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"Nè demoni o Dei"
romanzo seguito di "Identità Sepolta"

ROMANZO DI A. SCAGLIONI

(Capitolo XI)

Parte 1

((64) Jennifer/Xena e Olimpia

 

Nella stanza semibuia, la donna distesa sul letto respira con un leggero affanno, immersa in un sonno agitato da sogni che l'altra persona seduta a poca distanza da lei ad osservarla, non riesce neanche ad immaginare. Alla scarsissima luce, Olimpia lascia scorrere il suo sguardo sulla figura immobile. Sui lunghi capelli neri sparsi sul cuscino duro imbottito di paglia, il viso addormentato, le spalle nude, uniche parti visibili sotto la pesante coperta che la protegge dalla temperatura pungente. All'occhio attento della ragazza, pareva che la donna tremasse lievemente e non sapeva decidere se fosse per il freddo o per una reazione nervosa agli sconvolgenti avvenimenti che dovevano essere stati un duro banco di prova per lei. Ma qualunque ne fosse la ragione, Olimpia doveva fare letteralmente violenza su se stessa, per non stendersi accanto a lei per scaldarla e confortarla con il suo calore. Doveva mantenere un rigido autocontrollo per ricordare che quella non era Xena. Non era la sua compagna e la sua sposa, nonostante avesse il suo volto, il suo corpo, la sua voce.

Davanti ad Alexi aveva cercato di mantenersi quanto più fredda e controllata le fosse possibile, mentre dentro di sé la sua anima e il suo spirito urlavano, tutta la propria rabbia e la propria disperazione.

Non finirà mai? Dèi onnipotenti! Mai?!?

Quando le forze che guidavano le loro vite, buone o cattive che fossero, le avrebbero lasciate in pace, finalmente? Per quanto indietro nel tempo la sua mente riuscisse a risalire, non era in grado di ricordare periodi di pace più lunghi di una luna o due al massimo. Momenti in cui avevano potuto godere un po' di quiete e una dell'altra. E anche in quei momenti, i sensi sempre tesi, pronti a cogliere il minimo segnale di allarme o di minaccia. E ora la stanchezza cominciava a farsi sentire. E le sue reazioni nelle ore precedenti lo testimoniavano sempre più chiaramente. Il modo in cui si era ribellata alle parole di Alexi, quando questi aveva accennato ai suoi dèi, o qualunque cosa fossero, e di come loro fossero in definitiva solo burattini ai loro comandi. O addirittura, il modo violento in cui aveva reagito alla vista di quel che restava di quel povero corpicino. Tutto questo non deponeva a favore del suo equilibrio mentale. E non poteva essere tutto frutto dei sinistri poteri dell'essere che abitava quella foresta. Sarebbe stato facile dare tutta la colpa ai poteri psichici di quel dèmone. Ma lei sapeva che non era così. C'era qualcosa di più insidioso e sottile che scavava sotto.

Perché? Perché dobbiamo sempre farci carico dei problemi di tutti? Perché, per una volta, non possiamo semplicemente voltare le spalle e andarcene? Non abbiamo diritto ad avere un po' di vita tutta per noi? Un po' di felicità? Non ce la siamo meritata?

Lacrime a stento trattenute le bruciano sotto le palpebre. Con uno sforzo, Olimpia ingoia il groppo amaro che sente in gola. Erano tutte domande inutili, naturalmente. Lo sapeva bene. La realtà pura e semplice era che ancora una volta avevano messo le loro vite e il loro futuro a rischio in qualcosa le cui dimensioni ancora non riuscivano neanche a calcolare. Ancora una volta, avevano chiuso gli occhi e mano nella mano si erano gettate a capofitto nelle onde oscure di un destino che non voleva saperne di smettere di perseguitarle. E ancora una volta, non ci sarebbe stata fuga, se non nella salvezza finale o nella morte. Come era sempre stato e come, ormai pensava, sarebbe stato per sempre.

Ma questa volta il fato maligno aveva escogitato qualcosa di ancor più spaventoso per loro. Le aveva separate, privandole della forza e del supporto che rappresentavano l'una per l'altra. Aveva posto tra loro dei mondi, forse molti mondi, per impedire che perfino il misterioso legame che le univa potesse soccorrerle. Quel legame non si era mai spezzato, neanche quando a dividerle era stata la morte. Lei aveva sempre sentito Xena nel suo cuore e sapeva che per la sua compagna era altrettanto. Ma ora, quando con un filo di speranza si affacciava a quella inspiegabile finestra dell'anima, era solo il buio e il vuoto assoluto che vi scorgeva. E nessuno, nessuno, poteva capire cosa questo significasse per lei. E se quel legame fosse stato spezzato definitivamente? Se non fosse mai più riuscita a ritrovare Xena?

No! Fermati! Non andare oltre!

