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"Nè
demoni o Dei" ROMANZO DI A. SCAGLIONI (8) Carruthers Con un sorriso, la segretaria
si fa da parte per far passare Carruthers all'interno del grande ufficio
del procuratore Ballister. L'uomo seduto alla scrivania dà appena
un'occhiata al funzionario che esita sulla soglia. "Si accomodi,
Carruthers." dice, e poi torna a sfogliare i quotidiani che ha
stesi davanti. Il capitano, senza una parola, si siede su una delle
due poltrone di fronte. Nell'ambiente si diffonde un silenzio gelido
e imbarazzante allo stesso tempo, mentre passano i minuti e Ballister
continua a scorrere i giornali come se il poliziotto seduto di fronte
a lui non esistesse. Una posa, pensa
il poliziotto. Uno dei tanti sistemi del Grande Stronzo per metterlo
a disagio. Scommetto che neanche sta leggendo. Vuole solo farmi
sentire sui carboni ardenti. Cercando di soffocare
la stizza e il nervosismo, Carruthers si limita ad appoggiare la testa
contro l'alto schienale della poltrona e posa le mani sui braccioli
lavorati in legno pregiato, provando a distrarre la mente dall'imminente
colloquio, facendo vagare lo sguardo lungo le pareti riccamente arredate
dello studio fino alle ampie finestre da cui è possibile scorgere
prima dei grattacieli sullo sfondo, le cime degli alberi del vicino
parco. Proprio in quel momento, il rumoroso ripiegamento dell'ultimo
quotidiano gli fa capire che l'attesa è finita. "Allora,
capitano. Che novità ha per me?" Ballister non aveva avuto
neanche bisogno di fare riferimento a quel nome. Il nome che
era stato escogitato dall'Inside View, con scarsa fantasia
forse, ma che era stato rapidamente adottato anche dagli altri giornali
e riviste e nelle conversazioni della gente nei luoghi di ritrovo
e alle fermate dei bus. "Mi dispiace,
signore, ma al momento non abbiamo novità." ammette Carruthers
a mezza bocca. Lo sguardo di Ballister
sembra perforarlo tanto intensamente lo fissa. "Nessuna
novità, eh?" Il procuratore si china in avanti congiungendo le
mani. "Capitano, sono due mesi che l'ho messa a lavorare su questo
caso e da allora abbiamo avuto altri due rapimenti, i giornali ci
sono addosso e noi non abbiamo neanche un indizio di più di quanti
ne avessimo due mesi fa. Spero proprio di non dovermi pentire della
mia decisione." "Signore,
il mio dipartimento, insieme praticamente ad ogni altro dipartimento
della città, fa gli straordinari da settimane, ma non è un compito
facile. Senza contare che gli altri crimini non si sono ridotti nel
frattempo." Carruthers cerca disperatamente
di tenere calmo il tono della voce, ma posare lo sguardo su quel volto
scolpito nel legno con due occhi che lo fissano immobili (Cazzo!
Ma come fa, non batte mai le palpebre?) non lo aiuta molto. "Non l'ho
convocata qui per ascoltare le sue giustificazioni. Quello che voglio
sono fatti, Carruthers. Arresti. Imputazioni. Condanne. Voglio che
quell'individuo, chiunque sia, sieda sul banco degli accusati al massimo
entro un mese. Non mi faccia credere che con tutti i mezzi di cui
disponiamo, un maniaco rapitore di bambini possa farsi beffe di noi." "Io faccio
tutto quello che posso e così la mia squadra, ma in realtà non sappiamo
niente di questo... Ogre. Non sappiamo neanche se esiste davvero.
Non abbiamo trovato alcun indizio in questo senso. Niente vieta di
pensare che questi rapimenti possano anche non aver alcun collegamento.
In fondo sono avvenuti in luoghi della città distanti tra loro e..." "Carruthers!" Il procuratore batte con
forza la mano sul piano della scrivania e quest'improvvisa esplosione
di vitalità in quella specie di monumento di pose studiate e frasi
calcolate, fa sobbalzare il poliziotto. Ballister si alza da dietro
la sua scrivania e con passo lento si porta davanti alla grande finestra,
voltando le spalle all'interdetto capitano. "Tutte queste cose
le so benissimo, ma ormai siamo vicini alle elezioni e io non posso
permettermi passi falsi. Siamo riusciti in qualche modo a neutralizzare
quella pazza scatenata e non permetterò ad un maniaco pervertito di
mettere a rischio la mia rielezione." Carruthers tace, conscio
che il procuratore doveva essersi lungamente preparato a quel monologo
ed era intenzionato a recitarlo fino in fondo. I suoi interventi non
erano previsti. "Lei ha condotto
molto bene le indagini nel caso dell'Amazzone. Devo inoltre
elogiarla per il modo in cui è riuscito a tenere sotto controllo i
giornali, e la sua promozione è il giusto premio ad una carriera brillante
e con notevoli risultati." sottolinea Ballister quasi casualmente,
ma Carruthers sa che non c'è mai nulla di casuale in quello che dice.
"Ma in questa vita noi siamo continuamente messi alla prova"
e così dicendo, il procuratore torna a voltarsi verso di lui "e
i risultati conseguiti, per ottimi che siano, una volta raggiunti,
devono essere accantonati. Ogni giorno dobbiamo tirarci su
le maniche e ricominciare da capo, perché ciò che conta, che conta
veramente, sono quelli ancora da conseguire. Quindi" e Ballister
torna a sedere alla sua scrivania "bando alle chiacchiere, riponga
meriti ed onori nel cassetto e si concentri sul suo attuale obiettivo.
