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"Nè
demoni o Dei" ROMANZO DI A. SCAGLIONI (Capitolo
XVI) Parte
2
(76) Xena/Jennifer e
Sutherland Seduto da solo sul divano nel
grande salotto della sua casa, Sutherland guarda senza realmente
vederlo il buio che preme contro le ampie porte a vetri da dove
soltanto pochi minuti prima ha visto sparire nell'oscurità del giardino
la figura della guerriera. Malgrado l'apparente calma che trasuda
dalla sua persona, e che gli è servita non poco nella movimentata
serata appena conclusasi, il vecchio sente che le emozioni succedutesi
nelle ultime ore stanno prendendo il sopravvento. Il battito cardiaco
accellerato, il leggero sudore che nonostante la serata decisamente
fresca avverte bagnargli la fronte e il collo sono segnali di uno
stato emotivo che alla sua età non può più concedersi. Inspirando ed espirando lentamente,
il professore attende con pazienza che il suo ritmo cardiaco riprenda
un andamento regolare. Per lunghi minuti l'unico rumore nella stanza
è quello del suo respiro appesantito dall'esercizio, finchè non
sente che tutto il suo corpo si sta rilassando e il sangue scorre
più tranquillamente nelle sue vene. Sutherland aveva sempre preferito
non fare uso di farmaci, quando era possibile, e anche se ora era
vecchio, non vedeva perché non proseguire in questa sana abitudine.
Era giunto alla sua veneranda età senza problemi fisici di rilievo,
oltre i normali acciacchi della vecchiaia, e il suo cuore anche
se sicuramente indebolito dagli anni non gli aveva mai dato preoccupazioni,
quindi sapeva che la sua attuale situazione non preludeva ad un
prossimo infarto, ma era altrettanto certo che l'eccitazione causatagli
dai tanti, troppi, avvenimenti che avevano travolto la sua tranquilla
esistenza dovesse essere tenuta sotto attento controllo. Non è il caso di uscire di scena
proprio ora che la cosa si sta facendo interessante. E quindi, vecchio
mio, mantieni la calma e lascia che gli eventi ti scorrano addosso
come gocce d'acqua sulla pietra. Una frase che aveva trovato
molti anni prima in un libro sulle antiche discipline orientali.
Gli era rimasta impressa nella mente e ora gli pareva essere stata
scritta proprio per lui. Naturalmente a lungo andare, l'acqua finisce
per levigare la pietra, scavarla, aveva riflettuto allora leggendola,
ma questo è nell'ordine naturale delle cose. Niente è eterno. Niente? Beh, quasi niente. Perché cosa dire di una certa
Principessa Guerriera giunta, anzi no, tornata, da un epoca
sepolta dai millenni nel passato? Ma, in realtà, quanto ci aveva
riflettuto? Poco, come aveva ammesso lui stesso. L'incalzare dei
fatti non gli aveva lasciato il tempo di pensare in modo approfondito
a come Xena potesse essere giunta fin lì. Alla luce degli ultimi
avvenimenti, credo che la mia teoria della reincarnazione vada rivista,
aveva buttato lì nella sua conversazione con Croft. Ed infatti,
era così. L'intera tesi su ciò che era accaduto mesi prima, e che
lui aveva romanticamente interpretato come il viaggio di due anime
attraverso i millenni e un numero imprecisato di reincarnazioni
alla disperata ricerca l'una dell'altra, diventava ora molto discutibile.
