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DISCLAMER: I personaggi di Janice, Melinda, Xena, ed alcuni che possono “vagamente” ricordare Ares, Aphrodite ed Eli, sono copyright della MCA/Universal Renassiance Pictures. I personaggi sono stati utilizzati senza il consenso degli autori, ma si tratta solo di una fan-fiction, fatta per divertimento e per rendere omaggio a quegli splendidi  personaggi, il che significa: non c’è alcun fine di lucro.

EPISODIO DI RIFERIMENTO: Xena e le antiche pergamene (The Xena Scrolls) – Stagione 2, Episodio 10.

RIFERIMENTI STORICI: ho cercato di fare del mio meglio per non incappare in errori storici, ma se ne trovate fatemi sapere. Gli unici personaggi storici reali citati sono Rita Hayworth e Seton Lloyd, ai quali va tutto il mio rispetto e spero nessuno si senta offeso dal vederli citati in questo contesto (di nuovo, se qualcuno ha qualcosa da dire, beh, me lo dica pure).

DISCLAMER: …per questo vi rimando alla prima parte, ricordo solo che non detengo alcun diritto e che si tratta solo di una fan-fiction, fatta per divertimento e senza fini di lucro.

Per qualsiasi commento (sempre bene accetti), nota, o altro, potete scrivermi all’indirizzo email:
lesta.mancina@gmail.com
Oppure potete passare a farmi un saluto su Facebook …vi basterà chiedere di Lesta Mancina.
Fatemi sapere cosa ne pensate!

 

 

CHI RITROVA UN'AMICA, TROVA UN TESORO

di LESTA MANCINA

 

PARTE II

<<Ecco, guardati! Mio dio, sei bellissima!>>
Mel aveva condotto Janice davanti alla specchiera di camera sua e stava contemplando la propria opera.
Janice, cercava qualcosa di famigliare nella donna che la guardava dallo specchio imbarazzata; Janice cercò sé stessa, ma vi vide solo un pallido ricordo di sua madre ai tempi migliori.
Nonostante i progetti e le buone intenzioni, le due archeologhe erano state costrette a rimandare di due giorni la partenza.

Nonostante la guerra fosse finita, non era facile trovare due biglietti per il vecchio continente e che fossero a buon mercato, ma soprattutto Janice voleva evitare le vie ufficiali e tramite delle sue conoscenze aveva trovato due posti su un idrovolante, che sarebbe partito appunto quel giorno.
In più, per evitare che i suoi "amici" la riconoscessero e la fermassero, Janice aveva deciso di viaggiare in incognito.

Quando Janice aveva esposto i propri problemi nel farsi vedere in pubblico a Melinda, gli occhi della donna avevano scintillato di diabolici e maliziosi lampi azzurri e le aveva pregato di lasciare fare a lei; Janice, viste le suppliche, non aveva avuto il coraggio di dire di no e quello era il risultato.
Melinda le aveva fatto indossare i suoi abiti, adattandoli tutti in altezza e larghezza con ottimi risultati. Janice non sapeva che Mel fosse anche un abile sarta, aveva davvero più talenti di quanti ne avesse immaginati.

Janice si rigirava a disagio in quella longuette aderente, con spacco posteriore; la vita alta della gonna le segnava i fianchi e il vitino sottile, mentre il corsetto sotto la camicetta bianca le facevano risaltare il seno in modo molto evidente.
Janice non si era mai agghindata in modo da accentuare i propri tratti femminili, gli abiti destinati alle signore erano scomodi per il suo lavoro, attiravano troppe attenzioni indesiderate e soprattutto non rispecchiavano il suo animo d'avventuriera.

Mel, con un sorriso colmo di soddisfazione per il proprio operato, le sistemò meglio le spalline all'interno della corta giacca verde acqua, la stessa tonalità della gonna, che insieme facevano risaltare il rame dei capelli della donna e il verde brillante dei suoi occhi.
Janice era come interdetta e si lasciava manovrare come una bambolina, mentre Melinda le acconciava i capelli raccogliendoli e le truccava il viso in modo leggero.
Il tutto le dava un'aria di innocenza e purezza e nella luce mattutina di un Aprile terso e frizzante, Janice avrebbe potuto essere davvero una fanciulla qualunque, innocente e piena di sogni, una studentessa, una segretaria, una cameriera, una fidanzata...

<<Ora il tocco finale>> disse Mel togliendo dalla scatola le scarpe nuove. Quelle non avevano potuto evitare di comprarle e, presa dall'entusiasmo, Melinda le aveva comprato anche un cappellino ed una borsetta che si intonassero ad esse.
Janice si guardò di nuovo allo specchio e di nuovo non si riconobbe, sentendosi impacciata, poi l'immagine compiaciuta di Melinda comparve alle sue spalle ed afferrandola la fece voltare squadrandola di nuovo da capo a piedi con divertimento e stupore.
<<Janice sei bellissima! Se io fossi un uomo, ti farei la corte!>>

Janice ebbe una reazione che non aveva più avuto da quando era una ragazzina: arrossì; ed arrossì così violentemente che dovette chinare il capo per nascondersi, ma Mel lo vide ugualmente e si fece gioco di lei.
"Maledetti abiti!" era colpa loro se aveva delle reazioni che non le appartenevano, perché quegli abiti non le appartenevano.
<<Se siamo pronte, andiamo! -disse Janice fuggendo dalla stanza e afferrando le  valigie- Il taxi sarà qui a momenti.>>
Mel si assicurò di aver chiuso bene tutto l'appartamento e preso il resto dei bagagli seguì Janice in strada.

Il taxi si fermò nella piazza antistante i cancelli d'ingresso dell'idroscalo, Janice provò di nuovo una fitta di umiliazione allo stomaco nel vedere Melinda pagare il conducente. In quegli ultimi tre giorni, Mel si era fatta carico di tutte le spese, e Janice si sentiva una specie di parassita.
<<Ti restituirò tutto, Mel, fino al'ultimo centesimo>> sussurrò Janice all'amica.
<<Ancora con questa storia, davvero tu non ti rendi conto di quanto valga l'aiuto che mi stai dando. Sono io che mi sento in debito>>.
Janice sorrise, ma le parole dell'amica non la convinsero.

Melinda si incamminò in direzione delle banchine degli idrovolanti di linea, ma Janice, prontamente, la fermò.
<<Scusa, Mel, ma il nostro mezzo di trasporto è in quella direzione>> Janice indicò all'amica gli scali vicino al porto, dai quali partivano i mezzi per il trasporto merci e i servizi postali.
Mel comprese subito.
<<Ecco perché il viaggio ci è costato così poco e abbiamo trovato subito posto. Scommetto che presto conoscerò uno dei tanti tuoi "amici" che ti devono un favore>>
Janice sorrise annuendo e fece strada all'amica, muovendosi perfettamente a proprio agio tra tutti quei capannoni a ridosso dei moli, con tutti quei macchinari in movimento e tutti quei tizi indaffarati a spostare carichi pesanti provenienti da oltreoceano.

Melinda ne era intimidita, quegli sguardi indagatori e stupiti la mettevano a disagio, soprattutto perché molti di loro si prodigavano in fischi di approvazione e commenti provocanti nei loro confronti.
<<Te lo dicevo io che avresti avuto successo vestita così>>.
<<Sì, sì, ma tranquilla, - la rassicurò Janice -la maggior parte sono palloni gonfiati, si fanno belli di fronte ai colleghi, ma se li incontri da soli, molti sono anche più timidi di te>> la donna aveva appena concluso la frase quando un energumeno le si piazzò davanti bloccandole la strada.

Mel vide Janice sbiancare dopo aver guardato in volto l'uomo, attorno al quale si stavano avvicinando altri tre individui, che si fermarono però in disparte ad osservare la scena. 
Dagli abiti puliti che indossavano, anche Mel comprese subito che non si trattava di gente del porto. Janice strinse la mascella nervosa ed iniziò a guardarsi attorno in cerca di una via di fuga, ma in quella situazione fuggire sarebbe stato impossibile. Lentamente, ma inesorabilmente, gli uomini le avevano circondate.

Melinda comprese dallo sguardo feroce di Janice che quelli dovevano essere alcuni di quei famigerati "guai" che le stavano alle costole. E prima che Janice, messa alle strette, reagisse in modo avventato, Mel intervenne:
<<Possiamo esserle utile signore?>>
L'uomo lanciò un'occhiata a Melinda e poi ritornò a scrutare Janice, ma rispondendo a Mel:
<<La tua amica assomiglia ad una persona che stiamo cercando>>.

Melinda toccò un braccio dell'amica per richiamarne l'attenzione; l'arto era così rigido che Mel ebbe un brivido lungo la schiena. "Siamo davvero in grossi guai, dunque".
Melinda si rivolse a Janice in greco, sicura che la donna avrebbe capito subito e le avrebbe retto il gioco:
"Il signore dice che gli ricordi una persona..."
Janice colse subito la scintilla azzurra negli occhi dell'amica e immediatamente si finse ingenua e stupita rivolgendosi direttamente all'uomo, anch'ella in greco:
"Deve esserci uno sbaglio, io non ho il piacere di conoscere il signore"
L'uomo rivolse uno sguardo interrogativo prima ad una e poi all'altra.
<<Che diavolo ha detto? Non conosce la nostra lingua?>>
<<No signore, mia cugina Ipazia parla solamente greco, e dice di non avervi mai visto>>.
L'uomo scrutò ancora un secondo le due donne, poi si fece di lato e le lasciò passare, senza però distogliere lo sguardo da loro.

Melinda poteva sentire i loro occhi puntati come pistole sulle loro schiene, mentre cercava di mantenere una camminata lenta e disinvolta, con la quale stavano cercando di camuffare la fuga.
Quando furono ad una discreta distanza e lavoratori e macchinari si frapponevano tra loro e la banda, Melinda riuscì a rilassarsi e a trarre un sospiro di sollievo.
<<L'abbiamo scampata bella, vero?>>
<<Non immagini quanto>> rispose Janice.
<<Ma non hai intenzione di spiegarmi>> disse amareggiata Melinda.

Janice non rispose, ma accelerò il passo. Sapeva di non poter continuare ancora a lungo a nascondere i propri problemi all'amica, ma il momento delle rivelazioni non era ancora arrivato. Janice sapeva anche quanto male le stesse infliggendo, ma gli affari di Mel, al momento, avevano la precedenza sui suoi.

Quando giunsero al molo undici, in perfetto orario, Mel rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto così da vicino un idrovolante, almeno non uno in grado di affrontare una trasvolata atlantica; aveva volato su mezzi molto più piccoli, per raggiungere luoghi decisamente più vicini e non era mai stata tanto impressionata dal velivolo su cui era stata. Li aveva sempre considerati dei semplici mezzi di trasporto, ma quello!
<<Bello, vero?>>

Mel non rispose all'amica, era completamente rapita dallo scintillio. Il sole faceva risplendere il metallo e il mare, ed i riflessi sul mare si proiettavano a loro volta sulla carena e sotto le ali esaltando maggiormente l'imponenza e la potenza della macchina volante.

<<BELLO? Quel gioiellino è stupendo!>> tuonò una voce maschile profonda, a pochi passi da loro. Le donne si voltarono e videro un uomo alto e possente sulla trentina che orami era accanto a loro. Un bell'uomo davvero, constatò Melinda. Aveva le spalle larghe e la vita stretta, lucidi capelli neri, impomatati e tirati all'indietro secondo la moda, ma con lunghi ricci ribelli che gli ricadevano dietro al collo. Le basette Mel le giudicò "originali": gli scendevano fin sotto le orecchie e poi proseguivano, chiudendosi a punta fin'oltre metà guancia. Aveva gli occhi scuri e scintillanti ed un sorriso arrogante e malizioso.

Nell'insieme, Mel dovette convenire trattarsi di uno di quei tizi che in gergo verrebbero definiti dei "duri da cinema".
Anche l'abbigliamento, infatti, contribuiva a quell'effetto: grossi stivali di pelle scura, pantaloni marroni un poco aderenti, camicia dello stesso colore e giacca di pelle nera, di quelle corte da aviatore, ma a cui erano state tolte le maniche, così come alla camicia, per mostrare le lunghe braccia muscolose.
Melinda dovette riconoscerlo, l'effetto era davvero impressionante, in bilico tra il pericoloso e l'affascinante.

