NUOVI
PASSI
di Zed
Disclaimer 1: I personaggi di Xena e Gabrielle appartengono alla MCA/Universal
Reinassiance Pictures e vengono qui utilizzati senza fini di lucro.
Reating:
Le scene di violenza non sono poi così tante ma se non le apprezzate
leggete pure altro. Se non apprezzate neppure l’amore tra persone
dello stesso sesso fate la stessa cosa anche se, in questo caso, sarebbe
difficile rimanere disturbati da qualche scena.
Se
volete, si accettano consigli, critiche e quant’altro a questo
indirizzo, kdream@yahoo.it è la mia prima fics su Xena e sarò
ben contenta di qualsiasi parere.
Prologo
Le verdi chiome degli alberi ondeggiavano alla dolce e calda brezza
del mattino, le sinuose colline verdeggiavano sotto i raggi del sole
primaverile e tutt’intorno era silenzio e pace; solo il sordo
scalpitio di un destriero aleggiava nella quiete, spezzando l’incanto
del momento eppure fondendosi in esso.
In groppa, più accompagnando i suoi movimenti che guidandolo,
una donna sembrava godersi la placida cavalcata, osservando i dintorni
con pacata tranquillità.
Al suo fianco i ricami del fodero di una spada mandavano baluginii
d’aurora, dai suoi gambali rimanevano ben visibili le impugnature
lunghe di pugnali a tre punte, e il portamento fiero, benché
rilassato, era quello di un guerriero.
Un guerriero stanco, magari, ma pur sempre allenato alla lotta ed
ai cruenti incontri che talvolta potevano travolgere le vie dei viaggiatori.
Pure, il suo volto era disteso nel percorrere la via quasi dimenticata,
poche rughe ne increspavano la bellezza, ed il cristallino sguardo,
sotto la frangia sempre meno bionda e un po’ più bianca,
brillava di divertimento e malinconia.
“Ecco, - pensava lasciandosi cullare dal passo tranquillo della
cavalcatura – ecco i primi luoghi che ho visitato; il vecchio
ponte, la strada per Anfipoli, la trappola del gigante… qui
i miei primi impacciati passi nel mondo.. ad inseguire un sogno durato
anni.”
Sorrise al vento ed ai ricordi.
I passi dopo i primi si erano susseguiti come le avventure vissute,
una dopo l’altra, in un turbinio di emozioni, di gioie, dolori,
scoperte, lezioni.
Era stata una grande, indimenticabile, avventura che l’aveva
portata dall’essere una semplice e inadeguata contadina al diventare
aedo, paciera, amazzone ed infine guerriera.
Una guerriera solitaria.
C’era stata Xena accanto a lei, Xena con la sua impazienza,
con quel goffo cameratismo, con i suoi modi a volte bruschi, taglienti,
ma anche con le sue soluzioni, a tirarla fuori dai mille guai in cui
finiva sempre per trovarsi. Xena cui aveva restituito tutto questo
con amore. Un’adorazione istintiva al principio, che pian piano
era andata scemando per lasciar posto a quell’affetto sincero
e umile, mentre imparava a conoscerla sempre più, ed infine
all’amore.
L’amore di cui cantavano le leggende, l’amore tenace e
passionale, silenzioso ma presente, quell’amore di cui sentiva
la mancanza prima di incontrare lei e che aveva accolto con gioia,
una volta riconosciutolo in se.
Sorrise al suo ricordo con quella tenerezza che, a distanza d’anni,
ancora non l’abbandonava.
Era stata la sua roccia e il suo rifugio, il sostegno, la sua forza.
In lei cercava le risposte alle mille domande che il mondo e la vita
le facevano nascere e solo in lei trovava la pace, nelle notti silenziose,
nei giorni di cammino, quando il suo sguardo incrociava due limpidi
occhi azzurri ed il suo cuore sentiva che ci sarebbe sempre stato
un futuro per loro.
E quante pergamene scritte al chiarore di un fuoco da campo, quante
che narravano di quell’amore appena nato che ancora non si era
accorta di provare, e quante che inneggiavano alla principessa guerriera,
a quel misto di passione, ardore e dolcezza celata che aveva sconvolto
le storie del mondo ed il suo cuore con esse.
E le sembrava giusto, nonostante tutto, aver dedicato quegli anni
a seguirla, imparare e ad amare in silenzio. Come avrebbe potuto altrimenti
accettare ed essere all’altezza del testimone gravoso che le
era stato passato? Eppure ancora c’erano notti in cui la solitudine
era una compagna sgradita e terribile ed il ricordo di Xena penetrava
nel suo animo non con la dolcezza di quel mattino ma con il dolore
malinconico della perdita. A distanza di anni, come una fanciulla,
ancora si trovava in lacrime davanti al vuoto che aveva lasciato nella
sua vita.
Ultimamente inoltre, s’era aggiunto un altro indesiderato compagno;
prima come debole dubbio, poi come voce tonante nel suo cuore solitario.
Non era ancora giunto per lei il momento di abbandonare i campi di
battaglia e lasciare ai giovani la difesa di quelle terre?
