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DISCLAMER: I personaggi di Janice, Melinda, Xena, ed alcuni che possono “vagamente” ricordare Ares, Aphrodite ed Eli, sono copyright della MCA/Universal Renassiance Pictures. I personaggi sono stati utilizzati senza il consenso degli autori, ma si tratta solo di una fan-fiction, fatta per divertimento e per rendere omaggio a quegli splendidi personaggi, il che significa: non c’è alcun fine di lucro. EPISODIO DI RIFERIMENTO: Xena e le antiche pergamene (The Xena Scrolls) – Stagione 2, Episodio 10. RIFERIMENTI STORICI: ho cercato di fare del mio meglio per non incappare in errori storici, ma se ne trovate fatemi sapere. Gli unici personaggi storici reali citati sono Rita Hayworth e Seton Lloyd, ai quali va tutto il mio rispetto e spero nessuno si senta offeso dal vederli citati in questo contesto (di nuovo, se qualcuno ha qualcosa da dire, beh, me lo dica pure). DISCLAMER: …per questo vi rimando alla prima parte, ricordo solo che non detengo alcun diritto e che si tratta solo di una fan-fiction, fatta per divertimento e senza fini di lucro. Per qualsiasi commento (sempre bene accetti), nota, o altro, potete scrivermi all’indirizzo email:
CHI RITROVA UN'AMICA, TROVA UN TESORO di LESTA MANCINA
PARTE II <<Ecco, guardati! Mio dio, sei bellissima!>> Nonostante la guerra fosse finita, non era facile trovare due biglietti per il vecchio continente e che fossero a buon mercato, ma soprattutto Janice voleva evitare le vie ufficiali e tramite delle sue conoscenze aveva trovato due posti su un idrovolante, che sarebbe partito appunto quel giorno. Quando Janice aveva esposto i propri problemi nel farsi vedere in pubblico a Melinda, gli occhi della donna avevano scintillato di diabolici e maliziosi lampi azzurri e le aveva pregato di lasciare fare a lei; Janice, viste le suppliche, non aveva avuto il coraggio di dire di no e quello era il risultato. Janice si rigirava a disagio in quella longuette aderente, con spacco posteriore; la vita alta della gonna le segnava i fianchi e il vitino sottile, mentre il corsetto sotto la camicetta bianca le facevano risaltare il seno in modo molto evidente. Mel, con un sorriso colmo di soddisfazione per il proprio operato, le sistemò meglio le spalline all'interno della corta giacca verde acqua, la stessa tonalità della gonna, che insieme facevano risaltare il rame dei capelli della donna e il verde brillante dei suoi occhi. <<Ora il tocco finale>> disse Mel togliendo dalla scatola le scarpe nuove. Quelle non avevano potuto evitare di comprarle e, presa dall'entusiasmo, Melinda le aveva comprato anche un cappellino ed una borsetta che si intonassero ad esse. Janice ebbe una reazione che non aveva più avuto da quando era una ragazzina: arrossì; ed arrossì così violentemente che dovette chinare il capo per nascondersi, ma Mel lo vide ugualmente e si fece gioco di lei. Il taxi si fermò nella piazza antistante i cancelli d'ingresso dell'idroscalo, Janice provò di nuovo una fitta di umiliazione allo stomaco nel vedere Melinda pagare il conducente. In quegli ultimi tre giorni, Mel si era fatta carico di tutte le spese, e Janice si sentiva una specie di parassita. Melinda si incamminò in direzione delle banchine degli idrovolanti di linea, ma Janice, prontamente, la fermò. Melinda ne era intimidita, quegli sguardi indagatori e stupiti la mettevano a disagio, soprattutto perché molti di loro si prodigavano in fischi di approvazione e commenti provocanti nei loro confronti. Mel vide Janice sbiancare dopo aver guardato in volto l'uomo, attorno al quale si stavano avvicinando altri tre individui, che si fermarono però in disparte ad osservare la scena. Melinda comprese dallo sguardo feroce di Janice che quelli dovevano essere alcuni di quei famigerati "guai" che le stavano alle costole. E prima che Janice, messa alle strette, reagisse in modo avventato, Mel intervenne: Melinda toccò un braccio dell'amica per richiamarne l'attenzione; l'arto era così rigido che Mel ebbe un brivido lungo la schiena. "Siamo davvero in grossi guai, dunque". Melinda poteva sentire i loro occhi puntati come pistole sulle loro schiene, mentre cercava di mantenere una camminata lenta e disinvolta, con la quale stavano cercando di camuffare la fuga. Janice non rispose, ma accelerò il passo. Sapeva di non poter continuare ancora a lungo a nascondere i propri problemi all'amica, ma il momento delle rivelazioni non era ancora arrivato. Janice sapeva anche quanto male le stesse infliggendo, ma gli affari di Mel, al momento, avevano la precedenza sui suoi. Quando giunsero al molo undici, in perfetto orario, Mel rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto così da vicino un idrovolante, almeno non uno in grado di affrontare una trasvolata atlantica; aveva volato su mezzi molto più piccoli, per raggiungere luoghi decisamente più vicini e non era mai stata tanto impressionata dal velivolo su cui era stata. Li aveva sempre considerati dei semplici mezzi di trasporto, ma quello! Mel non rispose all'amica, era completamente rapita dallo scintillio. Il sole faceva risplendere il metallo e il mare, ed i riflessi sul mare si proiettavano a loro volta sulla carena e sotto le ali esaltando maggiormente l'imponenza e la potenza della macchina volante. <<BELLO? Quel gioiellino è stupendo!