<<Mel, ti presento Alexander Mars, il nostro pilota>> disse Janice interrompendo bruscamente le fantasie della donna.
<<Melinda Pappas, piacere di conoscerla e grazie per il suo aiuto>> disse Melinda allungando la mano destra.
<<Chiamami "Al" ed in quanto al piacere - disse sorridendo malizioso continuando a guardarla negli occhi, mentre si prodigava in un galante baciamano, - sono sicuro sarà di entrambi>>.

Melinda arrossì distogliendo lo sguardo da quegli occhi sfacciatamente languidi.
Janice roteò gli occhi sbuffando e poi gli diede una pacca sulla spalla.
<<Se hai finito di fare l'idiota, noi vorremmo partire!>>
<<Ehi, che modi! Sei la solita ragazzaccia grossolana, comportati bene, qui c'è una signora>> disse Al riferendosi a Mel, ma squadrando Janice con un ghigno e trattenendo una risata.
<<Che c'è?>> chiese Janice.
Al scosse la testa e si portò una mano davanti alla bocca.
<<Che diavolo hai si può sapere?>> Janice aveva già perso la pazienza e Al non si trattenne più, scoppiando in una fragorosa risata.
<<Ma come accidenti ti sei conciata? Pensavo che carnevale fosse già passato!>>
Al non riusciva a smettere di ridere e, punta sul vivo, Janice divenne paonazza e ancora una volta Melinda intervenne per evitare il peggio e per difendere con un moto d'orgoglio il proprio operato:
<<Io trovo che Jan vestita così sia bellissima! E se non le dispiace avremmo fretta di decollare>> concluse la donna prendendo sotto braccio l'amica e trascinandola verso lo sportello d'ingresso dell'idrovolante.

Durante le fasi di preparazione e decollo Al e Janice continuarono a scherzare e bisticciare, Mel invece rimase seduta immobile e ammutolita sul sedile che le era stato assegnato, uno di quelli agganciati alle pareti che si abbassano e si richiudono. Non era decisamente come volare su un aereo passeggeri e Mel rimase paralizzata dal terrore fino a che non furono stabilmente in volo.
Janice si accorse del pallore e dei sudori freddi dell'amica e le disse per tranquillizzarla che, nonostante Alexander fosse rude nelle manovre, in realtà era uno dei migliori piloti in circolazione.
<<Forse visitare la cabina di pilotaggio ti aiuterà a tranquillizzarti e a calmarti un po'>>.

Quando le ragazze si affacciarono in cabina, Al cacciò via il suo secondo pilota per far posto a Mel accanto a lui.
<<Siediti dolcezza, ora ti farò vedere come si fa a far "volare" una bella donna.>> Era più forte di lui, Al non riusciva a non essere malizioso con le donne, ma l'unica cosa che ottenne fu uno scappellotto da Janice alle sue spalle.
<<Ahi! Ma che ho detto?>>
<<Io vado ad indossare qualcosa di più comodo, attento a quello che dici, o a come lo dici, perché io me ne accorgerò subito se dovrò colpirti di nuovo.>>
Janice sparì tra le casse lasciando i due soli in cabina.

<<Allora, Melinda, come mai una donna dai modi così altolocati e dall'evidente elevata cultura se ne va in giro con quel rozzo cane randagio?>>
<<Al di là dei modi a volte un po' bruschi, Janice è un'ottima archeologa, ci siamo conosciute ad uno scavo diversi anni fa ed ora mi sta aiutando a risolvere un problema. E tu che mi dici, come mai uno dei più rudi piloti di aliscafo conosce una delle più affascinanti archeologhe dei nostri tempi?>>
Al rise divertito per la stoccata, quella donna iniziava a piacergli davvero.

Con suo grande piacere Melinda scoprì che Al era un chiacchierone e, anche se con un po' di vergogna, dovette ammettere che era felice di aver incontrato qualcuno a cui avrebbe potuto spillare qualche informazione in più su Janice.

<<Conosco Jan da quando seguiva il padre in giro per il mondo a caccia di chi sa quale diavolo di anticaglia. Janice era già un adolescente selvaggia e io un ragazzo esuberante e decisamente affascinante che imparava i segreti del mestiere, - disse dando un'amorevole pacca alla plancia dei comandi - così noi due ci intendemmo subito e... - vedendo lo sguardo severo ed un po' corrucciato di Mel, Al non finì la frase, ma schiarendosi la voce passò oltre, assumendo un tono più serio, che catturò maggiormente l'attenzione di Melinda.
<<Poi la ragazza lasciò il padre per intraprendere gli studi in archeologia, non che ne avesse bisogno, ma sai, senza un pezzo di carta per quella gente non sei nessuno. Fu proprio in quel periodo che il povero Henry ci lasciò la pelle, brutta storia anche quella, e Jan la prese proprio male. Non so nemmeno se finì gli studi, so solo che si precipitò a continuare il lavoro del padre... tsè, c'è stato un periodo in cui credevo fosse impazzita del tutto, mai vista una persona così ossessionata e agguerrita; ha rotto più nasi lei di quante ragazze io mi sia sco... - di nuovo Al si interruppe colto da imbarazzo a causa dello sguardo gelido di Mel fisso su di lui. Quegli occhi azzurri lo scrutavano avidi e ribollivano dal desiderio di sapere. Sapere cose riguardanti Janice, intuì il pilota. La brama di quegli occhi contrastava in modo impressionante con l'immobilità e la compostezza del corpo, Al comprese che Mel era una di quelle donne a cui era stato inculcato di dover stare "dietro" agli uomini e di tener la "bocca chiusa", ma nonostante tutto l'incredibile forza del suo spirito trovava il modo di uscire ed imporsi.

<<Poi, però, deve essere successo qualcosa.>>
<<Che cosa?>> lo incitò Mel, ansiosa di sapere. Non era giusto indagare su Janice in quel modo, ma non resisteva più. Lei voleva sapere e forse quel tipo poteva aiutarla a scoprire cosa aveva ridotto Janice nello stato in cui l'aveva ritrovata.
Ma una grossa delusione era dietro l'angolo.
<<Non so cosa accadde di preciso, ricordo che è stato sei anni fa. Sì, nel '40.>>
<<Nel '40?>> Mel ebbe un tuffo al cuore, era l'anno in cui si erano conosciute!

<<Sì, esatto nel '40, - ripeté Al - la piccola sparì completamente dal giro. Così, di punto in bianco. Io e gli altri piloti, abituati a vederla scorrazzare in lungo ed in largo da un continente all'altro ci siamo preoccupati e abbiamo fatto un po' di domande in giro. Ci crederesti? Una mattina il piccolo sgorbio si sveglia e decide di mettersi a far l'archeologa sul serio! Cioè, insieme ai parrucconi accademici che avevano sempre snobbato lei ed il padre... beh, non mi stupisce che sia finita come è finita e che Jan abbia ritrovato la retta via e sia tornata a fare affari con i ragazzi. Anzi, è tornata addirittura più pazza di prima e credo che negli ultimi tempi, date le voci che corrono, abbia pestato i piedi alle persone sbagliate...>>

Ma Mel non lo stava più ascoltando, aveva capito che neppure Al sapeva granché sulla vita di Janice, o se lo sapeva non era evidentemente intenzionato a raccontarlo ad un'estranea. Forse, al di là dell'aspetto rude, Alexander era davvero un amico fidato come Janice le aveva detto... ma allora, perché Janice non gli aveva mai parlato della loro amicizia?
"Perché non sa che in quegli strani primi anni del decennio io ero con te? Quello splendido periodo è stato solo un breve intermezzo? Perché non gli hai mai detto di me?"
Ogni qual volta Melinda pensava di contare davvero per Janice, accadeva sempre qualcosa che la gettava nel dubbio e nell'incertezza.

<<Ah! Eccomi finalmente tornata nei miei panni!>> disse Janice affacciandosi in cabina di pilotaggio, mentre si arrotolava le maniche della camicia.
Melinda senza dire nulla si alzò svelta dal suo posto e sgattaiolò fuori dalla cabina urtando Janice per via dello spazio ridotto, ma senza degnarla di uno sguardo.
<<Perché ho come l'impressione che invece di uno scappellotto ti meriteresti di essere buttato direttamente giù dall'aereo?>>

Janice prese il posto di Melinda fissando sospettosa Alexander ad occhi stretti.
<<Ehi, io non le ho detto niente, lo sai. Ma se ho capito quello che c'era da capire, allora sei nei guai, rospo. Guai ben più grossi di quelli da cui stai volando via!>> Al rise di gusto.
<<Oh, merda!>> Janice si calò il fedora sugli occhi ed incrociò le braccia. Si prospettava essere un lungo, lungo viaggio!

Ed infatti furono le trenta ore di volo più lunghe che Janice avesse mai affrontato. Melinda da arrabbiata divenne triste e se Janice le chiedeva cosa avesse, se fosse preoccupata, o se si fosse pentita di essere partita, Mel sospirava e rispondeva solo che era il volo, poi distoglieva lo sguardo e aggiungeva che non era come se l'aspettava.

In effetti gli aerei del servizio postale erano del tutto privi di comfort ed i rudimentali servizi di cui disponeva erano solo a misura d'uomo. Nessuno aveva preso in considerazione la possibilità che una donna facesse quel mestiere o che ne venissero trasportate. Inoltre dormire su quei miseri sedili era praticamente impossibile.

Janice se ne dispiacque, non aveva pensato a tutti i possibili disagi del viaggio, ma sapeva che non era quello il vero motivo del malumore di Melinda. E più Melinda si rifiutava di darle una spiegazione, più la pazienza di Janice vacillava.
Come la maggior parte degli idrovolanti che solcavano i cieli dell'Atlantico, fecero scalo alle Azzorre. Fu una sosta breve, giusto il tempo per i rifornimenti.
Le due donne ne approfittarono per sgranchirsi le gambe e darsi una rinfrescata.
Il malumore di Mel aveva contagiato Janice, erano appena partite e già erano insofferenti l'una nei confronti dell'altra.

Alexander stava assistendo alle ultime operazioni, mentre Janice ritornò per prima all'idrovolante.
<<Ehi sgorbio, si può sapere cosa vi prende a voi due? Non dire che è colpa delle mie manovre perché non sono mai stato tanto delicato>>.
Janice lo incenerì con lo sguardo e gli puntò addosso il dito minacciosa:
<<No, sono sicura che la colpa è di quella cazzo di boccaccia che ti ritrovi!>>
Con la coda dell'occhio Janice vide che Mel stava sopraggiungendo sul molo e subito salì sul velivolo.
Alexander scosse la testa, Janice era un caso senza speranza.
<<Tra quanto ripartiremo?>> gli chiese Melinda che nel frattempo gli si era avvicinata.
<<Meno di mezz'ora, stiamo facendo il più in fretta possibile>>.
La donna era evidentemente delusa.
<<Peccato, mi sarebbe piaciuto fare una passeggiata sulla spiaggia. Quest'isola sembra un paradiso.>>
Mel lasciò vagare lo sguardo lungo la costa e poi lo rivolse all'oceano che brillava sotto la forza del sole del primo pomeriggio. Anche se l'aria dell'Atlantico era fresca e piacevolmente salmastra, un brivido la percorse interamente facendo riaffiorare la stanchezza. Sarebbe potuta risalire sull'idrovolante e ripararsi dal vento, ma avrebbe dovuto interagire con Janice ed ancora non se la sentiva. La donna temporeggiò fino all'ultimo minuto, poi si accomodò sul suo scomodo sedile sorridendo flebilmente alla compagna, che ricambiò con un grugnito sommesso e riprese a fingere di dormire.

Per via di correnti d'aria particolarmente forti, il volo fino a Lisbona fu piuttosto turbolento, ma invece di contrariare maggiormente gli animi ebbe l'effetto di riavvicinarli.
Alexander si stava divertendo come un matto, pilotando tra gli insulti (giustificati) del suo secondo pilota che gli richiedeva maggiore rispetto e cura per il carico, per l'idrovolante e soprattutto per le loro vite.