Jennifer non era certo la reincarnazione di Xena. Era divenuta per
ragioni ancora ignote il contenitore dello spirito della guerriera,
e il suo stesso spirito si trovava probabilmente adesso (anche se
l'espressione adesso poteva risultare fortemente inappropriata),
nel corpo di Xena chissà dove. Perchè forse dove era la parola
giusta, non quando. Dal confuso racconto che Xena
gli aveva riportato su quanto le era stato detto dai due uomini
che vivevano in quella foresta, i due eremiti che l'avevano rapita
insieme ad Olimpia, si poteva ipotizzare che lei non fosse arrivata
da un lontanissimo passato, ma da un universo parallelo. Una realtà
alternativa che esisteva contemporaneamente a quella in cui
si trovavano, magari proprio accanto. Un'ipotesi da fantascienza,
l'avrebbe liquidata immediatamente Jennifer, pensa Sutherland con
un sorriso al ricordo della sua faccia stupita quando le prospettava
le sue elaborate teorie. Almeno la Jennifer di allora, quella che
aveva conosciuto lui e che non voleva arrendersi all'assedio dell'irrazionale
che bussava alla sua porta. Chissà come la pensava ora? Lui invece,
la considerava molto più di un'ipotesi. Non aveva fatto fatica a
prestare fede a quello che la guerriera diceva, perché il suo cervello
aveva cominciato, senza che lui neanche ne fosse cosciente, a mettere
in fila tutti gli indizi che aveva raccolto negli anni e a cui non
aveva ma saputo dare una spiegazione soddisfacente. Perché di una guerriera come
Xena, una condottiera che al comando di un esercito si diceva avesse
conquistato città e nazioni, non erano praticamente rimaste tracce,
se non quelle poche pergamene rintracciate in alcune tombe in Egitto
e in Mesopotamia, al punto da concluderne che tutte le storie su
di lei fossero solo leggende prive di qualsiasi fondamento? Era
verosimile che di un personaggio di una tale portata non fossero
rimaste maggiori testimonianze? Ma se invece le poche tracce ritrovate
non fossero appartenute al nostro passato, ma fossero arrivate da
un altro mondo, da un altro universo, questo avrebbe potuto spiegare
perché di una conquistatrice e di una guerriera simile si era ritrovato
così poco? E si sarebbe potuto spiegare perché anche quel poco era
stato nascosto e dimenticato? Forse perché nessuna traccia deve
restare dell'esistenza di altri mondi, come quell'Alexi aveva detto
a Xena. Quando il tessuto tra gli universi si lacera in qualche
punto, erano state più o meno le sue parole come gliele aveva riferite
la guerriera, quelli che ne restano coinvolti, finiscono sempre per credere di aver sognato o di aver avuto
delle allucinazioni. Niente da dire, era un'ipotesi
davvero affascinante. Qualcosa che avrebbe rivoluzionato, anzi sconvolto,
le conoscenze dell'umanità. Una cosa del genere avrebbe fatto sembrare
le congetture più innovative sull'argomento, dall'iperspazio alla
teoria delle stringhe, come semplici favolette per bambini.
Non c'era da stupirsi che i segni di una verità di questo genere
fossero accuratamente celati. Ed ogni volta che qualcosa filtrava
oltre il sipario fitto che le era stato creato intorno, tutto veniva
messo a tacere, in un modo o nell'altro. La teoria degli universi
paralleli, avrebbe potuto spiegare molti misteri, dal triangolo
delle Bermude alle apparizioni degli UFO, molti dei quali, guarda
caso, negati o ridicolizzati dalle autorità e dai media. Perché
tutto doveva essere nascosto. Perché nessuno doveva sapere. Gli
uomini in nero? Le dimensioni parallele? Lasciate che gli scrittori
di fantascienza o gli sceneggiatori di Hollywood si scatenino. Che
importa? Tanto sono solo storie. L'importante è che nessuno
sospetti mai quanto quelle storie si avvicinino alla verità.
Forse sto facendomi trascinare
troppo dalla fantasia, pensa con un sorriso, o forse no. Forse tutta la nostra
fantasia non è in grado di imbrigliare questo fantastico universo,
e quello che riusciamo ad immaginare non è che una piccolissima
porzione di quello che realmente è. Forse in ogni storia, in ogni
leggenda, in ogni opera che l'umanità ha prodotto nelle forme più
varie in tutta la sua esistenza esiste una briciola di quella verità,
un minuscolo elemento di un mosaico immenso, ma nessuno ha mai pensato
di poter mettere insieme tutti i pezzi per cercare di ricomporlo.