>> tuonò una voce maschile profonda, a pochi passi da loro. Le donne si voltarono e videro un uomo alto e possente sulla trentina che orami era accanto a loro. Un bell'uomo davvero, constatò Melinda. Aveva le spalle larghe e la vita stretta, lucidi capelli neri, impomatati e tirati all'indietro secondo la moda, ma con lunghi ricci ribelli che gli ricadevano dietro al collo. Le basette Mel le giudicò "originali": gli scendevano fin sotto le orecchie e poi proseguivano, chiudendosi a punta fin'oltre metà guancia. Aveva gli occhi scuri e scintillanti ed un sorriso arrogante e malizioso. Nell'insieme, Mel dovette convenire trattarsi di uno di quei tizi che in gergo verrebbero definiti dei "duri da cinema". <<Mel, ti presento Alexander Mars, il nostro pilota>> disse Janice interrompendo bruscamente le fantasie della donna. Melinda arrossì distogliendo lo sguardo da quegli occhi sfacciatamente languidi. Durante le fasi di preparazione e decollo Al e Janice continuarono a scherzare e bisticciare, Mel invece rimase seduta immobile e ammutolita sul sedile che le era stato assegnato, uno di quelli agganciati alle pareti che si abbassano e si richiudono. Non era decisamente come volare su un aereo passeggeri e Mel rimase paralizzata dal terrore fino a che non furono stabilmente in volo. Quando le ragazze si affacciarono in cabina, Al cacciò via il suo secondo pilota per far posto a Mel accanto a lui. <<Allora, Melinda, come mai una donna dai modi così altolocati e dall'evidente elevata cultura se ne va in giro con quel rozzo cane randagio?>> Con suo grande piacere Melinda scoprì che Al era un chiacchierone e, anche se con un po' di vergogna, dovette ammettere che era felice di aver incontrato qualcuno a cui avrebbe potuto spillare qualche informazione in più su Janice. <<Conosco Jan da quando seguiva il padre in giro per il mondo a caccia di chi sa quale diavolo di anticaglia. Janice era già un adolescente selvaggia e io un ragazzo esuberante e decisamente affascinante che imparava i segreti del mestiere, - disse dando un'amorevole pacca alla plancia dei comandi - così noi due ci intendemmo subito e... - vedendo lo sguardo severo ed un po' corrucciato di Mel, Al non finì la frase, ma schiarendosi la voce passò oltre, assumendo un tono più serio, che catturò maggiormente l'attenzione di Melinda. <<Poi, però, deve essere successo qualcosa.>> <<Sì, esatto nel '40, - ripeté Al - la piccola sparì completamente dal giro. Così, di punto in bianco. Io e gli altri piloti, abituati a vederla scorrazzare in lungo ed in largo da un continente all'altro ci siamo preoccupati e abbiamo fatto un po' di domande in giro. Ci crederesti? Una mattina il piccolo sgorbio si sveglia e decide di mettersi a far l'archeologa sul serio! Cioè, insieme ai parrucconi accademici che avevano sempre snobbato lei ed il padre... beh, non mi stupisce che sia finita come è finita e che Jan abbia ritrovato la retta via e sia tornata a fare affari con i ragazzi. Anzi, è tornata addirittura più pazza di prima e credo che negli ultimi tempi, date le voci che corrono, abbia pestato i piedi alle persone sbagliate...>> Ma Mel non lo stava più ascoltando, aveva capito che neppure Al sapeva granché sulla vita di Janice, o se lo sapeva non era evidentemente intenzionato a raccontarlo ad un'estranea. Forse, al di là dell'aspetto rude, Alexander era davvero un amico fidato come Janice le aveva detto... ma allora, perché Janice non gli aveva mai parlato della loro amicizia? <<Ah! Eccomi finalmente tornata nei miei panni!>> disse Janice affacciandosi in cabina di pilotaggio, mentre si arrotolava le maniche della camicia. Janice prese il posto di Melinda fissando sospettosa Alexander ad occhi stretti. Ed infatti furono le trenta ore di volo più lunghe che Janice avesse mai affrontato. Melinda da arrabbiata divenne triste e se Janice le chiedeva cosa avesse, se fosse preoccupata, o se si fosse pentita di essere partita, Mel sospirava e rispondeva solo che era il volo, poi distoglieva lo sguardo e aggiungeva che non era come se l'aspettava. In effetti gli aerei del servizio postale erano del tutto privi di comfort ed i rudimentali servizi di cui disponeva erano solo a misura d'uomo. Nessuno aveva preso in considerazione la possibilità che una donna facesse quel mestiere o che ne venissero trasportate. Inoltre dormire su quei miseri sedili era praticamente impossibile. Janice se ne dispiacque, non aveva pensato a tutti i possibili disagi del viaggio, ma sapeva che non era quello il vero motivo del malumore di Melinda. E più Melinda si rifiutava di darle una spiegazione, più la pazienza di Janice vacillava. Alexander stava assistendo alle ultime operazioni, mentre Janice ritornò per prima all'idrovolante. Per via di correnti d'aria particolarmente forti, il volo fino a Lisbona fu piuttosto turbolento, ma invece di contrariare maggiormente gli animi ebbe l'effetto di riavvicinarli. Janice sembrava eccitata tanto quanto il suo scellerato amico, mentre Mel continuava a chiedersi cosa ci fosse di così divertente in una cosa così pericolosa, pericolosa al punto da mettere a rischio le loro vite. Occhi azzurro ghiaccio terrorizzati si specchiarono in occhi verdi colmi d'eccitazione; un ampio sorriso rassicurante e divertito si dipinse sul volto di Janice, che intrecciò le proprie dita a quelle che ancora erano avvinghiate alla sua mano. Il calore che salì dal quel gesto riuscì a tranquillizzare Melinda e non solo riguardo l'esito del volo, ma anche riguardo alle sciocche paranoie che l'avevano assalita nei confronti di Janice. La sosta a Lisbona fu anche più breve della precedente, giusto il tempo di scaricare e caricare la merce per le diverse destinazioni. Il loro viaggio non era certo terminato, ma almeno avrebbero trascorso la notte in un letto. Alexander era riuscito, tramite alcune conoscenze all'idroscalo di Marsiglia, a procurare due biglietti per un volo (di linea questa volta!) che sarebbe partito solo l'indomani mattina per Ginevra. Marsiglia, come la maggior parte delle grandi città europee, in quel periodo era ancora profondamente segnata dalla distruzione della guerra. Le ferite inflittele dai bombardamenti erano ancora ben evidenti sui palazzi, sui principali ponti e strutture urbane. Ma soprattutto il terrore della distruzione era ancora impresso negli occhi e sui corpi della gente. <<Purtroppo la parte peggiore della guerra non è ancora finita - disse Al con amarezza, ma ritrovando subito il buon umore: -meglio per me! C'è un sacco di lavoro per gentaglia come noi, vero rospo?