Conto su di lei." La mano tesa del procuratore
resta per un attimo sospesa nel vuoto verso il poliziotto che la guarda,
mentre un fremito d'indecisione passa nei suoi occhi. Poi Carruthers
si alza dalla poltrona e stringe la mano di Ballister. "Certamente, signore.
Farò tutto il possibile per non deluderla." "Ecco, bravo. Faccia
anche l'impossibile, ma mi porti dei risultati, Carruthers. Voglio
fissare il processo di quel mostro per il mese prossimo." E con queste parole, il
procuratore, senza più uno sguardo verso il poliziotto, torna ad occuparsi
degli incartamenti davanti a lui. "E' tutto, capitano.
Può andare." Con un cenno del capo,
che Ballister non può vedere, Carruthers si gira e si dirige alla
porta sentendosi d'improvviso addosso tutti i suoi anni.
(9) Xena e Olimpia
Un lampo nelle tenebre
dell'incoscienza. Un volto di donna che le sorride. Un sorriso dolce
e triste ad un tempo e due occhi in cui rimpianto e malinconia s'inseguono
senza soluzione. Le sue labbra si muovono, ma le parole sono sussurrate
a voce troppo bassa per essere udibili. E poi un'altra voce che in
distanza chiama il suo nome in tono di crescente allarme, una mano
calda con tocco delicato le percorre la guancia, richiamandola faticosamente
alla realtà, mentre il volto scompare nel buio che l'aveva generato. "Olimpia!" "Xena." riesce
a dire in un soffio. "Piano. Non fare
gesti improvvisi. Cerca di alzarti lentamente." le dice Xena,
aiutandola con cautela a sollevare la schiena. "Tutto bene? Qualche
giramento di testa?" "No." risponde
lei, tirandosi su con prudenza. "Non è esattamente la testa quella
che mi gira." Con l'aiuto della compagna
si solleva sulle gambe, sostenendosi contro il bordo ruvido del tavolo,
e il suo sguardo ancora impastato dallo stordimento corre subito al
letto vuoto. "Xena! Dov'è Sarah?" La Principessa Guerriera
la guarda con tristezza, mentre i suoi occhi ancora la scrutano con
preoccupata attenzione, alla ricerca di sintomi di qualche possibile
problema, ma a parte un piccolo taglio sulla fronte e un evidente
bernoccolo sulla nuca che le sue mani esperte hanno già individuato,
non paiono esserci danni maggiori. "E' giù, nel cortile
sotto la nostra finestra." Gli occhi di Olimpia si fissano su
di lei interrogativamente, ma il tono di Xena non lascia spazio ai
dubbi. "Non potrà più raccontarci nulla." Con un moto di rabbia,
Olimpia tira un pugno all'aria, ma un'immediata fitta alla testa la
dissuade subito da altri gesti del genere. "Maledizione! Che
stupida sono stata! Non avrei dovuto perderla di vista neanche per
un attimo." Si appoggia al tavolo sconfortata. "Ma volevo
solo sciacquarmi un po' il viso." Xena le posa una mano
sulla spalla, cercando di consolarla. "Non è colpa tua.
Non prendertela. E' stata più colpa mia. Avrei dovuto pensare che
potesse capitare. In quello stato..." "Xena, no!"
L'esclamazione di Olimpia,
secca come una frustata, la costringe ad interrompere la frase ed
a fissare perplessa il volto della compagna. "Se vuoi dire che
si è gettata giù da sola, ti sbagli." Ora lo sguardo di Olimpia
è di nuovo acuto e privo di qualunque appannamento. "C'era qualcun
altro qui." dice. "Qualcun altro?
Chi?" "Non lo so, ma
quando sono stata colpita, Sarah era fuori combattimento, quindi non
può essere stata lei." risponde la ragazza fissando con decisione
la compagna. "Ne sono certa." "Raccontami esattamente
quello che è accaduto." "Beh" comincia
Olimpia cercando di ignorare l'atroce mal di testa che le si ripercuote
in una specie di sibilo nelle orecchie "le avevo appena rimesso
il panno umido sulla fronte e sono andata verso il catino dell'acqua
per sciacquarmi il viso, quando lei si è svegliata. Pareva stravolta,
fuori di sé, ha urlato qualcosa su sua figlia e mi è saltata alla
gola. Io ho cercato di calmarla, ma lei sembrava posseduta, stringeva
sempre più forte e quindi ho dovuto... colpirla. E' andata subito
giù come un sacco vuoto e io mi stavo appena rialzando che ho sentito
qualcosa alle spalle... e poi...no... non ricordo altro." Per un attimo, una frazione
di secondo troppo breve per poter essere registrata consciamente,
aveva avuto la sensazione di ricordare qualcos'altro,
un viso triste, un viso di donna, ma quell'impressione era stata così
istantanea da svanire nel momento stesso in cui le era apparsa nella
mente, e Olimpia l'accantona immediatamente. Aveva già fin troppo
a cui pensare, senza contare quel mal di testa e la stanza che aveva
cominciato a girare intorno a lei. Traballando, la ragazza fa due
passi alla sua destra e si lascia cadere sulla sedia vicina. Subito
Xena le è accanto. "Ehi, tutto bene?" Olimpia riesce a mettere
insieme un sorriso per la sua compagna che la guarda apprensivamente. "Sì." dice
accarezzandole la guancia. "Non preoccuparti. Mi riprenderò subito.
E' stata solo una brutta botta." Xena le solleva le palpebre,
esaminandola con grande attenzione. "Per fortuna, le
pupille sembrano in ordine." dice con un sospiro di sollievo.
"Hai la testa dura, eh?" aggiunge sfiorandole la fronte
con le labbra. "Se non lo sai
tu..." risponde Olimpia. Xena sorride e le prende
il volto tra le mani fissandola attentamente. "Allora... davvero
non ricordi altro?" Olimpia esita ancora
un momento come se fosse sull'orlo di un ricordo, poi affloscia le
spalle e scuote la testa. "No, niente."