Janice sembrava eccitata tanto quanto il suo scellerato amico, mentre Mel continuava a chiedersi cosa ci fosse di così divertente in una cosa così pericolosa, pericolosa al punto da mettere a rischio le loro vite.
Probabilmente Alexander era come Janice, per sentirsi vivo doveva giocare sull'orlo del baratro, godendo dell'adrenalina rilasciata dallo sfidare Forze molto più grandi di loro.
Mel dal canto suo, invece, pregava quelle stesse Forze di salvarla dalla loro follia. All'ennesimo vuoto d'aria, più della nausea prevalse la paura e Mel d'istinto strinse con tutte le sue forze la mano di Janice.

Occhi azzurro ghiaccio terrorizzati si specchiarono in occhi verdi colmi d'eccitazione; un ampio sorriso rassicurante e divertito si dipinse sul volto di Janice, che intrecciò le proprie dita a quelle che ancora erano avvinghiate alla sua mano. Il calore che salì dal quel gesto riuscì a tranquillizzare Melinda e non solo riguardo l'esito del volo, ma anche riguardo alle sciocche paranoie che l'avevano assalita nei confronti di Janice.

La sosta a Lisbona fu anche più breve della precedente, giusto il tempo di scaricare e caricare la merce per le diverse destinazioni.
Quando finalmente il loro volo si concluse a Marsiglia, Melinda ringraziò tutti gli Dei possibili ed immaginabili.

Il loro viaggio non era certo terminato, ma almeno avrebbero trascorso la notte in un letto. Alexander era riuscito, tramite alcune conoscenze all'idroscalo di Marsiglia, a procurare due biglietti per un volo (di linea questa volta!) che sarebbe partito solo l'indomani mattina per Ginevra.
Alexander si offrì di accompagnare le due donne all'albergo, aiutandole con i bagagli. Portando solo la valigia di Melinda in realtà ed accompagnandole ad un albergo di sua conoscenza dove, essendo Al un cliente abituale, avrebbero sicuramente trovato un posto sicuro, decente e ad un prezzo onesto in cui passare la notte.

Marsiglia, come la maggior parte delle grandi città europee, in quel periodo era ancora profondamente segnata dalla distruzione della guerra. Le ferite inflittele dai bombardamenti erano ancora ben evidenti sui palazzi, sui principali ponti e strutture urbane. Ma soprattutto il terrore della distruzione era ancora impresso negli occhi e sui corpi della gente.

<<Purtroppo la parte peggiore della guerra non è ancora finita - disse Al con amarezza, ma ritrovando subito il buon umore: -meglio per me! C'è un sacco di lavoro per gentaglia come noi, vero rospo?>> Al diede una pacca sulla spalla a Janice, mentre Mel li guardava scandalizzata.
Non era bello scherzare su cose del genere, la Seconda Guerra Mondiale era ufficialmente terminata su tutto il globo da meno di un anno e intere nazioni dovevano vedersela con la fame e la distruzione che il conflitto si era lasciato alle spalle. Se la lotta per la libertà era stata vinta, la lotta per la sopravvivenza ancora infuriava selvaggia.

Alexander accompagnò le ragazze dal gestore dell'albergo e le introdusse come "due mie amiche da trattare con riguardo" e, dopo aver scambiato altre due chiacchiere con l'anziano signore, un giovane fattorino dall'aria accaldata corse a prendere i bagagli delle due donne per portarli in camera.

I tre amici intanto uscirono in strada per i saluti.
<<Ragazze, voi capite che al rientro in America dovrò mentire sul vostro conto>>.
<<Sì, capisco. Hai commesso un atto illegale dandoci aiuto>>.
Al sorrise divertito, mostrando una schiera di denti bianchissimi e squadrando ancora una volta prima Janice e poi Melinda, indugiando maggiormente su quest'ultima e su alcuni punti di lei in particolare.

<<No, non è per quello, angelo. E' che... una trasvolata atlantica con due ragazze mozzafiato come voi... dovrò inventarmi qualche storiella piccante, ho una reputazione da difendere>>.
Mel divenne paonazza ed abbassò lo sguardo imbarazzata, Al ne approfittò per afferrarle una mano e chinarsi con enfatica galanteria a baciargliela.
<<E' stato davvero un piacere ed un onore volare con te, il mio Atlantic Clipper sarà sempre a tua disposizione.>>

<<Grazie, sei davvero gentile, anche per me è stato un piacere.>>
A quelle parole, Alexander, il quale ancora stringeva la mano di Melinda, se la portò al petto continuando a sorridere e incrociando lo sguardo azzurro di Mel.
<<Non credi sia ora di darci un taglio?>> disse Janice impaziente, con una punta di gelosia che non sfuggi all'amico.

Una scintilla perversa brillò negli occhi dell'aviatore, mentre il suo sorriso da cordiale divenne goliardico e, lasciando Melinda, all'improvviso afferrò Janice stringendola a sé con una tale forza da soffocarla e stritolarla. La piccola archeologa scomparve in quella massa di muscoli che l'avvolsero completamente e che la sollevarono da terra senza sforzo alcuno.
<<Non essere gelosa rospetto, lo sai che resti sempre la mia preferita!>>

Janice si divincolava e imprecava, ma i suoi improperi venivano attutiti quasi del tutto dal caloroso petto di Alexander; ogni sforzo fu inutile e Janice fu libera solo quando Al la lasciò andare.
<<Brutto scimmione bastardo! mi vuoi ammazzare?>>
Alexander scoppiò in una fragorosa risata: <<Ti voglio bene anch'io sgorbio!>>
Quindi si allontanò salutando con un braccio, mentre le due donne ricambiavano il saluto. Quando il pilota svoltò l'angolo le ragazze si guardarono divertite.
<<E' un tipo bizzarro, ma penso sia un brav’uomo>> asserì Mel.
<<Lo è, e più di una volta non so cosa avrei fatto senza il suo aiuto>> l'affetto che trasparì da quella frase pronunciata a mezza voce era profondo e sincero. Con suo stupore, Mel sentì come se uno spillo l’avesse improvvisamente punta al cuore.

Quell’intermezzo marsigliese fu quasi una vacanza per le due donne, il proprietario dell’albergo non fece mancare loro nulla.
Le archeologhe iniziarono con un aperitivo comodamente sedute ad uno dei tavolini in strada, osservando i colori caldi, ascoltando le arie francesi che provenivano dal grammofono di un’abitazione lì accanto, l’andirivieni dei passanti lungo la via. Il tutto sorseggiando pastis, il tipico aperitivo marsigliese a base di anice, offerto loro in abbondanza.

Davvero c’era stata una guerra? Sì, non c’era dubbio, ma la voglia di ricominciare a vivere delle persone sembrava aver ricacciato il demone della distruzione, o almeno così appariva alle due donne alla romantica luce del tramonto.
Melinda fu inizialmente restia a bere, visti i suoi disastrosi precedenti con l’alcool, ma la piacevole compagnia di Janice e il calore della città mediterranea, sciolsero le sue riserve.

Le donne brindarono esauste, scambiandosi uno sguardo complice. Non c’era bisogno di parole, tale era la loro intesa in quel momento. Essere insieme, in viaggio per un’avventura, lontane da tutto e da tutti, lontane dal mondo che le aveva rinnegate. In quello scenario da sogno, almeno per una notte potevano illudersi di essere due semplici amiche che si godevano una splendida vacanza.
La cena fu altrettanto deliziosa, anche se la gestione si scusava di poter offrire loro solo un piatto unico. Ma la bouillabaisse, la tradizionale zuppa di pesce, che fu servita loro era così buona che non aveva importanza se era un piatto povero e non c’era altro.

A quanto pareva, però, con grande soddisfazione di Janice, il vino non mancava, anche se già al secondo bicchiere Melinda la redarguì:
<<Non dovresti bere così tanto dopo gli eccessi degli ultimi tempi>>.
<<Un paio di bicchieri non mi faranno male… Anzi, facciamo un altro brindisi alla nostra impresa, che possa condurci al tesoro di Inanna!>>
Janice alzò il bicchiere, imitata da un’esitante Melinda <<Non stiamo cercando un tesoro>>.
Janice vuotò il bicchiere d’un fiato e lo depose pesantemente sul tavolo  <<E chi lo sa!>>.

Melinda bevve il suo vino a piccoli sorsi, poteva già sentire il calore dell’alcol che dallo stomaco si diffondeva a tutto il corpo fino alla testa, facendola sentire più sciolta e più audace.
<<Andiamo a fare una passeggiata>> propose Mel, l’aria fresca della sera ed il profumo del mare l’avrebbero aiutata a smaltire subito i fumi dell’alcol.
Janice notò lo sguardo un po’ lucido di Mel, ma non fece commenti.

Le due donne passeggiarono fianco a fianco, lentamente lungo il viale Canebière fino al Porto Vecchio. La città era animata e l’aria profumata di mare, piante aromatiche e di Storia.
Janice e Mel non poterono resistere dall’iniziare una conversazione di tipo archeologico trovandosi in un luogo la cui origine risaliva almeno al sesto secolo avanti cristo, ad opera di intrepidi marinai greci.

Lungo il porto le acque scure del mediterraneo facevano da rilassante sfondo alle loro dissertazioni, le stelle scintillavano nitide e la terra era un quieto profilo scuro alle loro spalle.
<<Grazie, Janice, per tutto questo>> Mel inspirò profondamente ed espirò lentamente rilasciando un gemito di piacere.

Janice delineò con lo sguardo il profilo di Mel nella penombra, il petto che si alzava ed abbassava vistosamente per assaporare più aria possibile, i lineamenti nobili e decisi del volto, le spalle fiere.
<<No, grazie a te.>>

Melinda si voltò per guardare Janice negli occhi e la piccola archeologa poté vedere un ampio sorriso stagliarsi nella penombra, insieme a due occhi scintillanti e magnetici che insistevano su di lei. Janice si sentì annegare in quell’intensità, resistette con tutte le sue forze per non lasciarsi trascinare a fondo, per non rispondere al richiamo di quella sirena.
Come era possibile che un solo sguardo di Melinda la rendesse così debole, così impacciata ed imbarazzata, come un’adolescente ai primi turbamenti?

Doveva andarsene da lì, dovevano tornare, lasciare quel posto così intimo e spezzare quell’atmosfera, o sarebbe stata Janice a spezzarsi.
Eppure non voleva essere altrove, se non lì da sola con lei.

Gli indugi le furono fatali. Lente ed inesorabili Janice vide le braccia di Mel allargarsi ed il suo corpo farsi più vicino ed infine avvolgerla in un caldo abbraccio. Il tormento e l’estasi.
<<Mi dispiace per come mi sono comportata durante il volo, scusa, non so cosa mi è preso>> disse Mel tra i capelli di Janice quasi piangendo.

L’alcool aveva amplificato ed accentuato le sue reazioni, o Alexander si era lasciato davvero sfuggire una parola di troppo?

Ma Janice non lo chiese, non le importava, non in quell’istante, non mentre godeva del pieno contatto con il corpo di Melinda ed il calore si faceva più intenso; come intenso era il suo profumo, l’aroma del corpo di Mel era il più pericoloso degli afrodisiaci, sembrava di respirare l’essenza della natura. Janice si sentiva in bilico sul baratro dell’oblio, ad ogni respiro il suo autocontrollo era messo a dura prova da scariche di piacere che dalla parte più animale di lei si diffondevano a tutto il corpo. Erano come fuoco nel sangue, erano come fulmini nei nervi e resistere era una dolorosa morte. Ma che altro poteva fare? Come avrebbe reagito un tipo così “per bene” e “normale” come Melinda, se Janice avesse assecondato l’ardore ed il desiderio dei propri istinti? Melinda avrebbe capito, o se ne sarebbe fuggita via inorridita? No! Janice non poteva sopportare di perderla di nuovo, meglio una vita intera di tormenti accanto a lei, che una vita senza di lei.