Da che, fanciulla, aveva incontrato Xena, fino a quel momento, la
sua casa era stato il mondo, dall’Egitto al Giappone ed ora
poche erano le ragioni che spingevano ancora le sue mani a bagnarsi
del sangue nemico. Erano tutte giuste, certo, ma sempre meno consistenti,
sempre meno preziose, sempre meno adeguate al suo cuore stanco, alle
lacrime notturne, al desiderio inconfessato e inconfessabile di distendersi
e dormire accanto a lei, per sempre.
Quante volte, negli ultimi mesi, aveva carezzato l’idea di tornare
a casa, di riattraversare quelle strade, le stesse percorse la prima
volta, e arrivare a lei? Sia che si trovasse tra le dune del deserto,
sia che combattesse le nuove legioni, sia che presenziasse ad improbabili
trattati, il suo pensiero volava a quelle colline, a quelle vie, a
quel silenzio amato e dolce. E magari avrebbe abbandonato le armi,
si sarebbe seduta accanto alle due tombe e avrebbe ricominciato a
scrivere. Di Gabrielle, guerriera solitaria, che continuò l’opera
della sua amata.
Ma sapeva che se anche avesse scritto di se stessa, nessuna pergamena
avrebbe potuto comunque rivaleggiare con quelle su Xena. Persino gli
aedi di Atene che tanto avevano insistito per narrare le sue gesta
avevano mancato di qualcosa. Nei loro scritti, per quando avvincenti,
mancava l’ingrediente essenziale, il motivo, l’unico motivo
– si ritrovava a volte a riflettere – che aveva reso grandi
i suoi. L’amore per chi quelle avventure le viveva al suo fianco.
E l’amore l’aveva portata a sfidare mortali e dei, a viaggiare
in tutte le terre conosciute e oltre, a rischiare la morte e ad affrontare
paure e demoni. Ma ora, quell’amore che ancora l’aveva
sostenuta, il cui ricordo era stato ancora spinta e motivazione, non
bastava più; e neppure i suoi riflessi ormai opachi riuscivano
a sostenerla in quel difficile cammino.
I
Più con tetra rassegnazione che con stupore, Gabrielle aveva
visto le misere case scorrere accanto alla strada. Non s’era
fermata alla vecchia locanda, né aveva rivolto parola agli
stupiti paesani accorsi fuori per vederla. Era tutto così diverso…
e così simile al contempo.
C’erano ancora le miserie di una vita di stenti, la guerriera
lo vedeva sui volti dei contadini, le paure per un attacco ingiustificato
ed improvviso, il coraggio, anche, di continuare a sopravvivere in
quegli anni senza legge, a sperare in un futuro migliore, che desse
ancora frutti e sogni in cui credere. Ma allo stesso tempo mancavano
ormai i volti conosciuti e amati, primo tra tutti, quello di Irene,
sempre pronta ad un abbraccio materno, ad accogliere l’aedo
e compagna di sua figlia come se provenisse dal suo stesso grembo.
Mancava il calore nel cuore mentre cavalcava verso il tumulo pensando,
forse per l’ultima volta, che li ove era Xena era anche la sua
casa.
Troppi, troppi anni trascorsi ormai, e troppi a pesare sul suo animo.
Anfipoli non era più il luogo di affetto e ristoro dei suoi
ricordi, ma un villaggio come tanti, da li in capo al mondo, più
vivo nei suoi ricordi che nella realtà.
Solo un luogo rimaneva intatto e sacro dentro lei, quell’unico
luogo verso il quale si dirigeva, spronando finalmente il bruno destriero
nel pomeriggio ormai inoltrato.
“Sono
a casa Xena. – mormorò entrando nella sala, la torcia
in mano ad illuminare gli anfratti sepolti – Sono tornata.”
La luce del fuoco illuminò la cavità tonda e le due
tombe scolpite nella roccia.
Una apparteneva a Linceo, quel fratello che Xena amava e rimpiangeva
e che Gabrielle non aveva mai potuto conoscere, e l’altra…
l’altra era la roccaforte che custodiva le ceneri della sua
compagna, di quella che era stata la sua vita e la sua fiamma: Xena.
Accese altre torce per poi posarle nei sostegni, gli unici suoni il
crepitio delle fiamme ed il tintinnio della spada contro i sais, quindi
s’avvicinò al sarcofago di pietra, ultima vestigia di
un’eroina.
S’inginocchiò accanto osservando la scultura incisa.
Diversi centimetri di polvere ne ornavano la superficie; erano passati
gli anni in cui il tumulo era meta di pellegrinaggio, ma il guerriero
raffigurato non somigliava per nulla alla sua principessa e solo la
memoria poteva ormai aiutarla a rivedere il suo sorriso impertinente,
lo sguardo malizioso, il corpo sinuoso, le movenze sensuali e, spesso,
mortali.