Di nuovo esita. "A parte..." Xena attende che la
compagna prosegua la frase, ma Olimpia si blocca. "A parte che?" "Niente."
Olimpia si rialza e percorre la stanza per qualche passo, notando
con soddisfazione che il malessere che l'aveva colta pochi momenti
prima sembra essere scomparso. "Non credo che c'entri niente
con quello che è successo. Deve essersi trattato di un sogno." Xena continua a fissarla
perplessa e proccupata. "Sei certa di stare
bene?" "Sto benissimo.
Ho solo un gran mal di testa, ma è tutto a posto." In quel momento, un
boato esplode nella stanza e la porta si spalanca violentemente andando
a sbattere contro la parete, mentre Acros e Tiros entrano come due
furie, seguiti dai due tirapiedi del Capo del Consiglio. "MALEDETTE
STRANIERE!" tuona Acros, puntando l'indice
contro le due donne con aria minacciosa. "Per colpa vostra
mia sorella è morta!" gli fa eco Tiros un passo più indietro. "Se mi aveste ascoltato,
ora quella poveretta sarebbe ancora viva." continua a gridare
Acros, agitando scompostamente le braccia. E quel gesto sembra aizzare
i suoi due accompagnatori, oltre ad un nutrito gruppo di curiosi ammassati
sulla soglia della stanza che adesso inveiscono confusamente. "Era
chiaro che cercava solo un'occasione per togliersi la vita." "Piantala, Acros."
La voce di Xena è calma, ma gelida e foriera di minaccia. "Sarah
non si è uccisa. Qualcuno l'ha gettata dalla finestra." "Che cosa?!?"
Lo sbalordimento nella voce del vecchio sembra quasi genuina. "Volete
liberarvi delle vostre responsabilità scaricandole addosso a qualcun
altro, eh?" Ottima recita, buffone,
pensa Xena, sorridendo mentalmente,
ma sprecata per questo branco di idioti che pendono dalle tue labbra. "Che razza di storia
è questa?" Adesso è Tiros a farsi avanti e in qualche modo la
sua sorpresa sembra più credibile. Xena si avvicina alla
finestra, incurante della massa furiosa di persone alle sue spalle,
mentre Olimpia le tiene d'occhio impugnando uno dei suoi sai
e il suo sguardo è sufficiente a tenere a distanza gli invasori comunicando
loro senza bisogno di parole che non avrebbe problemi ad usarlo. "All'inizio non
ci avevo fatto caso neanch'io, ma le unghie di Sarah sono spezzate
e insanguinate, come se avesse cercato disperatamente di aggrapparsi
a qualcosa di ruvido e duro, e questi graffi" e la guerriera
indica delle tracce scure sul bordo della finestra "spiegano
molto." Tiros si avvicina e
si china a sua volta osservando attentamente le tracce che Xena sta
esaminando. "E quando fosse?"
chiede la voce di Acros alle loro spalle. Quindi il Capo del Consiglio
si volta verso la piccola folla radunata sulla porta. "Forse
è proprio così. Forse ci stiamo sbagliando. Forse" e il suo tono
scende, mentre pronuncia le parole con solenne gravità "la colpa
di queste due straniere è più precisa e più grave di quanto pensassimo." "Cosa?" Olimpia
stringe istintivamente le dita intorno all'elsa del pugnale. "Perché avete preteso
di portarla nella vostra stanza per curarla?" chiede Acros, avvicinandosi
alla ragazza e fissando uno sguardo di fuoco du di lei. "E perché
avete voluto restare sole, eh?" "Di che cosa stai
parlando?" Olimpia arretra involontariamente di un passo davanti
alla figura imponente del vecchio, e questi ne approfitta per incalzarla. "Questo è un villaggio
di gente onesta e proba. Noi non condividiamo i costumi perversi e
licenziosi di Atene. Confessate!" urla quasi Acros levando una
mano sulla testa, mentre contemporaneamente il brusio della gente
che adesso sta sempre più affluendo nella stanza aumenta di volume.
"Confessate di aver cercato di abusare di quella povera demente,
approfittando del suo stato e, quando lei si è ribellata
alle vostre voglie, l'avete uccisa!" "Acros." senza
alzare il tono della voce, Xena avanza in mezzo al gruppo e si pianta
di fronte all'uomo. "O tu sei completamente pazzo o hai uno scopo
per lanciare queste accuse assurde." "Assurde?!ASSURDE?!?"
Con tutto il peso della sua autorità imperiosa, Acros punta
il dito verso il letto sfatto. "Guardate! Guardate tutti! Queste
due donne copulavano nello stesso letto! Due amanti, due tribadi,
due esseri guidati dal vizio e dalla perversione. Tindaro! Non puoi
tu confermare che hanno voluto espressamente una stanza con un solo
letto? E tu" e il suo indice punta ora verso Tiros "non
hai forse visto con i tuoi stessi occhi la straniera toccare tua sorella
nelle parti intime?" Tiros fissa Xena senza
parlare, mentre il piccolo locandiere che in quel momento darebbe
qualunque somma per poter sprofondare nel pavimento, sentendo gli
sguardi di tutti su di sé, fa un rapidissimo, quasi impercettibile,
cenno d'assenso e si ritira ancor più velocemente confondendosi alla
vista tra la piccola folla formatasi alle sue spalle. Olimpia che è stata
ad ascoltare fino a quel momento ancora un po' stordita e con i riflessi
rallentati dalla botta subita, mentre la voce stentorea di Acros le
rimbombava nel cervello accentuando il dolore alla testa, si avvicina
lentamente a Xena che è rimasta al centro della stanza, fissando l'anziano
consigliere e calcolando mentalmente le possibilità di allontanarsi
senza dover far del male a nessuno. Ma il numero di persone sulla
porta è aumentato progressivamente, attirato evidentemente dalle urla,
e passarci attraverso senza ferire qualcuno è praticamente impossibile.