Con uno sforzo titanico, fisico e mentale, che parve lacerare ogni suo muscolo, Janice si sciolse dall’abbraccio <<Non preoccuparti, per me non è successo niente. Vieni, torniamo all’albergo.>>
Melinda aveva avvertito il cambiamento, appena l’aveva abbracciata l’amica era diventata rigida come una sbarra d’acciaio e il cuore di Mel aveva subito un altro colpo. Davvero per Janice i suoi abbracci erano così fastidiosi? Eppure per lei erano così appaganti, stringere Jan la faceva sentire al sicuro e la faceva sentire forte e… e… non sapeva come spiegarlo, ma si sentiva “su di giri”.

Poi, con quelle parole venne delusa di nuovo, per Janice “non era successo niente”, per Janice non contava niente. Sarebbe sempre stato così? Janice si sarebbe sempre mostrata indifferente al suo affetto, alla sua amicizia? Pazienza, meglio continuare a soffrire per la sua indifferenza avendola accanto, che vivere senza neanche sapere dove fosse, o se fosse viva o morta.
<<Sì, rientriamo.>>

<<Svegliati Janice, dobbiamo andare è tardissimo!>>
La voce di Mel giunse come un tuono alle orecchie di Janice che mugugnando si rotolava sotto le lenzuola. Non era più abituata ad alzarsi così presto, quando la luce del giorno era ancora solo il timido pallore dell’alba.
Melinda aveva già preparato tutto per la partenza, aveva già anche pagato il conto, l’unica cosa che ancora non era riuscita a mettere in ordine era proprio Janice.
D’improvviso le lenzuola volarono via grazie ad un deciso gesto di Mel, e l’aria fresca del mattino investì la piccola archeologa che istintivamente si rannicchiò raccogliendo le gambe lasciate nude dall’abbondante maglietta che Jan usava come pigiama.
<<…oh Mel, dobbiamo proprio prenderlo così presto il volo?>>
Ma ogni protesta fu inutile, aprendo faticosamente le palpebre Janice vide l’imponente figura di Mel stagliarsi davanti a lei a braccia conserte, perfettamente in ordine e già col cappellino in testa pronta ad uscire, che ticchettava un piede spazientita.
<<Niente storie, giù dal letto pelandrona!>>
Il tono di Mel era stato duro e profondo, per nulla arrabbiato, ma con qualcosa che Janice trovò sensuale; la donna aveva solo espresso con forza un ordine diretto e Janice con proprio grande stupore sentì quell’ordine in tutto il corpo come una scossa. Una piacevole scossa…
<<Ai tuoi ordini, padrona.>>

Il volo fino a Ginevra fu gradevole e si concluse senza scossoni.
La città era stupenda, il vento spazzava il cielo e scortava via delle grosse nubi che a tratti oscuravano il sole, ma quando i suoi raggi tornavano ad investire i palazzi, tutto sembrava essere ogni volta più luminoso.

Il treno per Losanna sarebbe partito nel giro di due ore, quindi le donne si poterono rilassare e passeggiare con calma.
Janice ne approfittò anche per fare una telefonata ed avvisare casa Von Herzel che le ospiti sarebbero arrivate nel pomeriggio.

Il viaggio in treno per Melinda fu davvero rilassante. Lo spettacolo delle Alpi ancora innevate, così bianche ed imponenti, del lago Lemano, in cui si specchiavano il cielo e grandi e sfilacciate nubi ribelli, e poi ancora le pareti rocciose a picco, o i prati di un verde così brillante da non sembrare vero, quello spettacolo meraviglioso che era la natura aiutarono Melinda a riaversi dalla stanchezza e dal torpore che il viaggio sembravano averle messo addosso.

Janice invece appariva irrequieta ogni momento di più. Irrequietezza che cercava di mascherare con sorrisi fugaci e tirati. Ma Mel non chiese spiegazioni, se Janice si stava sforzando di coprire il proprio disagio, allora la causa era una di quelle cose di cui a lei non avrebbe mai parlato.
Alla stazione di Losanna trovarono un’auto ad attenderle, un giovane ed attraente autista dagli splendidi capelli biondi prese i loro bagagli e li caricò sulla vettura, poi aprì loro gli sportelli, li richiuse e le condusse fuori città.

L’auto si inerpicò per un buon tratto su un versante in ombra, dove l’aria era ancora fredda e profumava di neve, il tramonto sarebbe arrivato presto e la temperatura iniziava a scendere rapidamente. Quando una pittoresca valle si aprì davanti a loro e tornarono alla luce del sole Melinda rimase sbalordita. Tutto era una distesa di verde, costellata da massi e lembi di neve non ancora disciolti. Mentre transitavano su un ponte in pietra, che con tre ampie arcate attraversava il torrente che incideva la valle, Janice indicò dal finestrino la loro meta.
Melinda rimase a bocca aperta: <<La tua amica vive in un castello?>>
Janice annuì sorridendo.

Non era un grande castello, piuttosto una residenza settecentesca di campagna, dall’architettura fine e slanciata, e dalle eleganti decorazioni.
L’auto attraversò i giardini e si fermò davanti ad un grande portone ad arco, dove ad attenderli c’era un maggiordomo, anch’egli giovane, alto, bello e con splendidi capelli biondi. Mel corrucciò la fronte per la stranezza. Probabilmente era il fratello dell’autista.

Le due donne furono subito accompagnate in un grande ed elegante atrio, nel quale, dalla scalinata che conduceva ai piani superiori, già stava scendendo la padrona di casa per ricevere le sue ospiti.
Quando Janice le aveva parlato della Professoressa Von Herzel, Melinda aveva pensato trattarsi della solita ricca eccentrica che aveva fatto dell'archeologia il proprio esotico passatempo. Ma appena Mel la vide comprese di essersene fatta un'idea sbagliata. Non che non fosse ricca ed eccentrica, ma Mel vide subito nello sguardo nocciola della donna la passione e l'entusiasmo.

A quanto le era stato raccontato, la professoressa Von Herzel, come loro, era stata a poco a poco espulsa dalla cerchia elitaria degli accademici in quanto donna, infatti dopo la morte del marito, anch'egli noto professore, le scuse più banali erano state avanzate per farla apparire sotto una cattiva luce prima e superflua poi, costringendola a ritirarsi.

Quella che si presentò davanti agli occhi di Melinda era una donna appena oltre i cinquanta, ma ancora decisamente avvenente, con lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, un sorriso luminoso e infantile che la portava ad arricciare il naso.
<<Melinda Pappas! Ho letto con interesse molti dei suoi lavori. Davvero brillanti!>>

La professoressa Von Herzel si era diretta con enfasi verso le sue ospiti ed aveva stretto la mano di Mel con entrambe le sue. Calorosamente, come se si trattasse di una vecchia amica.
<<Ci conosciamo?>> Melinda fu stupita e sorpresa di una tale accoglienza. Non le capitava spesso (in realtà non le era mai successo) di essere preceduta dalla propria fama e non da quella del padre.
<<Mia cara, non ci sono poi molte donne nel nostro settore. E mi piace tenermi informata anche sulle persone, non solo sui loro studi.>>

Durante tutta la presentazione tra Mel e Althea Janice era rimasta in disparte, con lo sguardo fisso al pavimento in marmo nero. Mel avvertì la sua tensione ed il suo imbarazzo e poté anche notare il sorriso di Althea estinguersi per un momento, mentre un ombra velò il suo sguardo.
L'atmosfera divenne quasi tesa.

<<Janice, - c'era un profondo dispiacere nella voce della donna - sono felice che tu stia bene>> Althea abbracciò la sua ex-allieva calorosamente, ma come se la stesse consolando e perdonando allo stesso tempo.
Janice ricambiò l'abbraccio, ma se ne divincolò appena possibile.
<<Grazie per aver accettato di aiutarci.>>
<<Figuratevi! Era quello che mi ci voleva, un po' di azione. Anzi, se non siete troppo stanche per il viaggio, potremmo subito accomodarci nella mia biblioteca. Così mi potrete spiegare nei dettagli di cosa si tratta.>>

Le due donne acconsentirono ed Althea battendo le mani due volte richiamò l'attenzione di due domestici che si precipitarono a prendere i bagagli delle archeologhe ed a condurli via.  Ovviamente i domestici erano giovani, alti, biondi e molto belli. Melinda lo trovò più che strano, non si vedevano altre donne nel castello oltre alla sua padrona.
<<Bene allora, da questa parte.>>

La padrona di casa le condusse su per l’ampia scalinata, lungo la quale non mancava la più classica collezione dei dipinti degli avi, fino al primo piano ed infondo ad un lungo e poco illuminato corridoio, spalancando l'ultima porta su una vastissima sala tappezzata di librerie, con un enorme camino ancora acceso lungo una delle pareti, mentre la luce entrava da tre alte finestre che si facevano spazio tra gli scaffali.

L'ambiente era caldo ed accogliente ed Althea invitò subito le sue ospiti ad accomodarsi su due delle quattro poltrone che attorniavano un basso tavolo rotondo al centro della stanza. Un luogo davvero confortevole e tranquillo per la lettura e lo studio, Mel ci si sentì subito a proprio agio.
Quando si furono accomodate, con un sorriso di sincera curiosità la bionda professoressa arrivò subito al punto:
<<Bene ragazze, a cosa state dando la caccia?>>
<<Sì, ecco noi staremmo cercando un oggetto trafugato>> Melinda estrasse dalla propria borsa il plico riguardante la statuetta votiva rubata e lo porse ad Althea. Il sorriso di quella donna era davvero disarmante, cordiale e tutt’altro che ingenuo.

Althea si mise un paio di piccoli occhiali rotondi ed iniziò a dare un'occhiata alle foto e alle relazioni.
<<Conosco questo reperto, ho già avuto modo di vederlo prima ad una mostra e poi in privato. Hans, il signor Zimmerwald, era amico di mio marito, ma anche noi abbiamo avuto modo di approfondire la nostra conoscenza... comunque... Insieme ad altri oggetti rituali, questa statuetta fu rinvenuta a Uruk, l'odierna Warka. Trovo davvero strano che queste informazioni non ci siano nella relazione del reperto.>>
<<Già, e qualcosa mi dice che non è un caso>> insinuò Janice.

Melinda avvertì qualcosa di strano nell'amica, Janice era comodamente seduta in poltrona, con le gambe distese ed i piedi incrociati, la schiena rilassata contro lo schienale, con un braccio appoggiato al bracciolo si sosteneva il mento nel palmo, mentre l'altro braccio era a penzoloni giù dall'altro bracciolo.

Era evidentemente di casa in quel luogo, ed in grande confidenza con la sua padrona, ma Mel sentiva che anche in quel luogo Janice era minacciata dalle misteriose ombre del suo passato.
Infatti, nonostante la rilassatezza del corpo, lo sguardo di Janice vagava continuamente in lungo ed in largo sulle pareti, le scrutava, come se stesse cercando qualcosa che doveva esserci, ma non c'era più.

<<Ma perché rubare una statuetta in pietra? Al di là del suo valore storico, non era uno degli oggetti più preziosi della collezione. Perché non rubare i monili?>>
Ogni volta che ci pensava Melinda non era in grado di darsi una spiegazione logica. Perché rubare quel reperto? Perché rubarne uno solo? Perché non rubarne uno davvero prezioso?
Janice parve leggerle nel pensiero e ribadì il proprio:
<<Perché i monili non nascondevano il segreto del tesoro di Inanna. Io credo che questo centri qualcosa.>>
<<Oh, Jan, ancora con questa storia del tesoro!>>

Althea iniziò a riflettere, cercando di ricordare qualcosa: <<Il tesoro di Inanna dite… Perché ho l'impressione che questa storia mi sia familiare?>>
Althea si alzò e andò alla sua scrivania, il ripiano era perfettamente ordinato, ma la quantità di carte e volumi che vi erano appoggiati sopra in attesa di essere studiati lo ricoprivano quasi completamente.

