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"Nè
demoni o Dei" ROMANZO DI A. SCAGLIONI (Capitolo
XII) Parte
1
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"The Ogre" Il pianto infantile echeggia come una sirena nello spazio aperto della piccola radura nel parco pubblico, sollevando l'attenzione allarmata della mezza dozzina di anatre che sguazzano nel laghetto. "Oh cazzo, Joey, e adesso che ti sei fatto?!" sbotta Carrie Driscoll chiudendo con uno scatto nervoso la rivista che stava sfogliando, distesa sull'erba. Nonostante la giornata di autunno inoltrato, il piacevole tepore del sole che batte su quella zona non lascia indovinare un prossimo calo della temperatura su valori più consoni a quel periodo dell'anno. E a Carrie la prospettiva di poter restare un po' sola con i suoi pensieri è apparsa invitante, anche a costo di dover badare a quel mostruoso rompipalle di suo fratello. Certo, a ripensarci, forse non è stata una buonissima idea (come ha potuto mai credere che dovendo guardare Joey potesse aver tempo per pensare?) e tuttavia non se la sentiva di rimanere a casa, chiusa in camera sua con le cuffie dello stereo a tutto volume, per non ascoltare l'ennesimo litigio dei suoi genitori. Non quel giorno. "Carrie. Prendi tuo fratello e andatevene giù al parco per un po'." le aveva detto sua madre. "Tieni." aveva aggiunto poi allungandole un biglietto da cinque dollari. "Compragli un gelato e prendine uno anche per te." Lei aveva stretto la banconota tra le dita per qualche momento, indecisa se fare finalmente la domanda che le bruciava sulle labbra da settimane. La vita in casa sua non era mai stata un modello di armonia, ma negli ultimi tempi la situazione era diventata davvero brutta. Carrie aveva cercato di ignorare il progressivo sgretolamento del matrimonio dei suoi, dicendosi che era solo un periodo così, che ce n'erano stati altri in passato. Anzi, ce ne era stato uno in particolare, subito dopo la nascita di Joey, in cui si era veramente spaventata. Ma allora, lei era una bambina, non aveva neanche compiuto ancora tredici anni, e vedere sua madre con un labbro spaccato le aveva fatto un effetto terribile. Allora, aveva davvero temuto che suo padre e sua madre si lasciassero. Sua madre urlava fortissimo, anche più forte del volume delle sue cuffie, e le porte sbattute si sprecavano. E un giorno era entrata nella sua stanza, con un rivolo di sangue che le scendeva da un angolo della bocca e con il suo fratellino urlante in braccio, e senza una parola, l'aveva afferrata e quasi trascinata di peso fuori di casa, mentre suo padre correva loro dietro, balbettando frasi di scusa. Lei era scoppiata a piangere, cercando di dibattersi dalla presa di sua madre e tendendo la mano verso quella del padre, ma non c'era stato niente da fare. Quella notte avevano dormito a casa della nonna. Attraverso la porta socchiusa della cameretta che divideva con Joey, aveva sentito la mamma parlare con lei e anche se non aveva capito molto, una parola le era suonata orribilmente chiara: divorzio. Avrebbe voluto scendere dal suo letto e correre da sua madre ad implorarla di non farlo, ma non era riuscita a muoversi ed era rimasta come paralizzata, a piangere finché non l'aveva colta un sonno misericordioso. Il mattino dopo e i giorni che erano seguiti li aveva vissuti come in una specie di sogno. Andava a scuola, faceva i suoi compiti, frequentava le amiche, ma la sua mente era distante e cercava di conciliarsi con la vita che l'aspettava. Già si vedeva dividere le sue settimane, una volta con l'uno e una volta con l'altra, come succedeva alla sua amica Alicia. Al, in realtà, non le pareva troppo scombussolata dalla cosa, ma i suoi genitori si erano divisi quando lei era piccolissima. Con tutta probabilità non si era neanche resa conto di quello che succedeva, mentre per lei era diverso. Lei capiva benissimo e non voleva che succedesse. E così aveva pregato. Aveva pregato tantissimo. E qualcosa era accaduto. Una sera era venuto suo padre. Lei era stata relegata nella loro camera a sorvegliare Joey, ma suo fratello, per fortuna, dormiva della grossa e lei era rimasta per tutto il tempo con l'orecchio incollato alla porta. Non era riuscita a distinguere le parole, ma alla fine non le era parso che le voci fossero arrabbiate, non c'erano state urla, né porte sbattute e quando aveva sentito il rumore della porta d'ingresso che si richiudeva, si era azzardata ad uscire ed era scivolata lungo il muro fino alla ringhiera delle scale. Sua madre e sua nonna erano tranquillamente sedute al grande tavolo del salotto, una di fronte all'altra, e la nonna sorrideva. Già questo le era parso un buon segno e aveva sentito il suo cuore quasi involontariamente aprirsi alla speranza. "Allora, cosa hai deciso?" aveva chiesto la nonna. "Domani torneremo a casa." aveva risposto sua madre. "Ma questa è l'ultima occasione che gli offro. Alla prima che mi fa, non vedrà più né me né i bambini." Non aveva sentito altro, ma non le importava. Era troppo felice ed era corsa subito a ringraziare il piccolo crocifisso che la nonna le aveva appeso sul letto, con le lacrime agli occhi. E le cose erano filate piuttosto bene per un paio di anni. I suoi avevano seguito insieme una specie di corso con un nome strano e difficilissimo che non riusciva a ricordare mai, ma qualunque cosa fosse, sembrava che avesse funzionato e la loro famiglia era tornata ad un'apparente normalità. Ma era solo apparenza, ora lo sapeva. I suoi genitori si erano sforzati di mantenere un rapporto civile tra loro, per amore di