La fantasia è la chiave che c'è stata fornita per cercare di capire,
ma la serratura è rimasta ben nascosta, da sempre invisibile ai
nostri occhi, e forse è meglio così. Sutherland si scuote dalle sue
meditazioni come da un sogno ad occhi aperti e lascia vagare lo
sguardo per la stanza riprendendo contatto con la realtà che lo
circonda. E in quel momento, il rumore soffocato del meccanismo
idraulico che apre automaticamente la vetrata lo riporta definitivamente
al presente e il professore contempla con stupore la figura sulla
soglia con gli abiti e i capelli in disordine, la pelle umida di
sudore, ma uno sguardo limpido e, sì, quasi felice negli occhi. "Che cosa hai fatto?"
chiede. "Movimento." risponde
con un sorriso ferino la guerriera. "Questo corpo non è poi
in così cattive condizioni come credevo. Aveva solo bisogno di sbloccarsi
un po'. Mi sento ancora un po' indolenzita, ma
adesso va molto meglio." Xena si dirige al mobile bar
e afferrata la caraffa dell'acqua se la porta alla bocca svuotandone
in pochi attimi il contenuto. "Il nostro amico ficcanaso si
è avvicinato per vedermi." dice poi, lasciandosi cadere su
una poltrona. "Croft?" Il professore
spalanca gli occhi. "Non gli avrai...?" "Sta' tranquillo."
risponde la donna. "Ho fatto finta di non accorgermene nemmeno.
Beh, se aveva ancora qualche dubbio quello che ha visto stasera
dovrebbe averlo convinto che qui dentro non c'è più quella Jennifer." "Bene." dice Sutherland
sollevato. "Quell'uomo potrebbe tornarci utile se non lo spaventiamo
troppo." "E in che modo?" "Non ne ho idea, ancora."
risponde il professore scuotendo la testa. "Devo confessarti
che non so proprio cosa fare. Non sono un poliziotto e questo è
un territorio completamente sconosciuto per me." "Nel mio mondo, saprei
io cosa fare." mormora Xena. "Ma qui... mi sento così
impotente." I due restano in silenzio per
qualche momento guardando fissamente il vuoto. "Pensavo ad Olimpia, tornando
qua." dice la guerriera. "Cosa direbbe o farebbe sapendo
che un bambino è in pericolo. Lei non si arrenderebbe. Non sopporterebbe
l'idea che per colpa sua non possa essere salvato." Xena solleva
lo sguardo sul professore. "Ma se non posso fare nulla, a cosa
è servito portarmi qui?" "Non lo so." risponde
Sutherland. "Possiamo solo aspettare e sperare che succeda
qualcosa." "Non sono molto brava ad
aspettare quando non sono io a gestire le cose. Intanto vado a farmi
un bagno." sospira Xena, passandosi una mano tra i capelli
sporchi e madidi di sudore. "Mi auguro che la tua fede sia
ben riposta." dice poi, alzandosi. "Me lo auguro anch'io."
mormora Sutherland guardandola sparire oltre la porta del salotto. (77) Carruthers Il capitano Carruthers infila
velocemente la porta del suo appartamento e la richiude con un tonfo
alle sue spalle, appoggiandovisi contro con un grosso sospiro. Finalmente
un po' di pace. Un angolo tranquillo dove poter riflettere con calma.
Perché c'era da riflettere, e tanto. C'era una decisione da prendere,
e dopo quella, la sua vita non sarebbe potuta più essere la stessa.