Non poteva e non doveva lasciarsi prendere dallo sconforto. Non doveva permettere che le fosse strappato anche quel tenue filo di speranza. L'altra forza che le aveva sempre sostenute era stata l'incrollabile fiducia che avevano sempre nutrito l'una nell'altra e questa niente avrebbe mai potuto sottrargliela. Sapeva che dovunque fosse Xena avrebbe smosso mari e monti pur di poter tornare e in questo doveva fortemente credere. Dal canto suo avrebbe dovuto fare l'impossibile per cercare di risolvere la parte di enigma che le era toccata e che ora giaceva davanti a lei. A chi apparteneva lo spirito nel corpo di Xena? Da dove era giunto? Forse dal mondo in cui era finito il suo?

Può essere? Forse da qualche parte, la mia Xena sta camminando in un corpo non suo? Nel corpo di questa donna?

Se solo fosse riuscita a ricordare cosa era successo esattamente subito prima che Alexi la risvegliasse e corressero insieme all'albero che cresceva su quell'orrida buca oscura. Perché aveva perso i sensi, e come aveva fatto Xena a procurarsi quelle ferite? Era caduta o qualcuno l'aveva colpita? E in quel caso, chi? Qualcun altro si nascondeva tra quegli alberi?

I rumori leggeri di Alexi che si muove nella stanza adiacente, intento a preparare il suo infuso, la scuotono dai suoi pensieri. A che valeva tormentarsi? Sicuramente, alcune risposte erano sepolte nella mente confusa che abitava ora il corpo della sua compagna e il compito che era chiamata a svolgere era quello di disseppellirle e portarle alla luce, sperando che fossero sufficienti per riportare indietro anche il suo spirito. E avrebbe cominciato subito, appena la donna si fosse destata.

Proprio in quel momento, come in risposta, al suo pensiero, le ciglia e le palpebre del volto addormentato vibrano leggermente, per poi lentamente aprirsi, e due occhi azzurri come il cielo vi fanno capolino,  fissandosi nei suoi, ancora smarriti e disorientati dal sonno, e forse ancor più dal risveglio. Due occhi azzurri che sono come una stilettata nel cuore di Olimpia. Un tuffo in ricordi che ripone a fatica in un angolo della mente.

Non ora. Lei non è Xena, ricordatelo. Ma è per suo tramite che la ritroverai.

E dispone i muscoli del viso a sorridere per rassicurare la donna, scoprendo con sorpresa che è più facile di quel che credesse.

 

La coscienza lentamente si fa strada in Jennifer, mentre la donna riapre appena gli occhi per fissarli sulla persona che è seduta accanto al suo giaciglio, con la consapevolezza di ritrovarsi in quella stanza che le pare minuscola e oscura e del duro pagliericcio sul quale ancora giace, e lei non sa se esserne lieta oppure no. Se in quel sonno in cui la sua mente l'aveva avvolta come in una coperta, per proteggerla dagli shock ripetuti che stavano rischiando di aver ragione di lei, si era illusa di essere stata solo vittima di un altro sogno allucinatorio, un nuovo incubo più complesso ed assurdo dettatole dalla sua condizione psichica, ciò che vedeva adesso stava strappando brutalmente ogni sua residua speranza che la risposta fosse così semplice. Le pareti grigie della casetta di pietra in cui doveva trovarsi, nude e desolate, e con una sola piccolissima finestra provvista di due sbarre metalliche rese rugginose dal tempo e dalle intemperie, attraverso la quale giungeva a fatica un raggio di luce, le dicevano invece che tutto quello che aveva visto, in quello stato di stordimento che l'aveva accompagnata nei suoi due precedenti risvegli, rappresentava un'angosciante realtà. E l'unica ragione che le impediva di lasciarsi andare e cedere definitivamente alle tenebre della follìà era là, seduta davanti a lei, con le mani giunte in grembo, ad osservarla con uno sguardo in cui preoccupazione, pietà e sospetto si inseguivano.

Olimpia.

Ma per lei era Joyce. Anche se poco o nulla di ciò che vedeva in lei le ricordava fisicamente la giovane fragile ed indifesa che le aveva rubato il cuore. La fanciulla di fronte a lei appariva, non di molto, ma più anziana e sicuramente più robusta. Spalle larghe e seno a stento contenuto all'interno di uno stretto corpetto di un colore che le pareva rosso scuro, a quel poco che riusciva a distinguere nella poca luce, il ventre nudo e muscoloso che si restringeva un poco prima di finire coperto da un corto gonnellino dello stesso colore, le gambe accavallate, belle ed altrettanto robuste, infilate in un paio di stivali allacciati sul davanti. Lo sguardo di Jennifer le risale nuovamente lungo il corpo per giungere al viso leggermente in ombra, ma incorniciato dai corti capelli biondi pettinati a caschetto, di una tonalità forse più scura di quelli che aveva Joyce. Eppure, fin da quando l'aveva vista nei fumi della semi-incoscienza, aveva riconosciuto in quegli occhi verdi (e non azzurri come quelli di Joyce) lo sguardo, l'espressione, qualcosa che non si può descrivere a parole, ma che avvertiva indiscutibilmente nel profondo dell'anima. Quella era proprio la sua Joyce ritrovata, la persona per cui avrebbe dato la vita e che adesso invece non ricordava neanche di averla mai conosciuta.