lei e di Joey, ma qualcosa si era rotto e non avrebbe mai più potuto essere riparato. E i litigi erano ricominciati. Adesso che lei era cresciuta, poteva capire meglio quello che succedeva, ma senza più quelle sue illusioni di bambina che l'avevano aiutata a superare la crisi precedente non riusciva più a trovare un minimo barlume di speranza. Aveva anche provato a pregare, ma stavolta non serviva. Quell'immaginetta scolpita che si era portata dalla casa della nonna ed aveva messo nella sua stanza non le dava più conforto. Non riusciva più a vederci un essere che ascoltasse effettivamente le sue preghiere, come avveniva allora, ma solo una minuscola scultura in ferro e legno, neanche fatta molto bene, e senza più alcuno scopo. E le urla nella casa aumentavano di volume, insieme ai pianti di suo fratello che a ormai tre anni, non capiva certo quello che dicevano, ma sapeva che papà e mamma erano tanto arrabbiati e credeva che ce l'avessero con lui. Così sempre più spesso, sua madre aveva preso l'abitudine di mandarli fuori a fare una passeggiata, a prendere un gelato, o qualsiasi altra cosa, pur di non averli lì in quei momenti. "Dobbiamo andarcene di nuovo, mamma?" aveva chiesto alla fine Carrie, sentendo le lacrime pronte a sgorgare. "Tu e papà divorzierete?" Sua madre l'aveva guardata ed era rimasta per qualche secondo di troppo senza rispondere. Poi finalmente, le aveva accarezzata la testa e l'aveva attirata a sé, stringendola forte. "Non lo so, tesoro." aveva risposto. "Ma ora tu sei grande e so che capirai." "Mamma, io non voglio che divorziate." In quel momento non si sentiva molto cresciuta, e aveva nascosto il viso nella spalla di sua madre singhiozzando. "Non lo vorrei neanch'io, Caroline." La mamma l'aveva scostata gentilmente da lei e le aveva asciugato gli occhi, fissandola con aria seria. E quando la chiamava Caroline, la cosa era molto seria. "Ma ora non ci pensare. Porta via Joey, però non andartene in giro. Aspettatemi al laghetto delle anatre. Più tardi, vi raggiungo e parleremo." Carrie, tirando sù con il naso, aveva intascato i cinque dollari e si era diretta verso la stanza del fratello, che in quel momento probabilmente stava ancora schiacciando un sonnellino. "Ah,
Carrie." l'aveva richiamata sua madre. "Sta' attenta a
tuo fratello, mi raccomando. Non perderlo di vista. Mi fido di te." Ed eccolo là Joseph Harlan Driscoll, l'illustre rampollo di famiglia, disteso per tutta la sua lunghezza non eccessiva sul bordo estremo del laghetto delle anatre (in realtà più una grande vasca tenuta costantemente pulita ed a livello da getti e scarichi sul fondo), mentre cercava disperatamente di recuperare la sua barchetta che si allontanava inesorabilmente dalla sua mano. "Noooo! Miiaaaaa!" stava urlando con tutto il fiato che potevano contenere i suoi piccoli polmoni. "Joey! Se non ti alzi immediatamente, le prendi di brutto!" Carrie scende con cautela lungo il manto erboso che circondava il laghetto, ricordando come da piccola lei stessa era scivolata proprio in quel punto, rischiando di cascarci dentro. Ma il bambino non pare prenderla in considerazione e continua a sfogare tutte le sue energie nella rabbiosa frustrazione di non riuscire a riprendere il suo giocattolo. Energia che sembra ben lungi dall'esaurirsi, quando sporgendosi pericolosamente in avanti, con uno sforzo la sorella riesce ad afferrarlo sotto le ascelle e a sollevarlo tra le sue braccia, provocando urla anche più alte, unite ad un furioso agitarsi di braccia e gambe nel tentativo di divincolarsi, col rischio di far finire entrambi in acqua. Stringendolo al petto, Carrie riesce ad allontanarsi dal punto di maggior pericolo, ed appena al sicuro comincia a dare a sua volta sfogo a tutta la rabbia e la paura, sculacciandolo con tutte le sue forze. "Brutto deficiente! Volevi ammazzarti?!? Non t'azzardare mai più a fare una cosa del genere!!!" Strillando e scalciando come un dannato, Joey tenta inutilmente di sottrarsi alla punizione, ma trattenuto per un braccio da Carrie, deve sorbirsi fino all'ultimo la generosa razione di botte, equamente distribuite su entrambi i lati del suo sederino, finché stanca e con la mano arrossata e dolorante, Carrie non lo lascia correre via piangente verso i cespugli che delimitavano la radura. Assicuratasi che il pestifero monello se ne rimanga là, disteso a terra ma ben visibile, a piangere tutte le sue lacrime, Carrie si lascia cadere sull'erba con ancora un leggero fiatone per lo sforzo e l'emozione. "Vaffanculo, Joey. Tu e il momento in cui sei arrivato." Questo le aveva permesso almeno di sfogare un po' della sua rabbia repressa, e Carrie si era chiesta se davvero tutte le botte che aveva tirato a suo fratello, erano state frutto della paura che le aveva fatto prendere. Per la verità, credeva che ci fosse di più. In realtà, pensava che fosse proprio Joey la causa di gran parte dei problemi della sua famiglia. Tutto
era diverso prima della sua venuta. Sua madre e suo padre litigavano
qualche volta, come tutti, ma senza quel livore e quell'odio che
aveva sentito nelle loro voci dopo. Tutto sommato la loro la si
poteva definire una famiglia accettabilmente felice, o così le sembrava
di ricordare. I veri problemi erano arrivati dopo la nascita di
suo fratello. Ormai dopo undici anni di matrimonio, i suoi non se
l'aspettavano e la cosa aveva sicuramente creato problemi. Era stato
in quel periodo che aveva cominciato a sentire i primi veri litigi
provenire dalla stanza dei suoi in piena notte. In particolare,
ricordava una frase urlata da suo padre: "Cristo!
