episodio 12

EPISODIO N. 12
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di GXP

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L’insostenibile leggerezza dell’essere - parte II

 

Parteciparono insieme all’incontro con la popolazione quel pomeriggio e ad Olimpia fu data più volte la possibilità di raccontare la sua esperienza con gli insegnamenti di Belur. I più fortunati avevano saputo, tramite altri oratori, delle avventure di Belur e della guerriera che non riuscì a proteggerlo dall’ira di Marte. I più intelligenti associarono i discorsi di Olimpia alla narrazione degli oratori e capirono chi fosse. Il suo nome passava di sussurro in sussurro dietro mani sporche e occhi increduli. Un bimbo non trattenne lo stupore.

- Tu sei Olimpia, la regina amazzone? Quella che è stata crocifissa con la valorosa Xena e che Belur ha riportato in vita! Quella che scriveva le storie!

Evi sorrise al fanciullo voltandosi verso Olimpia e indicando con la mano che ora la folla era tutta sua. Le sorrise dolcemente, invitandola a non aver paura di raccontare la sua esperienza. E così l’aedo, sedutasi su di un carro che la sopraelevava rispetto alla folla, iniziò a raccontare dal suo primo incontro con Belur, dei tentativi disperati di Xena per evitare il loro destino, quindi arrivò a parlare della propria morte. Lo fece guardandosi ripetutamente le mani come a cercarne i segni. Narrò di come venne ingannata da Callisto nell’Averno e di come Xena era scesa da lei per recuperarla, spiegò per filo e per segno la lotta tra arcangeli e demoni infernali e di come l’intervento del Bene Superiore, per mezzo di Belur, l’aveva riportata a questo mondo. Con voce divertita ricordò di come aveva ricevuto la notizia della gravidanza dell’amica e dell’importanza di quella nascita. Spiegò con esattezza tutta la lotta per far sì che il vaticinio si attuasse e di come furono ostacolate involontariamente da Marte, quando le credette realmente morte e le seppellì nel ghiaccio. Ricordò con estrema minuzia il momento del risveglio dopo cinque lustri. Si toccava le braccia come a proteggersi dal gelo che la rievocazione le faceva sentire ancora addosso. Si lasciò andare ai ricordi con passione, narrando con fervore il duello tra Xena ed Atena, mentre Marte sacrificava la sua immortalità per ridare la vita a chi era destinato a prendersi la sua ed a lei stessa, colpevole di aver tentato di uccidere la messaggera di pace e per questo colpita mortalmente da Xena in difesa della figlia. Si fermò, osservando con aria sbigottita la folla. Si aspettava critiche e forse anche un linciaggio per aver confessato il tentato omicidio di Evi.

- E poi? - chiese la voce di una ragazzina.

Olimpia rimase muta guardandosi nuovamente le mani, prima i palmi e poi i dorsi. Poi ancora i palmi.

Evi prese parola e spiegò di come era stato scelto di ridare a Marte e a Venere la loro immortalità per bilanciare le forze del mondo nell’attesa che il Bene Superiore fosse abbastanza radicato e potente da non richiederne più l’aiuto.

- Ed ora Xena dove è?- chiese sempre la stessa giovane.

- È morta, mi hanno detto - disse un uomo grasso.

- Ma se era al villaggio l’altro giorno a picchiare un nordico!- rispose un terzo.

- Xena è occupata ad aiutare la gente. Ora sarà da qualche parte a fare certamente del bene - rispose Evi, poi proseguì - Per oggi la nostra narrazione si conclude qui. Domani vorrei spiegarvi i metodi di purificazione e potremmo unirci tutti in una seduta di meditazione.

Chi della folla acconsentì lo rese pubblico con un sì, altri si limitarono a ringraziare e se ne andarono.

Il racconto di Olimpia era stato lungo ed articolato, ma ben spiegato ed era riuscita a tenere banco per quattro ore con rare interruzioni per approfondimenti. Stava avvicinandosi il tramonto quando finirono di salutare l’ultimo spettatore.