Sempre che lo fosse ancora in quel momento. E di questo era tutt'altro
che sicuro. Tutti gli avvenimenti di quella
strana giornata che andava concludendosi gli si affollavano disordinatamente
nella testa, tirando i suoi pensieri da una parte o dall'altra e
impedendogli quasi di concentrarsi sull'idea che finalmente sembrava
aver preso concretezza e che lo eccitava e spaventava in ugual misura.
A Jennifer e al suo strano comportamento si era alla fine imposto
di non pensare. Di tutto ciò che era successo, quello era l'evento
che per ragioni misteriose gli procurava più disagio, per cui l'aveva
messo da parte, ripromettendosi di esaminarlo con più calma in seguito.
Perché c'era un altro evento che era invece ora di affrontare senza
più esitazioni. Ballister. Non ne poteva più di lui. La cosa
gli si era rivelata finalmente, chiara e lampante come il sole di
ferragosto, e nel momento in cui aveva avuto la sua rivelazione
aveva saputo cosa fare. O per lo meno, quello che avrebbe dovuto
fare. Quando era giunto sulla scena
del crimine, Ballister non gli aveva neanche lasciato il tempo di
ragguagliarlo sull'accaduto, ammesso che gli interessasse davvero,
e aveva cominciato subito invece ad inveire contro i suoi uomini
ma, come era parso a Carruthers, soprattutto contro di lui. A quello che aveva capito dalla
strapazzata furiosa che il capo della procura gli aveva riservato,
l'origine della sua collera era da ricercare in un colloquio telefonico
avuto con il sindaco, nel corso del quale la massima autorità cittadina
gli aveva detto chiaramente che non intendeva più proteggergli il
culo e la sua bella poltrona dove posarlo (erano state le precise
parole, uscite dalla bocca sbavante di un Ballister che ormai aveva
abbandonato ogni parvenza di aplomb) e che si sarebbe messo
immediatamente in contatto con gli uffici della polizia federale,
perchè prendessero in mano loro le indagini, visto che lui sembrava
essere incapace di eseguirle. Ballister pareva irriconoscibile.
L'uomo che, secondo le dicerie, spendeva venti minuti al mattino
per scegliere la cravatta che s'intonasse all'abito e che non metteva
piede fuori di casa prima di essersi accertato che la scriminatura
nei capelli fosse perfetta come se tracciata con il righello, sembrava
ora il reduce di una rissa in un bar di infimo ordine. Scarmigliato,
il viso rosso come nell'imminenza di un colpo apoplettico, il colletto
della camicia slacciato di ben due bottoni e il costoso cappotto
di cammello negligentemente gettato su una spalla. Carruthers avrebbe
giurato perfino che nelle fiatate che gli tirava ad ogni urlo si
avvertissero zaffate di gin e whisky provenirgli dalla
bocca, come se prima di precipitarsi là avesse dato fondo alla sua
ben nota e preziosa collezione di bottiglie d'annata. "Ma non crediate di cavarvela
così, voi due! Stark, sto parlando anche con lei!" aveva continuato
ad urlare, rivolto al segaligno e disorientato collega di Carruthers
che lo fissava ammutolito e ad occhi spalancati. "Se affonderò
io in questa storia, voi e tutti quegli altri inutili sacchi di
merda che si autodefiniscono ufficiali di polizia mi seguirete.