Marilyn, non potevi stare più attenta?!" Subito dopo la voce della mamma era scesa di tono e la conversazione era diventata inudibile. Carrie era rimasta a lungo perplessa sul significato di quella frase misteriosa. In che cosa la mamma doveva stare attenta? E perché papà se la prendeva con lei? Il giorno dopo ne aveva parlato a scuola con Alicia, e la sua compagna era scoppiata a ridere dei suoi dubbi, e le aveva spiegato con quell'aria da saputella terribilmente irritante che talvolta sapeva assumere, che suo padre si era incazzato (aveva detto proprio così, facendo arrossire Carrie che non era ancora abituata a sentire quelle parole) perché sua madre evidentemente non aveva usato le precauzioni. La spiegazione aveva reso Carrie ancora più perplessa e Alicia, più divertita che mai, in quel suo improvvisato ruolo di istruttrice, le aveva raccontato dei modi che a volte usano i grandi quando vogliono fare sesso senza rischiare di avere bambini. Ma Carrie non era totalmente a digiuno sull'argomento come, a quanto pareva, credeva lei e aveva ribattuto che allora avrebbe dovuto essere suo padre a mettersi le precauzioni. "Sei proprio una ragazzina." le aveva risposto dall'alto dei suoi dodici anni e mezzo, Alicia. "Agli uomini non piace infilarsi quell'affare. Anche il mio nuovo papà chiede sempre alla mamma di mettersi la spirale o prendere la pillola prima di fare l'amore." Piuttosto confusa da quell'ostentata esibizione di conoscenza, Carrie non aveva saputo cosa dire, ma quasi senza accorgersene aveva cominciato ad odiare suo fratello prima ancora che venisse al mondo. E certo dopo, le cose non erano migliorate. La seconda gravidanza di sua madre era stata difficile, in un paio di occasioni aveva perfino rischiato di abortire, e quando Joey era nato, il parto particolarmente laborioso l'aveva fortemente indebolita, costringendola a rimanere a letto e a completo riposo per settimane, finendo per gettare tutto il lavoro di casa sulle spalle di suo padre. Carrie era sicura che fosse stato questo prolungato stato di tensione a minare definitivamente il matrimonio dei suoi, e per quanto facesse per cercare di non pensarci, tutte le volte che posava lo sguardo su quell'insopportabile batuffolo di pianti e problemi, le mani le prudevano e cercava solo un buon pretesto per suonargliele di santa ragione. Le occasioni non le mancavano, perché Joey in fondo una peste lo era per davvero, e dopo almeno si sentiva un po' meglio. Un mugolìo e un fruscìo di cespugli alle sue spalle spezzano quella corrente di pensieri e Carrie interrompe le sue riflessioni tornando istantaneamente al presente. Immediatamente si volta verso il punto dove aveva visto per l'ultima volta Joey. Ma il grande prato è assolutamente deserto e gli alti cespugli lo circondano immobili. Più irritata che allarmata, la ragazza si rialza guardandosi intorno. Il laghetto appare tranquillo, con le anatre che vi nuotano pacificamente emettendo di tanto in tanto i loro versi in incomprensibili conversazioni tra loro, e la barchetta di plastica che, spinta dalle correnti sotterranee artificiali, è tornata a riva e ora batte la chiglia contro il bordo erboso. "Joey! Esci subito fuori!" grida Carrie minacciosamente verso i folti cespugli. "Guarda che stavolta ti tolgo la pelle a sculacciate!" Nessuna risposta. Ma non era un risolino, quello che le era parso di sentire attraverso il fitto fogliame? Quell'infernale marmocchio si era nascosto nei cespugli per farle un dispetto, eh? Bene, se pensava che lei fosse dell'umore giusto per giocare a nascondino, gli avrebbe mostrato quanto si sbagliava. "Joey, se non esci di lì entro tre secondi, non potrai sederti per dei mesi, te lo giuro." Questa volta non c'era dubbio. C'era stato una specie di gemito proveniente dal cespuglio più folto, alla sua destra. Ma nessun movimento. Ah,
è così, eh? Adesso vedrai. Con passo deciso, Carrie si dirige verso il modellino di nave del fratello, dimenticando per un attimo la scivolosità del declivio e rischiando di finire molto poco dignitosamente con il sedere a mollo, ma riuscita a mantenere l'equilibrio, si china sull'acqua e afferra la barchetta. "D'accordo, Joey" dice ad alta voce, voltandosi verso i cespugli e tenendo il modellino bene in vista tra le mani "conto fino a tre e se non ti decidi a uscire puoi dire addio al tuo bel giocattolino. Non sto scherzando. Uno." Un leggero agitarsi di foglie dal cespuglio che Carrie aveva già individuato. Un sorrisino aleggia sulle labbra della ragazza. "Due." L'agitarsi nel fogliame s'intensifica e Carrie alza ancora di più il modellino aumentando la pressione delle dita sulle fragili strutture di plastica. "Due e mezzo..." D'improvviso, il cespuglio sembra quasi esplodere verso l'esterno, mentre il viso del suo fratellino, graffiato e sanguinante in più punti, ne sporge con gli occhi dilatati dal terrore. "CARRIEEE!!!!" ha appena il tempo di urlare il piccolo, prima che qualcosa di nero gli si avvolga come un serpente intorno alla faccia trascinandolo nuovamente nel folto. L'azione è stata talmente fulminea che Carrie non riesce neanche a capire cosa ha visto esattamente, ma d'istinto lascia cadere il giocattolo e si lancia urlando verso i cespugli che ora si sono richiusi. "JOEYYY!!!"
