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"Nè demoni o Dei"
romanzo seguito di "Identità Sepolta"

ROMANZO DI A. SCAGLIONI

BASATO SUI PERSONAGGI DELLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA GUERRIERA"

CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT

E SVILUPPATA DA R.J.STEWART

E SULLA SERIE INTERNET "XENA WARRIOR PRINCESS SUBTEXT VIRTUAL SEASON"

DI MELISSA GOOD, SUSANNE BECK E TNOVAN

 

Nonostante sia pubblicato circa quattro anni dopo IDENTITA' SEPOLTA,  questo NE' DEMONI O DEI si svolge in un periodo di tempo successivo cronologicamente di solo pochi mesi agli avvenimenti del romanzo precedente (anche se come scoprirete nel corso della storia, il concetto della linearità del tempo subirà alcuni rudi scossoni) e ritrova i personaggi pressappoco nel momento in cui li avevamo lasciati, ancora alle prese con i postumi drammatici di quella vicenda.

Dei due capitoletti iniziali, quello intitolato "Prima..." è collocabile precedentemente al primo romanzo e ne costituisce in pratica l'elemento di avvio, mentre l'altro intitolato "Poi..." riprende Xena e Olimpia poco tempo dopo che si sono reincontrate al termine di quella storia.

La scena del matrimonio amazzone, per concludere, è tratta da "Not Even Death", diciassettesimo episodio della settima stagione della "Xena Warrior Princess Subtext Virtual Seasons", più semplicemente nota tra i fans come SVS, l'ideale seguito su internet della serie televisiva, scritto da Melissa Good.

Capitolo I - parte prima

Parte seconda

(87) Xena/Jennifer, Sutherland, Carruthers, Croft e... "The Ogre"!

  

Dopo aver arrestato la macchina nel mezzo della strada abbastanza larga del tranquillo quartiere residenziale, Carruthers si volta verso il professor Sutherland seduto accanto a lui.

"E' questo, no?" chiede.

Il professore estrae il foglietto scribacchiato e tutto sgualcito dalla tasca della giacca e lo fissa a lungo, tirandosi più volte su e giù dal naso gli occhiali per controllare la corrispondenza tra il suo contenuto e la targa apposta accanto alla porta del villino sull'altro lato della strada.

"E' questo." conferma. "Ma non dobbiamo fermarci qui." aggiunge, guardandosi intorno. "Croft ha detto di parcheggiare svoltato l'angolo a destra."

Senza ribattere, il poliziotto si gira per accertarsi che non stiano sopraggiungendo altre vetture, e nel farlo il suo sguardo s'imbatte in quello della donna seduta silenziosamente sul sedile posteriore.

Jennifer, Xena, o chiunque fosse, era rimasta immobile e senza parlare per l'intero viaggio, al punto che se Carruthers non fosse stato così dolorosamente consapevole della sua presenza avrebbe perfino dimenticato che c'era. Ma in realtà nessuno dei tre occupanti era stato particolarmente ciarliero, e lo stesso Carruthers si era strettamente limitato a poche, concise domande sulla direzione da prendere di volta in volta, dopo aver inutilmente cercato di strappare al professore qualche informazione sulla telefonata ricevuta. Ma la concitazione nell'atteggiamento del vecchio aveva comunicato anche a lui una certa agitazione, e i tre erano corsi alla macchina senza perdere altro tempo.

Al poliziotto pareva di vivere un sogno ad occhi aperti, ed era una sensazione che lo inseguiva fin da quel mattino, quando si era alzato con la ferma risoluzione di dare una sterzata decisiva alla sua vita. Se si era poi davvero alzato... Da come si sentiva ora, non si sarebbe sorpreso se da un momento all'altro si fosse ritrovato nel suo letto con gli occhi impastati da un sonno appena interrotto e le lenzuola intrise di sudore. E lo avrebbe fatto con un enorme sospiro di sollievo, perché tutta quella giornata stava diventando, di minuto in minuto, sempre più un lungo, interminabile incubo da cui non riusciva a svegliarsi. A cominciare dal suo stesso comportamento che sarebbe parso assurdo ed incomprensibile al Carruthers di solo pochi giorni prima, o addirittura di solo un giorno prima. Mentre ora si sentiva come un ragazzino trascinato a forza sulla pista a volteggiare in un ballo di cui ignorava i passi. Totalmente in balìa della sua partner, divenuta improvvisamente un'inquietante sconosciuta, ed incapace di arrestare quella danza vorticosa.

Svoltato l'angolo a destra, come da istruzioni, Carruthers sta manovrando per parcheggiare, quando i fari di un'auto ferma ad una certa distanza da loro dalla parte opposta, lampeggiano rapidamente due o tre volte.

"Eccolo." dice il professore. "Deve essere lui."

Terminata la manovra, il poliziotto spenge il motore, e un attimo dopo la figura del giornalista emerge dall'altra auto, e l'uomo si dirige a passo veloce verso di loro. Giunto alla loro altezza, dopo aver gettato uno sguardo intorno, Croft apre la portiera posteriore e si s'infila sveltamente all'interno, sedendosi dietro Carruthers. Sul sedile accanto, Xena lo sta guardando.

"Salve." dice semplicemente Brian. "Xena. Professore." Poi i suoi occhi incontrano quelli del poliziotto nello specchietto retrovisore. "Capitano Carruthers. Non mi aspettavo ci fosse anche lei." aggiunge perplesso.

"Il capitano è al corrente." lo rassicura Sutherland. "Ed è dalla nostra parte."

"Oh. Bene." risponde Croft, con un sorriso ancora un po' incerto. "Sono felice di vedere che si è unito al club. La sua presenza conferisce un minimo di razionalità a questa storia da Twilight Zone..."