“Sono così stanca amor mio – mormorò appoggiandosi
al simulacro. Sapeva che le sue ceneri erano ancora li dentro, lei
stessa le aveva riportate a casa, assecondando il desiderio dell’amica
– son passati troppi anni da quando mi hai lasciata ed il peso
che prima era tuo ora ha piegato le mie spalle. Quanto tempo ho impiegato
per capire la responsabilità che facevi tua ogni volta, quanto
tempo per accettare la tua ultima decisione. Ho ancora l’agilità
di un’amazzone ed i miei colpi affondano come quando combattevo
accanto a te, ma nuove rughe mi si disegnano attorno agli occhi e
tra i biondi capelli che accarezzavi ora ci sono fili bianchi che
non ricorderesti… Ameresti ancora vedermi così? –
sorrise al nulla, quel loro amore era stato tormento e tempesta, ma
anche dolcezza infinita e desiderio, ed il suo cuore conosceva la
risposta. Xena l’avrebbe amata vecchia e stanca, come l’aveva
amata giovane e combina guai. – Mi sento così sola…”
Il silenzio tornò ad invadere la tomba. Era un silenzio di
pace conquistata, di riposo dopo mille battaglie; non bastava il respiro
lieve di Gabrielle ad incresparlo, né il battito calmo del
suo cuore o il tumulto dei suoi pensieri sperduti.
“Non sei sola” aveva detto a Xena… forse la prima
cosa sensata che le avesse mai detto, non era sola perché dovunque
fosse andata lei l’avrebbe seguita… anche da lontano,
se la principessa guerriera non l’avesse voluta con se. E ugualmente
non era sola lei in quel momento. Il ricordo di Xena, della sua presenza,
di mille particolari era ancora vivo e ancor più forte lo sentiva
in quel luogo. Ma era una consapevolezza velata di rimpianto e aveva
imparato a conviverci.
Pure era bello poter stare li, lei, la grande guerriera, la nuova
eroina, la portatrice del chakram, seduta accanto al sarcofago a ripensare
al passato, a trarne forza, per quanto possibile, per quel futuro
incerto e sempre più immotivato. L’unico motivo pressante
che la spingeva ad andare avanti era ciò che aveva imparato
da quella vita. Era il suo karma, non poteva venirne meno per non
cambiare il corso dei suoi destini a venire. Doveva lottare per un
bene superiore… quello stesso che l’avrebbe ricongiunta
a Xena.
“Il nostro karma.. la prossima vita…” mormorò
cullandosi in pensieri sempre meno coerenti.
Le fiamme ardevano ancora accanto alle pareti, l’aria era immota
e le ombre danzavano lievi e sinuose. Cosa l’aveva destata?
Era forse trascorsa la notte e i rumori del mattino l’avevano
sorpresa li?
Ma no, nn doveva essere passato molto tempo e…
E di nuovo uno squillo acuto lacerò l’aria, fendendo
il silenzio immoto del tumulo.
Gabrielle scattò in piedi, la mano sull’elsa della spada
in un gesto ormai automatico, il chakram al fianco opposto, a riflettere
le fiamme, i sensi tesi per capire cosa potesse rappresentare quel
rumore, quindi corse fuori dal tumulo.
Istintivamente sentiva che una nuova avventura andava cominciando
e, a dispetto di tutti i pensieri, il suo corpo era già proteso
ad entrarvi.
L’aria sapeva di fumo nel crepuscolo violaceo, e grida laceravano
la quiete tra gli alberi. Ora Gabrielle sentiva distintamente il suono
del corno echeggiare e le grida dei vinti sovrastare quelle dei vincitori,
in uno straziante gemito che neanche il rumore sordo della cavalcata
poteva nascondere.
Una battaglia infuriava e lei vi si buttò a capofitto, gli
occhi socchiusi, la mente protesa in concentrazione, la mano pronta
ad estrarre la spada e a colpire il primo nemico.
Attraversò il villaggio al galoppo, i capelli chiari scompigliati
dal vento, il corpo protetto dalle vesti di cuoio, la lama scintillante
a fendere l’aria.
“Yyyyaaaahhhhh” non v’era grido più liberatorio
prima delle battaglie e come una furia la donna guerriera attaccò
gli assalitori.
E fu fuoco e acciaio, chiarezza di pensiero e violenza.
Non badava a chi avesse di fronte mentre le spade cozzavano l’una
contro le altre, né chi spingesse o ferisse. Erano uomini come
a migliaia ce n’erano stati. Volti crudeli e sguardi di sangue,
sorrisi sghembi senza pietà.
Parò l’ennesimo colpo lasciandosi scivolare dalla sella,
quindi ricambiò l’attacco a più riprese, mandando
via il cavallo e dando una fugace occhiata tutt’attorno.
Gli assalitori non erano molti, probabilmente un gruppo esplorativo,
e gli abitanti di Anfipoli se la cavavano discretamente con le loro
armi di fortuna, ma, a lungo andare, anche uno sparuto numero di guerrieri
avrebbe potuto aver la meglio su di loro.
Fu quindi con rinnovata grinta che spinse via il proprio nemico, gettandosi
a difendere ogni uomo assalito, lacerando, ferendo, affondando la
lama fino all’elsa se necessario, frapponendosi di continuo
tra gli assalitori e i popolani.
Lei, ancora una volta scudo, ancora una volta guerriera e morte.
