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"Nè demoni o Dei"
romanzo seguito di "Identità Sepolta"

ROMANZO DI A. SCAGLIONI

(Capitolo XIV)

Parte 1

72) Xena/Jennifer, Sutherland e Croft

 

"C'è qualcuno."

Il professor Sutherland, intento a posare con cura il vassoio con la teiera fumante e le tazze sul basso tavolinetto con il ripiano di cristallo al centro del salotto, si ferma a metà e si volta verso la donna bruna seduta sul divano di fronte a lui. Tutta la persona è irrigidita e i suoi occhi dardeggiano da un lato all'altro della stanza senza fissarsi su niente in particolare, come se la sua mente fosse rivolta a qualcosa che nessun altro possa sentire.

"Co... come?" chiede il vecchio, indeciso se abbia capito bene.

"C'è qualcuno." ripete la donna, alzandosi lentamente con fare casuale e dirigendosi verso una parete accanto alla grande porta a vetri sul giardino, come volendo ammirare un quadro appeso. "Là fuori. Comportati normalmente."

Cercando di mantenere un'aria indifferente, Sutherland aggiusta il vassoio precisamente in mezzo al tavolo e comincia a disporre le tazze e a versare la bevanda calda.

"Come fai a saperlo?" chiede a bassa voce. "Io non ho sentito nulla."

"Shhh!" è l'unica risposta che ottiene, e un attimo dopo nella stanza scoppia il finimondo.

Prima che il professore abbia il tempo di voltarsi, una figura indistinta rotola sul pavimento fino a fermarsi  con un grido contro la parete opposta, mentre un'imprecazione esplode alle sue spalle. Sutherland si gira spaventato e vede la guerriera reggersi una spalla con una smorfia di dolore sul volto.

"Maledizione!" sibila Xena. "Questo stupido corpo non è proprio buono a niente!"

Contemporaneamente dall'altra parte della stanza, si leva un lamento.

"Ma che accidenti le è preso?!" piagniucola una voce maschile. "Mi ha rotto un braccio!"

"E io mi sono slogata la spalla." risponde la guerriera, avvicinandosi alla parete e tirando una spallata al muro con un'altra smorfia, ma subito dopo muovendo nuovamente il braccio senza difficoltà. "Dovrò proprio fare qualcosa per rimetterlo in una forma accettabile."

Troppo stupito dal quel rapido succedersi di eventi, Sutherland si guarda intorno cercando di capire quello che sta succedendo, mentre Xena avanza decisa verso l'intruso e sollevatolo per la collottola con l'altro braccio lo scaraventa sul divano.

"E adesso dimmi chi sei e cosa cercavi qui." ordina.

L'uomo emette un altro strillo tenendosi il braccio all'altezza del gomito e finalmente il professore lo riconosce.

"Signor Croft! Ma che ci fa qui?" domanda sorpreso.

"Gliel'ho già chiesto io." dice Xena, "E farà meglio a rispondere alla svelta."

"Calmati." Sutherland si siede accanto a Croft, lanciandole un'occhiata severa. "Sono sicuro che è tutto un equivoco."

Brian, intanto, quasi dimentico del dolore, sta fissando ad occhi spalancati la donna in piedi davanti a lui che a braccia conserte lo ricambia con una luce gelida nello sguardo.

"Ma... ma..." balbetta. "Dott... voglio dire signorina Rowles, cosa diavolo...?!?"

E poi un nuovo urlo gli erompe dal petto al tocco del professore che gli sta tastando l'osso.

"Non è rotto." dice questi. "Ha preso solo una botta. Più il dolore che il danno. Devo avere delle pomate di là e le darò anche un antidolorifico."

"Dopo. Adesso voglio delle risposte." La guerriera afferra Brian per il collo spingendogli la testa contro lo schienale del divano e piantandogli un ginocchio nello stomaco. "Che ci facevi là fuori? Sei stato tu a tentare di uccidere Jennifer ieri sera?"   

Incapace di muoversi, la gola stretta nella presa della guerriera, il giornalista riesce ad emettere solo un gorgoglio soffocato, mentre i suoi occhi minacciano di schizzargli dalle orbite.

"Xena!!Smettila! Così lo ucciderai!"

Ma prima che il professore possa frapporsi tra i due, le dita della donna si sono mosse alla velocità del lampo, colpendolo ai due lati del collo, e Croft si trova a dibattersi nel disperato tentativo di respirare.

"Ti resta poco tempo per rispondermi. Ti ho appena arrestato il flusso del sangue al cervello."

"Mio Dio! Smettila immediatamente!" Senza pensare alle possibili conseguenze, il professore afferra la donna per le braccia. "Non so che gli hai fatto, ma toglilo subito. Sta morendo!"

L'uomo infatti sembra in preda alle convulsioni e due rivoli di sangue stanno cominciando a fuoriuscirgli dalle narici.

Xena resta per un attimo indecisa a guardarlo, poi con un'altra imprecazione colpisce di nuovo l'uomo negli stessi punti e il poveretto si affloscia come un burattino di pezza su se stesso ingoiando grandi boccate d'aria.

"Sei impazzita?!"

Il professore fissa il viso impassibile della guerriera, incredulo dello spettacolo a cui ha appena assistito.

"Perché?" risponde la donna, con un'occhiata indefinibile verso il vecchio. "E' un buon sistema per far parlare anche i più testardi."

"Ma stavi per ucciderlo!"

"Non è mai morto nessuno, se non ero io a volerlo." Poi, Xena si siede accanto a Croft e lo tira su reggendolo per il bavero. "D'accordo, uomo. Ultima opportunità. Parla o sai già cosa ti aspetta. E questa volta potrei non disfare in tempo il lavoro compiuto."

Con il terrore più puro dipinto in faccia, Croft guarda negli occhi della donna, a pochissima distanza dai suoi, leggendovi gelida determinazione, e qualcos'altro. Una specie di furia selvaggia che si agita nelle profondità di quelle pupille, a stento tenuta sotto controllo, qualcosa di alieno e lontanissimo dalla civiltà, qualcosa che forse brucia nello sguardo solo di qualche killer di professione, persone che vivono e si nutrono di morte, o forse neanche in quello, perché qui sta scrutando oltre l'umanità, negli abissi più oscuri dell'anima.

Non che sia davvero cosciente di tutti questi pensieri, al momento. Adesso, l'unico messaggio che il suo cervello sia in grado di recepire è che la sua vita è appesa a un filo e che la donna di fronte a lui non avrebbe la minima esitazione a reciderlo. Poi, senza quasi che se ne renda conto, un'altra nozione si fa strada nella sua mente, paralizzata dalla paura, e un ricordo vi si collega quasi automaticamente.