grida, senza più pensare a quanto sia insopportabile suo fratello,
come lo consideri il responsabile unico della prossima separazione
dei suoi genitori, e a quante volte ha desiderato che non fosse
mai nato. Infila le mani tra il fogliame, incurante dei graffi che
si procura, cercando di crearsi un passaggio e di introdurvisi all'interno.
L'oscurità molle ed umida della densa ombra si chiude su di lei,
impedendole per qualche attimo di vedere qualcosa nel repentino
contrasto con la luminosa luce del giorno che è rimasta all'esterno,
come se avesse improvvisamente varcato il confine tra il giorno
e la notte, poi i suoi piedi inciampano in qualcosa e il suo sguardo
corre al suolo e sul corpicino abbandonato di Joey, appena visibile
nel buio. La sua bocca si spalanca, mentre sente il suo cuore batterle
con colpi di cannone nelle orecchie, e i suoi polmoni si riempiono
d'aria, per urlare ancora una volta il nome di suo fratello, ma
una morsa inesorabile l'afferra alla gola da dietro, troncandole
il grido sul nascere e una fitta di gelo le attraversa il petto
sotto i seni. Le gambe le cedono quasi immediatamente, un getto
caldo le investe il ventre e la sua bocca si riempie di un liquido
dal sapore metallico. Un velo nero le copre la vista e il fragoroso
tuono che le percuote i timpani rallenta fino a fermarsi, mentre
i suoi occhi ormai ciechi affondano nella terra impregnata di umidità. (68)
Xena/Jennifer e Sutherland La portiera del taxi si richiude alle sue spalle con un tonfo secco, facendo quasi sobbalzare Xena che si sta guardando ancora intorno ad occhi spalancati. Per tutto il viaggio, è stata con la testa fuori dal finestrino ad osservare le altissime torri che parevano fatte di cristallo davanti alle quali passavano, sollevando la curiosità divertita dell'autista, e l'evidente imbarazzo di Sutherland. "Non si preoccupi." gli aveva detto ridendo il tassista. "Ho dei parenti di mia moglie che sono amish. Avrebbe dovuto vedere le loro facce la prima volta che sono venuti a trovarci." Sutherland aveva sorriso a sua volta cercando, senza farsi notare troppo, di tirare dentro la guerriera, ma non con molto successo. Alla fine, con grande sollievo del professore, l'auto aveva accostato davanti all'indirizzo richiesto e li aveva lasciati sul marciapiede a fissare una serie di case a tre piani, una accanto all'altra e tutte uguali, che si perdevano a vista d'occhio senza soluzione di continuità. "Ecco, deve essere quella." dice il professore, indicando un portone uguale a tutti gli altri, in cima ad una breve rampa di scale. "Però, che quartiere squallido. Jennifer aveva ragione. In questa zona non deve esserci un albero per chilometri. Ti ricorda niente?" Xena che continuava a guardare con meraviglia ed interesse ogni cosa nuova che si ponesse alla sua attenzione, si scuote e si concentra sulla spoglia casetta davanti a lei. "No." risponde. "Vieni, entriamo." Sutherland, con l'aiuto del bastone, si dirige verso la casa. "Dovrai aiutarmi, però. Da un po' di tempo le scale sono una sofferenza per me." Sostenuto dal braccio della donna, il professore raggiunge, non senza qualche smorfia per le fitte tra il fondo schiena e la gamba, l'ultimo gradino, estraendo dalla tasca il mazzo di chiavi che aveva trovato nella borsetta di Jennifer. "E ora speriamo di trovarla al primo colpo, e soprattutto di non fare incontri inopportuni." mormora cominciando a scegliere una chiave piccola e stretta dal mazzo, giudicando che le dimensioni possano corrispondere alla serratura. Ed infatti, questa scivola senza difficoltà all'interno della toppa, provocando un immediato scatto metallico che apre la porta. "Perfetto. E' andata bene." Con un sorriso soddisfatto, Sutherland si fa da parte per cedere il passo a Xena che lo guarda perplessa. "Prego. Dopo di te." dice il vecchio, inchinando compito la testa. Levando gli occhi al cielo con un sospiro, Xena entra nell'ingresso afferrando in un'unica occhiata ogni dettaglio del piccolo ambiente disadorno quanto il suo esterno, con una sola porta sulla sinistra, appena rallegrata da uno zerbino rosso con la scritta benvenuti. "Aspetta." fa Sutherland, superando con sforzo la guerriera che sta già dirigendosi in quella direzione. "Meglio accertarsi prima che sia quello giusto. A dispetto di questo caloroso benvenuto, ho l'impressione che in questo quartiere ci mettano poco a chiamare la polizia se sentono o vedono qualcuno cercare d'introdursi in un appartamento." Avvicinandosi con cautela alla porta, Sutherland inforca gli occhiali scrutando il nome sopra il campanello. "No. Non è questo." dice poi, muovendosi verso le scale, rassegnato. "Sarebbe stata troppa fortuna. Proviamo con quello al secondo, e speriamo che le mie gambe reggano." Il rumore di un lucchetto che scorre ed una porta che si apre li blocca e i due si voltano verso lo spiraglio che si è timidamente schiuso, lasciando filtrare una luce nell'oscuro ingresso. "Desiderate qualcosa?" chiede