- Come è tardi! È meglio tornare a casa – suggerì la messaggera di pace, con il deciso intendo di riportare Olimpia da sua madre.

- Io non posso tornare lì, Evi, e non lo vorrei nemmeno - rispose l’altra.

La ragazza tacque pensando al da farsi. Data la facilità con cui il bardo aveva elencato le virtù di Belur pensò che proporle di viaggiare con lei ed essere il testimone vivente del potere del Bene Superiore poteva essere una buona occasione per parlarle e farle ripensare alla scelta di scappare da Brunhilde.

- Sai, Evi, quando mi si è sbriciolato tra le mani il ciondolo… Ho pensato anche io che ci potesse essere un simbolo da leggere. Vorrei…Potrei… riprendere la via della pace e magari raggiungere le terre del Nord. Lì c’è stato il Ragnarok ed è possibile che il Bene Superiore possa diffondersi anche lì, non trovi? –

- Attualmente il Nord non è la mia meta diretta… ma se ti fa piacere unirti a me nella mia ricerca di villaggi bisognosi di fede, sarò lieta di condurti nel mio percorso di pace. Una volta terminato quello, potremo raggiungere il nord: io avrò adempito al mio dovere e tu sarai sufficientemente purificata per affrontare l’altra vita- disse concludendo con un tono un po’ amaro.

Olimpia ci pensò per pochi attimi. Sostenne quindi che la missione di Evi sarebbe stata infinita data la grandezza della sola Grecia e che ci avrebbero messo anni per raggiungere Brunhilde. La ragazza parve contrariata a tale affermazione.

- Hai così tanta fretta di dimenticare mia madre?

- Io non la voglio dimenticare, né mai potrei... - ribatté addolorata la bionda.

- Non ne sono convinta Olimpia- insinuò con un filo di voce la ragazza mentre iniziava a camminare verso la strada di casa. Olimpia strinse le redini del cavallo e lo condusse al passo così che anche lei potesse camminare fianco a fianco alla figlia adottiva.

- Oggi… - iniziò Olimpia con un tono da confessione - Oggi mi sono sentita strana…Ero… sì, ero così convinta di dovermene andare. Poi ho incontrato te e quella gente. Ho raccontato a loro della mia morte… di come Xena mi abbia salvato. Di come Marte si sia immolato per amore di Xena. Poteva lasciarmi morire e invece ha salvato tutte due. Perché?

- Perché sapeva che se avesse salvato solo me, Xena non glielo avrebbe mai perdonato- suggerì Evi.

- La ama molto - ammise il bardo.

- Ma lei non ma a lui - affermò subito l’altra.

- Ha certamente qualche sentimento verso di lui però - sostenne l’amazzone.

- Ma non è comunque amore. Io sono stata esattamente come mia madre. Marte è passionale e focoso, ma anche tanto labile. Una volta conquistato, puoi fargli fare quello che vuoi - sperava che la sua testimonianza fosse un inizio per far capire a Olimpia che sbagliava nel credere sua madre una traditrice.

Olimpia divenne pensierosa. Poi sobbalzò.

- Accidenti, mi stai riconducendo a casa! Io non posso stare là! -

- Ormai siamo quasi arrivati - le rispose con un sorriso - Convincerò io mia madre a lasciarti entrare.

Proprio mentre finiva la frase la voce nota della principessa guerriera arrestò il galoppare di Argo.

- Che ci fate voi qui? - domandò parandosi davanti col cavallo - Che ci fa lei qui?- aggiunse subito dopo.

- Madre, stiamo rincasando dopo una lunga giornata di prediche al villaggio - rispose la figlia con assoluta falsa serenità. Olimpia taceva con lo sguardo abbassato.

- Da quando si svuotano gli armadi e le dispense per un solo giorno al villaggio?- domandò sempre più aspramente la mora.