"Per favore, non parliamo di razionalità." lo interrompe seccamente Carruthers, fissandolo a sua volta attraverso lo specchietto. "Quella ce la siamo lasciata già da molto alle spalle. E vorrei aggiungere che non sono al corrente di granché, ad esempio non conosco lo scopo di questo appostamento da film di spionaggio di quarta categoria. Il professore qui non ha potuto o voluto dirmi niente."

"Le ho già detto che il signor Croft mi ha dato solo l'indirizzo e poche istruzioni." protesta Sutherland.

"E' vero, capitano." conferma Brian, girandosi a fatica nella sua scomoda posizione per guardare attraverso il lunotto posteriore. "Non avevo il tempo di raccontare tutta la storia. Vi ho chiamato dalla mia auto. Sono qui da un'ora più o meno, e la persona in questione è uscita circa una ventina di minuti fa."

"Che persona?" chiede Carruthers, guardandolo senza capire. "Vuole smetterla di fare il misterioso e spiegarmi?"

Il giornalista lo fissa silenzioso per un paio di secondi, come se fosse seriamente tentato di rispondere, poi scuote la testa.

"Mi dispiace, ma preferirei aspettare. Se le dicessi adesso quello che penso, ho paura che ci mollerebbe qui su due piedi."

"Croft..." comincia Carruthers, puntandogli un dito contro, ma è la voce decisa di Xena ad interrompere lui questa volta.

"Smettetela tutti e due!" ordina. Poi, lo sguardo freddo della Principessa Guerriera si appunta in quello dell'uomo seduto accanto a lei. "Credi che il bambino scomparso possa trovarsi in quella casa?" chiede.

Gli occhi di Brian restano inchiodati in quelli della donna, mentre esita per un momento, in preda ad un residuo di dubbio, e quelli della donna sembrano scandagliare la sua anima. Ma lui non vacilla.

"Ho buone speranze di poterlo credere." dice.

Xena fa un cenno con la testa.

"Mi basta. Andiamo." E la sua mano corre alla maniglia interna dello sportello facendola scattare.

"Ma non basta a me!" sbotta il poliziotto, battendo violentemente il pugno sul cruscotto della sua auto appena riparata e facendo saltare per aria una penna e decine di monetine. "Per quanto ne sia tutt'altro che orgoglioso, al momento sono ancora un funzionario della polizia di questa città, e non posso fare irruzione nella casa di privati cittadini sulla scorta delle intuizioni di un giornalista da strapazzo!"

"Giornalista da strapazzo, eh?" Croft deve esercitare un notevole sforzo per mantenere la calma. "La pensava così anche questa mattina quando mi ha telefonato?"

Il volto di Carruthers diventa scarlatto, mentre fissa Croft, e nello stesso momento si sente incollati addosso tre paia di occhi.

"Come...? Cosa le fa...?" prova a biascicare, non ben certo neanche lui stesso di cosa dire. "Questo non ha nessuna importanza, adesso." riesce a mettere insieme, infine. "La questione è che io non mi muoverò da qui, se non mi darete una ragione maledettamente solida per farlo."

"Credevo che volesse il nostro aiuto." La voce di Sutherland si inserisce quasi timidamente nella discussione. "Non è venuto a casa mia per questo?"

"Non lo so neanch'io quello che volevo!" ribatte Carruthers. "Questa faccenda mi sta facendo diventare matto! Da questa mattina sto facendo cose che... Sapete cosa dovrei fare se avessi ancora un briciolo di buon senso? Dovrei prendere e..."

"Capitano..." lo chiama Sutherland, mentre strizza gli occhi, guardando con attenzione nello specchietto.

"... tornarmene in ufficio a fare il mio lavoro! Ecco cosa! Invece di starmene qui a giocare a guardie e ladri..."

"Capitano..." ripete il professore girando il collo verso il sedile posteriore.

"Che c'è?!" abbaia l'agitatissimo ufficiale di polizia, il cui colorito adesso ha raggiunto una preoccupante tonalità violetta.

"Dov'è andata Xena?" chiede Sutherland, guardandolo.

"Cosa?"

Carruthers si volta di scatto verso il sedile posteriore dove fino a pochi istanti prima si trovava la donna. Lo sportello dell'auto è rimasto aperto e della donna, dai lunghi capelli castani e la sgargiante tenuta  rossa sotto il lungo impermeabile in pelle nera, nessuna traccia.

"Ma come diavolo...?" dice con voce strozzata, come se avesse un osso di traverso in gola. Poi si gira, per quello che gli consente la posizione nella direzione del giornalista, che sta fissando il posto vuoto ad occhi spalancati, come se avesse appena assistito ad un gioco di prestigio. "Croft!" urla. "Lei l'ha vista allontanarsi. Perché non ha detto nulla?"

"Io non ho visto un accidente!" replica l'uomo. il cui sguardo continua a correre dalla faccia furibonda del poliziotto al posto vuoto accanto a sé, come se si aspettasse di vedervi riapparire magicamente come era scomparsa la figura della donna. "Era qui un momento fa! Ho distolto gli occhi solo un attimo per colpa dei suoi isterismi. E poi, perché se la prende con me, genio dell'investigazione?!? Qui, dentro il poliziotto dovrebbe essere lei, no?"

"Signori... signori, vi prego." s'inserisce Sutherland, alzando la voce di quel tanto da farsi udire dai due litiganti. "Non credete che sia meglio rimandare le vostre discussioni ad un altro momento? Penso che sia ovvio dove si trovi la nostra amica adesso, e forse faremmo meglio a muoverci anche noi."

