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"Nè demoni o Dei"
romanzo seguito di "Identità Sepolta"

ROMANZO DI A. SCAGLIONI

(Capitolo XV)

Parte 2

 

(74) Xena/Jennifer, Sutherland e Croft 

Nel confortevole e luminoso salotto della casa del professor Sutherland, seduto sul suo divano comodo e soffice, con nella mano un bicchiere di ottimo whisky di malto e il dolore al braccio ed alla gola ridotto ormai solo ad una sorda pulsazione quasi dimenticata, Brian Croft sta provando la strana sensazione che tutto quello che gli sta capitando intorno, altro non sia che un bizzarro sogno. La sua testa gli sembra leggerissima, al punto di poterglisi staccare e fluttuare liberamente per la stanza, e le due persone davanti a lui gli paiono in realtà come se fossero a miglia di distanza. Ha preso abbastanza sbornie in vita sua da sapere che questa non è niente del genere. Piuttosto, gli sembra più probabile che sia un effetto ritardato dello shock in seguito ai traumi fisici e psicologici cui è stato sottoposto, e certo il lungo racconto fattogli da Sutherland, sotto lo sguardo gelido e inquietante di quella donna, chiunque sia, che non lo ha mai mollato un secondo, non ha aiutato ad alleggerire la situazione. Un'incredibile, assurda storia a cui non avrebbe prestato la minima attenzione se tanti, troppi dettagli non si fossero incastrati perfettamente in uno schema che nessuna teoria razionale sarebbe riuscita mai a spiegare interamente. E tuttavia, la mente confusa del giornalista continuava a rimbalzare come un volano da un lato all'altro di un immaginario campo alla disperata ricerca di un punto fermo, un qualcosa, qualunque cosa, a cui aggrapparsi per scendere da quell'inarrestabile ottovolante e ritrovare un minimo di equilibrio, sfuggendo ad un mondo improvvisamente impazzito. 

"Lei... lei vorrebbe venirmi a raccontare che... Cheryl era l'Amazzone?" chiede, non ben sicuro neanche lui di quale parte del suo cervello mantenga ancora quel pizzico di senno da riuscire a formulare dei discorsi coerenti. "Che è stata lei ad uccidere quella gente, e che era una... una specie di... reincarnazione di questa Xena?"

"Beh, sì... più o meno." risponde Sutherland, gettando giù una gran sorsata d'acqua, dopo il lungo monologo che si è sobbarcato, cercando di spiegare in termini più semplici possibile quella lunghissima e articolata vicenda, e che gli ha lasciato la bocca quasi secca. "Anche se alla luce degli ultimi avvenimenti, credo che la mia teoria della reincarnazione vada rivista." aggiunge subito dopo.

"Certo." dice Croft, sorbendo distrattamente la sua bevanda. "E quale sarebbe la teoria alternativa?"  

"Non ho avuto ancora tempo di pensarci a fondo, ma... credo che potrebbe essere accaduto quello che è successo ora. Lo spirito di Xena giunto in qualche modo in questo mondo, alla ricerca di Olimpia, si è impossessato del corpo della Cooper e agiva tramite lei e a sua insaputa nelle imprese di quella che, un po' semplicisticamente, la stampa ha ribattezzato l'Amazzone."

"Capisco." annuisce Croft, con sguardo assorto. "Effettivamente è molto più credibile così." Poi, l'uomo posa il suo bicchiere e fissa negli occhi l'anziano studioso. "Mi dica, professore" chiede "quanto stupido crede che io sia?"

"Prego?" Sutherland lo guarda a sua volta, simulando uno stupore che è ben lungi dal provare. In realtà questa è una reazione che si era largamente aspettata.

"Non faccia l'ingenuo. L'ho lasciata parlare perchè volevo capire dove intendesse arrivare, ma lei non ha mai pensato che io credessi seriamente a questa montagna di assurdità, vero? Spiriti giunti da universi paralleli, guerriere millenarie a caccia di dèmoni, scambi di corpi extra dimensionali. Ho dimenticato qualcosa? E adesso per rendere più verosimili tutte queste baggianate, vorrebbe gettare fango sulla memoria della mia collega, accusandola di crimini da cui ormai non può più difendersi? Beh, non funzionerà."

Con studiata lentezza, Brian si alza in piedi e prende il suo soprabito.

"Non credo che abbiamo altro da dirci e io comunque non ho intenzione di ascoltare altro. E le consiglio di tenere a freno la sua amica." dice poi guardando Xena che non ha mosso un muscolo e se ne resta a sedere sul bracciolo del divano, con le lunghe gambe accavallate, fissandolo come un insetto. "Se mi succedesse qualcosa a casa sua, le toccherebbe dare troppe spiegazioni."

"Su una cosa ha ragione, signor Croft. Non pensavo seriamente che mi avrebbe creduto." risponde Sutherland, sorridendogli placidamente. "E non si preoccupi. Ora che ha ascoltato quello che volevo dirle, nessuno cercherà di impedirle di andarsene, ma prima mi dica lei una cosa."

Croft che nonostante la sua aria risoluta, non ha mosso un passo verso l'uscita, rimane immobile nella sua posizione, guardando il vecchio, senza parlare.

"Cheryl Cooper ha mai sofferto traumi gravi che lei sappia?" prosegue questi. "Prima del suo omicidio, è ovvio." precisa poi, anticipando la risposta che ha letto negli occhi del giornalista. "Intendo ferite che l'abbiano portata vicino alla morte, le abbiano causato un coma, o simili."

"Perché vuole saperlo?"

Croft appare stranamente sulla difensiva e Sutherland, con atteggiamento casuale, prende la caraffa dell'acqua accanto a lui e se ne versa un po' nel bicchiere.

"Come le ho detto, lo spirito di Xena si è risvegliato nel corpo della dottoressa Rowles, mentre qualcuno stava cercando di strangolarla ieri sera. E Xena stessa, a quanto mi ha raccontato, ricorda che stava subendo un'aggressione al momento del... trasferimento, diciamo così. Forse, perché il processo entri in funzione occorre che il soggetto sia in punto di morte. Anche questa è solo una teoria naturalmente, ma mi chiedevo se alla sua collega fosse accaduto qualcosa di analogo."