Anche Evi tacque di fronte all’evidente fuga della poetessa che, ancora con gli occhi bassi, respirava col naso come a cercare di trattenere acidi commenti. Sentiva gli occhi di Xena scrutarla con invadenza cercando una risposta alle sue provocatorie domande. Adesso si sentiva in colpa. Dopo aver raccontato per ore con quale coraggio e tenacia Xena l’avesse salvata, dopo aver rivissuto i brividi della morte e la gioia di risvegliarsi accanto a lei, ora poteva solo sentirsi sudicia di ingratitudine. Non poteva sopportare ancora umiliazioni che sentiva, però, di meritarsi. Con un colpo deciso monto sull’animale e spronò il cavallo, cambiandogli bruscamente direzione intenta ad andarsene da lì una volta per tutte.

- Olimpia dove vai? - chiese incredula la messaggera di pace.

- Vado a cercare alloggio al villaggio - rispose la bionda senza voltarsi.

- Non troverai nulla - ripose con tono serio la principessa guerriera.

Olimpia rimase in silenzio, ora osservava l’orizzonte rosso con pennellate di viola e blu. Il sole stava spegnendosi e lei doveva trovare un riparo per la notte se, come diceva Xena, al villaggio non c’era posto.

- Allora è meglio che mi sbrighi – concluse la donna alzando la testa ed incitando il cavallo.

Xena la osservò cavalcare con decisione e destrezza mentre Evi la chiamava a gran voce supplicandola di tornare indietro.

- Dobbiamo predicare insieme domani, Olimpia! - continuava ad urlare poi si rivolse alla madre, guardandola negli occhi e gesticolando per animare le sue parole.

- Qualunque cosa tu abbia deciso, io e Olimpia inizieremo un percorso di pace. Lasciarla andare via così non l’aiuterà di certo a ritrovare se stessa! Falla rimanere ancora per una notte. Una notte sola e la mattina seguente spariremo.

La messaggera le stava tentando davvero tutte per ricucire lo strappo tra le madri.

- È lei che vuole andarsene - sentenziò la guerriera, chiedendo subito dopo ad Argo di riportarla a casa.

- Madre - tentò ancora Evi.

- Evi, a maggior ragione sapere che te ne andrai con lei non mi farà cambiare idea - Se ne andò senza aggiungere altro.

La giovane rimase sola in quel pezzo di terra che si stava oscurando sempre di più. Che fare? Seguire la madre o cercare Olimpia? Non sapeva decidere. Osservava il cielo in cerca di un suggerimento, ma oltre l’oscurità in arrivo altro non riusciva a trovare. Sollevò le braccia in segno di resa, lasciandole subito cascare sui fianchi e sbuffando. Quindi si diresse al villaggio.

Quando vi arrivò, era ormai tutto oscuro e solo delle timide fiammelle illuminavano alcune finestre legnose. Le parve di scorgere il cavallo della seconda madre legato all’abbeveratoio di una taverna dall’aspetto poco rassicurante complici le tenebre che la avvolgevano. Si decise ad entrare e la vide contrattare per il prezzo di una camera.

- La pago il doppio, se me la cede- supplicava la donna.

- Le mie ragazze guadagnano di più di quello che mi vuoi offrire- sosteneva il losco figuro dietro il bancone.

- Allora ha una stalla dopo posso accamparmi? – chiedeva, ormai sfiorando il patetico. L’uomo rise grassamente concludendo con un sonoro colpo di tosse. Le fece cenno di no con la testa e la invitò ad andarsene.

Evi notò un uomo ubriaco che barcollava sulla seggiola sbilenca. Si avvicinò a lui e gli rovesciò il bicchiere sulla testa. L’uomo balzò in piedi come una molla e, sebbene carente di equilibrio, le assestò un debole pugno allo zigomo sinistro. La giovane lanciò un urlo e cadde a terra come tramortita.