>> Al diede una pacca sulla spalla a Janice, mentre Mel li guardava scandalizzata. Alexander accompagnò le ragazze dal gestore dell'albergo e le introdusse come "due mie amiche da trattare con riguardo" e, dopo aver scambiato altre due chiacchiere con l'anziano signore, un giovane fattorino dall'aria accaldata corse a prendere i bagagli delle due donne per portarli in camera. I tre amici intanto uscirono in strada per i saluti. <<No, non è per quello, angelo. E' che... una trasvolata atlantica con due ragazze mozzafiato come voi... dovrò inventarmi qualche storiella piccante, ho una reputazione da difendere>>. <<Grazie, sei davvero gentile, anche per me è stato un piacere.>> Una scintilla perversa brillò negli occhi dell'aviatore, mentre il suo sorriso da cordiale divenne goliardico e, lasciando Melinda, all'improvviso afferrò Janice stringendola a sé con una tale forza da soffocarla e stritolarla. La piccola archeologa scomparve in quella massa di muscoli che l'avvolsero completamente e che la sollevarono da terra senza sforzo alcuno. Janice si divincolava e imprecava, ma i suoi improperi venivano attutiti quasi del tutto dal caloroso petto di Alexander; ogni sforzo fu inutile e Janice fu libera solo quando Al la lasciò andare. Quell’intermezzo marsigliese fu quasi una vacanza per le due donne, il proprietario dell’albergo non fece mancare loro nulla. Davvero c’era stata una guerra? Sì, non c’era dubbio, ma la voglia di ricominciare a vivere delle persone sembrava aver ricacciato il demone della distruzione, o almeno così appariva alle due donne alla romantica luce del tramonto. Le donne brindarono esauste, scambiandosi uno sguardo complice. Non c’era bisogno di parole, tale era la loro intesa in quel momento. Essere insieme, in viaggio per un’avventura, lontane da tutto e da tutti, lontane dal mondo che le aveva rinnegate. In quello scenario da sogno, almeno per una notte potevano illudersi di essere due semplici amiche che si godevano una splendida vacanza. A quanto pareva, però, con grande soddisfazione di Janice, il vino non mancava, anche se già al secondo bicchiere Melinda la redarguì: Melinda bevve il suo vino a piccoli sorsi, poteva già sentire il calore dell’alcol che dallo stomaco si diffondeva a tutto il corpo fino alla testa, facendola sentire più sciolta e più audace. Le due donne passeggiarono fianco a fianco, lentamente lungo il viale Canebière fino al Porto Vecchio. La città era animata e l’aria profumata di mare, piante aromatiche e di Storia. Lungo il porto le acque scure del mediterraneo facevano da rilassante sfondo alle loro dissertazioni, le stelle scintillavano nitide e la terra era un quieto profilo scuro alle loro spalle. Janice delineò con lo sguardo il profilo di Mel nella penombra, il petto che si alzava ed abbassava vistosamente per assaporare più aria possibile, i lineamenti nobili e decisi del volto, le spalle fiere. Melinda si voltò per guardare Janice negli occhi e la piccola archeologa poté vedere un ampio sorriso stagliarsi nella penombra, insieme a due occhi scintillanti e magnetici che insistevano su di lei. Janice si sentì annegare in quell’intensità, resistette con tutte le sue forze per non lasciarsi trascinare a fondo, per non rispondere al richiamo di quella sirena. Doveva andarsene da lì, dovevano tornare, lasciare quel posto così intimo e spezzare quell’atmosfera, o sarebbe stata Janice a spezzarsi. Gli indugi le furono fatali. Lente ed inesorabili Janice vide le braccia di Mel allargarsi ed il suo corpo farsi più vicino ed infine avvolgerla in un caldo abbraccio. Il tormento e l’estasi. L’alcool aveva amplificato ed accentuato le sue reazioni, o Alexander si era lasciato davvero sfuggire una parola di troppo? Ma Janice non lo chiese, non le importava, non in quell’istante, non mentre godeva del pieno contatto con il corpo di Melinda ed il calore si faceva più intenso; come intenso era il suo profumo, l’aroma del corpo di Mel era il più pericoloso degli afrodisiaci, sembrava di respirare l’essenza della natura. Janice si sentiva in bilico sul baratro dell’oblio, ad ogni respiro il suo autocontrollo era messo a dura prova da scariche di piacere che dalla parte più animale di lei si diffondevano a tutto il corpo. Erano come fuoco nel sangue, erano come fulmini nei nervi e resistere era una dolorosa morte. Ma che altro poteva fare? Come avrebbe reagito un tipo così “per bene” e “normale” come Melinda, se Janice avesse assecondato l’ardore ed il desiderio dei propri istinti? Melinda avrebbe capito, o se ne sarebbe fuggita via inorridita? No! Janice non poteva sopportare di perderla di nuovo, meglio una vita intera di tormenti accanto a lei, che una vita senza di lei. Con uno sforzo titanico, fisico e mentale, che parve lacerare ogni suo muscolo, Janice si sciolse dall’abbraccio <<Non preoccuparti, per me non è successo niente. Vieni, torniamo all’albergo.