Il giornalista continua a squadrare l'anziano signore dall'aria così tranquilla e a modo che siede di fronte a lui sorseggiando la sua acqua come se fosse un prezioso champagne francese, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi e dandogli la netta impressione di leggergli dentro. Per un attimo si chiede se non faccia meglio a negare, a dire che non sa niente in proposito, il che poi sarebbe anche abbastanza vero, ma le parole sembrano quasi uscirgli di bocca di propria volontà.

"Cheryl non me ne ha mai parlato direttamente, né a me né a nessun altro per quanto ne so, ma ai tempi del suo lavoro al Tribune, pare che sia rimasta coinvolta in uno scontro a fuoco in Medio Oriente e sia stata ritrovata nel deserto giorni dopo, priva di memoria e con un proiettile nella testa che solo per miracolo non l'aveva uccisa."

Che ti prende, razza di idiota?! Perché gli stai raccontando queste cose?

"E quando sarebbe successo questo?" chiede il professore, con interesse.

"Non so neanche se è successo davvero!" risponde bruscamente Croft, irritato principalmente da quel suo improvviso inspiegabile comportamento. Perché se ne stava lì a rispondere alle domande insensate di quel vecchio, invece di andarsene al più vicino posto di polizia a denunciarli tutti e due per aggressione? "Erano soltanto voci e Cheryl non me ne ha mai fatto parola."

"Come mai, secondo lei?"

"E io che vuole che ne sappia?!" sbotta il giornalista. "Non so neanche perché ne sto parlando con lei. Erano fatti suoi e se lei non voleva discuterne, non avevo certo io il diritto di chiederle nulla. E, tutto sommato, le dirò che non mi importava nemmeno." aggiunge. "In fondo, fu proprio per quell'incidente, se c'è davvero stato, che lei aveva deciso di lasciar perdere la sua carriera di inviata ed aveva accettato il posto al View."

Altrimenti come avrei potuto conoscerla? pensa, senza dirlo.

"Lei le era molto affezionato? Le voleva bene?"

"Non vedo proprio come questo possa riguardarla." ribatte freddamente Croft.

"Deve essere così. Non dedicherebbe tutto questo tempo alle indagini sulla sua morte, in caso contrario." continua Sutherland.

"Io sono un giornalista, professore. Sto facendo solo il mio lavoro."

"Ed è proprio al giornalista che io mi sto rivolgendo." dice Sutherland. "La prima volta che ci siamo incontrati, lei mi disse che stava cercando di capire come fosse morta la sua amica e che nessuno voleva rispondere alle sue domande. Io le ho appena dato una risposta."

"Una risposta?" risponde Brian con sarcasmo. "In un romanzo di fantascienza, forse. La prego, non insulti la mia intelligenza."

"Allora, mi risponda lei. Come mai la polizia ha chiuso il caso con tanta fretta? Cheryl Cooper a quanto mi risulta era una persona di spicco nell'ambiente giornalistico. Le sembra logico che le indagini siano state archiviate così velocemente?"

"Le indagini non sono state affatto archiviate. I delitti non cadono in prescrizione. Dovrebbe saperlo."

Croft non sa se è più arrabbiato con quel vecchio o con se stesso che è ancora lì a sostenere quell'assurda conversazione. Intanto, Jennifer Rowles, se era ancora lei (Se è ancora lei?! Chi vuoi prendere in giro? L'hai guardata bene?) continuava ad osservarlo con uno sguardo imperscrutabile che se possibile lo stava rendendo ancora più nervoso.

"Neanche quelli commessi dalla polizia?" chiede Sutherland. "L'Amazzone fu colpita da una raffica di mitra. Come è morta la sua amica?"

La mente di Brian si trova, quasi senza rendersene conto, a scorrere le decine di servizi televisivi e di agenzie di stampa che ha passato al setaccio in quei mesi e che come vecchie pellicole improvvisamente si srotolano davanti ai suoi occhi. Immagini, foto spietate e quasi oscene di Cheryl che giace sulla soglia del suo appartamento il ventre pressoché squartato da quella che non si poteva che definire una sventagliata di proiettili. Un uzi o un'altra arma legata ai movimenti malavitosi si era pensato allora. Ma in realtà chi aveva visto l'arma? Chi aveva effettuato l'analisi dei proiettili? D'un tratto tanti piccoli elementi sembravano trovare incastro in un disegno che aveva una sua logica, e tuttavia...

"E' assurdo. Cheryl fu uccisa in casa sua..." prova ad obiettare, ma senza troppa convinzione, sapendo già prima di terminare la frase ciò che l'altro stava per ribattere.

"Mi permetta di correggerla. Fu ritrovata in casa sua" precisa Sutherland "ma in realtà le tracce di sangue fuori dalla porta testimoniavano che doveva essersi trascinata fin là già mortalmente ferita."

"E lei vorrebbe farmi credere che una donna praticamente sventrata a colpi di mitra qui nel suo giardino, sia riuscita a scappare sulle sue gambe arrivando dall'altra parte della città ancora viva?"

Croft avrebbe tanto voluto che il tono della sua voce risultasse sarcastico al giusto grado, ma era difficile continuare a sostenere una tesi che minuto dopo minuto appariva anche a lui stesso sempre più barcollante.

"Lei sa benissimo che è più che possibile" risponde il professore "se ammettiamo che Cheryl Cooper era l'Amazzone. Anche se all'epoca, la notizia passò per lo più sotto silenzio sulla maggior parte dei giornali, il suo se ne occupò invece abbastanza da sapere che quella donna era tutt'altro che una persona comune. Affrontava e sconfiggeva delinquenti con facilità irrisoria, saltava da un tetto all'altro, ha decapitato un uomo con un solo colpo di spada dopo essersi gettata attraverso una finestra a non so quanti piani dal suolo... e la signorina Cooper pareva sempre essere misteriosamente al corrente degli ultimi sviluppi."