E senza altre esitazioni, il vecchio professore scende dall'auto, e con tutta la rapidità consentitagli dall'età e dagli acciacchi, appoggiandosi al suo bastone, parte in direzione dell'angolo della strada oltrepassandolo, subito seguito da Brian.

Rimasto solo nella macchina, Carruthers colpisce con rabbia il volante.

"Al diavolo!" impreca. "Tanto questo doveva comunque essere il mio ultimo giorno nella polizia."

E scende a sua volta, affrettandosi dietro gli altri due.

 

Idioti, pensa Xena, correndo verso il suo obiettivo, guardandosi intorno per accertarsi che non stia sopraggiungendo nessuno. Sono finita in un mondo di idioti. Come si poteva starsene a perdere tempo prezioso per discutere, quando c'era la possibilità di salvare la vita di un innocente? Beh, lei non aveva di sicuro nessuna intenzione di uniformarsi alle loro ridicole abitudini. A quel che aveva detto il tizio più giovane... Croft... l'abitante della casa si era assentato già da un po', e questo poteva voler dire che sarebbe potuto tornare da un momento all'altro. Quindi bisognava agire in fretta.

Davanti al villino a due piani, la guerriera si ferma un istante per considerare le eventualità che ha a disposizione. Esclusa la porta, di legno spesso e solido, malgrado la piccola feritoia chiusa da un vetro, che avrebbe richiesto troppo tempo e chiasso da abbattere (ammesso che ci riuscisse, quel corpo non era certo muscoloso e robusto come il suo) o da forzare, e le due finestre ai lati, a loro volta chiuse da pesanti imposte e da sbarre esterne, la via più praticabile pareva quella che passava dall'unica finestra a vetri, posizionata su una parete laterale al piano superiore, non protetta da sbarre o altro. Appariva stretta e alta, ma passarvi attraverso non avrebbe dovuto costituire un problema, una volta raggiuntala. Inoltre la sua particolare ubicazione, le avrebbe permesso di arrampicarsi abbastanza al riparo da sguardi indiscreti. Dalla strada, non sembrava molto probabile che qualcuno avesse potuto scorgerla, a meno che non guardasse apposta in quella direzione. Ma un minimo di rischio andava messo in conto e comunque i paraggi sembravano deserti al momento.

Dando immediatamente seguito alle sue riflessioni con l'azione, Xena spicca un balzo, aggrappandosi con le dita alle sbarre della finestra a sinistra dell'ingresso, e issandosi con la forza delle spalle abbastanza in alto da far presa con le suole degli stivali. E' solo l'inizio, ma le pare che i muscoli duramente allenati in precedenza sui rami degli alberi rispondano meglio del previsto. Sollevata la gamba, appoggia la suola alla sbarra superiore, utilizzando la protezione metallica della finestra come una scala fino ad arrivare a restare in piedi, reggendosi praticamente sulle sole gambe, sull'ultima sbarra orizzontale disponibile e appoggiando tutto il peso del corpo in avanti, cercando di mantenere il precario equilibrio offerto da quegli scarsissimi appigli.

Ma di lì in poi, la situazione non migliorava, anzi. I grossi blocchi di pietra che costituivano le pareti esterne della casa erano completamente lisci, e la finestra che stava cercando di raggiungere, pur possedendo un bordo piuttosto largo a cui potersi attaccare, restava fuori della sua portata di una buona spanna, anche estendendosi al massimo della sua statura. L'unica possibilità che aveva era darsi una spinta con le gambe verso l'alto, sperando di riuscire ad afferrarsi almeno con la punta delle dita al parapetto. Era una mossa che andava eseguita con rapidità e precisione, o sarebbe precipitata sulla strada sottostante. Se fosse stata ancora nel suo vecchio corpo, si sarebbe sentita molto più sicura di sé. Sapeva che sarebbe stata in grado di impiegare il giusto grado di potenza per ottenere esattamente il suo scopo. Ma in quello... La sera prima se l'era cavata egregiamente, ma al massimo avrebbe rischiato una caduta sull'erba soffice e qualche graffio. Adesso era diverso. Se avesse mancato la presa...

Maledizione! Che mi prende?

Il bambino... Olimpia... Due vite dipendevano da lei, e non avrebbe permesso che quei dubbi, che non le appartenevano, che non erano mai appartenuti al suo modo di pensare, le fossero di ostacolo.

Senza darsi più tempo di riflettere, Xena si piega leggermente sulle ginocchia, e poi fa scattare con tutta la sua forza i muscoli delle gambe, proiettandosi verso l'alto, cercando di sfruttare tutta la sua altezza e spingendo le braccia al massimo della loro estensione.

Per un attimo, il tempo sembra fermarsi mentre la figura della donna resta come sospesa in aria, braccia e gambe tese allo spasimo. Poi, il corpo comincia a ricadere verso il basso come in un una interminabile sequenza alla moviola, e improvvisamente l'intera massa muscolare subisce un violentissimo contraccolpo, quando le mani di Xena incontrano il bordo del parapetto e le sue dita si afferrano con la forza della disperazione a quella sporgenza che adesso appare minuscola, inconsistente, assolutamente inadeguata a sostenerla. Eppure, la guerriera vi si aggrappa, conficcando le unghie lunghe e curate di quelle dita nel legno, sentendole quasi cedere sotto lo sforzo, ma resistendo al dolore e stringendo i denti, fino a sentirli scricchiolare dalla pressione. E resta lì, immobile, i piedi sospesi nel vuoto, i muscoli delle braccia e delle spalle che adesso le dolgono terribilmente, il respiro affannoso e il battito del cuore che sembra ripercuotersi nelle orecchie come un tamburo. Ma non c'è tempo per riprendere fiato, e la guerriera con un grugnito tende i muscoli doloranti e sostenendosi con un piede contro la parete si dà un nuovo slancio verso la finestra, arrivando con il viso all'altezza del vetro e sfondandolo contemporaneamente con un gomito. Il rumore di vetri infranti è quasi inavvertibile e incurante delle schegge taglienti, Xena stringe le dita intorno alla maniglia interna spingendola verso il basso e facendo scattare la serratura. Poi, con un ultimo sforzo si aggrappa agli stipiti, trascinandosi oltre e scivolando sul pavimento gelido sottostante.