>> Poi, con quelle parole venne delusa di nuovo, per Janice “non era successo niente”, per Janice non contava niente. Sarebbe sempre stato così? Janice si sarebbe sempre mostrata indifferente al suo affetto, alla sua amicizia? Pazienza, meglio continuare a soffrire per la sua indifferenza avendola accanto, che vivere senza neanche sapere dove fosse, o se fosse viva o morta. <<Svegliati Janice, dobbiamo andare è tardissimo!>> Il volo fino a Ginevra fu gradevole e si concluse senza scossoni. Il treno per Losanna sarebbe partito nel giro di due ore, quindi le donne si poterono rilassare e passeggiare con calma. Il viaggio in treno per Melinda fu davvero rilassante. Lo spettacolo delle Alpi ancora innevate, così bianche ed imponenti, del lago Lemano, in cui si specchiavano il cielo e grandi e sfilacciate nubi ribelli, e poi ancora le pareti rocciose a picco, o i prati di un verde così brillante da non sembrare vero, quello spettacolo meraviglioso che era la natura aiutarono Melinda a riaversi dalla stanchezza e dal torpore che il viaggio sembravano averle messo addosso. Janice invece appariva irrequieta ogni momento di più. Irrequietezza che cercava di mascherare con sorrisi fugaci e tirati. Ma Mel non chiese spiegazioni, se Janice si stava sforzando di coprire il proprio disagio, allora la causa era una di quelle cose di cui a lei non avrebbe mai parlato. L’auto si inerpicò per un buon tratto su un versante in ombra, dove l’aria era ancora fredda e profumava di neve, il tramonto sarebbe arrivato presto e la temperatura iniziava a scendere rapidamente. Quando una pittoresca valle si aprì davanti a loro e tornarono alla luce del sole Melinda rimase sbalordita. Tutto era una distesa di verde, costellata da massi e lembi di neve non ancora disciolti. Mentre transitavano su un ponte in pietra, che con tre ampie arcate attraversava il torrente che incideva la valle, Janice indicò dal finestrino la loro meta. Non era un grande castello, piuttosto una residenza settecentesca di campagna, dall’architettura fine e slanciata, e dalle eleganti decorazioni. Le due donne furono subito accompagnate in un grande ed elegante atrio, nel quale, dalla scalinata che conduceva ai piani superiori, già stava scendendo la padrona di casa per ricevere le sue ospiti. A quanto le era stato raccontato, la professoressa Von Herzel, come loro, era stata a poco a poco espulsa dalla cerchia elitaria degli accademici in quanto donna, infatti dopo la morte del marito, anch'egli noto professore, le scuse più banali erano state avanzate per farla apparire sotto una cattiva luce prima e superflua poi, costringendola a ritirarsi. Quella che si presentò davanti agli occhi di Melinda era una donna appena oltre i cinquanta, ma ancora decisamente avvenente, con lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, un sorriso luminoso e infantile che la portava ad arricciare il naso. La professoressa Von Herzel si era diretta con enfasi verso le sue ospiti ed aveva stretto la mano di Mel con entrambe le sue. Calorosamente, come se si trattasse di una vecchia amica. Durante tutta la presentazione tra Mel e Althea Janice era rimasta in disparte, con lo sguardo fisso al pavimento in marmo nero. Mel avvertì la sua tensione ed il suo imbarazzo e poté anche notare il sorriso di Althea estinguersi per un momento, mentre un ombra velò il suo sguardo. <<Janice, - c'era un profondo dispiacere nella voce della donna - sono felice che tu stia bene>> Althea abbracciò la sua ex-allieva calorosamente, ma come se la stesse consolando e perdonando allo stesso tempo. Le due donne acconsentirono ed Althea battendo le mani due volte richiamò l'attenzione di due domestici che si precipitarono a prendere i bagagli delle archeologhe ed a condurli via. Ovviamente i domestici erano giovani, alti, biondi e molto belli. Melinda lo trovò più che strano, non si vedevano altre donne nel castello oltre alla sua padrona. La padrona di casa le condusse su per l’ampia scalinata, lungo la quale non mancava la più classica collezione dei dipinti degli avi, fino al primo piano ed infondo ad un lungo e poco illuminato corridoio, spalancando l'ultima porta su una vastissima sala tappezzata di librerie, con un enorme camino ancora acceso lungo una delle pareti, mentre la luce entrava da tre alte finestre che si facevano spazio tra gli scaffali. L'ambiente era caldo ed accogliente ed Althea invitò subito le sue ospiti ad accomodarsi su due delle quattro poltrone che attorniavano un basso tavolo rotondo al centro della stanza. Un luogo davvero confortevole e tranquillo per la lettura e lo studio, Mel ci si sentì subito a proprio agio. Althea si mise un paio di piccoli occhiali rotondi ed iniziò a dare un'occhiata alle foto e alle relazioni. Melinda avvertì qualcosa di strano nell'amica, Janice era comodamente seduta in poltrona, con le gambe distese ed i piedi incrociati, la schiena rilassata contro lo schienale, con un braccio appoggiato al bracciolo si sosteneva il mento nel palmo, mentre l'altro braccio era a penzoloni giù dall'altro bracciolo. Era evidentemente di casa in quel luogo, ed in grande confidenza con la sua padrona, ma Mel sentiva che anche in quel luogo Janice era minacciata dalle misteriose ombre del suo passato. <<Ma perché rubare una statuetta in pietra? Al di là del suo valore storico, non era uno degli oggetti più preziosi della collezione. Perché non rubare i monili?>> Althea iniziò a riflettere, cercando di ricordare qualcosa: <<Il tesoro di Inanna dite… Perché ho l'impressione che questa storia mi sia familiare?>> La donna iniziò a leggere alcune lettere, poi si rivolse alle sue ospiti: <<Io ci sto!