Inoltre l'atteggiamento della folla sta diventando di attimo in attimo
sempre più aggressivo sulla spinta delle accuse di Acros e quindi
Xena decide di utilizzare l'unica uscita praticabile. "Ascoltate, tutti
voi." La guerriera alza il braccio in una posa simile a quella
del vecchio, aumentando il tono della voce per superare il vocìo ora
quasi assordante nella stanza. "Le accuse di quest'uomo sono
false e io credo che le stia facendo per evitare che qualcuno possa
chiedersi dov'erano lui e i suoi uomini al momento della morte di
Sarah." Le parole di Xena sembrano
scuotere per un momento i presenti che si arrestano per l'attimo necessario. "Come osi, tu...?"
comincia a dire Acros, ma il vecchio ha appena aperto la bocca che
Xena afferra per la vita Olimpia, tenendola stretta a sé, e presa
al volo con l'altra mano la loro sacca, con un balzo felino salta
oltre la finestra, compiendo nell'aria una perfetta capriola e atterrando
in piedi nel cortile a poca distanza dal cadavere ancora là disteso.
Appena toccata terra, Olimpia, abituata dalla sua vita al fianco della
guerriera ad afferrare al volo le situazioni, lascia la presa dal
collo di Xena e presa la rincorsa insieme le due donne spariscono
rapidamente nella boscaglia circostante, mentre le grida e le voci
alle loro spalle si fanno sempre più concitate. Davanti alla finestra,
ancora una volta, Acros solleva le braccia in tono autoritario. "Lasciatele andare!"
grida. "Guardate in che direzione stanno scappando. Il loro destino
è segnato." E poi a voce più bassa ai suoi due accompagnatori,
con un sorriso maligno. "Forse ci hanno risolto da sole il problema."
(10) Croft
Con un gesto di esasperazione,
Brian Croft spenge lo schermo del PC e si abbatte all'indietro sulla
poltroncina, sfregandosi energicamente gli occhi stanchi e arrossati.
Lo sguardo va all'orologio digitale sul tavolinetto accanto. Quasi
mezzanotte e mezzo. E' rimasto con gli occhi incollati allo schermo
luminoso per oltre tre ore e, ancora una volta, non è riuscito ad
individuare un minimo indizio a cui aggrapparsi. Cheryl Cooper era una
donna meticolosa, una seria professionista che, una volta abbracciata
la sua nuova carriera di reporter per l'Inside View,
vi aveva messo lo stesso impegno e la stessa energia che l'avevano
contraddistinta nei suoi anni al Tribune attraverso
tutte le sue inchieste sulle mafie internazionali, i traffici di droga,
di esseri umani e quant'altro, ed era passata dagli intrighi politici
e criminali alle indagini sugli UFO con la massima disinvoltura. Durante
la sua permanenza al Tribune si era fatta sicuramente fior di nemici.
Gente che probabilmente avrebbe impegnato volentieri ingenti somme
pur di togliersela di torno per sempre. Ma dopo il suo cambiamento
di rotta così improvviso (con grandi sospiri di sollievo, immaginava,
di numerosi personalità politiche nazionali ed internazionali a cui
era riuscita a fare davvero paura), la sua vita si era mossa su binari
tutto sommato tranquilli, per cui la sua morte aveva colto tutti di
sorpresa. A cominciare da lui. Brian aveva seguito
con occhio un po' distratto le indagini di Cheryl sull'Amazzone.
In realtà non riusciva a capire cosa la donna trovasse di interessante
in quel caso così inverosimile, ma gli piaceva lavorare con lei. Gli
era piaciuta fin dal primo momento. Una donna bellissima, alta, perfino
un paio di centimetri più di lui, capelli neri che teneva legati sulla
nuca in una severa crocchia, ma che s'indovinavano lunghi e che lui,
tranne che in un'occasione, non aveva mai visto acconciati in altro
modo. Due occhi di un azzurro intenso, solo parzialmente nascosti
da un paio di lenti piccole da vista, che sospettava non le servissero
davvero, che formavano un contrasto affascinante con la carnagione
quasi da latina. Non era trascorsa una settimana dal suo arrivo al
View,
che un paio di suoi colleghi particolarmente intraprendenti, avevano
cominciato a provarci, ma le loro avances
erano state facilmente respinte al mittente dalla donna che si era
rapidamente guadagnata il nomignolo di Miss Freezer nei
vari piani dell'edificio. Lui non era d'accordo. Riusciva a sentire
che sotto quell'atteggiamento rigido e distante, bruciavano intense
passioni e fuochi ardenti, a malapena tenuti sotto controllo. In realtà non aveva
mai ben capito per quale ragione Cheryl avesse abbandonato il Tribune
e una carriera ben lanciata (si parlava di lei come prossima anchorwoman
in uno dei tre canali nazionali che già avevano cominciato a contendersela)
per seppellirsi nella redazione dell'Inside View.