Mio Dio. L'articolo di Cheryl. Il nome della donna. Come l'ha chiamata Sutherland?

"Xe... Xena?!?" farfuglia con una voce roca che non gli sembra più nemmeno la sua.  

Il professore si affretta ad andargli accanto, sedendosi dall'altro lato e, prendendogli la testa tra le mani con le dita tra la mandibola e il collo, coprendo le zone colpite prima dalla guerriera per impedirle di ripetere la sua mossa, qualunque fosse, lo costringe a girarsi verso di lui.

"Croft!" gli urla quasi in faccia per rimuoverlo dal suo stato di shock. "Mi ascolti! Per quanto possa sembrarle assurdo, le assicuro che è tutto sotto controllo. Non si preoccupi. Va tutto bene. Non corre nessun rischio."

Il giornalista, con ancora gli occhi spalancati in modo inverosimile, sembra però finalmente riuscire a focalizzare la sua attenzione su Sutherland.

"Ch... che co... cosa...?" prova a dire, ma le parole non paiono volergli uscire di bocca.

"Stia calmo." Il professore continua a parlargli in tono fermo, ma paziente, studiandone attentamente le reazioni. "Respiri profondamente, lentamente. Ecco così. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori. Bene. Si sente meglio, ora?"

Inspirando ed espirando, come gli ha detto Sutherland, Brian comincia a sentire il battito del suo cuore decelerare, ed i polmoni riempirsi senza più troppo dolore nel petto. Rassicurato, il professore gli tasta con cautela la gola, emettendo alla fine un sospiro soddisfatto.

"Va bene." dice. "Mi sembra tutto a posto." Poi, si alza, dirigendosi verso la mensola del mobile bar, ma non senza uno sguardo di ammonimento alla donna, che è rimasta ad osservarlo con un'espressione indecifrabile sul viso. Ti prego, dice quello sguardo, non fare altre sciocchezze.

Con le braccia incrociate sul petto, Xena sbuffa tutto il suo disgusto.

Croft, che intanto si è ricordato chi gli siede accanto, prova ad alzarsi a sua volta, ma la debolezza e il tremore che ancora sente nelle gambe, gli consigliano di limitarsi a sedere all'altra estremità del divano, mentre la donna gli lancia un'occhiata poco rassicurante. Il giornalista sobbalza quasi nel sentirsi spingere tra le dita la superficie fredda e liscia di un bicchiere.

"Beva piano." gli dice Sutherland con un sorriso. "E' solo acqua con ghiaccio."

"Cr... credo che preferirei un buon bourbon liscio." La gola gli fa ancora male, ma va già meglio.

"Meglio di no, per ora." ribatte il professore. "Le brucerebbe. Avverte un sapore metallico in bocca?"

Croft deglutisce più volte.

"No, non mi pare."

"Bene." Sutherland sorride ancora, battendogli sulla spalla. "E' tutto a posto, allora."

"Tutto a posto? A me non sembra. Ancora non ci ha detto perché era nascosto là fuori."  

Istintivamente, sentendo la voce accanto a lui, il giornalista fa uno scatto per allontanarsi ulteriormente, ma trova il bracciolo del divano a bloccarlo. 

"Calma." gli dice il professore, dando un'altra occhiataccia alla guerriera che lo ricambia socchiudendo gli occhi con aria torva.

"D'accordo." sbotta Croft, che nonostante il tremito che ancora gli scuote le mani quasi incontrollabilmente, facendo tintinnare il ghiaccio e traboccare l'acqua dal bicchiere che tiene stretto tra le dita fino a sbiancare le nocche, comincia a sentirsi di nuovo in sé. "Vuole dirmi, per favore, che sta succedendo?" 

"Mi spiace, ma questa volta devo dare ragione alla mia amica." risponde Sutherland, senza più sorridere. "Credo che lei prima ci debba una spiegazione sulle ragioni della sua presenza qui. Dopotutto questa è la mia proprietà e lei l'ha invasa indebitamente."

"Cosa?!?" Croft sente di nuovo il suo cuore pompare di forza, ma non più solo per la paura. "La sua amica qui, per poco non mi uccideva un minuto fa e penso proprio che un tentato omicidio sia di gran lunga più grave di un'intrusione in una proprietà privata. E peraltro, io ho trovato il cancello aperto e mi apprestavo a bussare sul vetro, un attimo prima che questa energumena mi facesse volare per tutta la stanza."

"Menti." replica seccamente Xena, sporgendosi verso Croft minacciosamente e provocando un nuovo sobbalzo dell'uomo che si aggrappa a Sutherland con uno strillo isterico, rovesciandosi gran parte del contenuto del bicchiere sui pantaloni.

"Aiuto! La tenga lontana da me!"

"Tenevo d'occhio la vetrata fin da quando siamo rientrati in questa casa" prosegue la guerriera, squadrando freddamente il giornalista "e ho sentito il fruscio e visto l'ondeggiare tra i cespugli per parecchi dei vostri minuti. Quest'uomo stava cercando di avvicinarsi abbastanza per sentire cosa dicevamo."

"Già." soggiunge quasi tra sé, Sutherland, sedendosi sulla poltrona di fronte e cominciando studiatamente a pulirsi le lenti. "Inoltre, ricordo benissimo di avere richiuso il cancello. Sto sempre molto attento a queste cose. Al giorno d'oggi non si sa mai chi può capitare da queste parti. Quindi penso proprio che le convenga rispondere alla domanda con più sincerità, signor Croft. Non so ancora per quanto riuscirò a trattenerla."

Brian Croft saetta con lo sguardo tra la calma e pacata figura del vecchio ex-docente, intento alla pulitura dei suoi occhiali come se stesse tenendo una lezione seduto alla sua cattedra, e quella della donna che pare avvicinarsi lentamente a lui come un gigantesco serpente pronto a piantargli i suoi denti in gola in qualsiasi momento e... Mio Dio, ma non era un ringhio, quello?

"Signor Croft," interviene di nuovo Sutherland, vedendo che l'uomo non si decide a rispondere "in caso non ne fosse già informato, devo avvisarla che ieri sera, proprio in questo giardino la dottoressa Rowles è stata vittima di un'aggressione molto grave. Un vero e proprio tentato omicidio. Qualcuno ha cercato di strangolarla e se non fosse stata per la sua prontezza di riflessi..."

Brian volta di colpo la testa verso di lui e poi la gira nuovamente verso la donna. La collutazione ha allentato il fazzoletto che Xena teneva legato intorno al collo ed ora il livido quasi violaceo spicca nettamente sulla pelle alla luce artificiale della stanza.