La donna iniziò a leggere alcune lettere, poi si rivolse alle sue ospiti:
<<Credo che presto potrò dirvi qualcosa di più, ma devo prima consultare alcune carte. Nel frattempo perché non vi riposate? Sarete stanche per il lungo viaggio. Vorrete anche rinfrescarvi. Ho una proposta: io ora farò una piccola ricerca, mentre voi potreste farvi un bel bagno rilassante, quindi ceneremo e in serata riprenderemo l'argomento>>

<<Io ci sto!>> Janice accettò molto volentieri la proposta. Un bagno caldo era proprio quello di cui aveva bisogno. Subito si alzò in piedi e si avviò all'uscita, ma aperta la pesante porta di legno si accorse che Mel non la seguiva.
<<Tu non vieni?>>

Melinda guardò Janice, poi il suo sguardo si rivolse ad Althea. La donna allora ricambiò lo sguardo di Mel e poi incrociò quello di Janice.
<<Sì, ma ti raggiungo tra breve, prima vorrei scambiare ancora un paio di informazioni con la professoressa>> la voce di Mel aveva avuto un tremito, stava per succedere qualcosa.
Ma forse era ora che accadesse.
<<Va bene, io inizio ad andare>> Janice si innervosì, ma uscì con calma e si richiuse la porta alle palle.

Nella stanza calò il silenzio, Althea era in attesa che l’archeologa dicesse qualcosa, Melinda invece già si pentiva della sua iniziativa. Con Alexander era stato semplice, lui era un uomo gioviale, estroverso e decisamente ben disposto nei confronti del gentil sesso. Parlare di Janice era stato naturale, ma con questa donna…

Janice gliene aveva parlato come di una persona importante nella sua vita, e sicuramente lo era, vista la loro confidenza. Ma questa donna sapeva che Janice era così disperata da tentare di uccidersi? Forse no, ma Mel avrebbe potuto comunque racimolare qualche informazione in più a riguardo, a costo anche di sembrare sciocca, o sfacciata. Per Janice questo ed altro, e non c’era tempo da perdere.

Mel sedeva irrequieta con le gambe giunte e le braccia appoggiate sulle ginocchia tormentandosi le mani, o sistemandosi gli occhiali, lisciandosi continuamente la gonna, ancora in preda dei dubbi sul da farsi, quando alla fine fu la stessa Althea ad aver pietà di lei.
<<Così Mel Pappas era tuo padre, - iniziò la professoressa,- so perfettamente quanto debba essere stato difficile farsi strada nel nostro ambiente.>>
Melinda sorrise ed annui. <<Sì…>> la sua voce era un lieve squittio.

La donna si alzò dalla scrivania ed andò a sedersi accanto a Mel. Sedutasi su un angolo della poltrona su cui poco prima si trovava Janice, la donna allungò una mano e la posò su quelle nervose di Melinda. Il calore e la comprensione che scaturirono da quel tocco fermo ma gentile, ebbero l’effetto calmante sperato. Melinda si rilassò ed alzò lo sguardo verso Althea.

Alla donna bastò solo un attimo per capire:
<<Ma è di un’altra archeologa e di un altro padre famoso  di cui vogliamo parlare qui, adesso, non è vero?>>
Melinda annuì con un timido cenno del capo e rivolse uno sguardo già velato di lacrime ad Althea.
<<Oh, mia cara, dimmi tutto. Dimmi cosa sta accadendo tra voi due e, se posso, sarò ben felice di aiutarvi.>> Althea strinse ancora più forte le mani di Mel.

<<Io vorrei solo sapere più cose su di lei, per poterla aiutare, per poterla salvare da sé stessa. Alle volte Janice riesce ad essere così autodistruttiva da spaventarmi. Ma non vuole raccontarmi nulla, è sempre così misteriosa riguardo la sua vita. Mi prenderà per una sciocca, suppongo>> concluse Mel con lo sguardo arrossato e sciogliendo le proprie mani da quelle di Althea per asciugarsi gli occhi e prendere un fazzoletto. Melinda provò una profonda vergogna, si era confidata ed aperta ad un’estranea che conosceva da meno di un’ora, ma non aveva resistito. Non sapere nulla della sua amica la stava uccidendo.

<<No mia cara, non penso affatto che tu sia sciocca, anzi, penso che per Janice sia un bene essere tornata da te.>>
“Tornata?” Quindi Althea sapeva che lei e Janice erano amiche da molto tempo. Questo aiutò Mel a calmarsi e la curiosità iniziava a riprendere il sopravvento sul dispiacere.
<<Lei conosce bene Janice, vero? Mi parli di lei, la prego. Mi dica perché si comporta in modo così strano negli ultimi tempi. Quando l’ho conosciuta era un tipo difficile, scalmanato ed introverso, ma non era di certo così cupa e sfuggente>>.
Althea sospirò e distolse lo sguardo divenuto triste da quello di Mel.

<<Sì, conosco molto bene Janice. La ragazza (donna dovrei dire ormai) ha vissuto qui durante i suoi studi. – Althea si alzò ed iniziò a raccontare camminando lentamente avanti ed indietro per la stanza – Quando Janice aveva diciotto anni, suo padre mi scrisse una lettera in cui mi chiedeva se potessi prendermi cura della ragazza. Conoscevo molto bene Henry, era anche lui un amico mio e di mio marito, e decisi di fargli questo favore. Non nego che l’idea di avere una pupilla mi piacesse molto ed era ora che Jan avesse accanto anche una figura femminile, visto che dopo la morte della madre aveva vissuto solo tra uomini, e non della miglior specie.>>
La donna sorrise nostalgica ricordando il passato e Mel iniziava ad intravedere uno spiraglio di luce verso le risposte che stava cercando.

<<Fu un periodo piuttosto turbolento, ma felice e ricco di soddisfazioni. Janice è sempre stata un maschiaccio ed un’attacca brighe e puoi immaginare anche tu come si trovasse nell’ambiente accademico. Due come noi si sono dovute abituare a sopportare le angherie maschiliste dei compagni di corso, ma Janice… beh non c’è bisogno che te lo dica. Non passava settimana senza almeno un paio di zuffe, perché se non la provocavano era lei a cercarsi i guai, credo che odiasse non essere accettata, ma che si divertisse comunque molto a menar le mani. Nonostante questo, però, era anche una studentessa brillante ed io ero assolutamente fiera di lei.>>

Melinda annuì e sorrise internamente, era proprio la sua Janice, l’incorreggibile Janice.
Poi il tono di Althea cambiò, ecco che l’alone di tristezza che l’aveva avvolta appena aveva rivisto la sua pupilla era tornato a dipingersi sul suo volto e ad intaccare la sua voce.

<<L’estate del suo primo soggiorno con la nostra famiglia credo sia il punto di partenza per quel che stai cercando. Come ogni estate, la mia nipotina Annika venne a trascorrere un mese di vacanza qui da noi.
Immagina che effetto abbia potuto avere una ragazza di diciotto anni come Janice, forte, intelligente, ribelle, indomita e bellissima, su una bambina di nove anni un po’ gracile ed insicura.
Annika ne rimase folgorata. Completamente ammaliata. Annika impazzì per Janice fin dal primo istante.>>

Melinda, che ascoltava in religioso silenzio, avvertì quella strana sensazione di disagio che le prendeva la bocca dello stomaco quando sentiva parlare di persone care a Janice, e che avevano avuto dall’archeologa più di quanto avesse avuto lei, ed intuiva che quello si sarebbe rivelato uno di quei casi.

<<La simpatia fu subito reciproca. Avere una sorellina fu per Janice un’esperienza nuova e gradita. Un persona che l’adorava, che la vedeva come una specie di eroina invincibile. Annika ebbe anche l’incredibile effetto di addolcire un poco il carattere di Janice. Vederle giocare insieme era bellissimo, le amavo come se fossero entrambe figlie mie ed in quel periodo fummo come una vera famiglia.
Poi accadde la tragedia. Al quarto anno di studi, quando Janice era quasi vicina ad ottenere la laurea, giunse la terribile notizia della morte di Henry. Janice ne fu letteralmente sconvolta. La ragazza amava profondamente il padre, nonostante la vita bizzarra che le aveva fatto condurre e la cattiva reputazione che si portava dietro. In preda al dolore, Janice raccolse in fretta tutte le sue cose e ci lasciò per prendere in mano il lavoro del padre. Non volle sentire ragioni, nessuno fu in grado di fermarla. Giurò di farla pagare ai responsabili della morte del padre e… non mi disse mai come andò a finire e nessuno è stato in grado di dirmi nulla. Come vedi non sei l’unica a cui Janice abbia nascosto qualcosa, cara Melinda.
Janice rimase lontana da noi a lungo, chiese il trasferimento e finì gli studi a Londra, le scrissi io stessa una lettera di raccomandazione e a nulla valsero le mie suppliche affinché ritornasse con noi.
Per Annika fu un duro colpo essere privata così bruscamente di quella che ormai era più di una sorella maggiore. A tredici anni penso che quella di Annika fosse una vera e propria infatuazione.>>

Mel avvertì di nuovo quella fitta, ma più pungente e mista a gelosia.
<<L’abbandono da parte di Janice lasciò in lei un tale vuoto che Annika colmò trasformandosi in una nuova piccola Janice. Il modo di vestire, di parlare, di vivere, tutto. Anche gli studi in archeologia.
Sembra impossibile, ma vedendo Annika, mi resi conto che Janice, in fondo, sapeva cosa stava facendo, aveva dei limiti nel suo essere esuberante ed anche una sorta di codice morale, come avrai notato anche tu nel periodo in cui avete lavorato insieme. Annika no. Annika non ha mai affrontato le difficoltà della vita che segnarono il cammino di Janice, e così non imparò mai cosa volesse dire “avere un limite”.>>

Althea fece una pausa, aveva girovagato per la biblioteca fino a quel momento, la luce del giorno si era quasi spenta del tutto, e le due donne erano ombre nella stanza. Althea tornò a sedersi accanto a Mel. La conclusione della storia stava per arrivare e dalla pena che aleggiava in quel luogo, Mel capì in anticipo che non c’era da aspettarsi un lieto fine.

<<Quando, dopo lo scandalo che vi travolse in Sudamerica, Janice decise finalmente di tornare a trovarci e rincontrò Annika, si scatenò un incendio. Fu come miscelare due esplosivi instabili. Janice era furente e gridava vendetta contro chi le aveva rovinato di nuovo la vita e Annika bruciava dal desiderio di buttarsi a capofitto nel mondo per sfogare la sua scelleratezza e brama di adrenalina.
Mi duole ammetterlo, ma nonostante tutto erano una coppia perfetta, troppo perfetta. Insieme erano affascinanti oltre ogni modo, così carismatiche e atipiche, che persino io ne rimasi ammaliata al punto da acconsentire ad Annika di seguire Janice nei suoi viaggi. Speravo che Janice potesse aiutare Annika, ma non mi ero resa conto di quanto anche Janice non fosse più la persona che avevo conosciuto. Non erano più le ragazzine che giocavano spensierate nel nostro giardino di casa.>> Althea fece una lunga e dolorosa pausa, Melinda era immobile ad attendere il finale della storia, ma Althea decise di fermarsi in quel punto.
<<Quello che accadde esattamente, però, credo spetti a Janice dirtelo. Io ti ho raccontato tutto quanto era di dominio pubblico, ma tradirei la fiducia di Janice se mi spingessi oltre. Vorrei solo che lei capisse che io l’ho perdonata per quanto è accaduto, ma più di ogni altra cosa vorrei che Janice perdonasse sé stessa per la morte di Annika. Perdere una nipote è già di per sé un dolore insopportabile, non voglio perdere anche lei ed è per questo che per me è un’immensa gioia che Janice sia tornata da te, cara Melinda. Appena ti ho vista ho capito che con te Janice è al sicuro da sé stessa.>>

Althea aveva ripreso le mani di Melinda tra le sue, stringendole in una supplica. Melinda accennò ad un sorriso tirato ed annuì col capo, poi si alzò, barcollando per un’improvvisa perdita di equilibrio e cercò di raggiungere l’uscita il più in fretta possibile. Era troppo. Aveva voluto sapere ed ora non era in grado di reggerlo.