 

"Dove accidenti è andata a cacciarsi? Voi la vedete?" chiede Carruthers, guardando verso la casa, appena girato l'angolo all'inseguimento di Croft e del professore.

"No." risponde Sutherland, con il respiro lievemente accellerato, appoggiandosi sul suo bastone. "Forse è riuscita ad entrare. Lei sa se c'è qualche altro ingresso?" domanda rivolto al giornalista, che se ne sta davanti a loro, scrutando il villino a due piani, con l'alto tetto spiovente e la cima di quello che sembra dalla loro posizione un abbaino.

"Non ho avuto modo di controllare. Ho preferito non dare nell'occhio e aspettare voi." Croft si guarda intorno con aria casuale, poi a bassa voce si rivolge a Carruthers. "Al momento non mi pare che ci passi nessuno di qui. Se la sente di forzare la serratura?"   

"Ha voglia di scherzare?" Il poliziotto lo fissa con uno sguardo di fuoco. "Questo sarà anche il mio ultimo giorno nella polizia, ma non voglio che sia il mio primo in galera."

Brian assentisce con un cenno del capo, gettandogli un'occhiata ironica.

"D'accordo. Allora si copra gli occhi, capo. Così quando ci arresteranno, almeno potrà giurare di non aver visto nulla."

"Cosa...?" fa per dire Carruthers, cercando di afferrarlo per il braccio, ma con una mossa rapida, il giornalista si è già lanciato verso il lato opposto della strada e in un balzo sale i pochi gradini che conducono alla porta d'ingresso. Guardatosi di nuovo attorno, Croft estrae di tasca un temperino e lo inserisce abilmente nella stretta fessura tra la porta e lo stipite, esercitando contemporaneamente una forte pressione con la spalla. Dopo un paio di colpi, un leggero scricchiolio del legno gli testimonia che la serratura ha ceduto, e l'uomo apre cautamente la porta infilandovisi e facendo un cenno subito dopo verso i suoi due compagni rimasti a guardarlo esterefatti sull'altro marciapiede.

Immediatamente, e con una velocità sorprendente per un uomo anziano e con il bastone come lui, Sutherland s'incammina verso la casa ed è il primo ad arrivare all'ingresso, con un Carruthers in cui il colorito del viso ha ormai raggiunto le tonalità e l'alternanza delle luci di un semaforo, che lo segue a ruota.

"Stupefacente, amico mio." dice Sutherland, entrando e guardando Brian con evidente ammirazione. "Ma come ha fatto?"  

"E' un giochetto." spiega Croft, con un sorriso altrettanto evidentemente compiaciuto. "Mio padre aveva un capanno, quando ero piccolo, dove teneva tutti i suoi fucili da caccia. Lo chiudeva a doppia mandata e con un lucchetto per essere sicuro che io non ci entrassi, quindi ho dovuto imparare presto a cavarmela in queste cose."

"Voi siete dei pazzi!" Carruthers entra subito dopo richiudendosi la porta dietro e appoggiandovisi con tutto il suo peso. "Ma io sono anche peggio! Come ho fatto a infilarmi in questo pasticcio?"

"E' ancora in tempo ad andarsene, capitano." gli dice il professore fissandolo con un'espressione improvvisamente seria che non doveva essere dissimile da quella con la quale aveva probabilmente inchiodato molti suoi allievi poco diligenti. "Torni alla sua macchina e se ne vada. Nessuno di noi si lascerà scappare che lei era qui, e potrà ritornare alla sua vita tranquilla. Ma deve farlo ora. Subito. Se invece decide di restare, la prego di risparmiarci tutte le sue lamentele."

Il poliziotto guarda il vecchio ex-docente che continua a scrutarlo con severità, aspettando una sua risposta, che apparentemente non è in grado di dargli, per un lungo silenzioso momento. Poi la voce di Croft alla loro destra, attira l'attenzione di entrambi.

"Temo che sia già troppo tardi." dice il giornalista che, scostata una tenda, sta osservando la strada attraverso le grate delle imposte esterne. "La persona che vive in questa casa ha appena svoltato l'angolo e sta venendo da questa parte."

 

Con i muscoli ancora indolenziti dallo sforzo, ma il respiro più regolare, Xena comincia a tirarsi su, appoggiandosi alla parete alle sue spalle. La stanza in cui è entrata è quasi completamente buia, se non per la luce proveniente dalla finestra che ha appena sfondato, ma che è sufficiente solo ad illuminare una porta di fronte a lei, lasciando tutto il resto nella penombra. Per quel poco che riesce a vedere, la stanza deve essere una specie di ripostiglio non molto ampio e ciò che contiene è ammassato per lo più in un angolo, quello più buio, dove mobili, scaffali ed altri oggetti non identificabili giacciono abbandonati sotto lenzuola ormai grigie di polvere. Ma la guerriera li nota a malapena, perché il suo interesse si sta concentrando sull'odore che ha percepito, senza accorgersene, appena entrata. Un odore rancido e selvatico allo stesso tempo che non potrebbe più dimenticare per quanti mondi fosse costretta ad attraversare. Quì è ancora leggero, ma sembra permeare ogni cosa, l'aria stessa. Storcendo il naso inconsapevolmente allo sgradevole aroma, Xena si alza in piedi e si dirige verso la porta.