"Quindi" prosegue il professore "se lei non saprà darci una spiegazione plausibile sul perché se ne stava acquattato là fuori, temo che dovremo trarne le logiche conseguenze."

"Un momento." Croft vorrebbe proprio che quel tremore nella sua voce scomparisse, dando maggior credibilità al suo bluff, ma non riesce ad attenuarlo. "Oh, no. Non le permetto di rigirare le carte sul tavolo. Sono io qui l'aggredito ed ho un braccio abbondantemente contuso, se non rotto, a dimostrarlo, e non intendo farmi coinvolgere in nessuna strana storia..."

"Troppo tardi, amico!" La guerriera di slancio si getta su di lui, afferrandolo per il bavero del soprabito e quasi sollevandolo di peso dal divano, provocandogli una nuova fitta al braccio. "Tu sei già coinvolto, e io sono proprio stanca di questi giochetti. Ora sputerai risposte o sputerai sangue. A te la scelta."

"Prof... Professore..." balbetta Croft, cercando vanamente di arrestare lo sbattere incessante dei suoi denti.

"Ti prego, non fargli troppo male." dice semplicemente Sutherland continuando imperterrito a pulirsi gli occhiali.

"Non garantisco niente." risponde Xena con un tono talmente glaciale che Croft sente il gelo penetrargli fin dentro la spina dorsale.

E' un bluff, pensa. Dannatamente migliore del mio, ma sempre solo un bluff. Non oseranno farmi del male.

Ma poi, guarda negli occhi di quella furia scatenata in top e minigonna vertiginosa, e quel poco di sangue freddo che è riuscito a racimolare negli ultimi minuti si scioglie come neve al sole.

"No! Ferma. Va bene, vi dirò quello che volete. Ma lasciami andare, ti prego." implora, quasi sull'orlo delle lacrime. All'improvviso sente irrefrenabile la voglia di piangere come un bambino, mentre il suo corpo ripiomba di colpo giù, rimbalzando sulle molle del soffice divano.

 

"Un altro?" chiede Sutherland, riprendendo dalla mano ancora lievemente tremante di Croft il bicchiere. Il giornalista fa un cenno silenzioso con il capo, e il professore si dirige di nuovo al carrello dei liquori, versando una piccola dose di  whisky allungata con acqua.

Ora Brian è a torso nudo e intorno alla sua spalla è visibile una larga fasciatura. A fatica il giornalista si rimette la camicia, riabbottonandosela cautamente con il braccio offeso. Xena seduta sul bracciolo del divano lo tiene d'occhio senza la minima simpatia nello sguardo e solo di tanto in tanto l'uomo alza gli occhi su di lei per distoglierli subito dopo.

"Ora che vi ho detto perché vi ho seguiti, potrei avere io qualche risposta?" azzarda.

"Ce lo hai detto, ma non sei stato molto convincente." dice la guerriera.

"Ma è la verità!" Croft cerca di tenere sotto controllo i nervi, ma senza troppo successo. "Vi ho seguiti solo per scoprire qualcosa di prima mano su questa faccenda. Cose che certamente nessuno mi avrebbe raccontato, se mi fossi limitato a chiedere. Non c'entro niente con l'aggressione." 

"Io voglio crederle, signor Croft." Il professor Sutherland gli tende il bicchiere accomodandosi di nuovo sulla sua poltrona. "Ma deve ammettere che, date le circostanze, i nostri dubbi erano pienamente giustificati."

"Date le circostanze?" chiede Brian, rimettendosi a sedere e sorseggiando il liquido che sente scorrere giù per la gola, accompagnato da un leggero bruciore. "E quali sarebbero queste circostanze? Posso saperlo?"

"Lei che idea se ne è fatto?" Il professore si tende in avanti sulla poltrona con un sorriso enigmatico.

"Che vuol dire?"

"Quello che ho detto. Mi incuriosisce sapere che idea si è fatta lei di quello che ha visto e sentito, non solo con le orecchie vorrei dire, in questa stanza?"

Brian lo guarda con diffidenza. Il vecchio in quel momento gli ricorda un grosso gatto che pregusti con soddisfazione una preda particolarmente succulenta.

"Se dicessi quello che sto pensando a voce alta, ho paura che io per primo mi crederei impazzito."

"Ma io credevo che un giornalista del suo genere fosse abituato ad avvenimenti... beh, diciamo insoliti." ribatte il professore con uno sfavillio negli occhi.

Non mi sbagliavo, pensa Brian. Questo svitato se la sta spassando.

"Lei pensa che lavorare per il View mi renda una specie di fanatico ossessionato dagli spiriti e dai dischi volanti?" chiede Croft. "Io scrivo solo quello per cui mi pagano. Le ossessioni le lascio volentieri ai nostri lettori."

"Allora lei non crede al soprannaturale?"

La risposta di Brian si fa attendere forse una frazione di secondo più del dovuto.

"No." dice, infine.

"Dunque, devo tornare a chiederglielo." riprende Sutherland, dopo averlo scrutato attentamente in viso per un attimo. "Stando alle sue convinzioni, qual'è la sua interpretazione di ciò che è accaduto?"

Brian esita ancora davanti alla domanda e involontariamente il suo sguardo scivola verso la donna, tutt'ora seduta sul bracciolo del divano, le lunghe gambe accavallate, che lo fissa con occhi immobili e indecifrabili come quelli di una sfinge. Cosa avrebbe potuto rispondere? Aveva conosciuto Jennifer Rowles e anche se non si poteva dire che tra loro fosse scoccata la scintilla della simpatia, quella non era certo la donna con cui aveva parlato nel suo appartamento e a cui aveva dato il suo numero di telefono appena il giorno prima.

Eppure, al tempo stesso lo era. Quel viso, quei capelli, quel seno. E quelle gambe. Non poteva sbagliarsi.

Eppure, al tempo stesso non lo era. Era difficile dire esattamente da cosa lo si capisse. Il modo di muoversi, forse. Sicuramente la sua energia. La Rowles, nelle due volte che l'aveva incontrata in precedenza, non gli aveva dato l'impressione di essere una tale forza della natura. Ma la differenza principale riteneva fosse negli occhi. O meglio, nell'espressione di quegli occhi.

Brian rimuove velocemente il pensiero da ciò che ha scorto, o creduto di scorgere, in fondo a quegli abissi scuri. Preferisce non ricordare ciò che aveva provato in quei momenti e ingoia d'un sorso il resto del contenuto del suo bicchiere.

E quindi, cosa rispondere? Come spiegare quella sensazione in modo razionale? Una sosia? Una gemella, forse?

Sì, come no? La gemella cattiva separata alla nascita e allevata in Australia. Dove diavolo credi di essere? In una soap-opera?