<<Janice tiene molto alla tua opinione, - aggiunse Althea trattenendola ancora un istante -  è per questo che non ti ha mai detto nulla. Perché tu hai di Janice un’elevata considerazione, tu vedi e hai visto solo il meglio di Jan e non hai pregiudizi nei suoi confronti. Lei è terrorizzata all’idea che tu scopra la verità, perché teme di perderti. La fama che l’accompagna è del tutto meritata, Janice ha fatto cose terribile, ma io so che può diventare davvero una persona migliore.>>

Melinda lasciò la stanza, non poteva reggere oltre.
Passarono minuti interminabili prima che Melinda riuscisse a riprendere a pensare in modo sensato. Nella mente il racconto di Althea ed in suo passato con Janice si mescolavano e confondevano. Ora sapeva perché Janice si era quasi uccisa.

La donna, persa nel groviglio dei propri pensieri era passata dalla propria camera per prendere il necessario per il bagno, mentre l’ennesimo e silenzioso maggiordomo biondo si era offerto di guidarla fino al locale piscina.
La stanza era enorme e la vasca era proporzionata al locale. In quel quadrato d’acqua cristallina era immersa la figura rilassata di Janice, che Mel rimase per un po’ ad osservare dall’ingresso alle sue spalle.
Cosa le avrebbe detto? “Come” glielo avrebbe detto? Si poteva essere addolorati ed arrabbiati nello stesso momento? No, non era rabbia. Melinda era infastidita! L’idea che un tipo come Annika avesse fatto parte della vita di Janice la faceva sentire inadeguata. Lei e Janice erano due tipi agli antipodi, cosa poteva avere Melinda da offrirle?
Ma anche se la risposta fosse stata “niente”, lei glielo avrebbe donato comunque.

Era incredibile la silenziosità con cui sapeva muoversi, Janice non si accorse del sopraggiungere di Melinda fino a quando non vide un piede sfilare accanto a lei ed immergersi lentamente nell'acqua.
Janice rimase attonita e paralizzata, come ipnotizzata dal lento fluire nella vasca del corpo di Mel attraverso il pelo dell'acqua
Prima il piede, poi la caviglia e su, lungo chilometriche gambe perfette. Il polpaccio tonico, le rotondità di un bel ginocchio, e ancora una coscia bianca e liscia.
Janice credeva di aver smesso di respirare, invece realizzò in quel momento che il suo respiro era accelerato e sconnesso come il battito del suo cuore. Per un istante la vista le si sfuocò per il troppo fissare, ma cercò di recuperare immediatamente, non voleva perdersi un centimetro di quel corpo divino.

Janice deglutì dolorosamente pregustando quanto avrebbe visto di lì a poco...
Un asciugamano bianco!

Un tenero sorriso di delusione percorse il volto di Janice, avrebbe dovuto saperlo che Mel era troppo pudica per fare il bagno nuda con un'altra persona. Anche se si trattava di una donna come lei. Anche se, dovette ammettere Janice in aggiunta, in quel caso non aveva tutti i torti a volersi nascondere agli occhi di una donna non proprio come lei.

<<Althea mi ha detto di Annika>> Mel era ormai seduta accanto a lei, entrambe con la schiena appoggiata al bordo della vasca.
Quella frase fu l'inaspettato schiocco di dita che interruppe la piacevole ed onirica ipnosi di Janice, ricatapultandola alla realtà. Ad una terribile realtà.

<<Davvero?>> Janice divenne subito dura, al sicuro dietro il proprio scudo fatto di silenzi. Distogliendo repentinamente lo sguardo da Melinda aveva appoggiato indietro la testa sul bordo della vasca, mettendosi ad osservare il soffitto affrescato e cercando di mascherare il disagio in un cielo dipinto.
<<Sì, ma... vorrei che me ne parlassi tu. Vorrei che tu me ne volessi parlare.>>
Ancora quella nota di delusione nella voce di Melinda, quella nota rassegnata, ma dispiaciuta che trafiggeva il cuore di Janice e riaccendeva i suoi sensi di colpa.

Vigliaccamente, Janice fuggì di nuovo, con una spinta attraversò tutta la vasca uscendo dalla parte opposta, dove c'erano gli scalini che dal fondo arrivavano fino al bordo. Mel osservò il piccolo corpo armonioso dell'amica emergere dal calore dell'acqua e fumare disperdendo il vapore nell'aria. I lunghi capelli biondo rame incollati alla schiena grondavano rilasciando rivoli che le correvano sulla pelle accentuando ogni curva.

Era una figura magnifica, ma la vita le aveva lasciato addosso i suoi segni, molti lividi erano ancora ben evidenti su tutto il suo costato. Melinda non poteva vederla così, non sopportava di vedere le sue sofferenze, desiderava salvarla, desiderava proteggerla.
Non poteva lasciarla andare così.
In un batter d'occhio anche Melinda fu fuori dalla vasca, proprio alle spalle di Janice ed afferrandola per un braccio la costrinse a girarsi.

Janice fu sovrastata dalla mole di Melinda ed alzando lo sguardo vide due occhi azzurri intenti ad osservare giù verso di lei. Occhi che cercavano risposte, rispetto, considerazione; occhi che desideravano il suo... affetto?
Possibile?
<<Parlami Janice, ti prego. Non lasciarmi fuori.>>

 Janice non rispose, le due donne erano intente a fissarsi negli occhi, a cercare risposte. Erano così concentrate l’una sull’altra che il mondo attorno a loro era svanito.
Janice tracciò con lo sguardo i tratti del volto di Melinda, così forti, marcati, eppure armoniosi. Le ciglia folte, le sopracciglia ben delineate, la fronte liscia. Poi Janice fu rapita da una ciocca corvina, che bagnata aderiva prima al volto e poi si appoggiava alla base del collo, oltrepassando la clavicola e terminando a punta sulla curva del seno destro, come ad indicare la via che Janice moriva dalla voglia di percorrere, e non solo con gli occhi.

La necessità di riprendere fiato e calmarsi portò la piccola archeologa a trarre un profondo respiro. Il sollevarsi più accentuato del petto di Janice riportò l’attenzione di Melinda sulla sua nudità, mozzandole il respiro. A quel punto fu conscia del contatto con Janice e contrasse la mano sul suo braccio come a saggiare la realtà del momento.
Era incredibile, poteva sentire tutto anche solo da quell’unico punto di unione; il calore, il battito accelerato, la tensione. Solo aveva difficoltà a distinguere a chi delle due appartenessero quelle sensazioni.

Allora la mano di Melinda, ancora appoggiata al braccio di Janice, iniziò a muoversi. Lentamente. In cerca di risposte, in esplorazione di un tonico e liscio territorio, i cui fremiti riecheggiavano in Mel come un terremoto.
Janice sentì il delicato contatto infiammarla ancora di più. Le dita carezzevoli di Mel, delicate, ma per nulla incerte si inerpicarono sulla sua spalla e poi oltre, fino alla base del collo.
Un brivido corse lungo la schiena della piccola archeologa, sentì drizzarsi tutti peli del collo. Il suo corpo stava rispondendo interamente al contatto con Melinda. Ma la mano di Mel non si era mai fermata, il suo tocco era proseguito lungo un collo dai nervi tesi ed aveva terminato la sua corsa sulla mascella di Janice. Per un momento Jenice chiuse gli occhi e si abbandonò in quella mano accentuando il contatto. Poi avvertì la spinta, Mel la stava costringendo ad alzare di nuovo la testa e a guardarla negli occhi.

L'azzurro dell'iride di Melinda non era più di ghiaccio, era più intenso, più scuro. Le pupille erano dilatate e le palpebre socchiuse, lo sguardo trasognato, eppure concentrato su qualcos'altro. Poi lo sguardo di Melinda era sceso, aveva indugiato, ma ora era fermo sulle labbra di Janice, che inconsciamente le socchiuse e, per un riflesso incondizionato, anche le labbra di Mel si separarono.
Una stretta allo stomaco paralizzò Janice, mentre una scarica corse più in basso scuotendola di piacere.

I loro sguardi si incatenarono e persero l'uno nell'altro, come i loro respiri ormai affannati che in quella breve distanza si mischiavano prima di scivolare sulla pelle dell'altra sviluppando calore sulla superficie, come in una potente reazione chimica.
Janice si chiese se Melinda fosse in grado di avvertire la sua eccitazione. La donna si sentiva così oltre, così sull'orlo di esplodere che riteneva impossibile non accorgersi del suo stato.

Erano in attesa, in attesa che qualcuno parlasse, che qualcosa accadesse, ma ne Janice, ne Melinda ormai erano più sicure di quello che si aspettavano dovesse accadere.
Melinda era ancora china su di lei, le sue labbra erano ancora lì, e Janice lo colse come un invito, ma non appena accennò a colmare quella brevissima distanza la mano di Melinda tremò ed interruppe il contatto.

Melinda raddrizzò repentinamente la schiena, mentre un lampo di paura e vergogna le fece sbarrare gli occhi. Janice tornò a sentirsi nuda, aria fredda l'avvolse completamente raggelando gli ardori.
 
Andato.

Il momento era andato, il sogno che le aveva avvolte si era interrotto bruscamente.
<<Dopo cena vieni in camera mia, ti racconterò tutto>> concluse Janice afferrando finalmente un asciugamano con cui si avvolse il più rapidamente possibile prima di lasciare Melinda da sola nel locale.
La donna strinse nervosamente a pugno la mano che ancora bruciava per il calore del corpo di Janice e se la portò al petto. Un petto in cui c'era un cuore che non voleva saperne di smettere di martellare rumorosamente.
La forza del turbamento, di cui era stata preda poco prima, l'aveva spinta a...
Per poco lei e Janice...
Ancora pochi istanti e lei e Janice...
"Io e Janice, cosa?" No, Melinda non volle andare oltre con quel pensiero.

La cena iniziò in modo molto silenzioso, in un ampio salone illuminato da un grande lampadario di cristallo posto al centro della sala, proprio sopra il lungo tavolo, ad un capo del quale sedeva la padrona di casa e, l’una di fronte all’altra, le sue ospiti sedevano ai lati accanto a lei.
Althea, sentendo che stava accadendo qualcosa tra le due, non volle forzare subito la conversazione, meglio lasciare che prima un po’ di cibo e di vino rilassassero gli animi.

Mentre veniva servito il secondo, dell’anatra arrosto con patate e crauti, Althea finalmente rivelò ciò che aveva scoperto riguardo il mistero della statuetta scomparsa:
<<Ragazze ho delle buone notizie per voi riguardo la statuetta che state cercando.>>
<<Dice davvero?>> Mel non trattenne il proprio entusiasmo.

<<Sì, mia cara. Quando avete accennato ad un tesoro mi sono ricordata di una lettera che mi aveva scritto, circa sei mesi fa, un mio caro amico dagli scavi che gli iracheni, insieme agli inglesi, stanno conducendo nel sito di Abu Shahereyn, dove è stata identificata l’antica città di Eridu. Mi scrisse per informarmi che erano stati trovati dei reperti riguardanti la dea Inanna. Sapete, – disse più confidenzialmente la donna abbassando la voce con una scherzosa aria di complotto – potranno anche avermi allontanata dall’Università, ma non mi hanno certo allontanata dall’archeologia e… da tutti i miei contatti… Comunque, – riprese in tono schietto ed eccitato – questo mio amico nella lettera parlava di una statuetta votiva della dea, statuetta che in realtà era una chiave per accedere alle stanze dell’ “oro di Inanna”.>>

<<Ma non può essere la nostra statuetta, quel reperto appartiene al Signor Zimmerwald da anni>> protestò Mel delusa.
<<Già, lo so bene, ma non era questa la parte interessante della lettera. Il fatto curioso è un altro. Non è stata ritrovata solo la statuetta, ma anche il tempio dedicato alla dea da cui sicuramente quella statuetta deriva, e l’anticamera d’ingresso alla stanza del tesoro, solo che…>>
Entrambe le ragazze si sporsero contemporaneamente sul tavolo verso Althea, incuriosite.

<<Solo che…?>> dissero in coro non stando più nella pelle dalla voglia di sapere.
<<E’ solo che per sapere esattamente dove si trovi la camera del tesoro è necessaria un’altra statuetta della dea.>>
<<La nostra statuetta!>> dedusse Mel.
<<Visto, cosa ti avevo detto? Un tesoro!>> Janice picchiò un pugno sul tavolo con gli occhi scintillanti di esaltazione che scambiarono lampi d’intesa con quelli di Melinda, la quale involontariamente arrossì ed interruppe il contatto.