Schivò la lancia spinta verso il suo cuore e, con un poderoso
colpo, lasciò cadere la lama sulle mani avversarie.
Fu ancora sangue mentre l’urlo riempiva l’aria e le sue
orecchie. Ma Gabrielle, ormai esperta, s’era già voltata
verso altri nemici… e la vide.
Non era altro che uno sparuto esserino in confronto all’uomo
che le stava di fronte, eppure il suo piccolo pugnale lo teneva a
bada. Saettava attorno al nemico in una scena quasi comica se non
fosse stato per la situazione, e lo colpiva a più riprese,
mai mortalmente, ma abbastanza seriamente da provocargli piccole ferite.
E quel gigante in armatura, ormai gonfio di rabbia, la seguiva nel
suo gioco con la morte, incapace di colpirla e deciso più che
mai a riuscirvi.
Gabrielle corse verso di loro. Non sapeva bene che pensare di quella
scena, né riusciva a spiegarsi perché una fanciulla
combattesse.. o tentasse di farlo, accanto agi uomini del villaggio,
ma in quel momento non importava. Senza fermarsi estrasse un sai dal
gambale e con letale precisione lo scagliò contro l’uomo.
La lunga lama si conficcò nel collo scoperto e il guerriero
s’accasciò a terra con un gemito strozzato.
C’erano voluti anni per raggiungere la precisione necessaria
ad usare i sais, ma ne era valsa la pena.
Raccolse il pugnale e ne pulì la lama distrattamente sulla
pelle della tunica.
Ebbe solo un attimo per osservare la ragazza davanti a se. Capelli
scuri e scarmigliati incorniciavano un viso esile e sporco, in cui
due ammirati occhi blu, splendevano. Le sue vesti erano essenziali
e rattoppate, probabilmente era una tra i più poveri abitanti
di Anfipoli.
Con decisione Gabrielle le posò una mano sulla spalla, evitando
di avvicinare troppo il pugnale a lei.
“Va – disse spingendola delicatamente – va a casa.”
La fanciulla annuì e aggirò il cadavere. Ma quando fu
fuori pericolo si limitò solo a voltarsi ed osservare la bionda
guerriera combattere e vincere. C’era ammirazione nei suoi occhi,
ed il giovane corpo era teso a seguirne i movimenti.
I pochi guerrieri rimanenti vennero ben presto volti in fuga. La fama
di Gabrielle era cresciuta tanto che dopo le prime morti ben pochi
erano decisi a contrastarla e c’era voluto poco perché
attorno a lei si ammassassero i contadini festanti.
L’amazzone conosceva quegli sguardi grati, le parole urlate
di vittoria; era la voglia di sopravvivere che si lasciava andare
dopo una battaglia, era il grido degli uomini che ancora calcavano
le vie del mondo.
Sola, in disparte, ignorata da tutti, la ragazzina l’osservava
in un silenzio concentrato.
La guerriera la raggiunse sollevata, i campi di battaglia non erano
i luoghi ideali per le fanciulle, lei lo sapeva bene, e la giovane
sconosciuta aveva avuto fortuna a salvarsi da un brutto destino.
Non notò attorno a se i volti cambiare espressione divenendo
incerti e nervosi.
“Non ti avevo detto di andare a casa?” chiese Gabrielle
con un sorriso stanco.
La ragazzina ricambiò il sorriso insicura, lei aveva notato
gli sguardi perplessi e ben poco amichevoli degli uomini… e
sapeva anche il loro significato.
“Portami con te. – disse agganciando lo sguardo della
donna con il proprio – Portami con te.”
Stupita Gabrielle chinò il capo verso di lei. Portarla con
se?
C’era una strana sicurezza in lei, era sporca e indossava solo
vesti malconce, eppure aveva lo sguardo di chi se la sa cavare, il
corpo teso nello scatto della preda ormai avvezza a riconoscere le
trappole. Ma in quella richiesta l’amazzone aveva sentito anche
una nota stonata con l’apparenza… una preghiera di salvezza
che risvegliava un eco profonda in se.
“Non…”
“Ehi tu! – la voce distolse Gabrielle dal dialogo con
la piccola e la guerriera si voltò a guardare l’uomo
che aveva parlato, registrando cose che prima aveva ignorato. L’atteggiamento
degli uomini era cambiato, i più se ne stavano in disparte
ad osservare la scena nervosamente, ma alcuni tra loro si avvicinavano
minacciosi. In testa quello che aveva interrotto la sua risposta –
Piccola vagabonda, non infastidire la guerriera! Dovremmo acchiapparti
e… ehi.. ferma!”
Stupita Gabrielle tornò a voltarsi, ma la sconosciuta stava
già correndo oltre le case, tra i boschi che, intuì
in quel momento, dovevano essere la sua casa.
Era chiaro ora il motivo che l’aveva spinta a farle quella richiesta,
ma non il perché fosse così disprezzata dagli abitanti
di Anfipoli.
E mentre tornava a guardare il cruccio rassegnato dell’uomo,
Gabrielle ripensò all’impressione che aveva avuto. Che
conoscesse bene le trappole degli uomini e avesse imparato a sfuggirvi.