Aveva sentito parlare di un incidente molto grave avuto in Medio Oriente,
uno scontro a fuoco in cui per poco non era rimasta uccisa nel corso
di un'inchiesta su un traffico di droga e chissà di che altro, in
cui risultavano coinvolte importanti cariche politiche internazionali,
che le autorità locali di comune accordo con le intelligences
avevano deciso di mantenere segreto, ma non aveva mai osato chiederle
niente e Cheryl d'altronde non gliene aveva mai fatto cenno. Nemmeno
la sera, l'unica sera, in cui avevano finito la loro intensa giornata
di lavoro nell'appartamento di lei e più precisamente tra le lenzuola
del suo letto. In quel limitato spazio
di tempo, Brian aveva potuto rendersi conto con mano di quanto le
sue impressioni corrispondessero a verità. Cheryl si era dimostrata
un vulcano. Era stata passionale, intensa, famelica quasi. Si era
liberata velocemente degli abiti, strappandogli quasi di dosso i suoi,
e sciolti finalmente i capelli, che le ricadevano morbidi come un
nero manto lungo la schiena e sui seni, aveva dato inizio alla più
intensa esperienza sessuale che Brian avesse mai avuto. Ne era uscito
totalmente spompato ed entrambi erano caduti al termine in un sonno
profondo. Ma il mattino dopo, quella vorace macchina del sesso era
svanita come se non fosse mai esistita. Al suo risveglio, Brian l'aveva
trovata già vestita, con i capelli perfettamente a posto e pronta
per recarsi al lavoro. Aveva raccolto i suoi abiti dalla sedia su
cui erano stati gettati disordinatamente la sera prima e l'aveva raggiunta
in cucina dove avevano consumato una breve colazione. Lei gli aveva
fatto un discorso quasi altrettanto breve, il cui senso in estrema
sintesi era il seguente: "E' stato bello.
Ne avevo bisogno, grazie. Ma la cosa finisce qui." Brian
non aveva nemmeno provato a ribattere. Il tono di voce di lei non
mostrava crepe a cui aggrapparsi, neanche ad un tipo caparbio come
lui, e all'istante seppe che le cose stavano esattamente così. Cheryl non parlò mai
più, neanche per accenni, alla loro notte insieme, e quando ci provava
lui, il discorso veniva seccamente chiuso senza esitazioni. Non gli
chiese mai di non dire a nessuno di quanto era accaduto fra loro,
ma lui comunque in onore ad un tacito patto, non lo avrebbe fatto
comunque, limitandosi a sorridere amaramente tra sé quando qualcuno
parlava di Miss Freezer o
insinuava che fosse dell'altra sponda. Col passare dei mesi,
Brian si era reso conto che l'unico reale interesse di Cheryl, o Coop
come aveva cominciato a chiamarla stando ben attento a farlo quando
non poteva sentirli nessuno, era il suo lavoro, la sua carriera a
cui aveva ricominciato a dedicarsi anima e corpo per recuperare anche
tra il suo nuovo pubblico quella popolarità che aveva raggiunto al
Tribune,
e ce l'aveva quasi fatta. Le sue inchieste avevano rapidamente conquistato
i lettori abituali del View (ad una recente stima
oltre sessanta milioni di copie vendute nei soli Stati uniti), ma
avevano ottenuto anche lo scopo di attrarre qualche altro milione
di lettori occasionali, attirati dalla fama e dalla serietà professionale
di Cheryl. Nonostante la scarsa credibilità di cui godeva in generale
la pubblicazione, l'opinione comune era che se ad occuparsene era
Cheryl Cooper, qualcosa di vero doveva esserci. E poi era arrivata l'inchiesta
sull'Amazzone.
A differenza di altre, Cheryl non gliene aveva mai parlato, dal che
Brian aveva dedotto che non la ritenesse particolarmente interessante,
ma nel corso di quelle settimane, la donna aveva preso l'abitudine
di rinchiudersi per ore nel suo ufficio, rendendo ancor più clamoroso
ai suoi occhi quell'atteggiamento di distacco da tutto e da tutti
che aveva evidentemente scritto nel suo DNA. E se gli altri colleghi
non ci facevano molto caso, classificandolo solo come un ulteriore
progresso nella sua posa snobistica da star,
Brian che, all'insaputa di tutti, la conosceva meglio di ogni altro,
non poteva non notarlo. La verità era però che per certi versi quell'atteggiamento
gli tornava utile in quel momento. Quella notte di sesso con lei,
non era passata senza lasciare segni. Si era ritrovato nelle settimane
successive a pensare a Cheryl nei momenti più inopportuni, e vederla
e parlarle, sapendo che ciò che era stato non avrebbe più potuto essere,
stava rapidamente diventando un supplizio, per cui
aveva deciso di limitare al massimo i loro contatti. E quello
che prima di quella notte era stata potenzialmente una bella amicizia,
si era trasformata almeno esternamente in poco più di un semplice
rapporto di lavoro. Si incrociavano talvolta nel vicino locale dove
quasi tutti gli impiegati del View
andavano a mangiare, ma se potevano, sedevano a tavoli diversi e anche
in quei casi in cui incontrarsi diventava inevitabile, tutto era mantenuto
su un piano di cortesia e composta professionalità. Brian si era chiesto
più di una volta se anche per lei, dietro quello sguardo gelido e
indifferente, quell'incontro di una sola notte avvesse significato
di più di quanto volesse ammettere, ma visto dove pensieri di quel
genere potevano portarlo, aveva presto smesso di chiederselo. Finché
non era avvenuta la tragedia. Brian era stato svegliato
in piena notte da Roger Finnies, il capo redattore precedente, un
uomo anziano, già molto malato che nemmeno un mese dopo sarebbe a