Olimpia si voltò di scatto, riconoscendo la voce, e si precipitò verso l’uomo il quale, come rinvigorito, le fracassò addosso la scarna seggiola di legno già mezza rotta. L’urto fu notevole e anche l’amazzone cadde rovinosamente a terra coprendosi il volto con le mani.

Il gestore della locanda corse subito verso di loro e riconobbe la messaggera di pace. Si rivolse all’ubriaco dandogli del pazzo e, presolo per il coletto, lo sbatté fuori dalla locanda a calci del sedere.

Contemporaneamente Olimpia aveva raggiunto l’amica trascinandosi e si accingeva a prestarle i primi soccorsi. Le rovesciò il primo bicchiere che trovò sul tavolo sopra la sua testa. Evi finse di rinvenire sputando quel liquore chiaro e secco che le era finito in bocca. Iniziò a tossire mentre l’amica la aiutava a sedersi.

- Che ci fai qui? E cosa ti è successo? - le disse, mentre con le dita tastava lo zigomo per trovare fratture.

- Cercavo te, poi quel tizio mi ha aggredito – mentì.

L’oste le aiutò a rialzarsi e porse loro il grembiule per asciugarsi il viso.

- Come posso scusarmi messaggera? - chiese l’uomo, quasi intimorito.

- Donaci solo dell’acqua per lavarci il volto e prega affinché i vizi che deviano la ragione spariscano.

L’uomo sembrava contrariato: lui con quei vizi ci campava. Quindi, sbuffando tra sé e sé, andò a prendere un catino, lo riempì con dell’acqua e lasciò che la giovane si rinfrescasse.

- Ti fa male? - chiese la ragazza mentre osservava la bionda toccarsi il naso senza premere troppo.

- Ho di certo preso un bel colpo - sostenne la regina amazzone, sibilando dal dolore mentre a sua volta si risciacquava del sangue che colava da un taglietto all’altezza del sopracciglio destro.

L’oste le porse un nuovo panno e le avvicinò una candela per vedere se ci fossero schegge nel suo viso. Certificò di non vedervi nulla.

- Allora possiamo andare, Olimpia.

- Io non vengo, Evi. Lo sai.

- Qui non puoi restare, mi pare ovvio. È meglio che vieni a casa con me, li ho dei medicamenti nelle mie borse.

- Le conviene. Non vedo nulla, ma se ci fosse anche solo un pezzetto di legno rischia un’infezione - suggerì l’oste.

- Andiamo - la esortò la ragazza e, prendendola per un braccio, la trascinò fuori in direzione del cavallo.


Capitolo 22 – Pazza l’idea…

Quando rientrarono in casa trovarono Xena intenta a lucidare la spada. Sul tavolo c’era la pietra con la quale l’aveva levigata e dei rimasugli di pane secco accanto ad un boccale di birra. Non si voltò nemmeno, avendole riconosciute dal passo. Si limitò a chiedere come mai fossero già di ritorno.

- Un piccolo battibecco alla locanda madre - si limitò a dire la figlia, passandole davanti, diretta verso la stanza dove aveva lasciato parte delle sue bisacce.

- Olimpia, vieni - chiamò dalla stanza. La donna, senza volgere lo sguardo alla guerriera, la raggiunse.

Xena osservò la sua spada levigata e lucidata: pensò di aver fatto un bel lavoro e, alzatasi, la poggiò sul tavolo, dando le spalle al corridoio che dava alle camere. Sganciò il chakram e diede una rapida occhiata alla lama: perfettamente lucida e affilata come sempre. Intravide un’ombra riflessa nel metallo e si voltò ad osservare. Nel corridoio non c’era nessuno. Riagganciò l’arma e infoderò la spada quindi si diresse silenziosamente verso la porta della stanza di Olimpia. Era come pensava: le due vi si erano chiuse dentro. Si avvicinò per udire meglio.

- Mi fai male... Cosa è questo intruglio?- chiedeva, infastidita, Olimpia.