>> Janice accettò molto volentieri la proposta. Un bagno caldo era proprio quello di cui aveva bisogno. Subito si alzò in piedi e si avviò all'uscita, ma aperta la pesante porta di legno si accorse che Mel non la seguiva. Melinda guardò Janice, poi il suo sguardo si rivolse ad Althea. La donna allora ricambiò lo sguardo di Mel e poi incrociò quello di Janice. Nella stanza calò il silenzio, Althea era in attesa che l’archeologa dicesse qualcosa, Melinda invece già si pentiva della sua iniziativa. Con Alexander era stato semplice, lui era un uomo gioviale, estroverso e decisamente ben disposto nei confronti del gentil sesso. Parlare di Janice era stato naturale, ma con questa donna… Janice gliene aveva parlato come di una persona importante nella sua vita, e sicuramente lo era, vista la loro confidenza. Ma questa donna sapeva che Janice era così disperata da tentare di uccidersi? Forse no, ma Mel avrebbe potuto comunque racimolare qualche informazione in più a riguardo, a costo anche di sembrare sciocca, o sfacciata. Per Janice questo ed altro, e non c’era tempo da perdere. Mel sedeva irrequieta con le gambe giunte e le braccia appoggiate sulle ginocchia tormentandosi le mani, o sistemandosi gli occhiali, lisciandosi continuamente la gonna, ancora in preda dei dubbi sul da farsi, quando alla fine fu la stessa Althea ad aver pietà di lei. La donna si alzò dalla scrivania ed andò a sedersi accanto a Mel. Sedutasi su un angolo della poltrona su cui poco prima si trovava Janice, la donna allungò una mano e la posò su quelle nervose di Melinda. Il calore e la comprensione che scaturirono da quel tocco fermo ma gentile, ebbero l’effetto calmante sperato. Melinda si rilassò ed alzò lo sguardo verso Althea. Alla donna bastò solo un attimo per capire: <<Io vorrei solo sapere più cose su di lei, per poterla aiutare, per poterla salvare da sé stessa. Alle volte Janice riesce ad essere così autodistruttiva da spaventarmi. Ma non vuole raccontarmi nulla, è sempre così misteriosa riguardo la sua vita. Mi prenderà per una sciocca, suppongo>> concluse Mel con lo sguardo arrossato e sciogliendo le proprie mani da quelle di Althea per asciugarsi gli occhi e prendere un fazzoletto. Melinda provò una profonda vergogna, si era confidata ed aperta ad un’estranea che conosceva da meno di un’ora, ma non aveva resistito. Non sapere nulla della sua amica la stava uccidendo. <<No mia cara, non penso affatto che tu sia sciocca, anzi, penso che per Janice sia un bene essere tornata da te.>> <<Sì, conosco molto bene Janice. La ragazza (donna dovrei dire ormai) ha vissuto qui durante i suoi studi. – Althea si alzò ed iniziò a raccontare camminando lentamente avanti ed indietro per la stanza – Quando Janice aveva diciotto anni, suo padre mi scrisse una lettera in cui mi chiedeva se potessi prendermi cura della ragazza. Conoscevo molto bene Henry, era anche lui un amico mio e di mio marito, e decisi di fargli questo favore. Non nego che l’idea di avere una pupilla mi piacesse molto ed era ora che Jan avesse accanto anche una figura femminile, visto che dopo la morte della madre aveva vissuto solo tra uomini, e non della miglior specie.>> <<Fu un periodo piuttosto turbolento, ma felice e ricco di soddisfazioni. Janice è sempre stata un maschiaccio ed un’attacca brighe e puoi immaginare anche tu come si trovasse nell’ambiente accademico. Due come noi si sono dovute abituare a sopportare le angherie maschiliste dei compagni di corso, ma Janice… beh non c’è bisogno che te lo dica. Non passava settimana senza almeno un paio di zuffe, perché se non la provocavano era lei a cercarsi i guai, credo che odiasse non essere accettata, ma che si divertisse comunque molto a menar le mani. Nonostante questo, però, era anche una studentessa brillante ed io ero assolutamente fiera di lei.>> Melinda annuì e sorrise internamente, era proprio la sua Janice, l’incorreggibile Janice. <<L’estate del suo primo soggiorno con la nostra famiglia credo sia il punto di partenza per quel che stai cercando. Come ogni estate, la mia nipotina Annika venne a trascorrere un mese di vacanza qui da noi. Melinda, che ascoltava in religioso silenzio, avvertì quella strana sensazione di disagio che le prendeva la bocca dello stomaco quando sentiva parlare di persone care a Janice, e che avevano avuto dall’archeologa più di quanto avesse avuto lei, ed intuiva che quello si sarebbe rivelato uno di quei casi. <<La simpatia fu subito reciproca. Avere una sorellina fu per Janice un’esperienza nuova e gradita. Un persona che l’adorava, che la vedeva come una specie di eroina invincibile. Annika ebbe anche l’incredibile effetto di addolcire un poco il carattere di Janice. Vederle giocare insieme era bellissimo, le amavo come se fossero entrambe figlie mie ed in quel periodo fummo come una vera famiglia. Mel avvertì di nuovo quella fitta, ma più pungente e mista a gelosia. Althea fece una pausa, aveva girovagato per la biblioteca fino a quel momento, la luce del giorno si era quasi spenta del tutto, e le due donne erano ombre nella stanza. Althea tornò a sedersi accanto a Mel. La conclusione della storia stava per arrivare e dalla pena che aleggiava in quel luogo, Mel capì in anticipo che non c’era da aspettarsi un lieto fine. <<Quando, dopo lo scandalo che vi travolse in Sudamerica, Janice decise finalmente di tornare a trovarci e rincontrò Annika, si scatenò un incendio. Fu come miscelare due esplosivi instabili. Janice era furente e gridava vendetta contro chi le aveva rovinato di nuovo la vita e Annika bruciava dal desiderio di buttarsi a capofitto nel mondo per sfogare la sua scelleratezza e brama di adrenalina. Althea aveva ripreso le mani di Melinda tra le sue, stringendole in una supplica. Melinda accennò ad un sorriso tirato ed annuì col capo, poi si alzò, barcollando per un’improvvisa perdita di equilibrio e cercò di raggiungere l’uscita il più in fretta possibile. Era troppo. Aveva voluto sapere ed ora non era in grado di reggerlo. <<Janice tiene molto alla tua opinione, - aggiunse Althea trattenendola ancora un istante - è per questo che non ti ha mai detto nulla. Perché tu hai di Janice un’elevata considerazione, tu vedi e hai visto solo il meglio di Jan e non hai pregiudizi nei suoi confronti. Lei è terrorizzata all’idea che tu scopra la verità, perché teme di perderti. La fama che l’accompagna è del tutto meritata, Janice ha fatto cose terribile, ma io so che può diventare davvero una persona migliore.