Lo sguardo di Sutherland lascia per una frazione di secondo il volto del giornalista per inquadrare quello della donna seduta vicino a loro che ha continuato a guardarli e ad ascoltare la loro discussione totalmente in silenzio. Chissà se qualche altro ricordo le si era affacciato alla memoria dalle sue parole? Ma se era così, la sua espressione apparentemente indifferente non lo aveva dato ninimamente a vedere.

"Come dice lei, professore. Se lo ammettiamo." sottolinea Croft. "Ma fino ad adesso lei non mi ha offerto nessuna prova di quello che dice."

Anche la sua faccia voleva sembrare rigida e imperturbabile come quella della guerriera, ma con molto minor successo.

"E neanche sarò in grado di fornirgliene in seguito. E sa perché? Perché la polizia le ha cancellate con estrema cura. Non c'è più traccia di quello che avvenne in questo giardino, così come sono pronto a scommettere che non c'è più traccia dei proiettili che uccisero Cheryl Cooper. Tutto ciò che ha riguardato lei e l'Amazzone è sparito, con sorprendente coincidenza. Non mi dica che non se n'è mai chiesta la ragione."

"Certo che l'ho fatto." risponde velocemente Croft. Forse un po' troppo velocemente. "E ho trovato una risposta molto semplice. Sia la storia dell'Amazzone che la morte di Cheryl rappresentano due sonore sconfitte per l'amministrazione di Ballister, e quel gentiluomo non ammette di perdere. Ne andrebbe della sua immagine."

D'accordo, pensa Sutherland con un sospiro, basta con i giochini.

Il vecchio si alza in piedi e si mette proprio davanti a Brian, raddrizzando con evidente dolore la schiena, perché i loro occhi siano allo stesso livello.

"Signor Croft" dice, con un sospiro "non ho mai pensato che fosse facile poterla convincere di quello che asserisco, ma mi pare di notare in lei una pervicacia, direi quasi ossessiva, nel tentativo di ribattere ogni singolo elemento che le sottopongo. E l'esperienza mi ha insegnato che quando una persona rifiuta così recisamente una verità che, vorrei ricordarle, ha inseguito per così tanto tempo, può farlo solo per due ragioni: o sa che non è vero, o teme che lo sia. Lei sa qualcosa di questa storia che possa smentire la mia tesi?"

Preso di sorpresa, il giornalista resta silenzioso a fissare l'anziano ex-docente per un attimo di troppo, e Sutherland ne approfitta subito per assestare il colpo decisivo.

"Allora, dato che evidentemente non ha una risposta soddisfacente alla mia prima domanda, vediamo come se la cava con la seconda. Di che cosa ha paura, Croft? Cosa la spaventa tanto nel fatto che questa storia possa avere risvolti che trascendono la razionalità?"

Croft continuava a fissare Sutherland come incapace di reagire, cosciente del sorrisetto di trionfo sul viso del professore.

Che accidenti ti prende? Rispondigli, no?Paura? Che idiozia! La paura non c'entrava nulla. Non c'era niente di cui avrebbe dovuto aver paura.

Un brivido lungo e improvviso gli scuote la schiena.

Qualcuno ha calpestato la tua tomba, Brian.

La voce di sua nonna gli risuona d'un tratto nell'orecchio destro così reale che deve compiere uno sforzo per non voltarsi con un sobbalzo ad accertarsi che non sia lì china su di lui alle sue spalle, come quando era piccolo.

"E' sicuro di non avere niente da dirmi?" chiede ancora il vecchio, mantenendo il suo sguardo inchiodato in quello dell'altro, senza spostare le pupille di un millimetro. "Le è forse capitato qualcosa di... strano, ultimamente?"

Ma cosa ci fai ancora qui?! Girati e vattene!

Ma per qualche ragione, che non riusciva neanche lontanamente a comprendere sembrava che le sue gambe fossero fissate al pavimento.

Il tuo giornale è ad almeno venti isolati da qua. Un po' lunga come passeggiata.

Ora era la voce di Eddie Ericmann che gli parlava all'altro orecchio. E d'improvviso sente la propria bocca aprirsi e la sua voce uscirne, quasi senza che il cervello la registri, se non quando è troppo tardi.

"Ho camminato per venti isolati senza accorgermene." dice, avvertendo la bocca secca ed impastata come la mattina dopo una sbornia.

"Come?"

Il professore adesso lo guarda con un'inequivocabile espressione d'incoraggiamento negli occhi, e lui, oddio, ha improvvisamente così tanta voglia di dirlo a qualcuno. Venti isolati a piedi senza il minimo ricordo. E tutto per trovarsi come al risveglio da un sonno senza sogni sul luogo di un delitto. Aveva cercato di non pensarci, di dirsi che era una cosa perfettamente spiegabile, ma ora ogni scusa, ogni pretesto che era riuscito ad inventarsi gli sembrava ridicolmente futile e patetico. E così, inizialmente esitando, ma poi con sempre maggior convinzione, aveva raccontato la sua esperienza di quella sera. L'irrefrenabile voglia di uscire dall'ambiente d'un tratto soffocante del giornale per prendere un po' d'aria e l'essersi praticamente risvegliato sul luogo dell'assassinio di quella vecchia barbona a venti isolati di distanza senza nessuna cognizione di come ci era arrivato.

Dopo averlo ascoltato in silenzio, Sutherland gli versa un altro whisky allungato con acqua e glielo mette tra le dita lievemente tremanti.

"E non le era mai successa prima una cosa simile?" gli chiede. "Mai sofferto di amnesie, sonnambulismo?"

"No, mai." risponde Croft, ingoiando il contenuto del bicchiere in un sorso. "E le dico subito che non ho problemi neanche di altro genere. Mi sottopongo a regolari controlli ogni anno e ho fatto l'ultimo meno di un mese fa. E' tutto a posto."

Sutherland annuisce pensieroso.