II
I focolai della battaglia erano stati spenti, le case malconce salvate
dal disastro, i feriti curati ed i caduti preparati per le esequie
del mattino seguente.
La guerriera osservava i volti provati da quelle perdite, nella locanda
che un tempo aveva chiamato rifugio, ascoltandone i discorsi al contempo
esultanti e tristi.
“Chi era quella fanciulla?” chiese a tutti, incuriosita
e perplessa dal loro atteggiamento nei suoi confronti.
A confermare la stranezza della situazione molti volti si tinsero
di nervoso rossore davanti al suo sguardo curioso.
“Una paria. – rispose deciso l’uomo che aveva interrotto
il loro dialogo – Nessuno del quale dobbiate preoccuparvi! Se
vi infastidisce ancora…”
La mano di Gabrielle si alzò a fermarlo.
“Non mi ha infastidito – ammise senza remore – mi
è sembrata solo spaventata… perché?”
La donna notò gli sguardi fissi a terra della maggior parte
dei presenti, l’atmosfera cambiare senza motivo. Bisbigli imbarazzati
passarono dall’uno altro senza che lei potesse capirli. Come
poteva una bambina creare quel disagio quasi palpabile?
“Tanto vale dirglielo Nort…” sentì una voce
mormorare.
“Zitto!” L’uomo che sembrava essere il capo tra
loro scosse il capo deciso, ma un altro si fece avanti al suo posto,
imbarazzato.
“Dirmi cosa?”
“E’ una vagabonda Gabrielle… - spiegò cercando
il consenso nelle espressioni dei compagni – una ladruncola
che vive nei boschi e che spesso fa incursioni al villaggio in cerca
di cibo…”
“Una fanciulla così giovane che vive la fuori? –
domandò l’amazzone stupita – Ma i suoi genitori?
Non c’è nessuno che si prenda cura di lei?”
Se possibile il volto dell’uomo si tinse ancor più d’imbarazzo
e Gabrielle si stupì nel notarlo anche in parecchi degli altri
avventori.
“Genitori! – sbuffò Nort – Quella peste è
la nostra maledizione…”
“Chiunque potrebbe essere suo padre…” si fece sentire
una voce.
“Zitti! – urlò il capo quasi ringhiando –
Che nessuno..”
Con sguardo duro Gabrielle posò la mano sulla spalla dell’uomo.
“Chiunque potrebbe essere suo padre?” domandò inquieta.
Sapeva che ogni persona e ogni città ha il suo scheletro nascosto
dietro alla facciata… quella bambina doveva essere il loro.
Ma una bambina, per gli Dei! Come poteva una creatura così
giovane essere motivo di vergogna e odio?
“Ci fu una donna… anni fa – mormorò una voce
da un tavolo in ombra – che non era restia nello scegliersi
amanti e compagni. Erano anni difficili, il nostro villaggio era stato
quasi distrutto e ricostruito.. – Gabrielle sentì la
voce dell’uomo perdersi ricordando – La vita era la cosa
più preziosa e la sentivamo scorrere via, nella paura, nell’angoscia…
lei ci portò un po’ di…”
“Calore?” mormorò la donna con una nota sprezzante
nella voce.
“Si – rispose per tutti Nort – anche calore. Morì
di parto e nessuno seppe mai chi era il padre di Tharia. L’accolse
una coppia di anziani… nessuna donna voleva avere a che fare
con lei. E quando morirono la bambina si rifugiò nei boschi.”
“E’ vostra figlia…”
“E’ una figlia che le nostre donne non accetterebbero
mai!” lo sguardo deciso di Nort affrontò quello di Gabrielle.
“Io ho viaggiato molto – la donna lasciò vagare
lo sguardo su Nort, passando da lui ad ogni altro uomo – ci
sono luoghi in cui i bambini come lei sono considerati… importanti,
figli degli dei, poiché nessun uomo mortale può reclamare
con certezza di esserne il padre. Li chiamano merry-begot, sono un
dono e come tali vengono trattati. Voi avete una figlia… chiunque
tra voi! E l’avete lasciata crescere selvaggia, nel disprezzo,
nella vergogna. Sola…”
Li fissò con sdegno. Era stata pronta a difenderli, ma ora
vedeva in tutti loro quella miscela di meschinità e arroganza
che non era mai riuscita ad accettare.
Solo il silenzio seguì le sue parole. Imbarazzato ma deciso.
La donna si rendeva conto che nonostante avessero ascoltato, difficilmente
avrebbe potuto cambiare le cose.
La porta si spalancò su quel vuoto di parole ed il giovane
oggetto dei discorsi ruzzolò all’interno della locanda,
il volto paonazzo sotto lo sporco per lo sforzo di correre fin li
senza fermarsi.
“Stanno… sta… stanno tornando!” avvertì
senza fiato.
Subito Gabrielle si erse attenta e pronta, già in procinto
di raggiungere la porta, ma Nort le si parò davanti con sguardo
irato.
“Non è mia figlia e non è figlia di nessun dio!
- ringhiò prima di raccoglierla con malagrazia da terra e spingerla
su una sedia – Legatela!”