una voce femminile flebile, mentre un occhio che sembra un po' spaventato spunta nella fessura. Per un momento, Xena e Sutherland restano a guardare sorpresi la minuscola figuretta che si intravede dietro la porta socchiusa, una piccola donna anziana più vicina ai settant'anni che ai sessanta da quel che si poteva indovinare, magra ed esile. Poi, il professore torna indietro e con il suo più affascinante sorriso si avvicina di nuovo alla porta, sporgendosi verso la vecchietta. "Ci perdoni, gentile signora. Non volevamo disturbarla, ma la mia amica qui ha avuto un incidente ed è un po' confusa. Stavamo cercando d'individuare il suo appartamento." L'attenzione della donnina si sposta sulla figura accanto al professore, e lo spiraglio si allarga un po', insieme al suo sorriso. "Oh, dottoressa Rowles. Non l'avevo riconosciuta." dice evidentemente tranquillizzata dall'immagine familiare. Poi la sua espressione torna ansiosa. "Ma ha avuto un incidente? Qualcosa di grave?" "Oh no, niente di preoccupante, glielo garantisco." si affretta a rassicurarla il professore. "Solo una sciocchezza. Un... tamponamento con l'auto. Niente di grave, davvero. Nulla che una buona nottata di riposo non possa cancellare." "Non si sarà fatta male alle vertebre, vero?" La donna apre ancora di più la sua porta. "E' stata a farsi visitare al pronto soccorso? La mia amica Mildred l'anno scorso ha avuto un incidente simile e ha dovuto portare il collare di sostegno per settimane." "No, nulla del genere, davvero, signora. Il colpo l'ha soltato un pochino... stordita. Aveva delle difficoltà a ricordare dove abitasse, ma sono sicuro che si riprenderà subito." "Mio Dio, vuol dire che ha una... come si chiama... un'amnesia?" La vecchietta spalanca gli occhi, portandosi le mani al volto. "Oddio, ma è terribile!" Non sapendo più come calmare l'ansia crescente della buona donna, Sutherland prende Xena per le spalle e la spinge gentilmente verso di lei. La guerriera che ha seguito tutta quella concitata e confusa conversazione a base di gridolini e salamelecchi in silenzio e con aria vagamente disorientata, nel sentirsi spingere lancia uno sguardo omicida al vecchio, ma poi di fronte all'espressione genuinamente preoccupata della vicina, non può fare a meno di mettere insieme la migliore imitazione di un sorriso rassicurante. "Ehm... sto benissimo... davvero... signora..." farfuglia, gettando un'occhiata al nome scritto sulla porta, non riuscendo però a decifrare subito la sfilza di caratteri incisi. "Winterbottom." le suggerisce la donna con un sorriso d'incoraggiamento. "Ma le ho già detto che può chiamarmi semplicemente Claire... Oh, povera cara. Deve essere davvero confusa. L'accompagni al suo appartamento." dice poi rivolta al professore. "Io intanto chiamerò subito un medico." "No!" esplode immediatamente Sutherland, bloccando la donna che stava già per chiudere la porta, e ora lo fissa interdetta. "Voglio dire che non è necessario." si corregge il professore con un nuovo sorriso più largo del precedente. "Io sono un medico. Mi permetta di presentarmi. Professor Michael Sutherland, psicologo ed ex-docente universitario. Le assicuro che con me la dottoressa Rowles non ha niente da temere." "Oh, professore." dice la vecchietta, evidentemente colpita dal titolo "Non immaginavo. Certo, naturalmente. Allora sono più tranquilla. Ha sentito, cara?" aggiunge, rivolta alla guerriera. "Sono certa che il professore la rimetterà in sesto in un battibaleno. Volete entrare un momento per un tè?" "Oh no, signora." risponde subito Sutherland, rimettendosi tra Xena e la vecchietta. "Lei è davvero gentilissima, ma è meglio che la mia amica vada subito a distendersi. Solo che..." aggiunge con un'esitazione, attentamente studiata "... come le ho detto la sua memoria è ancora un po' confusa e non riesce a ricordare quale sia esattamente il suo appartamento..." "Oh, poverina." fa la signora Winterbottom, con espressione contrita. "Ma è al secondo piano, l'ultima porta a destra. Volete che vi accompagni?" "Non occorre che si disturbi, cara signora. La troveremo. Certo, se ci fosse un ascensore..." azzarda il professore. "Ma c'è. In realtà è più un montacarichi" spiega la donna "ma è in fondo al corridoio." "Cara signora, lei c'è stata di enorme aiuto e la mia povera schiena le è molto grata. Mi permetta." E rispolverando tutto il suo fascino di anziano gentiluomo, Sutherland prende la mano avvizzita della vecchietta, sfiorandola con le labbra, e con un profondo inchino si congeda dalla premurosa vicina, che richiude la porta ammutolita, con un sorriso timido ed un sospetto rossore alle guance. "Siete tutti così... cerimoniosi da queste parti?" chiede Xena con uno sguardo perplesso, mentre si allontanano."Neanche nel lontano Oriente ho mai visto tante smancerie." "Purtroppo no." risponde Sutherland con un sorriso. "Se lo fossimo questo pianeta sarebbe un posto infinitamente più piacevole dove vivere." "Questione di