La maniglia si abbassa facilmente e la porta si apre su cardini ben oliati, senza il minimo cigolio. Il silenzio sembra regnare supremo nell'edificio e Xena mette fuori la testa con prudenza, tutti i sensi all'erta. Il fetore adesso è più forte. La porta dello stanzino dà su uno stretto corridoio, buio come il resto, ma i suoi occhi stanno ormai abituandosi all'oscurità e, un passo dopo l'altro, evitando rumori e scricchiolii del pavimento in legno che sente ora sotto le suole, lentamente avanza, guardandosi attentamente intorno. Da qualche parte nella casa, suoni di voci giungono alle sue orecchie. Tre. Maschili. Il suo gruppetto di improvvisati seguaci deve essersi messo d'accordo alla fine e aver trovato il modo di seguirla dentro, si limita a notare, proseguendo la sua ispezione.

Spero solo che non combinino disastri, pensa. Ne avrei fatto volentieri a meno, se avessi potuto, ma...

Il pensiero le si congela in mente, mentre da qualche altra parte, viaggiando lungo stanze buie e oscuri corridoi, un altro suono lieve, appena udibile arriva a farle vibrare i timpani. Un gemito basso, soffocato, non identificabile. Xena si arresta, tendendo le orecchie, nel tentativo di individuare la provenienza di quel sinistro, sommesso mugolìo, che la strana acustica di quel luogo sembra far rimbalzare dovunque. Poi, la sua attenzione si focalizza su un punto preciso, sopra di lei, e la guerriera stringe gli occhi, percorrendo con lo sguardo palmo a palmo il soffitto sulla sua testa, ma il buio e l'altezza delle pareti del corridoio, le impediscono di distinguere alcunché. In punta di piedi, cercando di elevarsi in tutta la sua statura, Xena tende il braccio, ma anche così, le sue dita arrivano appena a sfiorare qualcosa, una specie di sporgenza arrotondata. Acuendo la vista al massimo delle potenzialità, riesce a stento a riconoscere la forma oblunga di un incavo nel soffitto anch'esso in legno. Lei si trova esattamente sotto, e per un attimo un lampo le illumina la mente, un ricordo che non sapeva di avere.

Una casa di notte... un corridoio buio quasi come quello... Sutherland che tira qualcosa... una scaletta che sembra pendere dal nulla come per un incantesimo...

E' una maniglia! Deve aprire una botola nel soffitto, come quella in casa di Sutherland!

Non sa da dove gli venga quell'ispirazione, ma non si dà il tempo di pensarci e con un salto afferra il pomolo attaccato sopra la sua testa e ricadendo, lo tira giù con sé.

Una botola si spalanca sopra di lei e una scala scende improvvisamente dall'alto, quasi travolgendola in quella repentina apparizione. Xena scarta rapida di lato e si mette istintivamente in posizione di guardia, scrutando nella cavità oscura, più buia del buio che la circonda, mentre un'ondata di tanfo indescrivibile la raggiunge chiudendole la gola e lo stomaco.

Dèi! La sua mano corre a tapparsi il naso e la bocca, ingoiando la nausea che l'ha assalita. E' qui! Questa è la tana della Bestia in questa realtà!

Ora il mugolio è più forte e più riconoscibile. E' il suono emesso da una bocca imbavagliata, i gemiti e i lamenti di chi vorrebbe ma non può gridare. Mantenendo occhi ed orecchie tese, Xena posa un piede sul primo gradino, saggiandone la solidità, poi sale la breve scala, spuntando in uno spazio vuoto molto più vasto del corridoio sottostante. Con estrema cautela, continuando a seguire quel suono, e cercando stoicamente di ignorare l'odore insopportabile di quel luogo, la guerriera supera l'ultimo gradino della scala e muove un passo sul pavimento che scricchiola sotto il suo peso. Tuttavia, lo spesso legno in cui è realizzato non sembra avere problemi a sostenerla, e con maggior sicurezza, la donna procede avanti di un altro passo. Poi, la punta dello stivale urta in qualcosa, un oggetto rotola al suolo e Xena si blocca nuovamente. Si china e tasta con la mano per terra. Le sue dita toccano una superficie liscia e leggermente tondeggiante. La guerriera solleva l'oggetto, passandoselo perplessa tra le mani, finché qualcosa non scatta sotto la pressione del suo dito e un raggio di luce violenta e improvvisa la colpisce in viso, costringendola a chiudere gli occhi sorpresa e quasi facendoglielo cadere di nuovo.

Poi, dandosi mentalmente della sciocca, li riapre e l'osserva.

E' solo una lampada. Funziona come tutte le luci di questo strano mondo. Premendo un bottone.

Per testare la sua idea, Xena fa scattare due volte il pulsante della torcia, che si spenge e si riaccende. Quindi, soddisfatta, punta il fascio luminoso davanti a sé, facendolo girare tutto intorno per rendersi pienamente conto del posto in cui si trova.

A prima vista, non sembra molto diverso dalla stanza in cui si era ritrovata, entrando in quella casa. Anche qui ci sono mobili e scaffali, impolverati e malamente coperti da vecchie lenzuola. Tranne uno, appoggiato in un angolo, di uno strano colore bianco sporco e piuttosto grande. A Xena ricorda qualcosa di simile che ha visto nella cucina di Sutherland, anche se questo sembra in qualche modo più antico. Il vecchio lo usa per tenere cibi e bevande al fresco, e quando lo si apre il suo interno si illumina. Ma questo al tatto sembra più freddo, pensa, passando la mano sulla superficie liscia, avvertendo sotto le dita una specie di leggera vibrazione che sembra originata misteriosamente al suo interno. E più grande. Su di un lato, vi è una grossa maniglia e la guerriera l'afferra, tirandola verso di sé. Un'ondata di luce molto più potente di quella emessa dalla piccola lampada che stringe in mano, la investe, insieme ad una ventata glaciale, simile a quelle dei gelidi venti delle aride terre del nord, e ad una visione che sul momento non comprende, ma che un attimo dopo le fa compiere un balzo all'indietro, strappandole quasi un grido.