No, doveva esserci una spiegazione accettabile, e c'era. Anche se, per certi versi, non molto meno inquietante.

"Uno sdoppiamento di personalità." dice, fissando il professore con aria di sfida. E ora che mi rispondi, eh?

"Sdoppiamento della personalità." ripete il professore, come riflettendo sulla cosa. "Deduzione interessante."

"Un caso di schizofrenia, insomma." rincara Brian, incoraggiato.

"In questo caso parlerei più di personalità multipla." precisa Sutherland, annuendo. "Sì, davvero interessante. Ma lei ha sentito come l'ho chiamata, vero?" chiede improvvisamente, inchiodandolo con lo sguardo.

Certo che aveva sentito. Xena. La Principessa Guerriera. Il nome su quell'articolo conservato da Cheryl. Il nome che lei aveva sottolineato un numero infinito di volte, fin quasi a bucare la pagina. E d'un tratto, il suo cervello fa click, e due elementi si connettono automaticamente.

Le indagini di Cheryl sull'Amazzone! L'Amazzone! Una giustiziera armata di spada! Una guerriera! Xena!

"Lei?!?" chiede incredulo, sollevando una mano e indicando la donna, senza togliere lo sguardo dal professore. "Era lei l'Amazzone! La vigilante che ha commesso quei delitti!"

Sorpreso da quell'improvvisa esplosione, Sutherland sobbalza e Brian, nonostante la rivelazione che gli ha illuminato la mente come una lampada da cento watt accesa d'un tratto in una stanza buia, lasciandolo quasi tramortito, non può fare a meno di gioire almeno in una piccola parte di sé.

Te l'ho cancellato quel sorrisetto dalla faccia, eh?    

"Un momento." dice il professore, guardandolo adesso preoccupato. "Non salti a delle conclusioni affrettate."

"Affrettate?!" D'improvviso, Croft non sente più alcuna paura e si accorge appena della donna che si è alzata e si sta avvicinando a lui. "Sono stato un idiota a non capirlo prima. La dottoressa Rowles faceva parte dello staff del procuratore, aveva una solida carriera e improvvisamente decide di mollare tutto e si chiude in casa a fare la sepolta viva. Per quale ragione? Perché ha scoperto di soffrire di crisi di sdoppiamento della personalità, di essere pazza, insomma. Ecco perché! Si crede questa mitica Xena, una guerriera vissuta duemila e passa anni fa e scopre di aver ucciso sotto quell'influsso, senza rendersene conto. Ed ecco perché il caso dell'Amazzone non è mai stato risolto! Ballister ne avrebbe avuto la carriera compromessa se si fosse scoperto che nella sua squadra c'era una squilibrata assassina, e ha preferito coprire tutto e  ha messo lei, un famoso luminare di psichiatria, a sorvegliarla, e...oh, mio Dio!" Il passo successivo della sua ricostruzione lo aveva appena colpito come un mattone in fronte. "Siete stati voi a uccidere Cheryl! Ma certo. Lei aveva scoperto tutto o magari sospettava solo la verità e siete stati costretti a eliminarla."

"Beh, ragazzo mio" dice a voce bassa Sutherland, quando Brian si ferma per riprendere fiato "le confesso che mi trovo in imbarazzo."

"Lo credo." risponde il giornalista trionfante, scostandosi però a prudente distanza da Xena che ora in piedi, lo sta fissando senza una parola.

"E lo sono" prosegue il vecchio "perché non so se farle i miei complimenti per come è riuscito a mettere in fila con una logica tutto sommato brillante una serie di fatti fondamentalmente illogici, o mettermi a ridere per l'assurdità della situazione." conclude poi, riproponendo il suo sorriso ironico.

"Cosa?" chiede Croft, non sicuro di aver ben capito.    

"Sì, insomma, voglio dire che lei è stato molto bravo a rimettere insieme le tessere di questo puzzle in modo razionale. E la sua esposizione, per quanto un po' confusa, mi è piaciuta talmente che è quasi un peccato dirle che è completamente sbagliata."

"Ora non cerchi di confondermi con i suoi discorsi." Brian, infilatasi la giacca, afferra il soprabito, stringendoselo al petto come uno scudo, e lanciando contemporaneamente uno sguardo di sfida al professore. "Io adesso me ne vado. Si prepari a dare le sue spiegazioni alla polizia, quando il mio articolo sarà pubblicato."

"Naturalmente, lei non si aspetterà che la lasciamo andare così, vero?"

Brian che già si apprestava a dirigersi verso la porta a vetri, vede la donna che gli ha girato intorno, ora appoggiata alla parete accanto all'unica possibile via di fuga con la sua espressione impassibile, e si volta di nuovo verso Sutherland che lo sta osservando con il suo solito sorrisetto e le mani dietro la schiena.

Ma che accidenti hai da sorridere sempre?

"Avete intenzione di uccidere anche me?"

Tutta quella storia stava improvvisamente assumendo i connotati di un brutto film giallo con il cattivo scienziato pazzo e la sua bella e perversa assistente che minacciano l'eroe di turno. C'era da aspettarsi che da un momento all'altro Sutherland manovrasse una leva facendolo piombare in qualche oscuro laboratorio segreto dove avrebbe sperimentato su di lui l'ultimo siero di sua invenzione.

"Signor Croft, la prego, torni a sedere e si prepari lei ad ascoltare una storia ben più inverosimile della sua e tuttavia autentica." risponde semplicemente Sutherland, fissandolo con quella che sembrerebbe proprio un'aria di commiserazione.

Brian resta immobile nella sua posizione, tra il professore e la minacciosa presenza alle sue spalle, considerando la situazione. Tentare di uscire di corsa sorprendendo la donna era quasi impensabile, ne aveva già  avuta un'ampia e dolorosa dimostrazione. Ma anche cercare di fuggire nella direzione opposta, magari gettando a terra il vecchio, non lo seduceva più di tanto. Chissà perché, malgrado la sua brillante ricostruzione, come l'aveva definita Sutherland, non riusciva a vederlo nel ruolo che gli aveva affibbiato. Se la loro intenzione fosse stata di ucciderlo, quella pazza scatenata dietro di lui gli avrebbe già spezzato il collo come un grissino, o sarebbe bastato lasciarlo morire per soffocamento poco prima. Invece il vecchio professore l'aveva praticamente salvato e si era prodigato a curarlo. No, c'era qualcosa che non tornava in tutta quella vicenda. E a sentire Sutherland, se si fosse rimesso a sedere forse avrebbe avuto qualche risposta finalmente. Credergli o no? Ecco il dilemma. Beh, ma lui era un giornalista, no? E quella era una storia che avrebbe potuto essere molto, molto interessante.