>> Melinda lasciò la stanza, non poteva reggere oltre. La donna, persa nel groviglio dei propri pensieri era passata dalla propria camera per prendere il necessario per il bagno, mentre l’ennesimo e silenzioso maggiordomo biondo si era offerto di guidarla fino al locale piscina. Era incredibile la silenziosità con cui sapeva muoversi, Janice non si accorse del sopraggiungere di Melinda fino a quando non vide un piede sfilare accanto a lei ed immergersi lentamente nell'acqua. Janice deglutì dolorosamente pregustando quanto avrebbe visto di lì a poco... Un tenero sorriso di delusione percorse il volto di Janice, avrebbe dovuto saperlo che Mel era troppo pudica per fare il bagno nuda con un'altra persona. Anche se si trattava di una donna come lei. Anche se, dovette ammettere Janice in aggiunta, in quel caso non aveva tutti i torti a volersi nascondere agli occhi di una donna non proprio come lei. <<Althea mi ha detto di Annika>> Mel era ormai seduta accanto a lei, entrambe con la schiena appoggiata al bordo della vasca. <<Davvero?>> Janice divenne subito dura, al sicuro dietro il proprio scudo fatto di silenzi. Distogliendo repentinamente lo sguardo da Melinda aveva appoggiato indietro la testa sul bordo della vasca, mettendosi ad osservare il soffitto affrescato e cercando di mascherare il disagio in un cielo dipinto. Vigliaccamente, Janice fuggì di nuovo, con una spinta attraversò tutta la vasca uscendo dalla parte opposta, dove c'erano gli scalini che dal fondo arrivavano fino al bordo. Mel osservò il piccolo corpo armonioso dell'amica emergere dal calore dell'acqua e fumare disperdendo il vapore nell'aria. I lunghi capelli biondo rame incollati alla schiena grondavano rilasciando rivoli che le correvano sulla pelle accentuando ogni curva. Era una figura magnifica, ma la vita le aveva lasciato addosso i suoi segni, molti lividi erano ancora ben evidenti su tutto il suo costato. Melinda non poteva vederla così, non sopportava di vedere le sue sofferenze, desiderava salvarla, desiderava proteggerla. Janice fu sovrastata dalla mole di Melinda ed alzando lo sguardo vide due occhi azzurri intenti ad osservare giù verso di lei. Occhi che cercavano risposte, rispetto, considerazione; occhi che desideravano il suo... affetto? Janice non rispose, le due donne erano intente a fissarsi negli occhi, a cercare risposte. Erano così concentrate l’una sull’altra che il mondo attorno a loro era svanito. La necessità di riprendere fiato e calmarsi portò la piccola archeologa a trarre un profondo respiro. Il sollevarsi più accentuato del petto di Janice riportò l’attenzione di Melinda sulla sua nudità, mozzandole il respiro. A quel punto fu conscia del contatto con Janice e contrasse la mano sul suo braccio come a saggiare la realtà del momento. Allora la mano di Melinda, ancora appoggiata al braccio di Janice, iniziò a muoversi. Lentamente. In cerca di risposte, in esplorazione di un tonico e liscio territorio, i cui fremiti riecheggiavano in Mel come un terremoto. L'azzurro dell'iride di Melinda non era più di ghiaccio, era più intenso, più scuro. Le pupille erano dilatate e le palpebre socchiuse, lo sguardo trasognato, eppure concentrato su qualcos'altro. Poi lo sguardo di Melinda era sceso, aveva indugiato, ma ora era fermo sulle labbra di Janice, che inconsciamente le socchiuse e, per un riflesso incondizionato, anche le labbra di Mel si separarono. I loro sguardi si incatenarono e persero l'uno nell'altro, come i loro respiri ormai affannati che in quella breve distanza si mischiavano prima di scivolare sulla pelle dell'altra sviluppando calore sulla superficie, come in una potente reazione chimica. Erano in attesa, in attesa che qualcuno parlasse, che qualcosa accadesse, ma ne Janice, ne Melinda ormai erano più sicure di quello che si aspettavano dovesse accadere. Melinda raddrizzò repentinamente la schiena, mentre un lampo di paura e vergogna le fece sbarrare gli occhi. Janice tornò a sentirsi nuda, aria fredda l'avvolse completamente raggelando gli ardori. Il momento era andato, il sogno che le aveva avvolte si era interrotto bruscamente. La cena iniziò in modo molto silenzioso, in un ampio salone illuminato da un grande lampadario di cristallo posto al centro della sala, proprio sopra il lungo tavolo, ad un capo del quale sedeva la padrona di casa e, l’una di fronte all’altra, le sue ospiti sedevano ai lati accanto a lei. Mentre veniva servito il secondo, dell’anatra arrosto con patate e crauti, Althea finalmente rivelò ciò che aveva scoperto riguardo il mistero della statuetta scomparsa: <<Sì, mia cara. Quando avete accennato ad un tesoro mi sono ricordata di una lettera che mi aveva scritto, circa sei mesi fa, un mio caro amico dagli scavi che gli iracheni, insieme agli inglesi, stanno conducendo nel sito di Abu Shahereyn, dove è stata identificata l’antica città di Eridu. Mi scrisse per informarmi che erano stati trovati dei reperti riguardanti la dea Inanna. Sapete, – disse più confidenzialmente la donna abbassando la voce con una scherzosa aria di complotto – potranno anche avermi allontanata dall’Università, ma non mi hanno certo allontanata dall’archeologia e… da tutti i miei contatti… Comunque, – riprese in tono schietto ed eccitato – questo mio amico nella lettera parlava di una statuetta votiva della dea, statuetta che in realtà era una chiave per accedere alle stanze dell’ “oro di Inanna”.