"Per caso, ricorda a che ora è uscito dal giornale e quanto è durata questa sua passeggiata?"

"Ho finito e inviato l'articolo poco dopo le sette" cerca di riflettere Brian "e ricordo di aver riguardato l'orologio mentre me ne stavo in mezzo alla folla di curiosi in quel vicolo. Un riflesso condizionato. Erano le otto appena passate e dovevo essere già lì da qualche minuto."

"Quindi meno di un'ora." calcola tra sé il professore. "Non cammino più molto ormai ma, mi corregga se sbaglio, venti isolati non sono un po' troppi da fare in un'ora o poco meno, al passo lento di una passeggiata?"

"Direi di sì." ammette Croft, quasi di malavoglia. "Ho voluto rifare lo stesso percorso a ritroso, cercando di mantenere un passo normale e ci ho messo più di un'ora e mezzo."

"E dunque, che spiegazione si è data?"

"Non mi sono dato nessuna spiegazione. Ho cercato solo di non pensarci più."

"Insomma, il solito vecchio sistema degli esseri umani per risolvere i problemi, buono per tutti gli usi." dice ironico Sutherland. "Ignorarli e far finta che non siano mai successi. Non si preoccupi. Non è una critica a lei in particolare. E' un metodo molto in voga anche tra i miei eminenti colleghi." aggiunge poi, sorridendogli. "E invece, ora che ne pensa?"

"Credo che sia possibile" risponde Brian "ma solo a passo molto veloce, e sapendo bene dove si è diretti."

"Si sentiva stanco, accaldato?"

"Non particolarmente."

I due uomini rimangono in silenzio per qualche momento, il professore in piedi con le mani in tasca, perso in qualche sua riflessione, e Croft di nuovo a sedere, a rigirarsi il bicchiere vuoto tra le mani. Entrambi apparentemente dimentichi della terza presenza nella stanza. La guerriera, infatti, continuava a fissarli alternativamente con aria ora vagamente annoiata ed impaziente. Aveva seguito i loro discorsi per un po' attentamente, più intenta a scandagliare le espressioni e i toni dell'intruso che Sutherland chiamava Croft per leggervi eventuali tentativi di inganno o di fuga, ma vi aveva trovato solo confusione e paura.

Quell'uomo non rappresentava un pericolo, ed era ormai quasi certa che non potesse essere stato lui ad aggredire la sua ospite la sera prima. Su di lui non vi era la minima traccia dell'odore che aveva sentito sul posto dove era morta la ragazza. Quindi le chiacchiere di quei due avevano rapidamente perso d'interesse per lei, e la sensazione del tempo che trascorreva inutilmente, mentre forse l'abisso che la separava da Olimpia si allargava sempre più, cominciava a tormentarla. E tuttavia non aveva scelta, se non quella di seguire il suo occasionale amico, Sutherland, e i suoi metodi esasperatamente lenti. Quel tempo, quel mondo avevano troppe incognite per lei. Non poteva muoversi da sola al suo interno come era solita fare. Quindi non le restava che sopportare la situazione, tenendo le briglie ben tirate al suo temperamento anche se questo comportava che fosse qualcun altro per una volta a condurre.

"In realtà, adesso che ne parlo a qualcuno" dice d'un tratto Croft, richiamando i presenti dalle loro riflessioni "mi sembrano tutte sciocchezze. In fondo, non è successo niente di clamoroso."

"Probabilmente no. Ma è raro che le manifestazioni autenticamente soprannaturali presentino caratteristiche clamorose." risponde Sutherland. "Altrimenti come potrebbero essere ignorate tanto spesso?"

"Manifestazioni soprannaturali?" Croft lo fissa, sorpreso. "E' questo che pensa?"

"E' soprattutto quello che pensa lei." ribatte il professore. "Stava solo aspettando di sentirlo dire da qualcun altro a voce alta."

Brian resta a guardarlo, senza parole, come se il vecchio avesse d'improvviso sviluppato un terzo occhio sulla fronte. Ma è come se un sipario nero si sollevasse nella sua mente.

"Legge anche nel pensiero, ora?"

"Oh, non occorrono capacità particolari per leggere nel suo, signor Croft. La prego, non si offenda." si affretta a chiarire Sutherland. "Non intendevo dire nulla di male, ma solo che fin dall'inizio mi è parso chiaro che tutto quel suo ostentato rifiuto, nascondesse solo un gran desiderio di confidarsi con qualcuno."

"Ho sempre avuto paura di queste cose." mormora Croft. "Fin da piccolo. Non so perché. Non la normale paura di tutti i bambini per l'uomo nero o per i mostri che si nascondono sotto il letto. No. La mia era una vera e propria patologia. Bastava vedessi un film o leggessi un libro che mi impaurisse e non dormivo per notti e notti. I miei volevano farmi visitare, ma io mi sono sempre rifiutato. Me ne vergognavo e non volevo che altri sapessero." E la nonna non immaginava certo quanta paura mi facesse quell'innocua frase, pensa con un brivido. "E' continuata fin nell'adolescenza. Poi, crescendo credevo di averla superata."

"Ed è andato a lavorare in un giornale che in questo genere di argomenti invece ci sguazza." chiede Sutherland incuriosito. "Scelta interessante."

"Lo trovavo rassicurante, in un certo senso. Un modo di affrontare i miei demoni. Non esiste altro posto al mondo in cui puoi convincerti che il soprannaturale non esiste migliore della redazione del View. Basta vedere tutto quello che sono capaci d'inventarsi per mandare in stampa il giornale." sorride ora a sua volta Croft, sentendosi adesso stranamente rilassato. Poi, il suo sguardo si vela di malinconia. "Ma Cheryl non era così. Lei non era una che vendeva idiozie un tanto a pagina. Un ciarlatano come noi. No, lei era una vera giornalista. Una professionista. Per questo..."

"Per questo teneva tanto a lei?" Il professore ora siede di nuovo sulla sua poltrona ed è chino verso di lui, ad ascoltarlo con aria comprensiva.