Con un sospiro, Brian getta nuovamente il soprabito sul divano e torna a sedersi.

"D'accordo." dice "L'ascolterò. Ma prima mi allunghi quella bottiglia. Credo che ne avrò bisogno."

 

 

(73) Olimpia

 

Con gesto rapido, Olimpia si tira di nuovo sulla testa l'ampio cappuccio del mantello, che era scivolato via per un attimo sotto l'azione del vento gelido che sembrava improvvisamente sorto dal nulla in una serata fino allora abbastanza tiepida per la stagione. Non che temesse seriamente che a quell'ora e con il buio delle strade che stava percorrendo potesse essere riconosciuta da qualcuno, ma la prudenza non è mai troppa, come aveva avuto modo di imparare nei lunghi anni vissuti al fianco della Principessa Guerriera, e talvolta basta una minima distrazione, un attimo di disattenzione, ed è la fine.

Oh, Xena, quanto mi manchi.

L'amazzone dai capelli biondi caccia subito le lacrime che sente affiorare agli angoli degli occhi al solo pensiero della sua compagna, cercando di concentrarsi sulla sua missione, ma il viso di Xena continua ad apparirle davanti, dolce e sorridente.

Smettila subito! ordina alla sua mente. O scoppierò a piangere qui, in mezzo alla strada.

Ma non poteva farci nulla. Si sentiva così confusa. Tutto era accaduto troppo velocemente. Dal momento in cui si era ripresa nella foresta e si era accorta che Xena non era più con lei, al momento attuale che la vedeva procedere lungo le ombre delle vie e dei vicoli seguendo le indicazioni precise che Argolis le aveva dato per raggiungere la cascina di Acros, erano trascorsi sì e no due giorni e forse per la prima volta si trovava da sola a riflettere. Fino ad allora aveva avuto sempre qualcuno con sé. Aveva dovuto prendere delle decisioni, mostrarsi risoluta, anche dura. E questo, in qualche modo, le aveva impedito di soffermarsi troppo a lungo sui propri pensieri. Inoltre la presenza di Jenna accanto a sé, le era stata comunque di conforto, anche se ammetterlo le dava un brivido d'inquietudine. Ma dopotutto, quello era il corpo di Xena. Quello che batteva nel petto, era il suo cuore. Quello che scorreva nelle vene era il suo sangue. I muscoli che aveva sentito flettersi sotto le dita, quando l'aveva toccata, erano i suoi muscoli. E lei ne era fin troppo cosciente.

Poco prima, nella casa di Argolis, aveva quasi ceduto. Di nuovo. Si era sorpresa a carezzarle il viso, quasi senza rendersene conto, e quando Jenna le aveva afferrata la mano per baciarla, il suo cuore aveva praticamente perso un battito, realizzando di trovarsi all'improvviso sull'orlo di un abisso. E, dolorosamente, faticosamente, era arretrata. Ma aveva visto rammarico, dolore, anche negli occhi dell'altra. Era possibile che si fosse trattato solo di un riflesso degli istinti latenti rimasti nel corpo della guerriera, quegli stessi istinti manifestatisi in quell'irrequietezza che le aveva fatto temere non riuscisse a controllare, ma era davvero solo questo?

Il racconto di Jenna su ciò che era accaduto nel suo mondo, quando loro due si erano incontrate, a lei non aveva ricordato niente, non le aveva risvegliato alcuna emozione, come se si fosse trattato della storia di qualcun altro, ed in effetti così era. Quella ragazza era un'altra. Un altro corpo, un altro spirito, in cui la sua anima aveva solo abitato, in attesa che fosse il tempo di tornare nel suo. E tuttavia aveva avuto... come definirla? un'intuizione che ci fosse di più di quanto l'altra le avesse raccontato. Qualcosa rimasta tra le righe, nascosta dietro gli sguardi, nelle mille esitazioni della voce, negli sfioramenti subito interrotti.

Oh, insomma, piantala di girare intorno all'argomento e dì chiaramente quello che pensi!

D'accordo, era possibile che in quella vita Jenna e quella ragazza, di cui non ricordava niente, fossero... amanti? E se era così, quanto avrebbe influito questo sulla quasi soprannaturale attrazione che già scorreva tra Xena e lei? Come avrebbe finito per reagire la mente di quella donna ai continui impulsi e stimoli che la sua presenza evidentemente le dava? E come avrebbe reagito lei stessa?

Anche per questo era contenta di non averla portata con sé. Avevano entrambe bisogno di tempo per riflettere e ridefinire le loro sensazioni, riadattandole a quella nuova realtà, ricordando chi veramente era la persona che il destino o qualche dio capriccioso aveva messo momentaneamente loro accanto. 

Nel frattempo le case e le strade si stavano diradando, facendo posto a spiazzi sempre più larghi e segnalando la prossimità dei confini del villaggio. Tra poco, stando alle indicazioni di Argolis, avrebbe dovuto scorgere la bassa palizzata di legno che delimitava, solo geograficamente in realtà, l'ingresso occidentale di Kyros, esattamente l'opposto a quello dal quale erano entrate lei e Xena un millennio prima. E di lì, avrebbe dovuto scorgere in lontananza il tetto della proprietà del Capo del Consiglio. Chissà se anche Xena era passata per quei posti la notte in cui era venuta a cercare Argo? Probabilmente no. A quel che gli aveva detto lo stalliere, la casa cittadina di Acros si trovava nel centro e il rifugio in cui aveva nascosto la cavalla all'estremità settentrionale, molto distante da lì. Era sorprendente quanto fosse grande Kyros. Come dimensioni sicuramente ricordava più una piccola città che un villaggio. Doveva essere almeno due volte Potidea e vasta quasi quanto Amphipoli.

Ora che finivano le case e il rifugio che le loro mura davano alla vista, però iniziavano le difficoltà. Se fino ad ora era riuscita a passare inosservata abbastanza agevolmente, tra la folla prima e poi grazie al sicuro riparo delle strette stradine, restarlo procedendo attraverso campi deserti, e tra breve illuminati dalla luna che stava per sorgere, diventava molto più problematico. Se ci fosse stata sorveglianza intorno alla cascina, l'avrebbero vista certamente avvicinarsi e per aggirare l'ostacolo sarebbe stata costretta ad allungare troppo il cammino. Non aveva molte alternative. Doveva rischiare. Se avesse incontrato qualcuno, avrebbe improvvisato.