Stupita l’amazzone fece per protestare, ma furtivo e veloce
le tornò alla mente il ricordo di quel pomeriggio. Almeno lì
la piccola non si sarebbe cacciata nei guai, se fossero sopravvissuti
allo scontro con quello che immaginava essere il grosso delle truppe,
avrebbero potuto ridiscutere della sua sistemazione in seno alla comunità
di Anfipoli.
Incrociò lo sguardo spaventato di Tharia, non aveva neanche
più il fiato per sgattaiolare via, ma si lasciava legare, ancora
ansimando. Pure c’era una muta richiesta in quegli occhi blu,
voglia di libertà e di non morire li.
E lei di certo non poteva abbandonare alla loro sorte quegli uomini,
anche se ora le parevano gretti e meschini.
“Armatevi! – ordinò decisa, non sapendo che il
suo tono in quelle occasioni era la copia esatta di quello della sua
maestra – Portate fuori tutto ciò che è utile
a sbarrare la via. C’è una sola strada per Anfipoli,
verranno di sicuro da là. E noi li accoglieremo!”
Urla di incitamento si alzarono nella taverna. I discorsi precedenti
erano stati accantonati in fretta davanti al susseguirsi degli eventi
e nuova energia scorreva ora quasi palpabile mentre ognuno si affaccendava.
Gabrielle notò Nort avviarsi per primo, caricando gli altri
con voce tonante.
Forse non era un uomo che avrebbe potuto stimare, ma pareva un buon
capo per quel popolo.
Lanciò un ultimo sguardo alla ragazzina silenziosa, non stupendosi
nel vederlo ricambiato dal suo altrettanto deciso e fiero. Chissà
perché quel modo di fare le ricordava Xena. Anche lei, al principio
della loro amicizia era stata altrettanto caparbia e assolutamente
indisposta nel farsi da parte.
Ripensandoci controllò che i nodi fossero stretti bene ed uscì
seguita da uno sguardo contrariato.
III
La sera e poi la notte portavano lievi il rumore di un folto gruppo
d’uomini in movimento.
Gabrielle non s’era sbagliata, l’esercito avanzava spedito
lungo la via, incurante dell’oscurità che andava scendendo.
Volevano attaccare con il buio, sfruttare quell’effetto sorpresa
che spesso era già una mezza vittoria.
“Non questa volta” pensò la donna sorridendo tesa.
Il suo piano era di una semplicità paurosa… una trappola
che se non fosse scattata li avrebbe portati tutti alla morte.
Dal suo nascondiglio si guardò attorno, ma i suoi compagni
erano celati altrettanto bene e l’oscurità li aiutava.
I nemici avrebbero avuto torce e fiaccole, ma non sarebbero bastati
a scorgerli se tutti avessero atteso il segnale.
Più in là, verso Anfipoli, una muraglia di tavoli, sedie,
armadi e quant’altro era stata creata a bloccare la strada.
Una diga ad arginare l’afflusso di nemici.
“E che gli dei ci assistano” pregò silenziosamente.
Il segnale!
Nel attesa trascorsa tra le fronde degli alberi Gabrielle aveva diviso
il suo tempo ascoltando il rumoroso, ma ancora distante, arrivo delle
truppe nemiche, controllando occasionalmente che tutti i suoi uomini
fossero ben distribuiti e pronti a dar battaglia, che le munizioni
fossero sufficienti (cosa della quale non si poteva essere mai certi)
e lasciando che una parte della propria mente vagasse alle lezioni
che, tanto duramente, aveva imparato nel corso dei suoi vagabondaggi
accanto a Xena.
Ma ad interrompere i ricordi s’affacciava spesso lo sguardo
della ragazzina di Anfipoli.
Le aveva ricordato la sua compagna, è vero, vedeva in lei la
stessa selvaggia testardaggine, ma anche quel qualcosa di buono che
aveva riconosciuto. Tharia era stata evitata e disprezzata da sempre,
eppure era accorsa ad avvisare i compaesani senza pensare alle conseguenze.
Questo era un comportamento che Gabrielle conosceva bene.
Eppure non era Xena, nessuno avrebbe potuto essere paragonata a lei,
tanto meno una ragazzina indocile, e neppure, si ritrovò a
riflettere la donna del corso dell’attesa, somigliava a com’era
stata lei in quel primo, lontano, incontro.
Era una persona che non riusciva a catalogare, seppure ne avesse conosciute
un’infinità, e non riusciva a trovare una soluzione per
la strana situazione in cui era vissuta fino a quel momento.
Ma il segnale ormai aveva troncato tutte le sue elucubrazioni. Ancora
pochi istanti e i nemici sarebbero arrivati.
Dalla sua postazione tra gli alberi Gabrielle sentì l’ennesimo
richiamo. La sentinella segnalò la presenza nemica. Non ce
ne sarebbe stato bisogno, si distinguevano ormai i passi cadenzati
della marcia forzata, il tintinnare occasionale di armi e armature,
persino qualche voce roca.
Con un ultimo, rapido, sguardo controllò che nessuno fosse
visibile ed attese.