gusti." dice la guerriera, con un'alzata di spalle, seguendolo verso la cabina aperta dell'ascensore. Dopo un breve ma difficoltoso viaggio in ascensore (quando le porte si erano serrate dietro di loro, Xena aveva dato segni di inequivocabile nervosismo, sostenendo che i luoghi piccoli e chiusi non le piacevano, e Sutherland aveva avuto il suo daffare per calmarla), erano finalmente riusciti ad entrare nell'appartamento di Jennifer, anche se questa volta la serratura più vecchia e malandata di quella dell'ingresso aveva fatto un po' di capricci prima di decidere ad aprirsi. Giunti all'interno, la guerriera aveva cominciato a guardarsi intorno, cogliendo ogni dettaglio delle stanze in cui si muovevano, come ormai Sutherland aveva capito fosse abituata a fare sempre, ogni volta che si trovava in un ambiente nuovo e sconosciuto. "Continui a non ricordare nulla, eh?" le aveva chiesto, ben sapendo la risposta che poteva aspettarsi. "No." aveva infatti detto Xena, passando con lo sguardo sulle pareti ed i mobili dell'arredamento semplice ma elegante. Quell'appartamento denotava bene il carattere della psicologa, aveva pensato il professore percorrendolo a sua volta e ammirando il gusto nella disposizione dei pochi mobili e dei quadri alle pareti. Jennifer era scappata dalla sua vecchia casa e dai ricordi che conteneva per approdare in quel quartiere squallido, perché niente potesse distrarla dal suo dolore, ma alla fine, volontariamente o no, era riuscita comunque a dare una sua impronta a quello scialbo appartamento, rendendolo nei limiti del possibile perfino grazioso, anche solo nella scelta dei pezzi di mobilio (alcuni dei quali gli sembrava di ricordare di avere visto nell'altra casa), alcune delicate porcellane che facevano bella mostra di sé su delle mensole, e le tende di un morbido color pastello che conferivano una singolare aria confortevole a tutto l'insieme. "Qui c'è la camera da letto." dice Xena, entrando con passo deciso in una stanza buia e andando subito ad aprire le tende. La luce del giorno invade un ambiente abbastanza ristretto, ma piacevole con al centro un letto ad una piazza e mezzo, affiancato su entrambi i lati da comodini provvisti di abat-jour, e un armadio che copre un'intera parete. Con l'innegabile senso di disagio che provava qualunque uomo della sua generazione ad entrare nella stanza di una signora in sua assenza, Sutherland si ferma sulla soglia, poi facendo violenza alla sua natura, si decide e muove alcuni timidi passi all'interno. "Credo che in questo armadio, troverai quello che fa al caso tuo." dice indicando con la testa il grande mobile in legno chiaro, senza però toccare niente. "Fammi vedere." Xena si dirige all'armadio e ne afferra l'anta, aprendola di scatto. E un attimo dopo schizza via, mentre l'anta compie il resto del tragitto da sola, rivelando la superficie dello specchio a grandezza naturale nel suo lato interiore, e l'immagine della guerriera in posizione da combattimento che vi si riflette dentro. "Xena." Sutherland non riesce ad evitare una risatina davanti alla faccia della guerriera. "E' solo uno specchio. Ne hai visto più di uno già a casa mia." Con un'occhiataccia, Xena smette la sua posa da battaglia e cerca di ridarsi un contegno, avvicinandosi allo specchio e sfiorandolo con la punta delle dita. "Conoscevo già da prima gli specchi, grazie." dice gelidamente. "Ma non mi aspettavo certo di trovarne uno qui dentro." "Si definisce uso razionale degli spazi." prosegue il vecchio, risistemando l'anta in modo che lo specchio possa riflettere interamente la figura della guerriera. "Ecco, così mentre sceglierai i capi più adatti, potrai vedere come ti stanno." Ignorando lo sguardo divertito del professore, Xena si dedica al contenuto dell'armadio, pieno di abiti a prima vista dello stesso genere di quelli che indossava in quel momento. Soprabiti, cappottini leggeri, giacche, gonne di ogni lunghezza, pantaloni e un'infinità di altre cose a cui non avrebbe nemmeno saputo dare un nome. "La maggior parte non saprei neanche come infilarli." borbotta, esaminandoli velocemente uno alla volta. "Beh, io ti lascio... scegliere." dice Sutherland, uscendo dalla stanza con gli occhi bassi sotto lo sguardo perplesso della guerriera, che lo osserva allontanarsi, scuotendo la testa. "Che