>> <<Ma non può essere la nostra statuetta, quel reperto appartiene al Signor Zimmerwald da anni>> protestò Mel delusa. <<Solo che…?>> dissero in coro non stando più nella pelle dalla voglia di sapere. Ma che diavolo le era preso? Lo sguardo elettrico di Janice le aveva dato quella stessa stretta allo stomaco che aveva provato alla piscina e, come se non bastasse, l’immagine della sua pelle nuda e bagnata si era per un attimo sovrapposta a quella che aveva di fronte. Ad Althea non sfuggirono quelle occhiate e seppe di non essersi sbagliata sul conto della sua pupilla e della sua compagna. <<Questo però non ci aiuta a scoprire chi ha rubato la statuetta…>> Mel si scosse e cercò di riprendersi, concentrandosi sul vero motivo per cui erano arrivate fino a lì. Mel era ancora silenziosa, c’era qualcosa, qualcosa che le sfuggiva, un dettaglio che sapeva essere importante ma che non riusciva a ricordare. Janice ed Althea alzarono i calici, imitate meccanicamente da Mel ancora pensierosa. Ma quando, scontrandosi, i bicchieri tintinnarono, improvvisamente ci fu un lampo. Una visione. Il ricordo di un altro brindisi, ad una festa, la festa dopo la quale c’era stato quell’episodio con… Ancora non proprio sicure di aver capito quanto Mel stesse insinuando, le altre donne la incitarono a continuare. Mel divenne rossa di rabbia e di imbarazzo pensando a quanto era accaduto con Frank. <<Frank una volta disse anche che non sarebbe stato presente all’inaugurazione della mostra, perché per quel periodo sarebbe già stato a “giocare con sabbia e paletta” e che gli dispiaceva perché alle feste, dopo un bicchiere io…>> la voce di Mel divenne stridula e se era possibile diventare ancora più rossi, Mel lo fece, la punta delle sue orecchie era viola dalla vergogna, abbassando il capo e sistemandosi nervosamente gli occhiali. <<Sono sicura che Seton è allo scuro di tutto questo, l’archeologia è la sua vita. Se sta accadendo qualcosa di losco nei suoi scavi, se sciacalli senza scrupoli si sono intrufolati nel suo gruppo, sarà bene che io lo avverta>>. A Mel parve impossibile, solo pochi giorni prima si annoiava tra il suo appartamento ed un lavoro poco gratificante al museo ed ora, invece, non solo si era catapultata in Europa, ma stava per: Un leggero tocco sulla porta avvisò Janice dell'arrivo di Mel. La ragazza bevve d'un fiato il suo liquore alle erbe e trasse un profondo respiro "Ci siamo!" Mel entrò con cautela, come se l'invasione dello spazio personale di Janice fosse il preludio all'invasione del suo spazio emotivo. Mel si avvicinò alla scrivania, accanto alla quale c'era anche Janice, che si stava occupando di una teiera fumante. Mentre versava il liquido bollente, Janice alzò lo sguardo verso l'amica con imbarazzo. La veste da camera di Mel era aperta ed il gesto fece sollevare fino al ginocchio la bianca camicia da notte. Inconsciamente Janice si lasciò catturare dalla visione, soffermandosi su quella vista più del dovuto e, quando rialzò lo sguardo, due intensi occhi blu la scrutavano di rimando al di sopra del bordo della tazza da cui Mel stava bevendo. Janice distolse subito lo sguardo per la vergogna di essere stata colta in flagrante a fissare l’amica e per riprendere il controllo della situazione, d’istinto passò subito all’attacco: Ecco che di nuovo da indagatrice diventava indagata. Ogni volta che Melinda si rivolgeva direttamente a Janice per sapere di lei, finiva invece che fosse Janice ad ottenere rivelazioni da Melinda. E spesso risultavano essere delle rivelazioni anche per Melinda stessa. Melinda si sentì attaccata e lo sguardo severo di Janice paralizzarono lei ed i suoi intenti, ma solo per un attimo. Nello sguardo di Janice c’era dell’altro. Molto altro. <<Quando ci siamo divise sono tornata qui a Losanna ed ho ritrovato Annika, lei era...>> Passarono alcuni istanti, Melinda attese paziente terminando la propria tisana e riponendo la tazza sulla scrivania per dedicare tutta la propria attenzione all'amica. Infine, Janice esalò un profondo respiro ed iniziò a raccontare: <<Quando ti lasciai e tornai qui a Losanna, ero furiosa! La mia vita era stata rovinata di nuovo, volevo ricominciare da zero e lasciarmi tutto alle spalle. E lo feci, ma non riuscii a lasciarmi indietro la collera, ero... ero… -Janice sospirò profondamente lasciando cadere le spalle e scuotendo il capo abbassato- Non lo so ero…>>. <<Sì, credo di sì. Arrabbiata ed affamata. Ed Annika era così bruciante di passione, così desiderosa di vivere la vita con quella foga e irruenza tipica della gioventù, che non potemmo fare a meno di trovarci in piena sintonia. Partimmo convinte che avremmo avuto il mondo ai nostri piedi. E in un primo momento fu proprio così, qualsiasi cosa volessimo ce la prendevamo, in qualsiasi luogo volessimo andare, eravamo là. L’archeologia era diventata solo una scusa per avventure scellerate, ma non durò a lungo. Presto diventammo invise a troppe persone. Persone senza scrupoli, che quando si videro sottrarre da sotto il naso la loro scoperta, non esitarono ad utilizzare qualsiasi mezzo per tentare di riprendersi ciò che ritenevano essere loro>>. <<Spiegati meglio>> la sollecitò gentilmente Melinda. Janice si fermò dal suo peregrinare nella stanza ed annuì, consapevole di stare solo girando attorno alla questione. <<Maretta, eh?