"Come stai?" le chiede la ragazza, quando i loro occhi s'incrociano, alzandosi e avvicinandosi a lei. Poi si china per esaminarle la fronte.

Nel vedere quel viso a così poca distanza dal suo, nel sentire il suo respiro e il suo tocco sulla pelle, Jennifer sente un nodo formarlesi in gola, ma lo ingoia stoicamente ed è una voce ragionevolmente controllata quella che sente uscire dalla sua bocca. Controllata, calma, ma non sua.

"Meglio. Cosa mi è successo?"

"Veramente, mi aspettavo che fossi tu a dirmelo." ribatte la fanciulla, sedendosi sul bordo del letto. "Sai dirmi chi sei, da dove vieni e come sei arrivata qui?"

"No... Io... " prova a rispondere Jennifer, e la sua mente quasi in modo inconsapevole si trova a sbirciare nel buco nero della sua memoria più recente recedendone immediatamente, inorridita. C'è qualcosa là dentro che non può e non vuole affrontare ora. Non in questo momento. "Io non ricordo." dice. Poi, i suoi occhi si fissano in quelli della ragazza. "Tu sei Olimpia, vero?"

Il nome le esce di bocca in quella lingua con una musicalità sorprendente che non sapeva di essere in grado di dare alla sua voce.

"Non mi sono presentata, ma fino a poco fa non avevo idea di doverlo fare." dice Olimpia. "Vedo comunque che tu mi conosci. Un altro quesito che richiederebbe una spiegazione."  

Jennifer non risponde, ma solleva la leggera coperta, osservandosi il corpo nudo sotto di essa. I seni tondi e prosperosi, di almeno una misura più grandi dei suoi, il ventre piatto e ben delineato, i fianchi abbondanti, il folto boschetto nero del pube e le cosce lunghe e muscolose. Se avesse avuto ancora un minimo dubbio, quella visione lo cancellava definitivamente.

"Que... questo corpo non... è il mio." balbetta, abbandonando ogni tentativo di frenare il tremito nella voce. "E'... pazzesco. Co... come è possibile? Come può accadere una cosa simile?"

La donna alza gli occhi, in cui le lacrime stanno ricominciando ad addensarsi, in quelli dell'altra che la stanno scrutando attentamente, come alla ricerca di un indizio di una possibile simulazione. Poi evidentemente persuasa della sincerità del suo sgomento, la ragazza si inginocchia accanto a lei e le prende le mani tra le sue.

"Non so cosa risponderti, per il momento." le dice a bassa voce. "Cerca di stare calma, e pensa. Sei certa di non ricordare niente di quello che ti è successo prima di risvegliarti qui?"

Disorientata, confusa, impaurita, Jennifer stringe le mani calde sulle sue, aggrappandosi ad esse, incapace di far cessare il tremito che si è improvvisamente impadronito di lei, con la gola chiusa dal terrore.

"Calmati." la esorta ancora la ragazza, staccandosi a fatica dalle sue mani e prendendole invece il viso e costringendola a fissarla. Quel tepore sulle guance e la delicatezza di quelle dita sulle tempie hanno il potere di interrompere istantaneamente i brividi gelidi che le percorrevano il corpo, e Jennifer avverte anche il cuore riprendere un ritmo più regolare nel battito.

"Io... io mi chiamo..." comincia a dire, tenendo gli occhi inchiodati in quelli di lei, per non disperdere l'influsso positivo che quel contatto le stava procurando "Ja... Jon-ifer... Ra...Rou... Ma che c'è?" sbotta esasperata. "Perché non riesco a dirlo?"

L'incapacità di riuscire a pronunciare il proprio nome, come se qualcosa nella sua bocca le impedisse di articolare correttamente le sillabe che lo formavano, stava per scatenare in lei un nuovo attacco di panico, e Jennifer afferra ancora le mani di Olimpia, stringendosele più forte contro il viso per aumentare quel contatto che sembra sedare la paura.

"Calmati." ripete la ragazza ed ora la pena nel suo sguardo è evidente e quasi inconsapevolmente il suo tocco diventa una carezza. "So che non sei qui per tua colpa, e qualunque ne sia la causa la risolveremo." dice, addolcendo la sua voce. "Calmati. Calmati."

"E questa lingua" continua Jennifer sentendo le lacrime scorrerle lungo le guance, ma non riuscendo a far nulla per arrestarle "non è la mia... E' greco, vero? Greco antico, ma io non l'ho mai saputo... Che pazzia è questa?"