D'altro canto non è che avesse le idèe molto chiare su cosa avrebbe fatto una volta giunta sul posto. Con Argolis e Jenna aveva parlato di missione esplorativa, promettendo implicitamente di non commettere imprudenze, ma la realtà era che non sapeva a cosa si sarebbe trovata di fronte. E se avesse scoperto che Acros e i suoi tenevano prigioniere delle donne o dei bambini, pronti al sacrificio, davvero sarebbe riuscita a mantenersi a distanza e a studiare freddamente la situazione? Ne dubitava fortemente. Tuttavia adesso non era il caso di porsi questioni che alla fine potevano rivelarsi prive di fondamento. Doveva solo affrontare un problema alla volta, e il primo era avvicinarsi alla cascina senza essere vista. E l'ombra di una grande costruzione già le sembra si profili in distanza.

Probabilmente, ci siamo, pensa, e chinandosi il più possibile per farsi scudo dell'erba alta, Olimpia avanza nel buio in quella direzione.

 

La Poetessa Combattente si muove con grazia e agilità, senza che il minimo rumore turbi il silenzio assoluto che regna sul luogo. Se Xena potesse vederla in questo momento, ne avrebbe il cuore gonfio di orgoglio, perché la sua compagna e sposa sta mettendo in pratica con estrema abilità tutti i trucchi che le ha insegnato. I lunghi fili d'erba che tappezzano il suolo tutto intorno alla cascina e alle altre piccole capanne che la circondano, si muovono appena, come sotto l'azione del più leggero soffio di brezza notturna. Neanche la più attenta delle sentinelle potrebbe accorgersene. Inoltre Olimpia ha badato con cura

ad avvicinarsi al suo obiettivo, spostandosi di quel tanto da trovarsi contro vento, per evitare che eventuali cani da guardia potessero avvertirne l'odore.

Ma tutte quelle precauzioni si stanno dimostrando di attimo in attimo inutili. Infatti, la vista acuta della ragazza le mostra solo terreno deserto e le ombre oscure di edifici apparentemente abbandonati. La luna, ora alta nel cielo, illumina quasi a giorno l'ampio spazio tra le costruzioni e Olimpia esita un momento ad uscire dal riparo della vegetazione per avventurarsi in un'area in cui non avrebbe nascondigli possibili su cui contare in caso di brutte sorprese. Poi, stringendo i denti e focalizzando la sua attenzione totale sulla finestra più bassa e vicina dell'edificio più grande, si lancia all'aperto, correndo con tutta la forza che ha nelle gambe e appiattendosi subito contro la parete sotto di essa, la mano chiusa sull'impugnatura del sai, occhi ed orecchie tesi a cogliere il più piccolo movimento o rumore che testimoni una presenza nei paraggi.

Ma niente accade e, un po' tranquillizzata, si solleva in piedi, esaminando la struttura della finestra. Le imposte di legno sigillate impediscono di poter vedere l'interno, e la giovane guerriera bionda inserisce con cautela la punta del pugnale nell'interstizio, muovendola verso l'alto fino a che non incontra un ostacolo. Con un colpo secco, la lama sblocca la chiusura e uno dei battenti si apre con un sinistro gigolio. Guardatasi rapidamente intorno per accertarsi di essere sempre sola, Olimpia si sporge nel vano della finestra e, resasi conto con sollievo che è fortunatamente privo di sbarre, vi salta agilmente dentro, atterrando morbidamente sulla punta degli stivali. Il pavimento che sente sotto i suoi piedi è di pietra e prima di muoversi, aspetta che le sue pupille si adattino al buio quasi totale della stanza in cui si trova. Lentamente i dettagli dell'ambiente circostante cominciano a delinearsi. Intorno a lei vi è un enorme stanzone che occupa praticamente tutta l'area della cascina, che vista dall'interno assomiglia ora più ad un capannone. Il mobilio è quasi assente, a parte un paio di tavoli e qualche sedia gettati qua o là lungo le pareti. In fondo a destra, quella che, alla scarsissima luce proveniente dalla finestra da cui è appena entrata, sembra una brandina. Poco più di un tavolo basso con sopra una specie di saccone e una coperta. Cautamente, Olimpia si avvicina e posa la mano sull'improvvisato giaciglio. Completamente freddo. Su quel letto di fortuna non ci aveva dormito nessuno di recente.

La ragazza vorrebbe più luce, ma intorno non vede candele o lampade e aprire una delle finestre sbarrate che danno sull'altro lato, quello più illuminato dalla luna, potrebbe essere rischioso, quindi accontentandosi del poco chiarore di cui può disporre, percorre lentamente l'intero perimetro della grande stanza, non rilevando niente di più di quanto già i suoi occhi le avessero rivelato. Sopra di lei, il soffitto, abbastanza alto e sorretto da due grandi travi verticali che si intersecano con altre posizionate orizzontalmente, non mostra soffitte o intercapedini che possano celare altri vani o nascondigli, almeno per quanto riesce a distinguere. Allora, sempre molto lentamente e con prudenza, comincia a muoversi verso la zona centrale del camerone, tastando il pavimento palmo a palmo con la suola e tendendo le orecchie in attesa di avvertire un suono che le riveli una cavità al di sotto. E dopo un'accurata e prolungata ricerca, proprio quando la speranza sta cominciando a dileguarsi, la sua pazienza viene premiata.

Il tacco dello stivale urta qualcosa con un tintinnio metallico e il corpo della giovane donna s'irrigidisce. Trattenendo a stento un'esclamazione di trionfo, Olimpia s'inginocchia, cercando stavolta con le mani, l'oggetto che ha causato quell'inconfondibile rumore e le sue dita si stringono un attimo dopo intorno ad un anello di ferro fissato al suolo, a pochi passi dalla parete contro la quale si trovava il giaciglio. Afferrato con entrambe le mani l'anello, la ragazza contrae i muscoli e tira, ma l'anello non si smuove minimamente. Piantati quindi i piedi saldamente ed esercitando tutta la sua forza, Olimpia tira di nuovo, anche questa volta senza alcun risultato. Ma incapace di arrendersi, continua a tirare, finché  le sue arcate dentali non scricchiolano per la tensione e non sente le braccia minacciare di staccarlesi dal resto del corpo, e con un gemito di resa non crolla a sedere in terra.

Non c'era niente da fare. L'anello era evidentemente fissato ad una pietra mobile, probabilmente una botola, anche se con quel buio non riusciva a scorgerla, ma le sue forze non erano sufficienti a sollevarla e dubitava che perfino Xena ce l'avrebbe fatta. Quindi o tra i suoi accoliti Acros aveva anche un parente stretto di Hercules o, più probabilmente, era in grado di aprirla con un qualche congegno meccanico.

Ma se da qualche parte esisteva un pulsante o una leva le probabilità di trovarlo rapidamente in quell'oscurità erano quasi pari a zero.