- Serve per non far uscire i lividi - rispondeva a bassa voce e concentrata l’altra.

- Puoi essere più delicata? - chiedeva il bardo riottosa. Le aveva afferrato il polso e la guardava con fare cagnesco.

- Se è fratturato c’è poco che io possa fare per non farti sentire dolore - commentò severa la ragazza.

Olimpia tacque, lasciando che proseguisse la medicazione. Da fuori la guerriera udiva solo gemiti di dolore e mugugni di dissenso.

- Lascialo così per tutta la notte, domattina presto verrò a controllare l’impacco e se non ci saranno lividi potrò continuare a medicarti in questo modo. È quello meno doloroso – rassicurò.

- E se invece è rotto? - chiese preoccupata la poetessa.

- Se è rotto… lo capiremo dal gonfiore e dalla forma del naso… a quel punto dovremmo romperlo nuovamente per sistemarlo una volta per tutte. Se l’osso si salda male potresti avere problemi di respirazione, sanguinamento ed anche estetici direi - disse con un sorriso, ma la seconda madre non ricambiò.

- Forza, Olimpia - la esortò la giovane mettendole una mano sulla spalla.

La principessa guerriera aveva capito la situazione e dissentiva totalmente dal metodo usato alla figlia. Era dubbiosa sul da farsi: non intervenire facendo passare ad Olimpia una notte dolorosa ed inutile o aggiustarle il naso con un colpo secco, certamente lacerante al momento, ma di sicuro meno penoso dopo? Per un attimo pensò di lasciare le cose così come erano ed abbandonare Olimpia alle cure dissennate della figlia. Poi pensò sarebbe stato troppo crudele per quanto allettante. Decise di entrare e trovò le due donne sul letto, la figlia seduta e l’amica sdraiata.

- Chi ti ha insegnato un medicamento simile? – domandò rivolta alla figlia con fare severo.

- Sono le pratiche indolore che ho appreso durante il mio viaggio in India, madre -

- E curi così tutte le fratture? - chiese, avvicinandosi al letto con fare deciso. La figlia si alzò come se fosse stata sfidata.

- È il metodo meno doloro che esista- annunciò la giovane

- È il metodo più inutile che esista, per evitarle un dolore momentaneo la farai soffrire tutta la notte- sentenziò duramente la principessa guerriera.

- Non è detto che sia rotto!- obiettò la messaggera di pace.

- Per gli dei, voi gente di pace tendete sempre a farla così lunga: è evidente che è rotto, se non riesci nemmeno a toccarglielo! Dateci un taglio con questa pietà: li fate soffrire più voi che una lama nel cuore! - scostata la figlia, si inginocchiò al fianco di Olimpia.

- Fammi vedere - le ordinò. La bionda a fatica voltò il capo; era stordita dal perenne dolore che le invadeva la testa. Xena iniziò a levare l’impacco annusandolo e osservandolo per capire di cosa si trattasse. Decise di metterlo da parte e riutilizzarlo dopo.

- Ti devi sedere - ordinò nuovamente e l’amazzone eseguì con sforzo.

Xena la osservò negli occhi stanchi e rossi. Le scostò una ciocca di capelli dal viso perché cadeva proprio sulla ferita al sopracciglio. Le tocco il naso con impercettibile leggerezza. Si soffermò su un punto preciso.

- Ora ti farò male - disse seriamente e con fare deciso manipolò rapidamente le ossa fratturate risistemandole.

A spezzare il silenzio che era sceso e a frantumare il gelo che si era creato a causa del battibecco con la figlia ci pensarono le urla lancinanti di Olimpia. Xena le teneva saldamente i polsi per evitare che portasse le mani al viso.

- Ho bisogno del tuo aiuto, Evi - disse pacatamente la guerriera ed indicò alla figlia di aiutarla a far sdraiare l’amica. Solo quando fu stesa poterono riapplicarle la mistura indiana.