strano tipo." mormora. Circa un quarto d'ora dopo, il professore, intento a sfogliare un libro della non molto fornita libreria in salotto, sente la porta della stanza di Jennifer aprirsi e si volta in quella direzione. Sulla soglia, c'è la donna, mani sui fianchi, che lo guarda con indosso un soprabito aperto, in pelle nera lucida, sotto il quale si intravede un top rosso scuro che le lascia il ventre scoperto, ed una gonna dello stesso colore, cortissima con le gambe in piena vista, almeno fino a poco più giù delle ginocchia, dove finiscono in un paio di alti stivali anch'essi neri e lucidi. Il vecchio resta a fissarla senza riuscire a spiccicare parola. "Allora?" chiede Xena, incerta. "Non... non male." balbetta Sutherland, avvertendo il sangue affluirgli pericolosamente al volto. "Ma non farà un po' fresco per una tenuta così... leggera?" "Sciocchezze." dice la guerriera. "Ho affrontato i rigidi inverni del nord con molto meno addosso." "Ehm, sì, ma eri nel tuo... corpo." prova a dire il professore, continuando a fissarla incapace stavolta di distogliere lo sguardo malgrado ogni sforzo. "Non credo che Jennifer se ne vada in giro in questa stagione con questo... abbigliamento." L'ultima parola gli esce di gola quasi strozzata. "Beh, mi spiace, ma è l'unico che si adatti alla necessità." liquida il discorso Xena. "Se dovrò usare gambe e braccia, non mi ostacolerà nei movimenti." dice, accarezzando il tessuto del top, quasi soprappensiero, tacendo consapevolmente o no la vera ragione che le aveva fatto scegliere quel particolare capo di abbigliamento, appena l'aveva scorto in mezzo a tutti gli altri, tenendo gelosamente per sé quanto quelle vesti, quel colore, le ricordassero... "Olimpia..." mormora a voce tanto bassa da essere appena udibile, e Sutherland giurerebbe quasi di aver sentito la sua voce rompersi per un attimo, ma quando la donna alza lo sguardo vi si legge solo fredda determinazione. "E adesso, che si fa?" chiede. Il professore sembra finalmente scuotersi al brusco richiamo. "Cosa... cosa si fa?" ripete come se non avesse capito il senso. Poi, lentamente pare riprendere possesso delle sue facoltà mentali. "Io... non ne ho idea." dice. "Immagino che dovremo attendere gli eventi." "Attendere?" La guerriera lo fissa, mentre una luce minacciosa si accende nei suoi occhi. "Forse non hai capito che ho lasciato la mia compagna ad affrontare da sola qualcosa che quando ero con lei per poco non ci ha uccise entrambe." "Ascolta." Sutherland con molta cautela le posa una mano sul braccio, parlandole con calma. "Sai che io credo che tu sia qui per una ragione. Non chiedermi di spiegartela. Non posso farlo, ancora. Ma vedrai che presto, prima di quanto tu possa immaginare, accadrà qualcosa che ti toglierà ogni dubbio." Xena lo squadra per qualche momento, quasi a sondare nei suoi occhi quanto sinceramente creda lui stesso in quello che dichiara. "La fede che hai nelle tue convinzioni è impressionante, vecchio." dice poi. "Vorrei poterla condividere, ma dalla mia vita ho imparato che quando vuoi qualcosa devi andartelo a prendere." "Anche se può sembrare una cosa strana da dire a qualcuno che dovrebbe aver compiuto almeno duemila anni" mormora sorridente il professore "quando avrai la mia età, scoprirai che a volte saper attendere può essere la migliore strategia." "E credi che non lo sappia?!" La guerriera si volta di scatto verso di lui, liberandosi dalla sua mano, e Sutherland arretra sorpreso. "Nei miei anni da condottiera ho guidato i miei eserciti all'assedio delle più grandi città fortificate." sibila Xena, avvicinando il suo viso a quello di lui, e nel suo sguardo sembrano ora ardere fiamme. "Ho resistito per... mesi, sotto il sole più bollente e nel gelo più intenso, aspettando e aspettando, in condizioni tali che né tu né nessun altro abitante di questo mondo riuscireste neanche ad immaginare, ma finendo sempre per vincere. Non ne vado orgogliosa, ma non pensare di venirmi a dare lezioni sull'argomento. Stavolta però c'è Olimpia di mezzo" dice piano, mentre quel riflesso minaccioso si spenge nei suoi occhi, lasciando il posto a uno sguardo carico di angoscia malamente repressa "e io non ho tempo di aspettare." Emettendo con un sospiro di sollievo il fiato che aveva istintivamente trattenuto in gola, Sutherland attende che il suo respiro riprenda un ritmo accettabile prima di parlare, ma guardandosi bene dal toccare di nuovo la guerriera. Vedere in quegli occhi castani, che fino a ventiquattro ore prima erano appartenuti a Jennifer Rowles, una donna forse tormentata, ma solitamente equilibrata, brillare quella luce selvaggia a stento dominata, ma pronta a riesplodere in tutta la sua furia in qualsiasi momento, non è stata un'esperienza piacevole. E non importava che quella rabbia fosse scatenata dalla paura e dall'amore per la propria compagna. La paura e l'amore potevano trasformarsi nei più potenti inneschi per il furore omicida celato nel cuore degli esseri umani come lui, il professor Michael Sutherland, ex-docente specializzato in storia e psicologia applicata alle masse e studioso per professione e per diletto dei comportamenti individuali e collettivi sotto stress, ben sapeva. E quello sguardo ravvicinato sul lato oscuro della Principessa Guerriera, di cui fino ad allora aveva solo letto su frammenti appena decifrabili di antiche pergamene, e che ora invece aveva potuto sperimentare dal vivo, sconsigliavano altri approcci troppo confidenziali. Non doveva più dimenticare che dentro il corpo della sua amica, abitava ora lo spirito millenario di una guerriera, e anche se riteneva intuitivamente