cercava di liberarsi di due bambini attratti dalla sua giacca nuova di zecca.
-"Mi scusi cerco il M-O-L-O 5, mi capisce?". Il vecchio stava fumando un sigaro e senza scomporsi troppo indicò in una direzione.
-"Grazie mille! Vieni Luke...che stai facendo? Non è il momento di giocare"
-"Giocare, certo! Se solo queste due zecche mi lasciano andare!". Raggiunse Kate, ferma vicino la banchina."Accidenti a loro! Sono dannatamente insistenti da queste parti!" e si rassettò la giacca stropicciata.
-"Dovrebbe essere qui, ma quale di queste barche? Guarda, lì c'è qualcuno!". Indicò un'imbarcazione poco distante. "Mi scusi, stiamo cercando un certo Mac Gavin, saprebbe dirmi dove posso trovarlo?".
La donna era intenta a sistemare attrezzature da viaggio e non si voltò neppure. "Chi lo cerca?"
-"Vuol dire che lei lo conosce?". Kate cercava di guardare la ragazza in faccia: il fatto di parlare di spalle non le piaceva.
La donna prese una corda, cominciò a riavvolgerla e nel farlo si girò.
-"Può darsi", disse guardando in faccia Kate. Era sulla trentina, alta, con lunghi capelli neri che le ricadevano sulle spalle, un cappello da cowboy calato sugli occhi e indossava una canotta nera su pantaloni verde militare.
-"Fiuuu!", il fischio di stupore di Luke fece comparire una smorfia sul volto di Kate.
-"Luke, potrebbe sentirti!" e gli arrivò un colpetto in pancia. "Senta, ci ha mandato Colin dell'agenzia Agatha Investigations e dobbiamo parlare assolutamente con quest'uomo".
La donna posò la corda ormai riavvolta e cominciò a sistemarne un'altra. "Se è così, allora. Ce l'avete davanti"
-"Vuol dire che è lei il sign...ehm cioè questo tizio in realtà è una lei?!", disse Luke con la faccia di chi avesse appena visto un fantasma.
-"Ottima deduzione Watson!", incalzò la donna.
-"Avanti Luke, non era tuo quel fischietto di approvazione di poco fa?!", Kate sorrise: la situazione la divertiva.
-"Signori io starei per partire. Se volete sbrigarvi, poi parleremo a bordo"
-"Perfetto! Ci mancava solo un' Indiana Jones in gonnella!", disse il giovane alzando le braccia al cielo.
La donna allungò una mano a Kate per aiutarla a salire. "Stai attenta, i gradini sono bagnati".
Kate l'afferrò e riuscì finalmente a vedere i suoi occhi: due specchi d'acqua di un blu mai visto, e un piccolo brivido l'attraversò.
-"Ehi tu, dammi la mano", si rivolse a Luke.
-"No grazie! Sono nel pieno delle mie forze e posso farcela benissimo da solo!"
-"Se lo dici tu".
Aveva appena messo piede sull'ultimo scalino, quando perse l'equilibrio, ma si aggrappò giusto in tempo per vedere la barca partire e allontanarsi dal porto.





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