"Antico?" Olimpia la fissa perplessa ed un nuovo dubbio le si accende negli occhi. "Non so che vuoi dire... Ma è greco, sì. E' la mia lingua e quella di Xena... E' quella che parliamo comunemente. E' la lingua di queste terre... Prova a dirmi qualche parola nella tua. Forse ne riconoscerò l'origine."

Se Jennifer credeva di aver già raggiunto l'apice del panico nei momenti precedenti, di colpo si rende conto di quanto si sbagliava, quando la sua mente si sforza di ricordare e raccogliere una frase anche semplice senza riuscirci. La sua memoria vaga come qualcuno divenuto improvvisamente cieco in un ambiente sconosciuto, sbattendo nelle pareti e nei mobili, perdendo l'equilibrio e non riuscendo a trovare un appiglio di nessun genere per rialzarsi. Sente un terrore profondo, come non ha mai provato prima impossessarsi di lei e le sue braccia scattano, indipendenti dalla sua volontà, a circondare Olimpia, tenendola stretta a sé, nascondendo il viso nella sua spalla, mentre il tremito in tutto il suo corpo si accentua.

"Non mi ricordo... Oddio, non riesco a ricordarmi! Aiutami, Jo-yss, ti prego, ti scongiuro! Aiutami!"

Là, tra le braccia di Olimpia che l'abbraccia a sua volta, Jennifer dà nuovamente sfogo a tutta la paura che la sta divorando, singhiozzando disperata, incapace di frenare quella crisi, e la mano della ragazza le accarezza i capelli e la schiena nuda, cercando di calmarla.

"Shhh." mormora dolcemente, cullandola come una bambina. "Andrà tutto bene, vedrai. Non è la prima volta che io e Xena ci troviamo in una situazione simile, per quanto possa sembrarti strano." Poi, sentendo lo sfogo ridursi di forza fino a restare poco più che un leggero sussulto contro la sua spalla, l'allontana delicatamente da sé, e la fissa con un lieve sorriso. "Però almeno una cosa spero che tu possa spiegarmela." dice.  

"Cosa?" chiede Jennifer, tirando sù con il naso.

"Perché continui a chiamarmi Jo-yss?"

 

"Lo so." mormora Jennifer, gettando un'occhiata di sottecchi al viso di Olimpia che la sta guardando con stupore. "Tu non mi credi. E non posso biasimarti. Neanche io riesco a crederci nel raccontarla."

Jennifer indossa ora gli abiti in pelle di Xena che ha messo con abbastanza disinvoltura e le due donne si sono trasferite nella stanza più grande al centro della casa e sono sedute al tavolo sul quale posano due tazze fumanti dell'infuso, amaro ma corroborante, preparato da Alexi, che le sta osservando da un angolo con aria imperscrutabile.

"Non è questo." dice piano a sua volta, Olimpia. "In tutti questi anni di vita insieme a Xena, ho assistito a cose ben più incredibili, te lo assicuro. Stavo pensando solo che il tuo racconto colmerebbe un vuoto nel mio passato e in quello di Xena. Un vuoto di cui né io né lei riusciamo a ricordare assolutamente nulla."

Questa volta è Jennifer ad alzare la testa che teneva china e a fissare la ragaza interrogativamente.

"Tempo fa" spiega Olimpia "un demonio in fattezze umane, una strega di nome Antinea, mi tese una trappola in cui caddi come una stupida. Ero già nelle sue mani e Xena giunse in mio soccorso. Uccise la strega, ma non prima che questa mi facesse precipitare in un mondo di tenebre, da cui non riuscii a tornare che molto tempo dopo. Allora seppi che era stata Xena a ritrovarmi ed ero così felice di essere di nuovo insieme a lei che smisi presto di chiedermi cosa mi era accaduto e dove ero stata in quel tempo di cui non conservavo memorie. Ma ora forse so che avrei dovuto chiedermi quando e non dove ero stata..."

"Quando dici strega, immagino che tu non intenda semplicemente una donna perfida e cattiva, vero?" chiede timidamente Jennifer.

"Antinea era indubbiamente perfida e malvagia, ma no, con strega mi riferivo ai suoi enormi poteri magici. Molte volte la sua strada si è incrociata con la nostra e sempre ne sono scaturiti orrori e lutti, e non cesso mai di pregare gli dèi o qualunque altra entità sovrintenda alle nostre vite" e qui Jennifer coglie un rapido sguardo, che non sa interpretare, di Olimpia al giovane seduto in disparte e che ancora non ha detto una parola "che essa sia stata completamente e definitivamente distrutta, nella carne e nello spirito, e che mai più possa tornare a tormentarci."