Seduta sul pavimento polveroso, cercando di non farsi prendere dallo sconforto, Olimpia esamina il problema da ogni lato, alla disperata ricerca di una soluzione, quando all'improvviso qualcosa spazza via in un attimo tutti i suoi pensieri e l'amazzone bionda schizza in piedi e corre alla finestra socchiusa. Piano, per evitare il ripetersi del cigolìo, tira a sè il battente, solo un momento prima che due voci filtrino attraverso la fessura rimasta, ma invisibile all'esterno.

All'inizio le voci sono inintelliggibili, troppo basse e lontane perché anche il  suo orecchio ormai super allenato possa coglierne le parole, ma man mano che le persone in arrivo si avvicinano, chiaramente due uomini, diventano sempre più comprensibili, e la ragazza si appiattisce dietro la finestra, mentre i due ancora ignoti visitatori vi passano proprio accanto, tutti presi in una loro discussione cominciata evidentemente da molto.

"... giù nel sotterraneo. L'ultima volta che sono sceso era quasi morta, quindi ormai dovrebbe essere andata."

La prima voce era piuttosto profonda e il suo possessore faceva fatica a mantenerla bassa.  

"Se ancora non lo è, ci vuole poco a rimediare, e parla più piano."

L'altra invece suonava più acuta e nervosa e cambiava continuamente di timbro come se l'uomo girasse in continuazione la testa per accertarsi che nessuno li seguisse.

"Che hai sempre da guardarti indietro?" dice con inequivocabile esasperazione il primo uomo. "Stai innervosendo anche me."

"Non lo so. Ho una strana sensazione..."

"Lascia perdere. Chi vuoi che ci segua? Da queste parti nessuno osa mettere piede da un bel pezzo."        

"Hai ragione. Forse è solo la mia immaginazione."

"Quella e il colloquio." ribatte il primo, sottolineando nel tono l'ultima parola.

"Già." E qui la voce dell'altro uomo si abbassa a tal punto che Olimpia è costretta ad avvicinare l'orecchio alla fessura per poter capire. "Quando l'Emissario si fa vivo, il capo diventa strano. Mi dà i brividi."

"Strano? A dir poco! Io ho assistito un'unica volta, ma mi è bastato. E' un piacere che lascio volentieri a te."

"Grazie, ne faccio a meno, e poi comunque non siamo obbligati ad essere presenti, per fortuna."

Improvvisamente, le voci si zittiscono e uno scatto secco risuona nella stanza facendo sobbalzare Olimpia che immediatamente cerca di ricordare un punto che possa offrirle un riparo, ma poi vedendo la porta aprirsi e la luce della luna penetrare all'interno del locale, capisce di non avere più tempo e come un lampo corre ad uno dei pali di sostegno e vi si arrampica con un balzo, restando appesa con braccia e gambe ad una delle travi orizzontali a ridosso del soffitto.

Nella posizione in cui si trovava non riusciva a vedere bene i due uomini, ma il primo ad entrare doveva essere quello a cui corrispondeva la voce profonda, un'ombra alta e massiccia, mentre la voce acuta apparteneva sicuramente a quello entrato per secondo, ugualmente alto ma più snello, che appena dentro aveva subito cominciato a guardarsi intorno.

"Ehi, non hai sentito nulla?" 

"Accidenti, ma sei proprio un fascio di nervi stasera. Non ho sentito proprio nulla, e sbrighiamoci a eliminare il corpo." dice voce profonda.

"Vai tu a prenderlo. Io dò un'occhiata intorno." ribatte l'altro.

"Tutte le occasioni sono buone per battere la fiacca, eh?"

Un rumore d'accensione di un acciarino e il rapido divampare della fiamma di una torcia, che subito diventano due, invade di luce l'ambiente, quindi l'uomo massiccio si dirige alla parete a destra dell'ingresso e sposta uno dei tavoli, premendo con il piede in un punto accanto al muro. Stringendo i denti contro l'indolenzimento che comincia sentire nei muscoli già provati dagli sforzi fatti prima per aprire la botola, Olimpia contorce il collo in modo da poter almeno vedere il punto esatto che voce profonda sta manovrando e alla fine riesce a scorgerlo con la coda dell'occhio. Immediatamente dopo, un sinistro suono di pietra contro pietra pervade la stanza e anche senza guardare la ragazza capisce di cosa si tratta. La sezione di pavimento con al centro l'anello che aveva vanamente cercato di smuovere sta sollevandosi e un attimo dopo i due uomini congiuntamente spostano la gigantesca botola creando un varco buio al di sotto, e uno dei due si cala all'interno della cavità, sparendo alla vista, mentre il suo compagno comincia ad aggirarsi nella grande stanza.

Ogni più piccolo muscolo delle spalle e della gambe di Olimpia sta ormai dolendole quasi oltre ogni sopportazione, ma la giovane guerriera rifiuta di cedere e si aggrappa ancor più fortemente alla trave, incurante delle piccole schegge di legno che le penetrano nelle dita. Cercando di non pensare al dolore sempre più lancinante, si concentra sulla figura che sente camminare sotto di sé. Non c'è una ragione al mondo per cui l'uomo dovrebbe alzare lo sguardo verso il soffitto e lei si sente tutto sommato abbastanza riparata dall'oscurità che regna tutt'ora in quel punto, dove le luci delle torce non riescono ad arrivare, e tuttavia resta con il fiato sospeso, sperando e pregando, non sa nemmeno lei chi, che uno scricchiolio del legno o uno sfregamento dello stivale non rivelino la sua presenza.

In quel momento, la voce dell'altro risuona soffocata attraverso l'ampia fessura sotto il pavimento.

"Ehi, Ector, dammi una mano." 

L'uomo chiamato Ector si affretta verso l'apertura e ne estrae un sacco che dalla forma non lascia molti dubbi sul contenuto.

"Allora, era morta, eh?" chiede a voce profonda che emerge subito dietro reggendo l'altro capo.

"Mi sembrava." risponde questi, con un leggero affanno. "Comunque, per sicurezza le ho dato un paio di coltellate. Adesso è morta di certo." 

"La portiamo nel solito posto?"

"Per questa volta ancora, sì, ma dalla prossima sarà meglio cercarne uno nuovo. Cominciano ad essercene troppi. L'altro giorno ho dovuto cacciare dei cani che stavano scavando."

"Potremmo seppellirli più in profondità."

"Se te la senti di scavare tu..."