La donna richiude lo sportello con un tonfo violento e vi si appoggia con la schiena, gli occhi dilatati dall'orrore. Ma la protesta che sente quasi involontariamente risuonare nella sua testa (Che mi succede? Io non grido mai!) passa quasi inosservata, perché ciò che ha visto forse giustificherebbe un urlo di raccapriccio anche dal più spietato dei signori della guerra.

Quei vasi... Cosa c'era in quei vasi?

L'immagine di file e file di barattoli di vetro sigillati di varie dimensioni, al cui interno attraverso la superficie appannata dal gelo si possono appena scorgere piccole cose di un bianco pallido che premono contro le pareti trasparenti, le passa fulmineamente davanti agli occhi ancora una volta, prima che la guerriera schermi la mente alle emozioni, scacciandola.

Calma, devo mantenere la calma. Non devo pensare a questo, adesso. Devo concentrarmi su quel lamento. Individuarne la provenienza.

Escludendo ogni altro pensiero, Xena focalizza il suo udito sul misterioso gemito che ha continuato a arrivarle, soffocato ma perfettamente percepibile, spostando il cerchio luminoso della torcia lungo i muri, alla ricerca di un passaggio, di una porta. Poi, lo blocca su un mobile a scaffali, alto e largo, appoggiato alla parete di fronte. Lentamente, tendendo l'orecchio, si avvicina. Il gemito sembra giungere proprio da dietro. Cercando di far passare la luce della minuscola lampada nell'interstizio tra muro e mobile, la donna vi poggia l'occhio, quindi riposta la torcia nella tasca del soprabito, inserisce le dita nella fessura e tira. La spinta risulta subito più energica del necessario, perché il grande mobile si sposta senza difficoltà, rivelando un'altra porta, fino ad un attimo prima nascosta dalla sua mole. Una porta in legno, chiusa a chiave, ma questa volta Xena non ha bisogno di usare cautele. Un nuovo lamento smorzato solo dallo spessore del legno, arriva dall'altra parte e la guerriera colpisce con un calcio, due, tre, con tutta la sua forza, la serratura, finché non la sente cedere sotto i colpi, poi ne neutralizza le ultime resistenze con una spallata, superando di slancio la soglia.

Qui, l'odore atroce che l'ha perseguitata dal suo ingresso nella casa, prendendola alla gola, riempiendole le narici, sembra quasi una cosa viva come l'oscurità assoluta che l'accoglie, impedendole di respirare. Trattenendo il fiato, e inghiottendo il bolo nauseabondo che sente salirle dallo stomaco, Xena si fruga in tasca e ne estrae rapidamente la torcia, accendendola e puntandola davanti a sé.

Al centro della piccola stanza in cui è penetrata, c'è un letto, o meglio lo scheletro di un letto, una struttura di metallo arrugginito sormontata da un materasso vecchio e logoro. Da più punti lungo i bordi escono cinghie di pelle le cui estremità si riuniscono intorno ad un corpo, che si muove appena, trattenuto saldamente in posizione supina da quei legami. Perfino la testa è bloccata da una cinghia contro il sudicio materasso, e la bocca tappata da uno strano bavaglio che pare premuto direttamente sulla pelle senza nodi visibili.

La guerriera fissa stupita la persona legata al letto, incapace alla poca luce ondeggiante della torcia di stabilirne perfino il sesso, quando il cerchio luminoso cade per un attimo su qualcos'altro, sul pavimento alla sua destra. Xena sposta la luce in quella direzione.

Disteso su una coperta, a non più di due passi da dove si trova lei, giace il corpicino di un bambino di pochi anni, immobile e con la faccia rivolta verso la parete. La donna rimane gelata per un attimo, poi si china sul bimbo, voltandolo delicatamente sulla schiena. Il piccolo non emette un suono, e la mano di Xena corre subito al suo petto. Il gracile torace si muove debolmente, ma il battito del cuore è regolare. Il bambino è solo profondamente addormentato.

Con un sospiro di sollievo, la guerriera si solleva nuovamente in piedi, dirigendosi verso la figura immobilizzata sul letto. Guardandola più da vicino, adesso si notano meglio i capelli bianchi lunghi e scompigliati e la pelle rugosa di una vecchia. La cinghia che le trattiene la testa le copre quasi anche gli occhi, costringendola a tenerli chiusi. Xena sta già tendendo la mano per rimuovere quello strano bavaglio che non le permette di esprimere altro che quei mugolii, quando una debole luce giallastra si accende improvvisa alle sue spalle.

"Chi sei tu? Che ci fai in casa mia?" sibila una voce dietro di lei.

La guerriera si volta in un lampo, e nel gesto la lampadina tascabile le sfugge dalle dita, rotolando con tonfi sordi in un angolo del pavimento. Sulla porta della stanza ora c'è un'ombra alta e magra. Alla pallida luce dell'ambiente, la sua pelle luccica, lucida e nera, mentre due enormi corna sembrano diramarsi dalla sua testa, riempiendo quasi lo stretto vano.

Il dèmone! L'essere affine che ha richiamato la Bestia. 

Un brivido le corre lungo la schiena, mentre osserva con i sensi tesi allo spasimo l'oscura silouette avanzare verso di lei, fino ad oltrepassare la tenue lampada appesa al di sopra della porta, facendosene investire completamente e cancellando l'illusione di cui l'aveva rivestita il terrore superstizioso che per un attimo l'aveva invasa.