Ma che diavolo le era preso? Lo sguardo elettrico di Janice le aveva dato quella stessa stretta allo stomaco che aveva provato alla piscina e, come se non bastasse, l’immagine della sua pelle nuda e bagnata si era per un attimo sovrapposta a quella che aveva di fronte.

Ad Althea non sfuggirono quelle occhiate e seppe di non essersi sbagliata sul conto della sua pupilla e della sua compagna.

<<Questo però non ci aiuta a scoprire chi ha rubato la statuetta…>> Mel si scosse e cercò di riprendersi, concentrandosi sul vero motivo per cui erano arrivate fino a lì.
<<Forse, ma ci dice con precisione dove si sta dirigendo la nostra cara Inanna>> Janice ne era sicura, non potevano sbagliarsi.
<<Sì, sono d’accordo con te Janice, e quando troverete la statua, sono sicura che troverete anche il ladro. Purtroppo sospetto che se qualcuno ha sottratto Inanna non per venderla, ma per riportarla in quel tempio, allora il ladro non può che essere…>>
<<…uno di noi, un archeologo>> Janice concluse il ragionamento amareggiato di Althea.

Mel era ancora silenziosa, c’era qualcosa, qualcosa che le sfuggiva, un dettaglio che sapeva essere importante ma che non riusciva a ricordare.
<<Comunque, io proporrei un brindisi! Almeno non siamo arrivate fino a qui per niente>> propose Janice, mentre già rabboccava i calici alle sue commensali.

Janice ed Althea alzarono i calici, imitate meccanicamente da Mel ancora pensierosa. Ma quando, scontrandosi, i bicchieri tintinnarono, improvvisamente ci fu un lampo. Una visione. Il ricordo di un altro brindisi, ad una festa, la festa dopo la quale c’era stato quell’episodio con…
<<Frank Wollen!>>
<<Chi?>>
<<Come, cara?>>
<<Frank Wollen, un mio collega del museo, quel viscido verme, ecco a cosa era dovuto tutto il suo interessamento nei miei confronti! – Melinda aveva alzato la voce, acuta per il nervoso e lo sdegno, lasciando a bocca aperta le altre due donne, che aspettavano Melinda chiarisse il suo sfogo – Frank, e io che pensavo volesse essere gentile (anche se poi ho capito che non lo era affatto), mi ha offerto subito la sua amicizia appena ho iniziato a lavorare al museo, si interessava al mio lavoro e mi ha aiutata molto con la mostra. Lui sapeva tutto di quella mostra, anche quando e come sarebbero stati spostati i pezzi!>>

Ancora non proprio sicure di aver capito quanto Mel stesse insinuando, le altre donne la incitarono a continuare.
<<Penso che molte persone avessero quelle informazioni. In molti ci si occupa di un allestimento>> fu il commento di Althea.
<<Già, che ha di particolare questo tizio?>>

Mel divenne rossa di rabbia e di imbarazzo pensando a quanto era accaduto con Frank.
<<Ricordo che ad una festa si era vantato di essere in procinto di iniziare una collaborazione con un gruppo di inglesi, e non inglesi qualunque. Archeologi, a questo punto suppongo davvero di dubbia fama, impegnati in scavi supervisionati dal Professor Seton Lloyd.>>
Janice sgranò gli occhi stupita <<”Quel” Seton Lloyd? L’attuale Consulente Archeologico al Ministero per le Antichità in Iraq?>>.
Mel annuì.

<<Frank una volta disse anche che non sarebbe stato presente all’inaugurazione della mostra, perché per quel periodo sarebbe già stato a “giocare con sabbia e paletta” e che gli dispiaceva perché alle feste, dopo un bicchiere io…>> la voce di Mel divenne stridula e se era possibile diventare ancora più rossi, Mel lo fece, la punta delle sue orecchie era viola dalla vergogna, abbassando il capo e sistemandosi nervosamente gli occhiali.

<<Sono sicura che Seton è allo scuro di tutto questo, l’archeologia è la sua vita. Se sta accadendo qualcosa di losco nei suoi scavi, se sciacalli senza scrupoli si sono intrufolati nel suo gruppo, sarà bene che io lo avverta>>.
<<Non me lo dire, conosci anche lui?>> chiese Janice incredula.
Althea le restituì un sorriso di ironica superiorità e poi riprese con maggiore decisione:
<<Bene, direi che ora, se tutte le nostre deduzioni sono state corrette, abbiamo un quadro molto preciso della situazione. Un  luogo, un nome ed un unico obbiettivo>>.

A Mel parve impossibile, solo pochi giorni prima si annoiava tra il suo appartamento ed un lavoro poco gratificante al museo ed ora, invece, non solo si era catapultata in Europa, ma stava per:
<<Andare in Iraq, dare la caccia a Frank Wollen e salvare Inanna>>.
<<Esatto! Quindi non ci resta che una cosa da fare>> decretò Althea con un broncio pensieroso, ma convinto.
<<Cosa?>>
<<Torta Sacher e poi a letto!>>

Un leggero tocco sulla porta avvisò Janice dell'arrivo di Mel. La ragazza bevve d'un fiato il suo liquore alle erbe e trasse un profondo respiro "Ci siamo!"
<<Avanti.>>

Mel entrò con cautela, come se l'invasione dello spazio personale di Janice fosse il preludio all'invasione del suo spazio emotivo.
<<Vieni, vieni, ti stavo aspettando, accomodati pure dove vuoi>> Janice indicò la sedia alla scrivania e la poltrona, ma il suo gesto si fermò prima di includere anche il letto.

Mel si avvicinò alla scrivania, accanto alla quale c'era anche Janice, che si stava occupando di una teiera fumante.
<<E' una tisana alle erbe, raccolte proprio su queste montagne, ho pensato che potesse farti piacere. Ne vuoi un po'?>>
Mel fece un cenno d'assenso. Tutto d'un tratto sentiva che le parole non trovavano la via per uscire. La tensione era diventata immediatamente palpabile.

Mentre versava il liquido bollente, Janice alzò lo sguardo verso l'amica con imbarazzo.
"Diavolo" pensò "se iniziamo così non andremo da nessuna parte!"
Quando ebbe servito la donna, Janice si allontanò e si sedette sul bordo del proprio letto guardando Mel che si accomodava sulla sedia accavallando le gambe.

La veste da camera di Mel era aperta ed il gesto fece sollevare fino al ginocchio la bianca camicia da notte. Inconsciamente Janice si lasciò catturare dalla visione, soffermandosi su quella vista più del dovuto e, quando rialzò lo sguardo, due intensi occhi blu la scrutavano di rimando al di sopra del bordo della tazza da cui Mel stava bevendo.

Janice distolse subito lo sguardo per la vergogna di essere stata colta in flagrante a fissare l’amica e per riprendere il controllo della situazione, d’istinto passò subito all’attacco:
<<Oggi in piscina hai fatto un nome, Annika. Perché Althea te ne ha parlato?>>

Ecco che di nuovo da indagatrice diventava indagata. Ogni volta che Melinda si rivolgeva direttamente a Janice per sapere di lei, finiva invece che fosse Janice ad ottenere rivelazioni da Melinda. E spesso risultavano essere delle rivelazioni anche per Melinda stessa.
<<Cosa vuoi sapere?>> Janice si morse un labbro, non voleva essere così aggressiva, ma le capitava sempre quando stava per mettersi sulla difensiva. Ma doveva stare calma, aveva promesso a Mel che avrebbero parlato.
L'amica meritava di sapere, certo, ma come non temere le conseguenze?

Melinda si sentì attaccata e lo sguardo severo di Janice paralizzarono lei ed i suoi intenti, ma solo per un attimo. Nello sguardo di Janice c’era dell’altro. Molto altro.
Il verde dei suoi occhi era scuro ed opaco di dolore. Un dolore vivo che Mel voleva lenire a tutti i costi.
<<Cosa ti è successo da quando ci siamo separate e come è coinvolta questa Annika di cui Althea mi ha parlato?>>  il tono di Mel era profondo e sincero come il suo sguardo, che con calma e forza sosteneva quello di Janice, la quale trovò in quella forza il coraggio di aprirsi.

<<Quando ci siamo divise sono tornata qui a Losanna ed ho ritrovato Annika, lei era...>>
<<La nipote di Althea, sì, di questo sono già al corrente. Cosa è successo una volta che siete partite... insieme>> quell'ultima parola suonò metallica anche alle orecchie di Mel.
Janice corrugò la fronte e sentì la propria mascella serrarsi involontariamente, di scatto si alzò ed iniziò a vagare per la stanza. Parlare le riusciva meglio se aveva la possibilità di muoversi, era un vizio che aveva preso da Althea.

Passarono alcuni istanti, Melinda attese paziente terminando la propria tisana e riponendo la tazza sulla scrivania per dedicare tutta la propria attenzione all'amica. Infine, Janice esalò un profondo respiro ed iniziò a raccontare:

<<Quando ti lasciai e tornai qui a Losanna, ero furiosa! La mia vita era stata rovinata di nuovo, volevo ricominciare da zero e lasciarmi tutto alle spalle. E lo feci, ma non riuscii a lasciarmi indietro la collera, ero... ero… -Janice sospirò profondamente lasciando cadere le spalle e scuotendo il capo abbassato- Non lo so ero…>>.
<<Arrabbiata col mondo?>> suggerì Melinda.
Janice le sorrise flebilmente.

<<Sì, credo di sì. Arrabbiata ed affamata. Ed Annika era così bruciante di passione, così desiderosa di vivere la vita con quella foga e irruenza tipica della gioventù, che non potemmo fare a meno di trovarci in piena sintonia. Partimmo convinte che avremmo avuto il mondo ai nostri piedi. E in un primo momento fu proprio così, qualsiasi cosa volessimo ce la prendevamo, in qualsiasi luogo volessimo andare, eravamo là. L’archeologia era diventata solo una scusa per avventure scellerate, ma non durò a lungo. Presto diventammo invise a troppe persone. Persone senza scrupoli, che quando si videro sottrarre da sotto il naso la loro scoperta, non esitarono ad utilizzare qualsiasi mezzo per tentare di riprendersi ciò che ritenevano essere loro>>.

<<Spiegati meglio>> la sollecitò gentilmente Melinda. Janice si fermò dal suo peregrinare nella stanza ed annuì, consapevole di stare solo girando attorno alla questione.
<<Eravamo in Marocco e, tra un affaruccio e l’altro, venimmo in contatto con una spedizione di contrabbandieri assoldati da un magnate francese per mettersi sulle tracce di una guarnigione della Legione Straniera scomparsa misteriosamente un anno prima. Stando alle informazioni che circolavano, quella guarnigione aveva ritrovato nel deserto le rovine di un villaggio e tra i vari reperti di cui si erano appropriati vi erano anche delle pergamene molto preziose. Una sera, ad un café, i ragazzi stavano festeggiando la riuscita del recupero dei resti della guarnigione e noi ci unimmo a loro per far baldoria. Ma, durante una partita a carte che stavamo giocando, ci fu un po’ di maretta tra noi e contrabbandieri per questione di soldi>>.

<<Maretta, eh?>> Mel alzò un sopracciglio, conoscendo Janice, sospettò che quello fosse un eufemismo, ed infatti:
<<Beh, ecco, avevamo bevuto un po’ tutti e la diatriba si trasformò in una rissa dalla quale uscimmo un po’ ammaccate. Questo bastò a farci decidere di fargliela pagare>>.
<<E gli avete sottratto le pergamene>> dedusse l’altra donna.
<<Già, e quello fu la causa di tutto>> confermò Janice, mentre il rimorso le attanagliava lo stomaco al ricordo di quei giorni.