Prima di lasciare il mio ufficio, farò la più grande epurazione
che questa città abbia mai visto. Non riuscirete a trovare più un
posto neppure come guardamacchine! Mi avete sentito bene?!?" La domanda ovviamente era puramente
accademica, dato che sarebbe stato impossibile non sentirlo nel
raggio di un paio di miglia intorno. Gli agenti e gli altri membri
della scientifica ancora intenti a rilevare tracce cercavano con
tutte le forze di sembrare indifferenti e di prosegure il loro lavoro
con attenzione e professionalità, ma era sicuramente difficile trattenere
lo sguardo che continuava quasi di sua volontà a correre al singolare
trio formato da due uomini che sembravano divenuti statue di sale
e da un terzo che sbraitava e si dimenava come un indemoniato in
mezzo a loro. Un gruppetto residuo di curiosi, tenuti a distanza
ma non a sufficienza, sembrava invece godersela un mondo nell'assistere
all'inaspettato spettacolo. Il povero Stark che evidentemente non
aveva mai avuto l'occasione di vedere prima questa inedita versione
del procuratore Ballister pareva un cagnolino bastonato furiosamente
dal suo padrone, mentre Carruthers aveva già avuto modo di sperimentarla
di persona, ma nel segreto del suo privatissimo e assolutamente
insonorizzato ufficio. Il vederla invece manifestarsi lì, all'aperto,
alla vista di tutti, gli aveva fatto più impressione che non la
piazzata in sè. Esprimeva meglio di qualunque altra cosa, quanto
ormai poco di studiato e controllato fosse rimasto in quell'uomo.
Quello che stava mostrando era il nucleo centrale di se stesso,
spoglio di ogni sovrastruttura o maschera di eleganza e signorilità.
Un lupo ferito, messo con le spalle al muro e senza più scampo che
sperava solo di poter portare con sé quanti più cani gli fosse possibile.
Perché era questa l'unica interpretazione che Ballister riuscisse
a dare di quanto stava accadendo: un piano subdolo e vigliacco proditoriamente
architettato dal destino per privarlo della brillante carriera che
si era accuratamente costruita per il suo futuro. Che la città fosse
preda di un maniaco che uccideva e mangiava bambini come i peggiori
mostri delle fiabe, che il terrore serpeggiasse nelle famiglie del
territorio che lui amministrava, che solo negli ultimi tre giorni
due persone fossero state ferocemente assassinate, e che probabilmente
un'altra piccola vittima indifesa fosse proprio in quel momento
nelle mani del suo carnefice, erano solo dettagli sfocati sullo
sfondo, particolari senza importanza nel grande disegno ordito per
provocare la sua rovina. Ascoltandolo, Carruthers era
passato lentamente dalla stanchezza e dallo sfinimento di una situazione
che ormai aveva raggiunto in lui il livello di guardia, a un quasi
sorprendente stato di buonumore e divertimento. La faccia di Stark
era un interessante insieme di colori. L'improvviso rossore che
l'aveva colpito alle guance e al collo formava un insolito contrasto
con il naturale pallore della fronte e del lungo naso che gli sporgeva
dal viso come il becco di un uccello e i suoi occhietti chiari avevano
assunto una forma arrotondata che accentuava la sua somiglianza
con un volatile, mentre Ballister con il suo continuo agitarsi gli
ricordava una chioccia starnazzante e con il piumaggio tutto arruffato
che era sfuggita per miracolo alle ruote della sua macchina una
volta su una strada di campagna, e aveva sentito l'eco di una risata
farsi strada in fondo alla gola, e francamente non sapeva per quanto
sarebbe riuscito a soffocarla. Aveva sentito dire che gli attori
agli esordi, quando salivano su un palcoscenico per combattere l'emozione
e la paura dovevano cercare di immaginarsi le persone sedute in
platea in mutande. Chissà se qualcuno aveva mai pensato a paragonarle
invece a dei pennuti. Con lui stava decisamente funzionando. Anche
troppo. Doveva mordersi l'interno della guancia quasi a sangue per
impedire alla prepotente voglia di ridere di esplodere liberamente. Finalmente, senza più fiato
e con un'ultima occhiata fiammeggiante ai suoi due sottoposti, Ballister
aveva voltato le chiappe e si era diretto a passo di carica verso
la sua vettura, scomparendo nell'abitacolo protetto da vetri oscurati,
il cui sportello era pazientemente tenuto aperto da un autista in
divisa e occhiali neri che lo aveva subito richiuso dietro di lui,
per poi tornare al volante e partire con una potente sgommata. Solo allora, Carruthers si era
lasciato andare ad una risata che non sarebbe riuscito a trattenere
più a lungo, sollevando l'attenzione scandalizzata del suo collega
che lo aveva fissato come se fosse impazzito. "Che stronzo bastardo!"