"Tu." La parola emessa dalla figura è quasi uno sputo di disprezzo, ed ora che è più vicina, Xena può chiaramente leggere la rabbia e la furia che montano in quegli occhi che ora la stanno fissando con odio.

"Sapevo che saresti stata un problema fin da quando ho visto quello stronzo di giornalista passarti quella maledetta lettera, ma non credevo che saresti giunta fino a qui. Avrei dovuto usare il coltello l'altra sera."

La figura si toglie il grande cappello a larghe falde che un gioco di luci aveva trasformato in corna demoniache, rivelando una severa acconciatura su un volto femminile che sarebbe sembrato di pietra se non fosse stato per il baluginìo maligno nello sguardo.

"Non so come sei entrata..." dice ancora la donna, infilando una mano guantata di nero nel soprabito lucido ed ugualmente nero (Strano, è identico al mio, è l'incongruo pensiero che attraversa la mente di Xena), che porta abbottonato fino al collo e aderente al suo corpo magro quasi come una seconda pelle. "...ma so che non ne uscirai."

La canna di una piccola pistola, retta con mano ferma, sta puntando ora al petto di Xena, ma la guerriera la guarda solo per un attimo, non osando perdere contatto visivo con l'altra. La donna che ha davanti ha almeno vent'anni di più e può sembrare esile, ma il suo istinto le dice che c'è molto di più in lei di quanto l'occhio non dica. E l'arma che stringe... Memorie confuse le rimandano ricordi di dolore e sangue. Per quanto lei possa essere rapida, ognuno di quei minuscoli proiettili lo è di più. E a quella distanza e in un ambiente chiuso come quello, non può sperare che la manchi.

"Tu mi conosci, a quanto sembra." mormora lentamente, mentre la sua mente elabora e scarta rapidamente varie opzioni di fuga. "Adesso dimmi il tuo nome."

Per un attimo, la furia di quegli occhi lascia spazio ad uno stupore quasi divertito.

"Ti introduci in casa mia e non sai neanche chi sono? Chi vuoi prendere in giro?"

Dalla porta rimasta aperta alle sue spalle, un'altra ombra ora è visibile. L'ombra di un uomo che si muove furtivo e silenzioso. Xena non sposta gli occhi da quelli della donna con la pistola.

"Mi hai preso per scema, signorina Jennifer Rowles, psicologa collaboratrice della procura e della polizia? Come vedi, ti conosco bene. Credi che me ne starò qui a chiacchierare con te, mentre i tuoi amici poliziotti corrono al soccorso? Non ci contare."

La mano si solleva e il dito si contrae sul grilletto dell'arma.

Adesso!

La guerriera si getta all'indietro, e appoggiandosi con le braccia ai bordi di metallo del letto, fa perno sulla schiena, alzando una gamba e colpendo con un calcio la pistola che strappata dalla mano della donna vola nell'aria andando a rimbalzare contro la parete e rotolando a terra.

Esterefatta, la donna si fissa incredula la mano ancora intorpidita dal colpo, e un attimo dopo, un altro calcio ben assestato la colpisce in pieno viso, mandandola a sbattere con la testa contro lo spigolo della porta. Senza un lamento, la figura nera scivola al suolo priva di sensi.

"Ehi! Bel colpo." dice Brian Croft, entrando nella stanzetta. Coprendosi il naso, scavalca il corpo disteso per terra. 

"Se aspettavo te..." Xena gli lancia uno sguardo in tralice, tornando a dedicarsi alla donna anziana legata al letto. "A questa penso io. Tu occupati del piccolo." dice, accennando con la testa al bambino ancora addormentato.

"Questo posto puzza come un mattatoio." mormora il giornalista. Poi, si china sul bimbo. "Accidenti!" esclama. "Cosa abbiamo qui, eh? Hannigan dovra baciarmi il culo due volte al giorno."

"Cosa?"

Con un sorriso, Croft si rialza con il corpicino tra le braccia.

"Niente, non farci caso. E comunque io stavo per intervenire. Ma tu sei stata un lampo."

"Già. Si può sapere almeno chi è quella?" chiede la guerriera, intenta a slacciare gli ultimi nodi, accennando con il capo alla figura stesa per terra.

"La padrona di questa casa degli orrori e il cosidetto The Ogre, a quanto pare. Anche se non certo quello che l'opinione pubblica si aspettava." risponde Brian, guardando la donna sul pavimento.

Rumori di passi pesanti che si avvicinano, e Croft e la guerriera si voltano verso la porta, mentre il professore e Carruthers si precipitano dentro, guardandosi intorno perplessi. Sutherland si regge faticosamente sul bastone, proteggendosi bocca e naso con un fazzoletto grande quanto un lenzuolo, ma anche il poliziotto deglutisce pesantemente, ed alle varie colorazioni a cui è stato sottoposto negli ultimi minuti il suo viso si è aggiunto ora un bel verde pisello.

"Tutto a posto? Questa casa è un labirinto." chiede, con voce soffocata dalla respirazione trattenuta, poi i suoi occhi cadono su quello che il giornalista tiene in braccio. "Per la miseria! E' chi penso io?"

"Tenga, professore." fa Brian, consegnando il bimbo, ancora misericordiosamente inconsapevole di tutto, a Sutherland. "Glielo affido. Io non me la cavo bene con i bambini."

Con uno sguardo affettuoso, il vecchio, già dimentico dei suoi acciacchi, accoglie il fagottino, uscendo dalla stanza.

Il poliziotto, intanto è chino sulla donna svenuta.