In principio furono solo rumori, poi i primi, cauti esploratori entrarono
nella sua visuale, quindi il grosso dell’esercito; un serpente
umano che si snodava lungo il percorso piantonato dai suoi uomini.
Attese ancora.
Poteva sentire chiaramente ora le voci dei guerrieri sconosciuti,
l’odore di pelle e sudore, distinguerne le espressioni eccitate
dalla conquista imminente. Finché la processione non sembrò
rallentare e capì che era giunto il momento.
“Avanti!” urlò a squarciagola alzandosi dal suo
nascondiglio, la spada in pugno
Un nugolo di frecce s’abbatté sulle fila nemiche, Gabrielle
scattò in avanti seguita all’unisono dal gruppo accanto
a lei. Non c’era uomo che in quel momento non fosse più
che disposto a dare la sua vita accanto a quella donna di fuoco che
già chiudeva la via alle spalle dell’esercito.
Erano in trappola.
Gli uomini ai lati della strada, nascosti dai rami e cespugli incoccavano
una freccia dopo l’altra, letali dardi che sembravano uscire
dall’oscurità. Dietro lo sbarramento altri arcieri erano
disposti a falciare vite e nelle retrovie il grosso degli uomini seguiva
la guerriera combattendo con feroce decisione per la difesa della
propria vita.
Urla e gemiti coprivano il rumore della battaglia corpo a corpo, e
solo quando le frecce iniziarono a scarseggiare, anche in testa al
sempre meno corposo esercito, cominciarono a sentirsi il cozzare delle
spade, dei bastoni contro le armature, il sibilo delle lame che scendevano
a colpire.
Ma per Gabrielle ormai tutti i rumori erano un unico suono.
Combatteva con l’agilità di una donna più giovane,
temprata dai continui combattimenti, e l’ardore di una guerriera,
ma lo spazio d’azione era sempre meno ed i suoi movimenti bloccati
dal timore di colpire gli alleati.
Lo scontro si susseguì senza interruzioni, voci rauche imploravano
gli dei, maledicevano i nemici, sputavano imprecazioni in un fiume
di parole che sarebbero cadute nel vuoto, lame insanguinate tornavano
a colpire, guizzando nella notte inoltrata come spiriti ballerini
e letali, corpi senza vita cadevano a terra, spintonati da chi ancora
quella battaglia la stava combattendo per la propria sopravvivenza.
Gabrielle si chinò e colpì un nemico con un sai, estraendolo
subito dopo. Aveva rinunciato quasi immediatamente alla lunga spada
per essere meno impacciata nei movimenti. Subito si avventò
contro un altro ed un altro ancora, ansimando per lo sforzo. Non c’era
un attimo per fermarsi a riprender fiato.
Fu quindi con stupore che si sentì trascinare indietro e scagliare
lontano dalla mischia da due braccia robuste.
Il guerriero torreggiava su di lei, ne vedeva la sagoma massiccia
e la posizione palesava le sue intenzioni.
Con la lunga spada levata verso il cielo si preparava a darle l’ultimo,
decisivo, colpo.
L’amazzone poteva quasi immaginare lo sguardo compiaciuto dell’uomo,
il sorriso crudele, il sudore sulla fronte, sotto l’elmo. E
sentiva, in un’amplificazione quasi dolorosa, il proprio cuore
pompare selvaggiamente nel petto, di paura e rabbia per quella fine.
E fu un miracolo.
Negli anni a venire come quella notte Gabrielle avrebbe sempre ritenuto
quell’intervento provvisorio un piccolo miracolo, ma in quel
momento vide solo un’altra ombra, più esile e veloce,
superarla con un balzo e finire addosso al guerriero stupito.
Con uno scatto la donna fu di nuovo in piedi, lanciandosi contro l’aggressore…
per fermarsi subito.
L’uomo guardava l’impugnatura del pugnale sporgere dal
proprio ventre ed il fiotto di caldo sangue uscirvi.
Fu una lenta agonia e prima che si spegnesse Gabrielle aveva già
posato la mano sulla spalla della sua salvatrice.
Com’era riuscita a liberarsi era un mistero che in quel momento
non voleva spiegarsi. Le aveva salvato la vita ed ora stava lì
in tralice, stupita dal proprio gesto, indecisa tra il fuggire via
o piangere davanti a quella vita recisa.
E mentre il clamore della battaglia si andava attenuando e le prime
grida di vittoria si levavano nella notte, la piccola si volse tremante
verso Gabrielle, lasciandosi andare nel suo abbraccio comprensivo
a quelle lacrime incredule e dolorose che segnavano la prima vita
rubata.
Era scomparsa nuovamente.
Quando gli animi si erano calmati e le prime luci dell’alba
avevano fatto capolino rivelando il massacro in tutta la sua cruda
visione, Gabrielle aveva cercato attorno a se la giovane vagabonda,
ma tra i corpi privi di vita e gli stanchi difensori non c’erano
tracce di lei e alla donna non era rimasto altro da fare che smontare
lo sbarramento ed aiutare gli uomini a ricondurre a casa feriti e
caduti.