- Prendi un panno e bagnalo con l’acqua più fresca che trovi- ordinò alla figlia.

- Il dolore passerà a breve – si rivolse con tono rassicurante, osservando gli occhi sofferenti dell’amica.

Evi uscì diretta verso stalla dove di certo avrebbe trovato acqua fresca nell’abbeveratoio delle bestie.

Il dolore stava lentamente scemando e Xena potè liberare i polsi dell’amica. Con le dita andò a palpare la ferita al sopracciglio che notò essere già diventata gialliccia. Premette con delicatezza e ne fece uscire pus sottocutaneo che si era formato a causa di una microscheggia che era passata inosservata alla prima analisi dell’oste. La messaggera di pace rientrò in quel momento porgendole il panno umido e fresco.

- Recati nella mia stanza, nella bisaccia di Argo appesa alla sedia troverai una scatoletta di legno, portami l’ago più sottile che vi trovi - ordinò nuovamente alla figlia, che eseguì senza dire una parola.

Xena poggiò la stoffa umida sulla fronte dell’amica che subito sentì sollievo. Evi rientrò e porse l’ago. Con estrema cautela, la principessa guerriera scostò il panno laddove c’era il taglio e con l’ago andò a pizzicare in cerca della scheggia. Quando l’ebbe trovata, con altrettanta accortezza, riuscì ad estrarla, quindi ripose il panno fresco e fece accomodare la paziente sdraiata ma il più dritta possibile, riposizionando l’impacco di erbe.

- Ora dormi. Domattina cambierai il medicamento e a breve non avrai più alcun fastidio - la informò senza particolare affezione, si alzò e si diresse alla porta per abbandonare la stanza.

- Grazie - sussurrò il bardo prima di addormentarsi estenuata dal dolore.

Evi raggiunse la madre nella sala principale della casetta decisa a chiarire l’argomento una volta per tutte.

- Il mio metodo è valido, madre – sbottò.

- Non ho mai sostenuto il contrario - rispose pacatamente la guerriera.

- Ha provocato un grande dolore ad Olimpia.

- Lo stesso che gli avresti provocato domattina tu quando ti saresti accorta che il suo naso era rotto. Piuttosto le ho evitato una notte insonne - sentenziò mentre chiudeva le imposte, poi aggiunse

- A che ora ve ne andrete domani?- chiese alla figlia con tono severo senza nemmeno guardarla. Evi ne rimase dispiaciuta. Non si aspettava di essere cacciata di casa da sua madre.

- Non lo so. Con Olimpia in quelle condizioni non posso predicare la pace.

- Perché?- chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo.

- Perché ha fatto a botte madre!

- Che sciocchezze. Usare i pugni, usare un bastone… usare della polvere accecante. È sempre violenza- sentenziò duramente.

- Non voglio affrontare questa discussione con te. Hai scelto la via della guerra, fai pure. Io ed Olimpia abbiamo scelto la via della pace e non ostacoleremo il tuo cammino. Ma dacci il tempo di guarire dalle ferite e poi ce ne andremo.

- Tu non mi sembri particolarmente ferita- osservò la madre, poi proseguì - Come è successo?

- Un ubriaco molesto alla taverna dove Olimpia cercava alloggio.

- Con cosa vi ha colpito? - chiese incuriosita la guerriera.

- Con una sedia e dei pugni…ora sono molto stanca vado a riposare nella mia stanza - tagliò corto la ragazza, scappando dall’interrogatorio della madre.

Xena non poteva non domandarsi che cosa avesse scatenato una reazione simile in un uomo davanti a due donne, di cui una notoriamente portatrice di pace. Nonostante i pensieri e l’ora non tarda decise di andare a dormire anche lei. Quando passò davanti alla stanza di Olimpia, la sentì lamentarsi nel sonno. Entrò. I mugugni dell’amica erano sempre più frequenti e seguiti da dei sussulti. Le si avvicinò e col tatto verificò la temperatura. Non sembrava avesse febbre. Si limitò allora a suggerirle di calmarsi o avrebbe reso vano ogni potere della mistura al naso se l’avesse fatta cadere.