"Quando ho sentito di voi per la prima volta" dice Jennifer, accennando un sorriso amaro e sorbendo con una smorfia quasi distrattamente un altro po' della sua bevanda "chi me ne parlò mi narrò di due donne impavide che vissero una vita di grandi avventure, scontrandosi spesso con esseri malvagi e non sempre di natura umana, e io anche se non glielo dissi, pensai che fosse impazzito. Mentre ora mi chiedo se non sono io ormai folle al punto da aver costruito un mondo in cui i miei sogni, o i miei incubi, si sono tramutati in realtà." conclude a bassa voce, quasi parlando a se stessa.

"Intendi quel tuo amico?" chiede Olimpia. "L'anziano sapiente che aiutò Jo-yss a ritrovare la sua identità dimenticata?"

"Sì, ed è ironico che ora non riesca nemmeno a compitare il suo nome, come del resto non posso fare neanche con il mio."

"Probabilmente la lingua del mondo e del tempo da cui provieni è troppo diversa dalla nostra" azzarda la ragazza "e le nostre bocche e le nostre labbra non sono abituate a pronunciare certe sequenze di sillabe, proprio come ad alcuni popoli del Sol Levante è impossibile imparare a parlare la nostra lingua correttamente. Ma se continuerai a concentrarti ed a provare potresti farcela prima o poi, o a darne almeno un'assonanza accettabile."

"Tu hai pratica di queste cose, vero?" le sorride Jennifer. "Sei un bardo. Una grande poetessa guerriera, come diceva quel mio amico. Che sa destreggiarsi con le parole altrettanto bene che con la spada. Perché mi guardi così?" chiede poi, vedendo la strana espressione sul volto dell'altra.

"Perchè tu parli e le tue parole giungono dalla bocca di una persona con cui non avrei mai pensato di intrattenere conversazioni del genere."

"Xena parla meno di me, eh?"

"Già." sussurra Olimpia con un sorriso malinconico. "Ed è così... concreta, realista, fino al pragmatismo. Se adesso fosse qui, mi direbbe di non credere a tutto quello che sento e ti terrebbe a distanza, guardandoti con diffidenza."

"Nonostante tutto quello che avete visto e vissuto insieme?"

"Lei è fatta così." ribatte Olimpia, con un'alzata di spalle. "E spesso, non sempre ma spesso, i fatti finiscono per darle ragione." 

"E' un modo per dirmi che dopotutto non credi a quello che ti ho detto?"

La domanda di Jennifer precede un silenzio che dura forse più del dovuto nella stanza, adesso invasa dalla luce del giorno nascente.

"Io non sono Xena." risponde infine Olimpia, guardandola fissa negli occhi. "E come ti ho detto, neanche lei ha sempre ragione." Poi, alzandosi, le tende la mano. "Vieni, facciamo una passeggiata. Se dovrai rimanere nel suo corpo abbastanza tempo, sarà meglio che ti ci abitui."

 

Sotto i raggi di un sole insolitamente luminoso e riempiendosi i polmoni di aria tersa e limpida come non ricorda di averne mai respirata prima, Jennifer esce dal buio della casa, stretta ad Olimpia, schermando gli occhi dall'improvvisa luce violenta che la colpisce sul volto. Ad un passo cauto e lento, le due donne si muovono tra l'erba incolta del grande prato dietro la casa di Alexi. Jennifer ha scoperto già dal primo momento in cui ha cercato di camminare sulle lunghe gambe di Xena, che la lunghezza di un palmo e più nel corpo umano può fare una grande differenza in una mente abituata ad una statura assai più regolare. Non sapeva quantificare meglio la variazione tra le loro stature, ma il fatto che superasse Olimpia di tutta la testa e parte del collo, le suggeriva che doveva essere più alta rispetto a prima di almeno quindici...

Maledizione! Ecco un'altra parola che mancava al suo attuale vocabolario.

Non avrebbe mai saputo descrivere quello che si provava quando si cercava di esporre un'idea, un concetto che ci era chiaro nella mente, ma senza riuscire a trovare le parole con cui farlo. La nozione di unità di misura, adesso era confusa nel suo cervello. Quando ci pensava le venivano delle parole che non sembravano avere senso per lei e che non riusciva a collocare.

Ma al momento, c'erano ben altri problemi, come ad esempio quello di restare in piedi.

"Ehi! Piano." fa Olimpia, quando la sente quasi cedere contro il suo corpo, sostenendola alla vita. "Fai un passo alla volta."

Mettendo insieme alla bella e meglio un sorriso forzato, Jennifer si appoggia a lei.

"E' difficile camminare in un corpo che non è il tuo." dice.

"Non credo che sia solo per questo." ribatte la ragazza, stringendola più forte. Anche attraverso il costume di pelle che indossa, Jennifer sente il calore della sua mano contro il ventre e un soffio d'aria inconsulto le esce dai polmoni. "Sono le ferite alla testa probabilmente a causarti il capogiro."

"Oh, non credi allora che sarebbe meglio se me ne stessi ferma per un po'?"