Aveva approfittato dell’ospitalità offertale, di bagni
e cibi, aveva ascoltato il racconto di quella notte dagli avventori
della locanda, sorridendo mestamente al loro entusiasmo, alla gioia
d’essere ancora vivi e con una casa a cui tornare.
Ed ancora una volta, forse l’ultima in quella vita prima del
sonno finale, aveva raggiunto le spoglie di Xena, nella pace eterna
del tumulo.
“Non
è te – mormorò al silenzio, carezzando il sarcofago
– non somiglia neppure a me, ma è giovane ed il suo cuore
non è simile a quello di questi uomini. – Sorrise con
dolcezza, quell’espressione che la sua compagna aveva imparato
ad amare tanto – Quando cercai di convincerti a portarmi con
te sentivo dentro la necessità di un futuro diverso, di una
realtà che il mio villaggio non avrebbe mai potuto darmi. Sentivo
di essere diversa e che li sarei morta ogni giorno di più.
Tu mi hai dato la vita prendendomi con te.. mi hai dato me stessa
permettendomi di crescere accanto ad una donna come tu eri. –
Sospirò – Sai che non amerò mai più come
ho amato te, vero Xena?”
Si sedette accanto alla tomba, il contatto tra la sua schiena e la
fredda pietra era confortante.
“Volevo farla finita e non potevo – continuò pacata
– il mio destino deve compiersi ed il karma essere rispettato.
Avessi potuto scegliere sarei morta e rinata subito con te, ma il
mondo ha sempre bisogno di eroi e forse un altro ne sta nascendo ora.
– mormorò sorridendo al ricordo della sua amata –
Chissà… magari un giorno Tharia somiglierà ad
entrambe.”
Epilogo
Tra il frinire degli insetti notturni e il crepitare del fuoco del
piccolo campo i suoi pensieri si rincorrevano tumultuosi e implacabili.
Aveva ancora davanti agli occhi quell’ombra scura e morente…
il primo uomo che avesse mai ucciso.
Tremò per l’ennesima volta, prima di alzarsi di scatto
al rumore di un ramo spezzato, l’odiato pugnale stretto tra
le mani pallide.
La figura si avvicinò al fuoco con passo lieve, non c’era
timore nei suoi occhi chiari, solo un sorriso di dolcezza infinita
che illuminava il suo volto quanto le fiamme.
“Non volevo spaventarti – mormorò Gabrielle avanzando
nella luce – non è stato facile trovarti sai? Ho impiegato
metà giornata per riconoscere le tue tracce.”
La ragazzina abbassò l’arma scostandosi.
“Non andrò al villaggio. – disse decisa –
Neanche se accettassero tutti di farmi da padre. Non è la mia
vita quella… - il visino sporco si contrasse in una smorfia
addolorata – non avevo mai…”
“Lo so. - La mano di Gabrielle la raggiunse in una tenera carezza.
– E’ una battaglia che ogni guerriero combatte questa…
togliere una vita è un passo orribile.”
“L’ho fatto solo per difenderti.” Sussurrò
Tharia triste.
“So anche questo… hai salvato la mia vita come io la salvai
a Xena tanto tempo fa… puoi venire con me se ancora lo desideri.”
La fanciulla spalancò gli occhi sorpresa. Se ne sarebbe andata!
Avrebbe finalmente lasciato quella vita di stenti e furti.. ma, soprattutto,
avrebbe avuto per la prima volta qualcuno accanto a se.
“Lo voglio! – affermò decisa e incredula –
Certo! Ma… Xena? Vuoi dire la guerriera che dorme nel tumulo?”
Gabrielle sorrise.
“Quella!”
Lo sguardo di Tharia si tinse di ammirazione bambina. Il primo vero
sentimento fanciullo che avesse mai mostrato alla donna.
“Ho sentito raccontare di lei – disse regalandole il suo
primo, entusiasta sorriso – era veramente forte come si racconta?
E bella? E aveva davvero..”
Gabrielle rise divertita.
“Era tutto questo e molto altro. Stanotte ti racconterò
di lei e domani partiremo insieme… dopo che ti sarai fatta un
bagno. – ignorò volutamente la smorfia dell’altra
quindi si sedette davanti al fuoco – La prima volta che la vidi…”
Le parole si persero nella notte. Ricordi ancora intensi vennero rievocati
e di nuovo amati come un tempo. Caldi sorrisi nacquero attorno al
fuoco mentre le vicende della principessa guerriera si snodavano in
mille storie tra la stanca combattente e la giovane orfana.
Nuovi passi e nuove mete le avrebbero condotte lontano, così
come nuove leggende sarebbero nate dalle loro imprese e quando il
tempo di Gabrielle si fosse concluso, un’altra eroina avrebbe
preso il suo posto nel ciclo del mondo.
Perché il mondo ha sempre bisogno di eroi che sappiano battersi
a difesa degli uomini, come di cuori fanciulli che palpitino a ricordo
delle loro mille leggende.
FINE
Disclaimer 2: Xena era già deceduta prima
della stesura di questa fics e quasi nessun abitante di Anfipoli è
rimasto ferito nel frattempo. In compenso all’autrice è
venuto un mal di testa allucinante.