Olimpia sentì la voce amica e aprì gli occhi di scatto.

- Xena, che ci fai qui?- le chiese mentre tentava di alzarsi e mettersi seduta.

- Non ti affaticare e non ti muovere o ti cadrà il medicamento- disse duramente l’altra, ma il bardo non le diede ascolto e si mise seduta con i piedi fuori dal letto, reggendo con una mano l’impasto d’erbe mentre il panno le cadde sulle cosce.

Xena non disse altro e si indirizzò verso l’uscita della stanza.

- Grazie - le disse con tono sincero la poetessa.

- Me lo avevi già detto prima- informò senza nessuna flessione sentimentale l’altra.

- Xena… - chiamò Olimpia.

La principessa guerriera si voltò guardandola in attesa della comunicazione.

- Xena, oggi ho raccontato della nostra esperienza con Belur e ho rievocato molti episodi della nostra vita insieme...

- Quindi?

- Quindi… Grazie - le disse l’amica con tono affranto. Voleva provare a parlarle ma Xena si era dimostrata da subito ostile e la poetessa non aveva le forze per sostenere una vera discussione.

- Grazie?- chiese incredula la guerriera. Le si avvicinò cercando di fissarla negli occhi con intensa rabbia.

- Grazie?- ripeté mentre si inginocchiava davanti a lei per guardarla meglio negli occhi. - Grazie di cosa Olimpia? Pensi che basti ringraziarmi per tutto quello che ho vissuto con te? - la voce tradiva un certo disprezzo.

- Mi hai frainteso, Xena. - cercò di chiarire l’altra.

- Grazie! Ma certo, ringraziami pure. Così avrai la coscienza pulita! - le ringhiò la guerriera dritto in viso, poi si alzò con scatto deciso dirigendosi verso la porta. A sua volta Olimpia balzò in piedi afferrandola per un braccio e costringendola a voltarsi.

- Xena stavo solo cercando di dirti che ti sono grata per aver vissuto con me quei momenti!- sbottò alterata l’altra, ma sostanzialmente non aveva fornito maggiori spiegazioni e questo fece innervosire ulteriormente la guerriera.

- Tornatene dalla tua biondina nordica adesso che sei in pace con te stessa! - le rispose sprezzante Xena.

Fu un secondo e la regina amazzone, con la mano con cui ancora reggeva l’impasto, diede un sonoro ceffone alla principessa guerriera sporcandole il viso. Gli occhi di quest’ultima di sgranarono increduli. Si divincolò senza difficoltà dalla stretta al braccio dell’amazzone e con disgusto si pulì la faccia sbattendo per terra con stizza la sostanza viscida e appiccicosa che si era ritrovata sulla guancia.

Da subito Olimpia si era pentita di quel gesto che non sapeva giustificare. Perché l’aveva schiaffeggiata? Per difendere la reputazione di Brunhilde dalle ingiuste parole di Xena? Ma cosa aveva detto di così disonesto? In fondo nulla. Forse lei stessa era troppo stanca a causa di tutti gli avvenimenti della giornata così intensa, così piena di ricordi da non permetterle di controllare con lucidità il proprio stato d’animo ed il proprio istinto. Se non fosse stato per quel naso rotto, se ne sarebbe rimasta alla locanda e si sarebbe risparmiata l’ennesima inutile discussione vuota. Cercò lo sguardo della guerriera per scrutarne l’anima, ma incrociò solo lampi d’odio nell’azzurro ghiaccio di quell’iride. Rimase senza parole, con gli occhi ancorati a quelli algidi e distanti di quella che neppure troppo tempo addietro era stata tutta la sua vita.

E la lasciò uscire dalla stanza senza la forza di chiederle scusa.


Fine.


di GXP

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