"Sì... no... non lo so. Sembrava talmente fuori posto in quel luogo. Oh, in apparenza si era adattatata perfettamente all'ambiente. Anzi, ne era divenuta un pilastro, ma a volte... quando nessuno la vedeva, o almeno così pensava lei... lasciava cadere la maschera, anche solo per un attimo, e allora..." Brian guarda Sutherland. Sente che tutte le sue difese adesso sono abbassate e la verità che ha avvertito istintivamente fin dall'inizio nelle parole del vecchio può fluire liberamente e senza più ostacoli. "Così era proprio lei l'Amazzone, eh? Sa, ripensandoci, non sono poi così sorpreso. Ma non lo sapeva, giusto? Non ne era cosciente?"

"No, non fino all'ultimo, almeno." risponde il professore, tristemente. "Fino alla notte in cui si risvegliò... ferita, sanguinante, senza forse neanche capire cosa le era accaduto e corse a casa sua. Il suo inconscio rifiutava evidentemente la sua altra personalità, ma fu la forza residua di Xena che le permise di ritornare nel suo appartamento... prima di morire."

"Se è questa la storia" dice amaramente Croft "e la scrivessi farei vendere il doppio... che dico, il quadruplo delle copie. Sarebbe la mia fortuna. Quello stronzo del mio capo dovrebbe baciare la terra su cui cammino."

"E la scriverà?" chiede Sutherland. 

Il giornalista, lo sguardo fisso sul volto del professore, ma al tempo stesso perso in chissà quale pensiero, non risponde per qualche secondo, poi i suoi occhi si ravvivano e un leggero sorriso gli aleggia sulle labbra.

"E' davvero buffo, sa? Ma credo di no." dice, e poi scoppia in una risatina senza allegria. "Incredibile. Probabilmente la prima vera storia di soprannaturale della mia carriera e non ho nessuna voglia di scriverla. Non è pazzesco?"

"No." risponde semplicemente Sutherland. "Solamente umano."

Dopo qualche altro momento di un silenzio carico di significati, forse per la prima volta, Brian volge il suo sguardo con serenità verso la donna che se ne sta ancora appollaiata ad osservarlo, immobile come una statua ma, ci scommette, pronta a scattare come una molla al minimo suo gesto improvviso che potesse essere male interpretato, scrutandola a sua volta profondamente, senza la paura che aveva provato fino a poco prima. Alla ricerca di qualcosa che neanche lui avrebbe saputo definire. Una luce, una sfumatura in quegli occhi castani che richiamasse alla sua memoria un ricordo. Ma ottenendo solo un ulteriore raggelo nella loro penetrante intensità.

"No, mi dispiace." dice ancora il professore, senza dargli il tempo di aprire bocca. "Non ci troverà lo sguardo di Cheryl Cooper là dentro, signor Croft. Lei è stata solo il tramite per lo spirito di Xena allora, come adesso lo è Jennifer."

"Ma che significa tutto questo?" Croft torna a fissare Sutherland, senza chiedersi come abbia fatto ancora una volta a leggergli nella mente e senza più traccia di incredulità negli occhi o nella voce. "Cosa sta succedendo? E in che modo c'entrano gli omicidi di quel mostro?"

"Al momento, non saprei cosa risponderle." dice il professore con un sospiro. "E non creda che per me tutto questo sia più facile da accettare che per lei. Ma ciò che è capitato mesi fa, mi ha aperto gli occhi su un universo di cui forse avevo solo sognato e fin da allora ho avuto la sensazione irrazionale, inspiegabile di... non so neanche come dirlo... essere una specie di strumento nelle mani di qualcuno o qualcosa che dirigesse in qualche modo tutte le mie azioni. Ma non uno strumento cieco e privo di volontà. Tutt'altro. Direi piuttosto come se ogni mia azione, ogni mia decisione fosse guidata alle sue logiche conseguenze attraverso me, attraverso la mia mente. Non vi è stato nulla che io abbia fatto che non fosse frutto del mio pensiero e del mio modo di ragionare e nello stesso momento non vi era altro che io potessi fare o decidere. E questa cosa non riguardava solo me. Riesce a capirmi?"

Croft continua a guardarlo, senza rispondere. Quello strano vecchio gli ispira incessantemente sentimenti contrastanti, ma la diffidenza e la paura dell'inizio si stanno trasformando in una curiosa sensazione di fiducia, quasi di cameratismo. Una sorta di gratitudine per essere stato messo a parte di un segreto. Non gli importava neanche più che per farlo avesse dovuto rischiare l'incolumità e perfino la vita. D'un tratto un mondo squallido e grigio si colorava di insospettabili tonalità e adesso forse comprendeva meglio perchè, nonostante la paura che ne provava, fosse andato a lavorare proprio per un giornale come il View. Non era un tentativo di dominare i suoi timori, guardando dall'interno la miseria di un piccolo microcosmo che su quelle cose ci si arricchiva, ma inseguiva solo inconsciamente l'idea che dietro tutta la paccottiglia, le balle e la ciarlataneria di bassa lega vi fosse davvero anche solo un piccolo lume che rischiarasse la cupa mediocrità del mondo. Forse rifiutandosi di esaminare più attentamente le sue emozioni per timore di risvegliarle, aveva finito per fraintenderle. Forse, non era paura la sua, ma speranza.                    

"Sì." risponde infine "Credo di capire cosa intende."

 

L'atmosfera si era molto rasserenata nell'ambiente e perfino Xena aveva cominciato a rilassarsi, sciogliendo gradualmente i muscoli e liberandosi dalla postura che teneva sempre istintivamente rigida e pronta all'azione, ma che in quel corpo le provocava fastidi e indolenzimenti a cui non era abituata e il dolore alla spalla slogata che normalmente non avrebbe più avvertito continuava invece a pulsarle in profondità, rendendole difficile la concentrazione. Inoltre la lunga pausa di inattività aveva riacutizzato il bruciore intorno al collo. Se fosse stata nel suo mondo avrebbe saputo cosa fare, quali erbe cercare e dove, ma qui... E comunque, se fosse stata nel suo mondo, probabilmente non ne avrebbe avuto bisogno, perché avrebbe potuto contare sulle inesauribili risorse del suo corpo, le sue quasi sovrumane capacità di recupero in un fisico tonico e ben addestrato.