Con una risatina i due uomini si lasciano cadere a sedere per terra, accanto al sacco che adesso Olimpia riesce a scorgere meglio, chiuso e sigillato con grosse corde. La rabbia che ha sentito montarle dentro, ascoltando la conversazione tra i due, le ha quasi fatto dimenticare il dolore ai muscoli e alle mani. Dunque i sospetti di Argolis erano fondati eccome. Quelli erano gli uomini di Acros che ricordava di avere visti alla locanda, e la cascina era solo un deposito dove venivano tenute le donne catturate in attesa del parto. E quando questo avveniva, i neonati erano destinati alla Bestia, mentre le loro povere madri finivano uccise e sepolte chissà dove. Quella nel sacco doveva essere l'ultima, o per meglio dire la più recente, della serie.

Bene, brutti bastardi, ma se le cose vanno come dico, quella disgraziata sarà davvero l'ultima!

Intanto i due uomini sotto di lei continuano a ridere, scambiandosi battute e una fiaschetta di liquore, e Olimpia deve farsi violenza per resistere all'impulso quasi incontenibile di saltare giù immediatamente per dare sollievo ai suoi muscoli e soddisfazione al suo cuore sbudellandoli sul posto, e non ha dubbi che se il corpo evidentemente contenuto in quell'orrido involucro desse ancora segni di vita, anche solo flebilmente, l'avrebbe già fatto, e al diavolo tutte le strategie, ma sa benissimo che non è così. Quella poveretta, chiunque fosse, è morta, forse per i postumi del parto, forse di stenti e di mancanza di cure, come chissà quante altre prima di lei, e lasciarsi trascinare dagli impulsi è spesso la scelta peggiore, come le ha sempre detto Xena. Una che quella materia aveva potuto studiarla sul campo. Il pensiero della sua compagna ha come un effetto calmante su Olimpia che chiude la mente a tutte le sensazioni e si concentra di nuovo sulle parole dei due uomini che hanno smesso di ridere e svuotata la fiaschetta, stanno tornando al loro macabro lavoro.

"Acros ti ha detto per quand'è?" chiede Ector, alzandosi e cominciando a tirare il sacco.

L'altro uomo, che Olimpia ha identificato finora come voce profonda, ma che deve chiamarsi Iacobus, se ricorda bene il racconto di Argolis, si solleva in piedi a sua volta, riafferrandolo dalla sua parte.

"Domani sera sul tardi. E' già d'accordo con il marito. Ci aspetterà sul retro con il bambino. Quell'idiota non vuole che sua moglie se ne accorga finché non sarà troppo tardi. Come se a qualcuno potesse davvero importare di uno sgorbio minorato come quello."

"Un lavoretto di tutto riposo, stavolta."

"Già, mi dispiace per te ma questa volta il più è già fatto." ridacchia Iacobus.

"Non credere che mi dispiaccia troppo. Talvolta mi tocca farmi dei veri cessi."

"E a me no? Ma invece altre volte, eh?"

"Oh sì. Ti ricordi quelle due? Le guerriere. Quelle sì che sarebbero valse la pena."

"Dici? Secondo me, te l'avrebbero staccato con un morso."

"Davvero spiritoso. E invece io credo che le avrei fatte urlare di piacere." ammicca Ector, voltandosi verso l'altro, mentre il tetro corteo avanza verso l'uscita. "Comunque, ormai... Ehi, ma lo lasciamo aperto?" chiede all'improvviso accennando con la testa alla botola rimasta socchiusa sull'oscuro sotterraneo.

"Perché no?" risponde Iacobus, con una scrollata di spalle. "Tanto è vuoto ora. Chiudiamo solo la porta e nessuno entrerà. Dài, muoviti, che quest'affare comincia a pesare."

E spente le torce i due sinistri individui escono richiudendo la porta e lasciando di nuovo nelle tenebre più complete la grande sala. 

Dopo aver atteso qualche attimo, per assicurarsi che si siano definitivamente allontanati, Olimpia lascia la presa delle gambe dalla trave, restando appesa per le sole braccia e datasi slancio compie una perfetta capriola nell'aria atterrando esattamente accanto alla gigantesca botola. Gli occhi le si stanno riabituando al buio e quindi riesce a distinguere abbastanza bene il bordo della fenditura rimasta spalancata nel pavimento. Con braccia e gambe ancora indolenzite e un po' formicolanti dalla scomoda posizione tenuta troppo a lungo, la ragazza si dirige nel punto dove ha sentito cadere le torce. Un lieve lucore su una delle due le rivela che non è ancora del tutto spenta e con l'aiuto di uno straccio, riesce a ridare vita alla fiamma che in breve divampa di nuovo. Quindi, nella stanza nuovamente illuminata, torna lentamente verso la botola aperta. Il buio sotto di lei è talmente spesso da sembrare quasi tangibile ed è con un po' di esitazione che vi infila il braccio e poi la testa. Era un destino evidentemente che in quella storia saltassero fuori continuamente caverne e buche nel terreno. Immediatamente un odore di chiuso, umidità ed altre innominabili origini alle quali non vuole pensare l'assale alla gola. Cercando di ignorarlo, scruta nell'interno e la luce della torcia le mostra un paesaggio molto simile a quello dell'ambiente in cui si trova. Una grande stanza, molto più bassa però, con robusti pali a sorreggerne la struttura e una serie di sacchi e molti mucchi di paglia disposti lungo le pareti a intervalli regolari. Olimpia ne conta almeno una dozzina. Come un lugubre, osceno ospizio in cui le sventurate ospiti soggiornavano contro la loro volontà in attesa che la natura facesse il suo corso. Con un involontario brivido, nota la presenza di larghe macchie scure in corrispondenza di quasi tutti i miseri giacigli. Tracce di sangue ed altri liquidi fuoriusciti durante i parti che nessuno si era dato la pena neanche di asciugare, lasciandole là a raggrumarsi sulla terra. Grazie alla sua spontanea fantasia le sembra quasi di sentire le urla e i lamenti di quelle povere donne che forse invocavano quei piccoli corpicini che venivano loro strappati appena venuti al mondo, o forse una rapida morte che mettesse fine a quei tormenti di cui probabilmente la maggior parte di loro neanche capiva la ragione.

Ingoiando il groppo che sente in gola e le lacrime che le stanno appannando la vista, Olimpia si rialza, lasciando che il buio inghiotta di nuovo quel cupo luogo di dolore e morte e con passo fermo nonostante l'emozione che avverte in ogni angolo della mente e del cuore va alla finestra e la scavalca, lanciandosi subito dopo in corsa verso la grande distesa d'erba alta e verso le abitazioni del villaggio che si scorgono in distanza.

Domani sera, pensa, stanno progettando qualcosa per domani sera. Devo scoprire di cosa si tratta. Potrebbe essere l'occasione che aspettavo.

 

(14 - continua)





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