aveva esclamato, senza riuscire a smettere di ridere, sperando quasi
che il procuratore lo avesse visto nello specchio retrovisore. "Che
incredibile, incommensurabile pezzo di merda." "Carruthers, ti sei bevuto
il cervello?!?" gli aveva chiesto Stark. "Poteva sentirti." "Sai, amico mio" gli
aveva risposto Carruthers, battendogli una manata su una spalla
e quasi rischiando di mandarlo lungo disteso in terra "ho appena
scoperto che non me ne frega un cazzo. E ti dico di più, in questo
momento il mio maggior rammarico è quello di essermi trattenuto
tanto e di non essere scoppiato a ridergli in faccia mentre faceva
la sua scena madre. Io adesso me ne torno a casa. Devo pensare ad
un paio di cose. Rifletterci molto approfonditamente. Ma ti annuncio
che se deciderò di fare una certa cosa il nostro beneamato Ballister
finirà a gambe all'aria molto prima e molto peggio di quanto crede." E se ne era andato, senza voltarsi,
lasciando il povero capitano Stark a guardarlo allontanarsi con
un'espressione di assoluta stolidità sulla faccia, ora ancor più
simile ad un uccello. Ma mentre tornava lentamente
a piedi verso casa, assaporando il gusto della passeggiata, aveva
sentito gradatamente scemare il piacevole ed inatteso stato di ebrezza
che l'aveva preso, e la sua mente si era ritrovata a riesaminare
quella strana giornata, chiedendosi che cosa in definitiva glielo
avesse provocato. Perché si era sentito all'improvviso quasi esaltato,
quando invece il suo morale avrebbe dovuto trovarsi al livello delle
suole delle scarpe, essendo alle prese con un altro terrificante
capitolo di quell'interminabile vicenda? Cos'era quel senso di leggerezza,
non riusciva a definirlo in altro modo, che l'aveva colto proprio
nel corso della concione di Ballister? Lui non aveva davvero intenzione
di fare quello che aveva accennato a Stark, vero? Lo aveva detto
solo per reazione, in un momento di rabbia nel vedere quell'escremento
di umanità imperversare una volta di troppo su di loro. E invece, quando aveva sondato
cautamente il proprio stato d'animo, sorprendentemente non vi aveva
trovato rabbia, frustrazione, impotenza, o tutte quelle sensazioni
in grado di scatenare uno scatto di collera violenta, ma momentanea
e fine a se stessa, come quella di un bambino che scaglia contro
il muro il suo giocattolo preferito perché non funziona più. Vi
aveva trovato una singolare, quasi inquietante determinazione, immersa
in un'atmosfera di calma e consapevolezza. D'un tratto si era reso
conto che le catene che lo avevano tenuto prigioniero in tutti quei
mesi parevano essersi sciolte come d'incanto. La tranquillità, la
prossima pensione, la sicurezza del futuro, tutti quei pesi che
gli avevano impedito di pensare lucidamente e riflettere sulla gravità
di quello che era stato costretto a fare, in nome di un dovere che
era solo un patetico pretesto per sopire la sua coscienza, non esistevano
più. Era stata la loro subitanea sparizione a dargli quel senso
di lievità che sentiva tutt'ora. Era come se avesse camminato tutto
quel tempo con un enorme macigno sulla schiena, fingendo di non
averlo, ma sentendolo ad ogni passo più pesante. E nel momento stesso,
in cui ne aveva ammesso l'esistenza quel peso insopportabile si
fosse dissolto tutto d'un colpo. Adesso, nel silenzio del suo
piccolo appartamento, il poliziotto si toglie il cappotto e si dirige
verso un grande specchio che troneggia sulla parete dell'ingresso,
osservando se stesso riflesso sulla superficie. Il volto, ancora
privo di rughe importanti, ma già appesantito dall'età, la fronte
spaziosa che la linea dell'attaccatura dei capelli, sempre più arretrata,
era ormai impossibilitata a mascherare, la corporatura robusta,
ma tutto sommato non troppo grassa e infiacchita per un ultracinquantenne.