Due parole nella sua mente le appaiono da lontano, ma ancora senza trovare corrispondenti in quella lingua.

"A che pro?" risponde Olimpia, un po' bruscamente, forse. "Sei rimasta ferma molte ore. Ho visto Xena camminare, e perfino correre, pochi minuti dopo aver ricevuto botte anche molto peggiori."

Jennifer tace per qualche istante, provando altri due passi, sempre appoggiata ad Olimpia.

"La tua amica deve essere davvero una donna molto speciale." dice poi piano.

"Lo è davvero." conferma con voce decisa la ragazza. "Ma non è solo mia amica. E' la mia sposa."

Le gambe le si piantano nel terreno e Jennifer si blocca, quasi facendo perdere l'equilibrio per il contraccolpo anche ad Olimpia.

"Che c'è?" chiede questa perplessa. "Stavi andando meglio."

"Sposa?" dice Jennifer e dal tono non si capisce se sia una domanda, o se la donna stia cercando di assimilare un concetto particolarmente ostico. "Vuoi dire che voi due siete... sposate? Proprio sposate?"

"Sì. Perché, nel mondo da cui vieni non conoscete il matrimonio?"

Olimpia sembra quasi divertita dallo stupore negli occhi di Jennifer.

"Allora, voi due siete... siete..."

Jennifer sembra arrancare cercando inutilmente una parola che non riesce a pronunciare, e Olimpia la fissa con uno sguardo ironico.

"Vuoi dire amanti? E' questa la parola che cercavi?" chiede, quasi come se le leggesse nella mente. "Non mi pare una cosa tanto difficile da immaginare, non credi?"

Jennifer continua a fissarla, apparentemente incapace di rispondere.

"Deve essere una ben strana epoca, la tua. Non credo che mi piacerebbe viverci." mormora Olimpia, ricominciando a trascinarla.

 

"Parlami un po' di questa Jo-yss." chiede dopo un po' la ragazza, anche per interrompere la pausa di silenzioso imbarazzo che si è stabilita tra loro. "Davvero pensi che io fossi lei? Mi assomigliava?"

"No, per niente." risponde dopo qualche attimo Jennifer, provocando un'occhiata interrogativa di Olimpia. "Era timida, indifesa, o così mi sembrava. Era bionda come te, ma i suoi capelli erano un po' più chiari, e aveva gli occhi azzurri." Nel ricordo, lo sguardo delle donna si perde nel vuoto, mentre la sua voce acquista un tono quasi sognante. "Poi, credo che fosse di qualche... di qualche..." Esitazione. "Un po' più alta di te, ma era più esile nella figura, e sicuramente non aveva i muscoli che hai tu."

"Allora, perché mai credi che io fossi lei?"

"Non lo credevo. Ho cercato di non crederci fino alla fine." dice Jennifer, con un'inequivocabile rimpianto nella voce. "Ma ho dovuto arrendermi, quando ho visto Xena venuta a riprenderla. Quando l'ho vista combattere al suo fianco contro que... quelle milizie che volevano catturarle. Era così incredibile. La mia dolce Jo-yss trasformata in una guerriera."

"La tua dolce Jo-yss?" chiede Olimpia, guardandola.

"Beh, io mi ero... molto affezionata a lei. Per me era come una sorella." Le esitazioni e l'imbarazzo sembrano tornati nella voce di Jennifer.

"Sì, capisco." ribatte la ragazza quasi soprappensiero. "E' una cosa che mi pare di aver già sentito."

Le due donne procedono fianco a fianco ancora per qualche passo, con Olimpia che sorregge Jennifer per la vita, e il braccio di questa intorno alle spalle della ragazza.

"Comunque hai detto che non le somiglio molto, no?" dice poi quest'ultima, e anche questa sembra più una considerazione che una domanda.

"No, infatti." risponde Jennifer, fermandosi. "Ma tu eri lei. Ne sono certa."

Anche Olimpia si ferma e le due donne si fissano, immobili tra l'erba alta che smossa dalla brezza solletica le loro gambe nude.

"C'era una specie di luce in lei." prosegue Jennifer. "E' difficile da descrivere, ma io l'avvertii fin dalla prima volta che la vidi. Ed è la stessa luce che scorgo in te."

Adesso è il turno di Olimpia di sentirsi imbarazzata. La ragazza tiene lo sguardo di quegli occhi, così familiari eppure così profondamente diversi ora. Occhi in cui si leggono desiderio e devozione in egual misura che si contrappongono e si sovrappongono tra loro. Ed è con fatica che riesce a distogliersene infine, tornando a concentrarsi sul suo compito.

"Avanti, adesso." dice, con un leggero tremito nella voce. "Vediamo come te la cavi da sola."