>> Mel alzò un sopracciglio, conoscendo Janice, sospettò che quello fosse un eufemismo, ed infatti: <<L’armatore francese che aveva finanziato la spedizione dei contrabbandieri, disse loro che non li avrebbe pagati fino a quando non avesse riavuto le pergamene. Così quegli uomini iniziarono a darci la caccia. Ci raggiunsero quando stavamo per lasciare l’Africa da Tangeri. Eravamo già all’aeroporto con un bimotore in pista pronto al decollo che ci aspettava, ma… ormai era troppo tardi>> la voce di Janice era rotta dal dolore, a fatica era riuscita a pronunciare le ultime parole ed ora in suo sguardo era abbassato e perso nel vuoto. No, non poteva lasciarle finire così il discorso, non ora che era così vicina a scoprire l’accaduto! <<Come è successo? Com'è... morta?>> l'ultima parola fu poco meno di un sussurro nervoso. <<La vedi questa? – Janice mostrò a Mel la Luger che ormai teneva sempre al suo fianco - E’ l’arma che le ho regalato io. E' l'arma che l'ha uccisa>>. <<Stavamo attraversando di corsa la pista per raggiungere l’aereo, quando in tre, su una jeep ci tagliarono la strada frapponendosi tra noi ed il bimotore. Ci avevano sotto tiro, non potevamo fare più nulla ed io e Annika alzammo le braccia per trattare la resa e consegnare la merce. Uno degli uomini venne verso di noi intimandoci di gettare le nostre armi a terra, io avevo il mio revolver e la frusta, Annika la Luger ed un coltello. Obbedimmo. Poi sempre lo stesso uomo ordinò ad Annika di gettare il borsone con le pergamene, ma Annika lo volle sfidare dicendogli che sarebbe dovuto venire a prendersele da solo. <<Non dirlo nemmeno per scherzo!>> la sgridò subito Mel scandalizzata. Ormai aveva chiaro in mente il perché l’amica avesse cercato di autodistruggersi. Janice era divorata dai sensi di colpa. <<E questa è l’unica cosa che mi resta di lei>> Janice gettò la pistola sul letto come se scottasse. Nella stanza cadde un silenzio pesante. Il tempo si era fermato con i loro respiri. Mel si sentì ancora una volta inadeguata e non all’altezza della situazione, aveva pensato di poter aiutare l’amica, di poterla salvare. Ora, invece non sapeva cosa dire e neppure cosa fare. Allora si lasciò guidare da quell’incontenibile desiderio che sempre aveva di sentire stretta a sé l’amica quando le emozioni avevano la meglio sulle parole. Melinda abbracciò Janice alle spalle, calorosamente, cullando il suo dolore. Melinda l'abbracciava stretta, trasmettendole caldo conforto e sicurezza. Janice avrebbe potuto sentirsi in pace con il mondo e con sé stessa, se non fosse stato per tutte quelle altre emozioni che il corpo di Mel così vicino al suo le provocava. Ed era più forte di lei, non poteva trattenersi. Ancora una volta Melinda era lì, a portata di mano, eppure inaccessibile. Janice chiuse gli occhi e concentrandosi sul corpo alle sue spalle, non potendolo toccare cercò di richiamarne alla mente ogni forma, immaginando come potesse essere al tatto. Sicuramente liscio e morbido in superficie, ma con muscoli sodi e guizzanti sotto la pelle, pronti a reagire con ardore al tocco di un'amante. Mel stava osservando la specchiera davanti a loro, che restituiva la loro immagine stretta in un tenero abbraccio. Janice aveva gli occhi chiusi ed un'espressione profondamente concentrata, come se stesse espandendo tutti i suoi altri sensi. Continuando a guardare l'amica, Mel si rese conto che Janice era concentrata su una delle sue mani. Come se quella mano fosse divenuto l'unico ricettore della bionda archeologa sul mondo esterno. No, non sul mondo, su di lei! L’arto di Janice era tremante e nervoso mentre si spingeva all’indietro verso la coscia di Melinda. La mano dell’amica non arrivò mai a contatto con lei, ma a Mel parve di sentirlo davvero quel tocco e ne ebbe un fremito, riuscendo chiaramente ad avvertirne il desiderio. E dove la mano di Janice lottava per non ultimare il suo gesto, la pelle della mora archeologa era comunque in fiamme. Fu così improvviso che Janice rimase completamente spiazzata. Quando aveva riaperto gli occhi si era ritrovata da sola nella propria stanza. Quando Mel fu finalmente nella propria stanza, rimase a lungo appoggiata alla porta chiusa alle sue spalle. Come aveva fatto a fraintendere ogni situazione, ogni sguardo, ogni sorriso, ogni tocco? Passò parecchio tempo prima che le due donne riuscissero finalmente a rilassarsi ed a prendere sonno. Troppe ed eccitanti le rivelazioni di un unico giorno, dure ed impegnative le conseguenze da affrontare l’indomani. Sapendo con esattezza quale sarebbe stata la loro meta definitiva, le due giovani archeologhe si erano concesse un lungo sonno ristoratore per riaversi dall’improvvisato viaggio New York-Losanna ed essere in forze per raggiungere la nuova meta. Le conoscenze di Althea avevano fatto sì che tutto fosse pronto per il primo pomeriggio e le ragazze, entusiaste di buttarsi in un’avventura dagli esiti più certi, non persero tempo e partirono subito. Mel sentì un groppo alla gola e la commozione pungerle gli occhi, ma si trattenne. E fu un enorme sforzo, soprattutto quando Althea, sciolto l’abbraccio con la sua pupilla, l’avvolse tra le sue braccia con una forza ed un affetto sincero che non sentiva da tanto tempo. Janice roteò gli occhi insofferente a tutte quelle smancerie e prendendo di scatto il suo borsone da viaggio guadagnò rapidamente la porta principale.
Fine seconda parte
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