Beh, pensa raddrizzando le spalle e stringendo i denti, è il momento di mettere alla prova il tuo leggendario stoicismo, Principessa Guerriera. E' facile fare la dura quando sei nei tuoi panni. Vediamo come te la cavi adesso.

Intanto, l'intruso che negli ultimi momenti si è fatto audace e più volte si è azzardato a fissarla, guadagnandone di rimando occhiatacce minacciose, ora sembra particolarmente interessato alla sua gola e tende una mano verso il fazzoletto che stringe al collo. Un attimo prima che le sue dita si avvicinino troppo, però l'uomo si blocca, con la mano sospesa a mezz'aria, in una muta richiesta. Gettando uno sguardo a Sutherland, che le fa un cenno d'incoraggiamento, Xena con un sospiro rassegnato ne scioglie il nodo, rivelando in piena luce il cerchio illividito.

"Accidenti." mormora Croft osservandolo. "Deve fare un male cane. Non so come abbia fatto a sopravvivere."

"Credo che l'arrivo di Xena sia stato assolutamente provvidenziale." dice il professore avvicinandosi a guardare anche lui. "Se l'aggressore avesse avuto il tempo di stringere ancora un po', temo che anche Jennifer sarebbe finita sulla lista delle vittime di quell'assassino."

"Un momento." Brian si volta verso di lui. "Come fa a dire che chi ha tentato di uccidere la dottoressa Rowles sia anche l'autore di questa catena di delitti?"

"Ho pensato anche a delle alternative, certo" risponde Sutherland "ma francamente, non mi pare molto probabile che un ladro o un maniaco possa entrare casualmente in una proprietà privata per aggredire una donna con la chiara intenzione di ucciderla. No, chiunque sia entrato qui dentro aveva un preciso obiettivo e sapeva molto bene cosa fare e come farlo, scegliendo lo strangolamento. Un tipo di uccisione silenziosa, che le avrebbe impedito di poter gridare o chiamare aiuto, e se non fosse stato per questo... imprevisto, avrebbe portato a termine la sua missione."

"Ammettiamolo pure." ribatte Croft. "Ma perché proprio lei?"

"Beh, Jennifer è stata chiamata a collaborare con la polizia al caso. Forse l'assassino temeva..."

"Oh, andiamo, Sutherland, non è credibile." lo interrompe il giornalista che adesso ricomincia davvero a sentirsi a suo agio. "Questo tizio ha alle calcagna tutti gli sbirri della città, perché dovrebbe preoccuparsi di una ex-psicologa della procura? Che minaccia potrebbe rappresentare per lui, più di quanto possono gli altri?"

"Forse sa qualcosa su di lui." La voce della donna risuona nella stanza, facendo sobbalzare i due uomini, quasi si fossero dimenticati che ne avesse una. Xena si alza dal suo improvvisato sedile e si avvicina al professore, accosciandosi davanti a lui e facendo così sollevare la cortissima gonna fino al limite. Sutherland sposta immediatamente lo sguardo, cercando disperatamente di mantenerlo al livello del viso di lei, mentre Croft seduto alle sue spalle non può notare nulla con il soprabito che gli copre la visuale, se non l'improvviso arrossamento delle gote del vecchio. "Tu le hai parlato prima... del fatto." prosegue la guerriera, noncurantemente. "Non ricordi ti abbia detto niente che possa essere collegabile?"

"No... ehm, non mi pare." risponde Sutherland, schiarendosi rumorosamente la gola e cercando di far capire a Xena con lo sguardo di tirarsi giù la gonna rialzandosi, ma la guerriera lo fissa perplessa non riuscendo evidentemente a comprendere i suoi strani cenni.

"Che ti prende?" chiede. "Hai qualcosa nell'occhio?"

"No." risponde subito il professore con un sorriso verso Croft che li sta guardando senza capire. "No... ehm, un... un semplice tic nervoso. Mi capita ogni tanto nei momenti di tensione. Ma il suo bicchiere è vuoto, signor Croft. Mi è rimasto dell'ottimo..." fa alzandosi per deviare l'attenzione del giornalista.

"No, grazie." lo ferma questi, guardando l'orologio al polso. "Ho già bevuto abbastanza. Adesso dovrei essere al giornale a scrivere il pezzo, ma ormai chi se ne frega. E' un po' che Hannigan cerca un buon pretesto per farmi buttare fuori e a quest'ora probabilmente ha già fatto sgombrare il mio ufficio."

Approfittando dell'attimo di distrazione del giornalista, Sutherland indica a Xena la gonna arrotolatasi sui fianchi, e la guerriera roteando le pupille con aria di sopportazione, se la riaggiusta, rimettendosi in piedi.

"Mi dispiace molto." dice il professore, tornando a rivolgersi a Croft che pare non essersi accorto di nulla. "Spero che non sia stato questo piccolo... equivoco a procurarle problemi."

"No." ribatte Brian con un sorriso ironico. "Gli unici problemi che mi procurerà questo piccolo equivoco, come lo chiama lei, li avvertirò domattina credo, quando scenderò dal letto, sempre che ci riesca. Anzi, ripensandoci, potrei dire che non sono potuto andare perché mi sono scontrato con un camion." Lo sguardo della guerriera gli gela sul nascere la risatina che stava per fare. "Suppongo che tu sappia  cos'è un camion, eh? Voleva solo essere un complimento. Intendevo dire che sei una tipa tosta, davvero."

Non ottenendo nient'altro che una stilettata di ghiaccio, Croft abbassa gli occhi imbarazzato.