Olimpia lascia Jennifer e questa, dopo aver traballato un attimo, azzarda qualche passo, sentendosi però già più sicura. Le gambe le paiono più forti e dall'aspetto lo sono di sicuro. Guardandole, la donna nota fasce muscolari sicuramente insolite tra le cosce ed i polpacci. L'aumento di statura adesso non le dà più tanta noia, e le sembra che tutta la sua andatura sia più elastica e quel suo nuovo corpo rigurgitante di energie le trasmette quasi uno stato di euforia.

Sei pazza, Jennifer, pensa quasi nascondendo un sorriso, se questo non è davvero un sogno e non ti trovi in realtà legata ad un letto di contenzione in qualche sanatorio, tu hai fatto un viaggio indietro nel tempo di oltre duemila anni, in un mondo che ti è completamente sconosciuto, e allora perché ti senti bene come mai prima e avresti voglia di ridere e ballare?

"Te la cavi già bene." dice Olimpia, sorridendole, questa volta apertamente. Il primo vero sorriso che le dedica, e Jennifer s'incanta a guardarla, perché in quel momento la somiglianza con Joyce le appare totalmente evidente.

"Io ho avuto molte più difficoltà di te, all'inizio." prosegue la ragazza, apparentemente ignara di quei pensieri nella mente dell'altra.

"Che vuoi dire?" chiede Jennifer, ma le parole le escono automaticamente. La sua attenzione è tutta per quegli occhi incredibilmente verdi e quel sorriso luminoso.

"Beh, ci sono stata anch'io lì dentro, per un breve periodo." L'espressione di Jennifer le causa un'involontaria risatina, e un suono melodioso e argentino si diffonde nella piccola radura. "Io e Xena, tempo fa ci siamo scambiate i corpi. Fu un incidente, ma è una lunga storia. Te la racconterò un'altra volta, se ce ne sarà il tempo."

"Che strana e affascinante vita dovete aver avuto insieme." mormora Jennifer.

"Se ti piacciono gli eufemismi, la puoi definire così." ribatte Olimpia, sempre sorridendo. La ragazza sembra cominciare a sentirsi un po' troppo a proprio agio e, come se dentro di sé avvertisse i morsi di un sottile senso di colpa, cerca di tornare a concentrarsi sul compito del momento. "Adesso prova ad aumentare il passo."

Obbediente, Jennifer inizia ad accellerare l'andatura e presto, quasi senza rendersene conto, sta letteralmente volando nell'erba alta del prato. Incapace di trattenersi oltre, la donna ride felice, godendo della forza e del vigore che sente pervaderla in tutto il corpo e d'un tratto un'idea folle le attraversa la mente e senza esitare le sue gambe scattano come molle e con un colpo di reni il suo corpo s'inarca in un potente salto in avanti.

ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay-ay

La sua figura sembra immobilizzarsi per un'istante, sospesa nell'aria, per atterrare subito dopo dolorosamente sulla schiena.

Il colpo le svuota i polmoni e Jennifer resta a terra senza fiato.

"Sei impazzita?!?" Olimpia le accorre accanto sostenendola da dietro. "Stai bene?"

L'ansia nella voce della ragazza è come un balsamo miracoloso per le fitte che si sono riacutizzate nella testa di Jennifer.

"Mai stata meglio." le sorride rassicurante.

"Che ti prende? Hai appena imparato a muovertici, non puoi già fare quelle cose!"

"Non so che dirti." Nonostante il gran mal di testa, Jennifer si rialza prontamente ed è lieta di non notare nessun segno di giramenti di capo. "All'improvviso ho sentito la voglia di farlo e l'ho fatto. Questo corpo è portentoso!"

Olimpia la guarda strabiliata.

"Ma come ti è venuto in mente di lanciare quel grido?"

"Non lo so. Anche quello è stato istintivo. Volevo esplodere tutta la gioia che sento."

Il volto di Olimpia si fa serio, e di colpo, Jennifer sa di aver detto qualcosa di sbagliato. E anche il sole d'un tratto sembra nascondersi.

"Gioia?" mormora la ragazza. "Ti trovi in un'epoca lontanissima dalla tua, in un corpo che non ti appartiene... Di che gioia stai parlando?"

"Io non... scusami..." farfuglia la donna. "Io non volevo..."

In quel momento la differenza di statura che le separa sembra inesistente e Jennifer si sente piccola piccola davanti alla rabbia che vede improvvisamente nello sguardo della ragazza bionda, una rabbia a stento controllata e pronta a esplodere, che l'ammutolisce all'istante.

"Non so cosa ti stia passando per la testa" le sibila in faccia Olimpia "ma non dimenticare che il nostro obiettivo... il mio obiettivo è riportare indietro Xena e rimandare te nella tua epoca. Ognuna al proprio posto."

"Potrebbe non essere possibile."

La voce è giunta dalle sue spalle e Olimpia si volta di scatto. Alexi è sulla porta della casa e le sta guardando, appoggiato al muro.