<<L’armatore francese che aveva finanziato la spedizione dei contrabbandieri, disse loro che non li avrebbe pagati fino a quando non avesse riavuto le pergamene. Così quegli uomini iniziarono a darci la caccia. Ci raggiunsero quando stavamo per lasciare l’Africa da Tangeri. Eravamo già all’aeroporto con un bimotore in pista pronto al decollo che ci aspettava, ma… ormai era troppo tardi>> la voce di Janice era rotta dal dolore, a fatica era riuscita a pronunciare le ultime parole ed ora in suo sguardo era abbassato e perso nel vuoto.

No, non poteva lasciarle finire così il discorso, non ora che era così vicina a scoprire l’accaduto!
Mel si fece forza e spronò di nuovo l’amica, anche se sapeva quanto parlarne la stesse facendo soffrire.

<<Come è successo? Com'è... morta?>> l'ultima parola fu poco meno di un sussurro nervoso.
<<Per colpa mia>> con uno scatto improvviso ed inaspettato, Jenice fissò per un istante l’amica dritta negli occhi, per saggiare la reazione alle sue parole. Mel rimase pietrificata, trafitta da quelle parole e dalla durezza di quello sguardo che la fece smettere di respirare. Poi la piccola archeologa si diresse al comodino accanto al letto e prese un oggetto da uno dei cassetti.

<<La vedi questa? – Janice mostrò a Mel la Luger che ormai teneva sempre al suo fianco - E’ l’arma che le ho regalato io. E' l'arma che l'ha uccisa>>.
Seguì una pausa interminabile e dolorosa, durante il quale gli occhi di Janice si colmarono di lacrime.

<<Stavamo attraversando di corsa la pista per raggiungere l’aereo, quando in tre, su una jeep ci tagliarono la strada frapponendosi tra noi ed il bimotore. Ci avevano sotto tiro, non potevamo fare più nulla ed io e Annika alzammo le braccia per trattare la resa e consegnare la merce. Uno degli uomini venne verso di noi intimandoci di gettare le nostre armi a terra, io avevo il mio revolver e la frusta, Annika la Luger ed un coltello. Obbedimmo. Poi sempre lo stesso uomo ordinò ad Annika di gettare il borsone con le pergamene, ma Annika lo volle sfidare dicendogli che sarebbe dovuto venire a prendersele da solo.
Accadde tutto in pochissimi istanti, l’uomo stava per ordinare agli altri due si sparare, ma fu preceduto da Alexander. Lui era il nostro pilota anche in quell’occasione, l’unico a disposto a venire a toglierci sempre dai guai.
Quando Alexander sparò agli uomini sulla jeep, io ed Annika approfittammo del diversivo per occuparci dell’uomo di fronte a noi. Con un calcio io riuscii a disarmarlo ed Annika gli si avventò subito contro.
Alexander ci urlò di fare presto, altri uomini stavano arrivando sui loro mezzi.
Raccolsi il borsone e presa Annika per un braccio la trascinai via, mentre ancora sputava insulti all’uomo che stava malmenando. La corsa verso il bimotore fu febbrile, ma quando ancora eravamo ad una ventina di metri dall’obbiettivo l’uomo, ripresosi, raccolse la prima arma che gli capitò a tiro (questa Luger) e sparò. Il proiettile raggiunse Annika alla schiena. Più che vederla, mentre correvo davanti a lei la sentii vacillare. Subito mi fermai e tornai verso di lei per aiutarla. Ricordo perfettamente il suo corpo riverso al suolo, faccia a terra, col sangue che le imbrattava la schiena. Ero già inginocchiata accanto a lei e l’avevo girata, quando i nuovi arrivati aprirono il fuoco. In quel momento, però, non mi importava, l’unica cosa a cui pensavo era Annika. Il proiettile l’aveva trapassata, il sangue le sgorgava anche dal petto, impregnando la camicia. Ero in preda al panico, non sapevo cosa fare. Iniziai a tamponare la ferita a mani nude. Ricordo un caos di urla, spari, grida. Le mie disperate verso Annika, quelle dei nostri inseguitori e quelle di Alexander verso di me.
Alla fine Alexander mi sollevò di peso e mi mise sul bimotore portandomi via. Sarei dovuta morire anch’io con lei>> concluse Janice.

<<Non dirlo nemmeno per scherzo!>> la sgridò subito Mel scandalizzata. Ormai aveva chiaro in mente il perché l’amica avesse cercato di autodistruggersi. Janice era divorata dai sensi di colpa.

<<E questa è l’unica cosa che mi resta di lei>> Janice gettò la pistola sul letto come se scottasse.
Mel guardò quel terribile oggetto e poi fu colta da un terribile dubbio:
<<Janice… come fai ad avere ancora tu quella pistola?>>
Gli occhi della bionda archeologa furono attraversati da un lampo di diabolica ferocia, che si trasmise anche al ghigno di dolorosa vendetta sulle sue labbra: <<Perché, poche settimane più tardi, me la sono andata a riprendere>>.

Nella stanza cadde un silenzio pesante. Il tempo si era fermato con i loro respiri.
Janice attese col cuore in gola che Melinda dicesse qualcosa, ma Mel non la stava più nemmeno guardando. E se la verità avesse avuto su Melinda gli effetti che Janice aveva da sempre temuto?
La piccola archeologa non riuscì a fermare le lacrime e voltò le spalle all’amica per la vergogna.

Mel si sentì ancora una volta inadeguata e non all’altezza della situazione, aveva pensato di poter aiutare l’amica, di poterla salvare. Ora, invece non sapeva cosa dire e neppure cosa fare. Allora si lasciò guidare da quell’incontenibile desiderio che sempre aveva di sentire stretta a sé l’amica quando le emozioni avevano la meglio sulle parole.

Melinda abbracciò Janice alle spalle, calorosamente, cullando il suo dolore.
Ancora una volta Janice fu avvolta nelle maglie di quella sublime tortura.

Melinda l'abbracciava stretta, trasmettendole caldo conforto e sicurezza. Janice avrebbe potuto sentirsi in pace con il mondo e con sé stessa, se non fosse stato per tutte quelle altre emozioni che il corpo di Mel così vicino al suo le provocava. Ed era più forte di lei, non poteva trattenersi.
Janice non poteva fare a meno di essere conscia della morbida pressione del seno di Melinda contro le sue spalle, di quelle lunghe e candide braccia avvolte attorno al suo torace, del respiro di Mel tra i suoi capelli, dell’aroma inebriante del suo corpo.

Ancora una volta Melinda era lì, a portata di mano, eppure inaccessibile. Janice chiuse gli occhi e concentrandosi sul corpo alle sue spalle, non potendolo toccare cercò di richiamarne alla mente ogni forma, immaginando come potesse essere al tatto. Sicuramente liscio e morbido in superficie, ma con muscoli sodi e guizzanti sotto la pelle, pronti a reagire con ardore al tocco di un'amante.

Mel stava osservando la specchiera davanti a loro, che restituiva la loro immagine stretta in un tenero abbraccio. Janice aveva gli occhi chiusi ed un'espressione profondamente concentrata, come se stesse espandendo tutti i suoi altri sensi. Continuando a guardare l'amica, Mel si rese conto che Janice era concentrata su una delle sue mani. Come se quella mano fosse divenuto l'unico ricettore della bionda archeologa sul mondo esterno. No, non sul mondo, su di lei!

L’arto di Janice era tremante e nervoso mentre si spingeva all’indietro verso la coscia di Melinda. La mano dell’amica non arrivò mai a contatto con lei, ma a Mel parve di sentirlo davvero quel tocco e ne ebbe un fremito, riuscendo chiaramente ad avvertirne il desiderio. E dove la mano di Janice lottava per non ultimare il suo gesto, la pelle della mora archeologa era comunque in fiamme.
Poi la mano di Janice, tremò più nervosamente e si chiuse a pungo, come in preda ad un doloroso crampo e si ritrasse. Melinda vide un’espressione di rassegnata sofferenza sul volto dell’amica, che sospirò rilassando l’intero corpo.
Melinda sentì una stretta di panico alla bocca dello stomaco e priva del coraggio per sostenere quel momento di intima rivelazione, la donna se ne andò.

Fu così improvviso che Janice rimase completamente spiazzata. Quando aveva riaperto gli occhi si era ritrovata da sola nella propria stanza.
Non se lo era sognato, Mel l'aveva abbracciata. Sentiva ancora tutto suo il calore protettivo avvolgerla. E poi… che diavolo era successo? Perché Mel aveva sciolto così improvvisamente l'abbraccio ed era corsa via dalla stanza senza dire una parola, senza neppure guardarla in faccia?
<<Adesso sono io che avrei un paio di domande da farti>> disse Janice incredula, in mezzo alla stanza vuota, mentre il terrore che Mel ora potesse disprezzarla per il suo passato le fece gelare il sangue nelle vene.

Quando Mel fu finalmente nella propria stanza, rimase a lungo appoggiata alla porta chiusa alle sue spalle. Come aveva fatto a fraintendere ogni situazione, ogni sguardo, ogni sorriso, ogni tocco?
Se Janice fosse stata un uomo, non avrebbe avuto alcun dubbio. Le galanterie, le gelosie.
La donna era sopraffatta da una verità che aveva sempre avuto sotto gli occhi e verso la quale era stata completamente cieca!
“Janice mi ama!”

Passò parecchio tempo prima che le due donne riuscissero finalmente a rilassarsi ed a prendere sonno. Troppe ed eccitanti le rivelazioni di un unico giorno, dure ed impegnative le conseguenze da affrontare l’indomani.

Sapendo con esattezza quale sarebbe stata la loro meta definitiva, le due giovani archeologhe si erano concesse un lungo sonno ristoratore per riaversi dall’improvvisato viaggio New York-Losanna ed essere in forze per raggiungere la nuova meta.
Infatti riposarono per tutta la mattina, lasciando che Althea si occupasse dei preparativi per il loro nuovo viaggio: Losanna-Nassiriya. La donna non aveva lasciato loro scelta, aveva insistito (ordinato più che altro) affinché le permettessero di fare qualcosa di più per aiutarle nella loro missione.

Le conoscenze di Althea avevano fatto sì che tutto fosse pronto per il primo pomeriggio e le ragazze, entusiaste di buttarsi in un’avventura dagli esiti più certi, non persero tempo e partirono subito.
<<Grazie di tutto, zia>> disse Janice abbracciando una stupita e commossa Althea, che non si sentiva più chiamare così da quando la ragazza era studente.
L’abbraccio fu caloroso, molta della tensione che anche Mel aveva avvertito quando si erano riviste era svanita, ora sembrava esser rimasto solo il dolore. Dolore da condividere e sopportare di nuovo insieme. Non era molto, ma almeno era l’inizio per la guarigione di una profonda ferita che affliggeva un’intera famiglia.

Mel sentì un groppo alla gola e la commozione pungerle gli occhi, ma si trattenne. E fu un enorme sforzo, soprattutto quando Althea, sciolto l’abbraccio con la sua pupilla, l’avvolse tra le sue braccia con una forza ed un affetto sincero che non sentiva da tanto tempo.
<<Grazie, grazie, cara – le stava sussurrando all’orecchio la donna. - Finché la mia Janice sarà con te, io sarò tranquilla. Saprò che è al sicuro dalla sua testa matta. Quindi, grazie, grazie, grazie!>> L’abbraccio di Althea era diventato soffocante, poi improvvisamente Althea scostò Mel da sé e la guardò dritta negli occhi con gratitudine. <<E se dovessi aver bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, chiedi pure. Ormai sei della famiglia anche tu>> e con la stessa foga la donna lasciò schioccare due sonori baci sulle guance arrossate di imbarazzo della mora archeologa.

Janice roteò gli occhi insofferente a tutte quelle smancerie e prendendo di scatto il suo borsone da viaggio guadagnò rapidamente la porta principale.
<<Per favore Althea, lasciaci andare, o faremo tardi>>.
Althea lasciò Melinda e si portò un fazzoletto al naso, mentre gli occhi le si facevano umidi, ed accompagnò le donne fino all’auto che le aspettava nel cortile, davanti alla porta d’ingresso.
Mentre l’auto si allontanava dal palazzo, Althea augurò alle sue giovani amiche di poter trovare il vero tesoro celato nel loro viaggio.

 

Fine seconda parte

 

 




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