sua volta morto per un infarto. All'inizio non riusciva neanche a
capire bene le parole concitate di Roger, che gli arrivavano frammiste
a profonde e accellerate inalazioni d'aria. Ancora con il cervello
confuso, nelle nebbie a metà tra sonno e risveglio, aveva chiuso la
mente al pensiero, si era vestito in fretta ed era corso all'indirizzo
di Cheryl. Era arrivato appena in tempo per vedere il sinistro furgone
nero della morgue allontanarsi
con il suo triste carico. Oltre la vetrina del
bar accanto all'edificio aveva scorto Scott Broady, il collega che
avrebbe dovuto incontrare Cheryl per un appuntamento di lavoro. L'uomo
sembrava piuttosto sconvolto e mentre si versava l'ennesimo bicchierino
con mano visibilmente tremante, gli aveva fatto un rapido sunto dell'accaduto. Avrebbe dovuto vedersi
con Cheryl, dopo l'orario d'ufficio per discutere di un articolo che
avevano in preparazione e per scegliere le foto con cui illustrarlo,
ma lei non si era presentata. Lui aveva cercato di rintracciarla al
suo numero privato e a quello del suo ufficio al giornale, ma senza
risultati. Preoccupato, allora Scott era andato direttamente al suo
indirizzo. La porta dell'appartamento era appena accostata. Accanto
alla maniglia aveva scorto quasi senza rendersene conto una macchia
scura che conservava un po' confusamente la forma di una mano. Col
cuore che gli batteva a mille, aveva spinto la porta, ma aveva trovato
subito un ostacolo che gli impediva di spalancarla. Aveva allora infilato
la testa per quel poco che poteva all'interno e il suo sguardo era
subito corso al suolo. Là, immediatamente dietro la porta socchiusa,
con un piede allungato contro la porta stessa, c'era riverso il corpo
di una donna immerso in un lago di sangue. Anche se i lunghi capelli
scuri le erano caduti sul volto nascondendone i tratti, Scott non
aveva avuto dubbi neanche per un attimo sulla sua identità. Al racconto del collega,
Brian non si era sentita addosso quell'eccitazione che prendeva quasi invariabilmente ogni reporter
quando si trovava di fronte ad un caso esplosivo come quello, ma stranamente
svuotato, e l'unico pensiero assurdo che gli aveva attraversato la
mente era che a Cheryl non avrebbe fatto piacere che qualcuno la vedesse
in quello stato, con i vestiti sporchi di sangue e i capelli in disordine.
Non aveva un ricordo
chiaro dei giorni seguenti. Rammentava vagamente di aver lavorato
quasi meccanicamente, seduto alla sua scrivania a preparare articoli
per cui non provava alcun interesse. Non riusciva a conciliarsi con
l'idea che Coop
non fosse più nell'ufficio a due porte dal suo, a battere freneticamente
sulla tastiera del suo computer, con la scrivania ingombra di fogli
e floppy
disk, e con un panino grondante di senape
e la solita lattina di Sprite
o Seven Up, lasciati in un angolo
in attesa che l'indaffaratissima occupante della stanza trovasse una
pausa di tempo per rifocillarsi. Due notti dopo, Brian
si era trattenuto al lavoro più a lungo del necessario e quando era
stato sicuro che almeno a quel piano non ci fosse più nessuno, si
era introdotto nell'ufficio di Cheryl. La polizia era già stata a
visitarlo poche ore dopo il delitto ed aveva portato via tutto ciò
che riteneva utile alle indagini, quindi lui non pensava di poterci
trovare più niente d'interessante. Aveva utilizzato una seconda chiave
che possedeva fin dai tempi del precedente inquilino di quell'ufficio,
che gliel'aveva affidata in caso avesse avuto bisogno di qualcosa
in sua assenza e che lui aveva sempre dimenticato di restituire. Quando
poi quell'ufficio era diventato di proprietà di Cheryl Cooper, la
dimenticanza aveva acquistato d'improvviso un nuovo significato e
lui aveva conservato quella chiave, ma in realtà, ripensandoci ora,
non avrebbe più saputo dire bene perché.
Una volta all'interno,
gli occhi di Brian si erano immediatamente abituati al buio quasi
completo e il suo sguardo era corso alla poltrona vuota dietro alla
scrivania. Un fiume di ricordi gli aveva d'un tratto invaso la mente
e aveva avvertito con stupore un bruciore sospetto agli angoli delle
palpebre e un'altrettanto improvvisa difficoltà ad inghiottire. Aveva
fatto alcuni passi in quella direzione fino a raggiungere la lampada
e a far scattare il pulsante per l'accensione. Immediatamente una
luce morbida, ma abbastanza potente, si era diffusa nella stanza. Sulla scrivania spiccava il vuoto
lasciato nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il computer, portato
via insieme al resto dalla polizia. Con la mente occupata
da flussi di pensieri troppo caotici per potergli dare un ordine,
Brian si era seduto sulla poltrona e aveva abbandonato la testa contro
l'alto schienale. Quante volte, passando davanti a quell'ufficio,
l'aveva scorta in quella posizione, la testa all'indietro, gli occhi
chiusi su un volto calmo e rilassato, come assopita, ma Brian sapeva
che dietro quelle palpebre chiuse si muoveva un cervello ben desto
e in perenne attività. A volte si fermava ad osservarla, per non più
di qualche istante o lei se ne sarebbe accorta, e lasciava che quella
visione gli riempisse gli occhi. La fronte alta e liscia, le sopracciglia
sottili e perfettamente disegnate, il naso regolare e proporzionato
e le labbra lievemente serrate sotto un leggero strato di rossetto.
Il tutto su una carnagione perfetta, non alterata da trucco o fondotinta.