"Nessun senso dell'umorismo nella tua epoca? Bene, capito. Professore, prima che me ne vada" chiede, più per cambiare argomento che per altro "nella remota ipotesi che io abbia ancora un posto di lavoro da difendere, c'è qualcosa che potete dirmi su quanto è successo al parco, oggi? L'omicidio e il rapimento del bambino. So che se la dottoressa Rowles fosse... in sé, mi butterebbe probabilmente fuori a calci, ma vista la particolare situazione e il fatto che per stasera la mia razione l'ho già avuta..."

"Temo di non poterle essere molto d'aiuto. So soltanto che la ragazza è stata pugnalata e il bambino probabilmente portato via ancora vivo, ma non ci hanno dato tempo di poter osservare la scena del crimine abbastanza a lungo." risponde Sutherland.

"Me lo immaginavo." dice Croft con un'alzata di spalle, che gli provoca una smorfia a causa della fitta che avverte immediatamente. "Ouch! Farò meglio a ricordarmene. Beh, se vi venisse in mente qualcosa, la dottoressa Rowles ha il mio numero... già, che sciocco." aggiunge dopo un'esitazione. "Glielo avevo lasciato ieri su un foglietto, ma penso che con tutta questa confusione..."

"No, ho conservato io gli effetti personali di Jennifer." dice Sutherland, dirigendosi verso un mobile a un lato del salotto e aprendo un cassetto. "Temevo che Xena li potesse perdere... Ecco qua." Prende alcuni fogli e gli dà una rapida scorsa. "Deve essere questo." dice, mostrandogli la busta con il numero scribacchiato sopra.

"Sì, esatto." conferma Croft, dopo avergli gettato un'occhiata. "Beh, allora se doveste decidere che dopotutto mi siete debitori..." dice poi, indicando il proprio braccio. "...sapete cosa fare. Bene, Professore. Principessa Guerriera. E' stato un piacere. Più o meno. Non disturbatevi ad accompagnarmi. Conosco la strada."

E con un ultimo cenno di saluto, Brian Croft volta le spalle ed esce per quella stessa porta a vetri, attraverso la quale era entrato piuttosto bruscamente, scomparendo nel buio all'esterno.

"Tipo strano." mormora Xena, appena l'uomo non è più in vista.

"Già." dice il professore, fissandola con intenzione.

"Che c'è?" chiede la guerriera guardandolo a sua volta infastidita.

"La prossima volta, ti pregherei di tenere a freno il tuo carattere." risponde serio Sutherland. "Non vorrei passare i pochi anni che mi restano, in prigione per complicità in un omicidio."

Xena liquida l'osservazione con una scrollata di spalle.

"Io so quello che faccio. E poi qui da voi le cose procedono troppo lentamente. Ogni tanto bisogna dare qualche scrollone per smuovere le acque."

"Questo lento procedere delle cose, come lo chiami tu, noi lo chiamiamo legalità. Non si possono aggredire le persone, minacciandole di morte per ottenere informazioni."

"Ah, sì?" Xena gli lancia un'occhiata sarcastica. "Forse è per questo che un innocente in questo momento potrebbe morire chissà dove, mentre noi stiamo qui a discutere. E comunque" aggiunge con un sorrisetto "non mi pare che tu sia nella migliore posizione per impartire lezioni di etica."

"Che vorresti dire?"

"Pensi che non ti abbia visto? Cosa gli hai somministrato?"

Il vecchio la guarda stupito.

"Te ne sei accorta?"

"Sei stato abile" continua Xena "ma ti ho visto chiaramente versargli qualcosa nel bicchiere."

"Sciocchezze." ribatte l'altro. "Un blando calmante e in dose minima per di più. Si stava agitando troppo e io lo volevo invece rilassato per potergli parlare." Poi, con un sospiro un po' affaticato, Sutherland si dirige a passo lento verso la sua poltrona. "In ogni caso, non credo che abbia niente a che fare con questa storia. Spero non ti dispiaccia che gli abbia detto di te."

"No. Non avevamo molta scelta. O tirarlo dalla nostra parte o ucciderlo." acconsente la guerriera, incurante dell'occhiata preoccupata del professore. "Ma ho notato che invece sei stato meno prodigo di informazioni su quello che ti ho detto nella foresta."

"Parco." la corregge il professore. "E' un parco. Beh, mi sembrava che come quota di stranezze per stasera potesse bastare, senza aggiungerci una donna con il fiuto di un segugio. Ehi, dove vuoi andare?"

Sutherland fissa sorpreso Xena che riaperta la porta a vetri sta uscendo.

"Vado a muovermi un po'. Forse non posso andare alla ricerca di quel bambino, ma non riesco neanche a starmene con le mani in mano." risponde la donna, voltandosi a guardarlo. "E questo corpo ha bisogno di allenamento."

E prima che Sutherland possa ribattere, la figura di Xena viene inghiottita dalla notte.

 

La luna illumina la radura tra i fitti alberi che tutti intorno la nascondono dalla strada su cui raramente, ma ugualmente troppo spesso per la guerriera, si vedono sfrecciare quei grandi e piccoli carri metallici (Automobili! Si chiamano automobili.) ad una velocità che sembra eguagliare quella del cocchio dorato di Apollo, e dalle lontane, ma non meno disturbanti luci degli enormi palazzi e delle alte torri della città che di notte sembrano misteriosamente farsi più vicine. Ma qui, in questo angolo silenzioso, in cui solo i rumori e i suoni della natura paiono giungere, a non molta distanza dalla casa di Sutherland, chiudendo gli occhi e aprendo i polmoni per lasciare che l'aria fresca vi fluisca liberamente, a Xena sembra quasi che questo mondo pazzo e incomprensibile scompaia, permettendo agli odori ed ai ricordi di casa di riprendere forma e dimensione dentro di lei.

Posizionatasi al centro esatto della radura, la guerriera si sfila gli stivali e liberatasi velocemente del soprabito e dei succinti abiti che indossava sotto, resta completamente nuda, lasciando che l'aria fredda della notte le accarezzi la pelle, a godere di quel contatto fisico e mentale con tutto ciò che la circonda.

Olimpia, amore, puoi sentirmi?