"Se come sospetti, lo spirito di Xena è stato portato via dal suo corpo da Coloro che Sanno" dice il giovane "non tornerà che quando e se loro lo decideranno."

"Sai, Alexi, ora cominci proprio a stufarmi con questa lagna." Olimpia afferra bruscamente Jennifer e la riporta verso la casa. "I tuoi dèi si sono già divertiti abbastanza con noi. In poco più di un paio di giorni abbiamo avuto più guai di quanti riesca a ricordarne. Ora la mia priorità è riprendermi Xena, e farò polpette di chiunque si frapporà sul mio cammino, compreso quel tuo dèmone..."

"De-dèmone?" Jennifer che cammina praticamente trascinata da Olimpia, la fissa ad occhi spalancati.

"... Bestia..."

"B-bestia?"

"... cosa, o comunque tu voglia chiamarla. Adesso ne ho davvero abbastanza. E tu" intima a Jennifer, appena entrate "mettiti a sedere a stai zitta, finché non sarò io ad interpellarti."

Senza osare profferire un'altra parola, la donna va sedersi come le è stato ordinato, lo sguardo abbassato, mentre Alexi, che si è spostato per lasciarle passare, guarda Olimpia con aria di profonda disapprovazione.

"E cosa pensi di poter fare per riuscirci?" chiede.

"Non lo so ancora, d'accordo?!?" sbotta la ragazza, ancor più irritata dal leggero tono sarcastico che avverte nella voce del giovane. "Forse se la smettessi di chiedermelo in continuazione, avrei il tempo di pensare a qualcosa!"

Nel silenzio che segue, Jennifer che, dopo aver assistito a quella manifestazione d'ira, non ha più osato fiatare, osserva sorpresa e un po' spaventata la giovane donna che sta percorrendo il pavimento polveroso della stanza, avanti e indietro con la fronte aggrottata e lo sguardo fisso all'interno dei propri pensieri. D'un tratto l'aspetto dolce e gentile di Olimpia che tanto le stava ricordando Joyce, aveva lasciato il posto, con incredibile rapidità, ad una furia rabbiosa e densa di minaccia che in nessuna maniera riusciva ad associare al ricordo della ragazza che aveva amato. Se l'anima che aveva albergato nel corpo di Joyce era la stessa che era adesso in Olimpia, lo spirito che l'animava era quello di una donna nata e cresciuta in una vita e in un mondo differente dal suo come la notte dal giorno. Un mondo dove pericoli umani e sovrumani costringevano a maturare ed indurirsi in fretta se si voleva sopravvivere, lontani da agi e comodità moderne, dove saper combattere e soffrire era l'unica garanzia per poter arrivare a vedere un'altra alba.

Cosa c'entro io con questo mondo? pensa. Ho il corpo di Xena, ma se mi capitasse di dover combattere per la mia vita, che possibilità avrei? Finirei uccisa, e Xena morirebbe con me.

L'euforia che aveva sentito pervaderla prima, sta ora velocemente scomparendo, e la voce di Olimpia la richiama alla realtà.

"Qualunque cosa sia successa a Xena" sta dicendo la ragazza che parla quasi a se stessa, mettendo in parole le sue riflessioni "è accaduta in quel posto maledetto."

"Se stai pensando di tornarci..." comincia a dire Alexi 

Lo sguardo gelido di Olimpia blocca sul nascere il suo discorso.

"Tornarci così sarebbe pura follia." dice la ragazza, senza realmente rispondere a nessuno, ancora in apparenza persa nei suoi ragionamenti. "Ormai è evidente che quell'essere può impadronirsi della mente di chiunque si avvicini alla sua tana. La verità è che non ne sappiamo abbastanza su di lui per poterlo combattere adeguatamente."

Questa volta, Alexi non approfitta della pausa per inserirsi, e resta saggiamente in silenzio.

"Ma forse, c'è qualcuno che, volente o nolente, potrebbe darci una mano." prosegue Olimpia, e nella sua espressione decisa si fa largo un sorriso leggermente inquietante. "Acros. Il verme che fornisce le prede alla Bestia. A quanto sappiamo, lui è quello che ha avuto i contatti più approfonditi e prolungati con quella cosa. Scommetto che lui sarebbe in grado di darci alcune di quelle risposte che stiamo cercando."

"Ammesso che sia vero" azzarda Alexi "come pensi di convincerlo?"

"Prima dovremo cercare un modo per avvicinarlo. A convincerlo poi, penserò io." risponde Olimpia.

"Non mi sembra tanto facile."

"Non ho detto che lo sia." sorride la ragazza. "Dimmi, Alexi, se tu dovessi nascondere un cavallo a Kyros, dove lo terresti?"

La frase, gettata lì in maniera quasi casuale, si guadagna solo lo sguardo perplesso dei suoi ascoltatori.

(11 - continua)





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