Un paio di volte, nel bel mezzo di quella disamina, lei aveva spalancato
gli occhi all'improvviso e puntato quello sguardo di un azzurro snervante
verso lui, interrogativamente, ma Brian aveva sempre avuto la presenza
di spirito di entrare con la massima disinvoltura per parlarle dell'ultimo
articolo su cui stavano lavorando o per mostrarle le bozze appena
giunte dalla stampa. Per cui pensava (sperava) che lei non avesse
mai capito cosa stesse facendo sulla soglia del suo ufficio. La mente ancora invasa
dai ricordi, la sua mano era scivolata distrattamente lungo la morbida
pelle della poltrona nella stretta fessura dell'imbottitura tra il
bordo del sedile e il bracciolo e con la punta delle dita aveva d'un
tratto incontrato un qualcosa di freddo, duro e arrotondato. Probabilmente
una moneta, aveva subito pensato, ma poi i suoi polpastrelli avevano
individuato un anellino e un'altra piccola forma sottile e anch'essa
metallica. A quel punto, l'aveva colto improvvisamente un'idea e raddrizzatosi
sulla poltrona, vi aveva infilato più profondamente le dita fino a
che non era riuscito ad afferrare ed estrarre l'oggetto. Era una piccola
chiave come quella delle cassette di sicurezza delle banche o degli
uffici postali. La targhetta metallica che vi era attaccata per l'anello
riportava incisa la scritta "C&T Bank"
e più sotto "G.O.",
accompagnata da un numero a sei cifre, 887583. Brian era rimasto per
lunghi momenti a fissare la chiavetta nel palmo della sua mano, mentre
nel suo cervello ai ricordi si erano improvvisamente sostituiti mille
interrogativi. Cosa poteva significare quella chiave? Era chiaramente
quella di una cassetta di sicurezza, ma perché Cheryl l'aveva nascosta
nell'imbottitura della poltrona? O vi era semplicemente finita per
caso? Comunque fosse era sfuggita alle ricerche della polizia, a quanto
pareva, e non sarebbe stata una cattiva idea l'indomani controllare
a quale agenzia bancaria corrispondesse. In quel momento, un
rumore l'aveva strappato ai suoi pensieri. Dei passi lungo il corridoio,
ancora distanti, porte che si aprivano per richiudersi subito dopo.
Brian aveva intascato velocemente la chiave,
spento la lampada e si era affrettato ad alzarsi, posizionandosi
nel punto più buio della stanza. I passi erano proseguiti fino davanti
alla porta dell'ufficio di Cheryl, poi si erano interrotti, come se
la persona dall'altra parte, si stesse chiedendo se entrare o no,
quindi, con suo grande sollievo, li aveva sentiti allontanarsi verso
l'ascensore. L'inconfondibile scorrimento delle porte gli aveva segnalato
che l'intruso, probabilmente il guardiano notturno appena entrato
in servizio, che a intervalli regolari controllava l'ala del palazzo
che solitamente di notte restava deserta, se ne era andato. Evidentemente
aveva ritenuto superfluo controllare un ufficio perquisito e svuotato
dalla polizia. Approfittando del momento favorevole, Brian era uscito,
guardandosi intorno con circospezione. Se fosse stato trovato lì,
avrebbe potuto inventarsi facilmente qualcosa senza destare particolari
sospetti, ma chissà perché preferiva che la sua visita nell'ufficio
di Cheryl Cooper restasse un segreto. Con la piccola chiave
al sicuro nella tasca interna della sua giacca, dove gli sembrava
che avesse acquistato un peso ben superiore alle sue dimensioni, era
uscito guardingo dalla stanza e dopo essersela richiusa alle spalle
con la solita doppia mandata che dava Cheryl, aveva imboccato la vicina
tromba delle scale e guadagnato facilmente l'uscita senza essere visto. Giunto al suo appartamento,
aveva gettato in un angolo il soprabito ed estratta dalla tasca la
chiave aveva cominciato ad esaminarla più accuratamente. Era una comunissima
chiave da cassetta di sicurezza. Se non avesse avuto la targhetta
attaccata non avrebbe avuto una possibilità su un milione di rintracciarne
la provenienza. "C&T Bank", aveva riletto, riflettendo. Così, a
tutta prima, non rammentava di averla mai sentita. Il "G.O."
sotto, invece non poteva significare altro che
General Office. Qualunque banca fosse, si trattava della
sede principale, e il numero ovviamente si riferiva a quello della
cassetta in questione. Quindi aveva raggiunto
lo scaffale accanto al telefono e presa la grossa guida telefonica
che vi giaceva sopra, l'aveva sfogliata attentamente e, nelle molte
pagine dedicate alle banche cittadine, alla lettera C,
un riquadro pubblicitario gli era saltato subito con evidenza agli
occhi.
Commercial and Trading Bank La banca a misura dei vostri risparmi - Per
ogni genere di prestito, mutuo, investimento ai migliori interessi
di mercato - Noleggio cassette di sicurezza
- Massima discrezione
Seguiva l'indirizzo
di tre agenzie tra cui quella centrale, situata in una strada secondaria,
abbastanza distante da casa sua, ma a pochi isolati dalla sede del
giornale. Brian aveva scorso per scrupolo la lista di tutte le banche,
senza trovarne altre che potessero corrispondere altrettanto bene
alle caratteristiche richieste. Doveva trattarsi per forza
di quella. Aveva richiuso con un tonfo il grosso volume, lasciandolo
cadere accanto alla poltrona su cui era seduto, continuando ad osservare
fissamente la chiave che teneva stretta in mano, come se avesse temuto
che abbandonandola anche solo per un attimo, avrebbe potuto sparire
misteriosamente come era apparsa. Quel piccolo oggetto era tutto quanto
gli restava di Cheryl, a parte i suoi ricordi, ed era deciso a non
mollare quel tenue, sottilissimo filo che il destino gli aveva messo
nelle mani per vedere dove lo avrebbe condotto.
Così, il giorno dopo
di buon mattino, si era presentato alla sede centrale della "C&T
Bank". Si era preparato una serie di risposte,
se qualcuno gli avesse chiesto come mai la signorina Cooper non si
era recata personalmente a prelevare il contenuto della cassetta di
sicurezza, ma con sua leggera sorpresa e sollievo, non ce ne era stato
bisogno e senza domande era stato scortato nel deposito sotterraneo.