di aver a che fare con una persona sostanzialmente buona, si trattava comunque di una donna che rispondeva alle abitudini ed agli istinti di un mondo in cui la violenza e la morte erano pratiche quotidiane anche per la gente comune. "Ti prego di perdonarmi." mormora "Non intendevo sembrare paternalistico. Ritroverai la tua Olimpia, vedrai. Io e Jennifer" aggiunge "abbiamo fatto l'impossibile mesi fa, affinché voi due poteste riunirvi e qualunque missione siamo chiamati a compiere adesso non vi abbandoneremo." Lo sguardo cupo e perso nel vuoto di Xena torna a posarsi per un attimo su di lui. "Voi?" chiede con una smorfia amara. "Ma se non sai nemmeno dove è finita la tua amica." "No, non lo so, è vero." ammette Sutherland. "Ma se tutta questa storia ha un senso e io non mi sono bevuto completamente il cervello, allora penso che ci sia un solo posto dove lo spirito di Jennifer possa trovarsi ora. E non dirmi che non ci hai pensato anche tu." La guerriera stringe le labbra, scuotendo la testa con aria di commiserazione verso il vecchio che la fissa con uno sguardo speranzoso. "E tu ritieni che sia una buona notizia?" gli domanda con un tono in cui l'ironia si mescola alla desolazione. "Questa... Jennifer, che ha permesso al suo corpo di infiacchirsi a questo modo" e Xena apre l'impermeabile per sottolineare meglio quanto sostiene "quante probabilità credi che abbia nel mio mondo, eh? Guarda qua, come sono in evidenza le costole. E questo stomaco? Bah. Non sopporterebbe neanche un calcio." dice battendosi una mano sul ventre nudo. Il professore che ha distolto prontamente lo sguardo quando la guerriera ha sollevato parzialmente il top per mostrargli le sporgenze delle costole innegabilmente visibili, torna a guardarla solo quando è sicuro che Xena si è nuovamente coperta. "Beh" spiega "devi sapere che Jennifer ha passato un gran brutto periodo, ultimamente. La morte di... una persona che le era cara l'ha profondamente scossa e si è lasciata forse un po' andare. Può succedere quando si perde qualcuno a cui si tiene molto." "Questo lo so." mormora la guerriera, infilando le mani nelle tasche dell'impermeabile e avvicinandosi alla finestra del salotto, guardando fuori. La sua mente vaga in ricordi che sperava fossero seppelliti per sempre. E in quella finestra le pare di rivedere l'immagine che una volta ha scorto in un portale, la schiena nuda di una fanciulla dai corti capelli biondi, smagrita e con le ossa in risalto attraverso una pelle opaca e che non aveva più l'aspetto vellutato e il colorito rosa che ben le conosceva. Una fanciulla che non aveva più alcun desiderio di vivere perché aveva perso la sua unica ragione di vita. Non
accadrà più, amore mio. Tornerò da te, a qualunque costo. E da qualche parte le pare quasi che un altro pensiero ("Io ho fiducia in te e so che riuscirai a ritornare.") risponda al suo. Non sa se è solo frutto della sua immaginazione, ma immediatamente sente il suo cuore come allargarsi e i suoi occhi si riempiono di lacrime, appannandole la vista. "Ma il tuo corpo è sicuramente in gran forma. Jennifer saprà cavarsela." Ignaro che la mente della sua interlocutrice sia stata proiettata ad almeno un universo di distanza, il professor Sutherland ha continuato il suo discorso. "E vedrai che riuscirete a tornare presto ognuna al suo posto." Xena si volta verso di lui, incurante delle lacrime che ancora le bagnano il volto. "Non so se sei l'uomo più ottimista che abbia mai incontrato, o il più stupido. La tua amica nel mio corpo? Sai bene anche tu che il dèmone ne farà un solo boccone. E questo non ci lascia molte alternative. Se la soluzione del problema, in qualche modo passa di qui, dobbiamo trovarla al più presto. Quindi comincia a pregare le tue divinità, o qualunque cosa in cui tu creda, che gli eventi maturino alla svelta." Sutherland resta a guardare per qualche momento, quel viso rigato di lacrime, che la donna non si cura più di nascondere, stupito da quella miscela di disperazione e determinazione che vi legge. Il senso di frustrazione e rabbia impotente che ne emana è controbilanciato da un'incrollabile fermezza che ne permea completamente i tratti rendendo il volto di Jennifer ormai quasi irriconoscibile. Quale sarà la reazione di quelli che la conoscono bene, i suoi amici, i suoi colleghi, quando la incontreranno? E come reagirà lei? pensa, sorprendendosi di non averci pensato fino ad allora. E in quel preciso momento, lo squillo secco del campanello all'ingresso risuona nell'appartamento facendoli sobbalzare entrambi. Bene,
penso che lo scopriremo presto. Facendo cenno a Xena di non muoversi o parlare, Sutherland si dirige alla porta. "Sì? Chi è?" chiede. Dall'altra parte, c'è il silenzio per qualche attimo, poi una voce di uomo filtra attraverso lo spesso legno. "Chi
è lei, piuttosto? Sto cercando la dottoressa Rowles. Sono il capitano
Carruthers della polizia." (12
- continua) |
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