Carruthers si china in avanti fissando bene negli occhi la propria
immagine . "Sono stato uno stupido
e un vigliacco," dice ad alta voce, "e per la mia
stupidità e la mia vigliaccheria mi sono reso complice della morte
di due persone." Ecco fatto. Non c'era voluto
poi molto ad ammetterlo, eh? Non lo faceva sentire ancora a posto,
nè con sé, né con la sua coscienza, ma era un primo passo. Il prossimo
non sarebbe stato altrettanto facile, e di sicuro avrebbe dovuto
essere attentamente meditato. Ballister era molto ben ammanicato
all'interno dei palazzi della politica e una sua denuncia per vie
ufficiali rischiava di finire impantanata chissà dove. No, non avrebbe
proceduto per vie ufficiali. Ma ci avrebbe pensato meglio all'indomani,
dopo una notte di sonno, con la mente più libera dai mille pensieri
di una giornata difficile. Non aveva voglia di guardare
la televisione, ma la mano corre ugualmente al telecomando, e il
salotto si riempie delle immagini e dei suoni di quel pomeriggio,
inframmezzate dai commenti esasperatamente concitati degli speakers,
come la tv moderna comanda, che annunciavano la nuova impresa del
mostro, rilanciando tra le famiglie che nelle loro case in quel
momento si stavano disponendo a cenare, l'angoscia sulla sorte del
piccolo scomparso. Carruthers guarda le inquadrature del servizio
succedersi velocemente sullo schermo. Il luogo del delitto, il lenzuolo
steso a coprire pietosamente il corpo della ragazza, gli agenti
che si affannano ad allontanare giornalisti e curiosi, e due figure,
apparse solo per una frazione di secondo sullo sfondo, ma più che
sufficiente a lui per riconoscerle. Un uomo anziano ed alto, un
po' curvo nell'andatura e una donna bruna, anch'essa alta, ma giovane
e con lunghi capelli raccolti in una coda con indosso un vestitino
poco adatto ad una circostanza simile. Ecco un problema che non poteva
essere risolto con la riflessione, per approfondita che fosse. Che
cosa era accaduto a Jennifer? Perché si era comportata così? Lui
non era uno psicologo, ma non credeva che quello potesse essere
un effetto della crisi depressiva da cui stava uscendo. Niente può
cambiare così radicalmente una persona. Non sembrava più neanche
lei. Perfino lo sguardo... No, che assurdità! Ora era troppo stanco per affrontare
anche questo. Con un gesto secco, Carruthers punta il telecomando
e lo schermo del televisore si spegne rigettando la stanza nella
penombra della sera, appena mitigata dalla luce proveniente dall'ingresso,
e appoggia la testa contro lo schienale del divano, chiudendo gli
occhi. Troppo stanco anche per alzarsi a preparare qualcosa da mangiare.
Rimarrò qui per cinque minuti
a riposare,
pensa, poi mi faro un bicchiere di latte con un toast e me ne
andrò a dormire. Ma la testa gli ciondola da
una parte e il sonno repentino e traditore lo assale improvviso,
e mentre sta scivolando nell'incoscienza due occhi familiari d'un
tratto gli appaiono davanti. Due occhi familiari, ma con uno sguardo
che non è il loro. Un'espressione diversa e tuttavia non del tutto
sconosciuta, come un ricordo lontano ed inafferrabile. Perfino lo sguardo non pare
più il suo,
conclude il concetto la sua mente, un attimo prima di chiudere ogni
contatto con il mondo intorno e sprofondare in un sonno senza sogni. (16 - continua) |
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