Evidentemente, aveva pensato, la massima
discrezione era una qualità presa molto sul serio
in quella banca. Rimasto solo, una volta
in possesso della cassetta, ne aveva rapidamente controllato il contenuto,
scartando subito un paio di sacchetti contenenti gioielli e una mazzetta
di banconote (a occhio circa ottomila dollari) per puntare immediatamente
un contenitore di plastica per floppy disk
e sotto di questo una cartelletta piuttosto rigonfia. Lanciando un'occhiata
all'impiegato rimasto fuori dal caveau con
la schiena voltata (massima discrezione,
naturalmente),
Brian aveva velocemente infilato il contenitore quasi pieno
e la cartella all'interno di un capace zainetto che si era portato
per prudenza, e aveva richiamato l'attenzione dell'uomo perché riponesse
la cassetta al suo posto. Quella stessa sera,
nel chiuso del suo appartamento (non si era fidato di farlo al giornale),
Brian aveva cominciato ad esaminare i dischetti e il materiale cartaceo
nella speranza che potesse contenere un qualche indizio sulle ragioni
della morte di Cheryl. Ma qualunque cosa si fosse aspettato di trovare
in quei dossier
era rimasto fortemente deluso. Tutta la documentazione (non molta
in verità, aveva notato con un pizzico di curiosità Brian, ma sempre
molto più di quanto ricordasse di aver letto sul View)
sembrava vertere unicamente sulle imprese della cosiddetta Amazzone
e su ogni possibile informazione o dato, chiaramente ripreso da internet,
sulla storia e la mitologia dell'antica Grecia. Davanti ai suoi occhi
stupefatti, passavano testi ed immagini su antichi miti come il minotauro,
i ciclopi, i giganti e su eroi, il cui ricordo si era ormai fuso nella
leggenda al punto da non esserne più districabile: Achille, Ettore,
Menelao, Ulisse. Dopo aver esaminato
i files e le stampe, suo malgrado affascinato,
fino a perdere quasi la nozione del tempo, Brian stava per riporre
il tutto, ormai scoraggiato. Che cosa mai poteva esserci di così importante
tra quella roba da aver indotto una donna pratica, quasi pragmatica,
come Cheryl a metterla in una cassetta di sicurezza di una banca? Con un sospiro, Brian
aveva cominciato a raccogliere tutte le stampe sparse sul divano e
il pavimento del suo salotto, dove erano finite di volta in volta
mentre le leggeva, quando una parte del suo cervello aveva deciso
finalmente di fargli notare qualcosa che aveva già visto più volte,
ma sulla quale, nella frenesia della ricerca, non si era soffermato.
Su parecchi dei fogli che stava accatastando vi erano parole evidenziate
in rosso. In realtà ne aveva trovate quasi dappertutto, ma il foglio
in particolare che stringeva in quel momento ne era praticamente invaso.
Brian lo aveva avvicinato alla luce della lampada e si era messo a
leggerlo. Si trattava di un articolo
tratto da una rivista storico scientifica a firma di un certo professor
Michael Sutherland. Nell'articolo, l'autore parlava di varie figure
mitologiche, insinuando qua e là l'impressione, senza mai dirlo a
chiare lettere, che lui le ritenesse assai meno mitologiche di quello
che si pensava. Un passaggio in particolare, che risultava non solo
evidenziato, ma addirittura cerchiato con un pennarello rosso a punta
larga, diceva: "...e
poi alcune figure la cui esistenza sfida il mito stesso. Nascoste,
celate alla memoria, affinché l'umanità ne perdesse, chissà a quale
scopo, ogni ricordo, come, ad esempio, quella di Xena, la Principessa
Guerriera..." E
qui, tutto intorno a questo nome, Cheryl aveva fatto un altro cerchio,
più piccolo, ma non certo meno marcato. Poi, l'articolo continuava
con un elenco quasi interminabile di eroi, dèi e mostri, infarcendolo
di ipotesi e supposizioni per addetti ai lavori, in cui Brian si era
perso dopo qualche riga, ma per quel poco che era riuscito a seguire,
quelle frasi lo avevano colpito comunque e, per qualche ragione che
sul momento non avrebbe saputo precisare, si era annotato il nome
dell'autore con accanto tra parentesi, quell'altro strano nome che
Cheryl aveva evidenziato con tanta forza. Ora alzandosi dalla
poltroncina e stiracchiando ossa e muscoli, intorpiditi dalla lunga
immobilità, Brian porta la mano al taccuino nella tasca posteriore,
e lo sfoglia fino a raggiungere la pagina desiderata, mentre una larva
d'idea comincia ad agitarsi nel fondo della sua mente. Su quella pagina
ci sono solo poche parole, due nomi, il primo, Prof. M. Sutherland
e qualche riga sotto, l'altro, che forse per la brevità, aveva scritto
a caratteri grandi che prendevano quasi tutta la larghezza della pagina,
Xena. Negli appunti su carta
o su dischetto di Cheryl, quel nome non tornava più. Brian lo sapeva
bene. Li aveva spulciati per settimane, al punto di poterne ripetere
a memoria interi passaggi. Ma allora, perché l'aveva sottolineato,
cerchiato, evidenziato in quella maniera? Che significato poteva mai
avere per lei? E soprattutto, era possibile che lui fino a quel momento
avesse avuto una pista importante sotto il naso senza riuscire a vederla? Ehi, Coop, chi era per
te questa Xena? si trova all'improvviso a chiedere al
cielo stellato che lo fissa muto ed impassibile, oltre il cristallo
della finestra di fronte a lui. Ma tu non puoi più rispondermi, ormai,
eh? Sospira, poi i suoi
occhi si fermano sul primo nome sulla pagina del taccuino che stringe
ancora nella mano. Scommetto però che c'è
qualcuno che può ancora farlo. |
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