Xena cerca di concentrarsi con tutte le sue forze ma prima ancora che il vuoto che avverte nella sua anima glielo confermi, sa che è tutto inutile.

Così non va, e lo sai bene.

Troppi eventi si erano accumulati nella sua testa in quelle ore, per poter sperare di raggiungere il giusto grado di concentrazione che le consentisse di riannodare quel magico, inspiegabile filo che le lega. Forse più tardi, quando la sua mente fosse riuscita ad adattarsi meglio a quella realtà, a quel corpo. Allora, forse avrebbe potuto riprovare. Perché non voleva pensare, non voleva credere che quel filo fosse stato davvero spezzato.

Ma se invece fosse così? Se non riuscissi mai più a ritrovare Olimpia?

No. Non devo pensare questo. Non è possibile. L'ho ritrovata in circostanze molto più difficili. Quando non sapevo neanche dove cercarla. Quando non sapevo neanche se era viva.

E inoltre questa volta c'era davvero qualcos'altro. Qualcosa di intangibile, qualcosa di forse appena percepibile, ma che suggeriva al suo istinto che loro non erano due navi perse nella tempesta. Non sapeva quanto dell'astruso discorso del vecchio, quel Croft avesse compreso, ma tra tutte le sue complicate elucubrazioni a cui Xena aveva faticato a tenere dietro, quella sul sentirsi uno strumento in mano a qualcosa di più potente, era stata quella che lei avrebbe approvato con maggior convinzione. E non era in fondo quello che aveva affermato anche Alexi? Le divinità che suo padre chiamava Coloro che Sanno, a suo dire, governavano gli universi attraverso la volontà dei mortali, e questa adesso era esattamente anche la sua sensazione. In qualche modo anche lei si sentiva una pedina in una partita su un campo molto più vasto. E questo pur irritandola sottilmente, dato che non le piaceva l'idea di non essere padrona totale del proprio destino, in questo particolare caso finiva per essere quasi confortante. Era come se una voce senza suono nella sua testa le stesse ripetendo che tutto sarebbe andato bene. Che alla fine ogni pezzo sarebbe tornato al proprio posto. Chissà se anche Sutherland sentiva qualcosa del genere? Avrebbe dovuto chiederglielo.

Ma adesso, doveva cercare di impiegare al suo meglio il tempo che aveva a disposizione. Doveva ridare una certa tonicità ai muscoli di quel corpo, prima di concedergli quel riposo che implorava.

E Xena scatta verso l'albero più vicino e con un balzo afferra a due mani il ramo più basso e robusto, sollevandosi con la sola forza delle braccia più e più volte, fino a che non sente i muscoli del torace e della schiena e soprattutto l'articolazione della spalla danneggiata dolerle, ma continua e continua, cercando di mantenere il respiro regolare, e lentamente il dolore recede, fino a ridursi ad un sordo pulsare in fondo alla sua mente. Poi, dandosi slancio, salta ancora, ad agganciare un altro ramo, più in alto e più isolato, che le permetta di rotearvi intorno e con una perfetta capriola atterra, lasciando che tutto il peso del corpo venga ammortizzato dai muscoli delle gambe, che rispondono flettendosi sul terreno con un'elasticità sorprendente.

"Niente male, ragazza." dice ad alta voce. "Forse non sei senza speranza come credevo."

E la Principessa Guerriera, quasi ridendo per l'eccitazione montante alla scoperta delle insospettabili possibilità di quel corpo, comincia a prodursi in una serie di esercizi, giravolte, capriole, salti ed avvitamenti a mezz'aria nel mezzo della radura, senza curarsi minimamente della presenza dell'uomo che ha già avvertito da parecchio e che la sta scrutando incredulo da dietro gli alberi.

Come spia faresti proprio pena, pensa, sorridendo tra sé, ma guarda pure quanto vuoi. Sei convinto ora?

 

Brian Croft arretra lentamente, continuando a nascondersi tra i rami bassi, senza però perdere di vista la donna che una volta era Jennifer Rowles, resistendo alla tentazione di stropicciarsi gli occhi e tuttavia non ancora completamente capace di assorbire lo spettacolo a cui sta assistendo. Stava già per montare sulla sua auto, quando aveva scorto un'inequivocabile figura femminile allontanarsi dalla casa di Sutherland. L'aveva vista attraversare la strada e scomparire tra gli alberi dall'altra parte. Non era stato a rifletterci. Aveva richiuso cautamente lo sportello della macchina e si era avviato dietro di lei, cercando però di mantenere una certa distanza. Non aveva intenzione di rimetterci anche l'altro braccio, o perfino qualcosa di più prezioso. All'inizio, credeva di averla persa, poi l'aveva individuata. In piedi, immobile nel centro di quella radura, sotto la luce della luna che le bagnava la pelle nuda. Croft era rimasto paralizzato dalla sorpresa, assolutamente incapace di muoversi o distogliere lo sguardo da quello spettacolo. La donna era restata così per diversi minuti, quindi, proprio quando Brian cominciava a chiedersi se non si fosse trattato di qualche strano rito, era scattata in avanti e un attimo dopo l'aveva vista appesa al ramo di un albero. Poi, prima che riuscisse a rendersi pienamente conto di quello che stava succedendo, l'aveva vista esibirsi in tutta una serie di incredibili salti mortali ad una velocità che sembrava aumentare esponenzialmente ad ogni nuovo esercizio, fino a che non era stata quasi altro che una macchia chiara nel buio. Con la testa che gli girava lievemente aveva cominciato ad allontanarsi. Non sapeva esattamente cosa avesse pensato di tutto quello che gli era capitato quella sera. Forse stava addirittura convincendosi di essere stato vittima di un gigantesco raggiro, ora che si stava allontanando dall'influenza del professor Sutherland e da tutte le sue suggestive ipotesi. Ma adesso, all'ombra di quegli alberi, sotto la luce di una luna quasi piena, non vi poteva essere possibile errore o suggestione.

E con passo un po' traballante il giornalista torna verso la sua automobile.

(15 - continua)





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