"Sarà meglio chiamare un'ambulanza." dice. "Ha preso una brutta botta alla testa." Poi, guarda Brian. "E'...?

Il giornalista annuisce.

"Si chiama Hermia Colbert. E quella legata sul letto è sua madre Evelyn. E' una vecchia invalida e sua figlia la teneva praticamente prigioniera, anche se non credevo fino a questo punto."

Croft si volta verso Xena che finito di liberare l'anziana donna sta esaminandola.

"Come sta?" chiede.

"Non saprei." mormora la guerriera. "Fino a un momento fa, si lamentava e si muoveva. Ora invece pare svenuta anche lei."

Carruthers sta continuando a scrutare attentamente la donna stesa al suolo, e la sua attenzione è catturata da qualcosa di rilucente accanto alla figura distesa, evidentemente rotolata fuori da una tasca dell'impermeabile nero. Incuriosito, il poliziotto si avvolge la mano in un fazzoletto e raccoglie l'oggetto, avvicinandolo agli occhi per osservarlo bene, mentre Croft si china da sopra la sua spalla. E' un piccolo accendino in oro, ed anche alla scarsa luce della stanza, spicca evidente sulla sua superficie, un'incisione in uno svolazzante corsivo: "Alla mia adorata moglie, Evelyn dal suo Christopher" 

"Guardi, capitano." indica il giornalista. "Se quelle tracce rosso scuro sono ciò che credo..."

Carruthers lo guarda di traverso, avvolgendo l'oggetto nel fazzoletto ed infilandoselo in tasca, quindi si rialza estraendo il cellulare dall'altra.

"Ma lei come sapeva di loro?" chiede a Brian.

"E' una storia complicata." spiega il giornalista. "La madre è una specie di esaltata. Mi ha scritto al giornale sostenendo che aveva fatto dei sogni sull'assassino. Io ero venuto con la lettera e quando la figlia l'ha vista quasi ha dato di fuori. Evidentemente non voleva che qualcosa potesse metterla anche solo lontanamente in relazione con i rapimenti di bambini. Ha fatto di tutto per averla, ma io sono riuscito a portarmela via. Al momento, non sapevo neanche il motivo. Forse solo per non dargliela vinta. Comunque, sta di fatto che quando se n'è accorta deve avere cominciato a seguirmi per cercare di riprendersela ed è così che probabilmente mi ha visto quando l'ho consegnata alla dottoressa."

"Cosa?!" Il poliziotto lo fissa improvvisamente con rabbia. "E perché?"

"Ehi! Calma." Brian lo guarda perplesso. "Non la prenda così. E' stato tutto un equivoco. Io volevo solo lasciarle il mio numero di telefono e distrattamente l'ho scarabocchiato sulla busta che mi era rimasta in tasca, ma la Colbert deve averci visti. Mi era sembrato anche di averla scorta tra la folla, quel giorno davanti alla centrale di polizia, ma in quel momento ero distratto da altri pensieri, e stupidamente me ne sono dimenticato. Fino a stamattina, quando guardando la posta, l'idea mi è balzata in mente. Ho pensato che se aveva riconosciuto la dottoressa, e sapeva che collaborava con voi, poteva aver creduto che le stessi consegnando una prova contro di lei. Non riuscivo a capire altrimenti cosa potesse aver attratto l'attenzione dell'assassino sulla dottoressa Rowles. Non era altro che una vaga supposizione e non potevo certo rivolgermi alla polizia, ma..."

"E così, grazie a lei, per poco non l'ha uccisa, eh? Pronto?" L'espressione furiosa di Carruthers non sembra attenuarsi di molto, mentre risponde al cellulare. "Sono il capitano Carruthers... Pronto? Ma mi sentite?" Il capitano scrolla l'apparecchio nervosamente. "Questi maledetti aggeggi non funzionano mai, quando serve."

"Forse non c'è campo qui." Brian si guarda intorno. Anche lui sta sentendo un'improvvisa inquietudine assalirlo. "Meglio uscire alla svelta."

"Pronto? Pronto?!" insiste Carruthers, senza ascoltarlo. Poi si stacca il cellulare dall'orecchio di colpo, come se scottasse. Perfino a distanza si possono sentire le scariche provenienti dal ricevitore.

"Che diavolo...?"

Xena che, intanto, è ancora china sulla strana vecchia immobile sul letto, distoglie l'attenzione dalla sua analisi, con i sensi nuovamente all'erta. Non sa esattamente cosa stia avvertendo, ma è come se d'un tratto l'aria già abbastanza stantia e irrespirabile di quel posto si stesse facendo più... spessa. La guerriera si solleva, muovendosi lentamente su se stessa, mentre i suoi due compagni la fissano allarmati.

"Che c'è?" chiede Carruthers, con ancora stretto in mano il telefonino gracchiante.

Xena li guarda senza rispondere, poi d'improvviso i suoi occhi fissano un punto alle loro spalle, come in un avvertimento silenzioso, e i due uomini si voltano di scatto. Ma nello stesso momento la porta si chiude con un tonfo e la lampadina sul muro si spenge con uno sfrigolio, lasciando la stanza nel buio. Solo una debole luce illumina appena la base di una parete. La torcia portatile, caduta di mano a Xena e ormai dimenticata in un angolo, che rende l'atmosfera ancora più angosciante.

"Maledizione." mormora la voce di Carruthers. "Ma che succede?" Il crepitio del suo cellulare è ancora perfettamente udibile.

"Xena! Capitano!" chiama il professore da una distanza che sembra molto maggiore di quella di una semplice porta. "Che è successo? Chi ha chiuso la porta?"

"Sutherland!" grida la guerriera. "Vattene di qui e porta via il bambino! Subito!"

"Ma che succede?" ripete il professore.

"VA' VIA!" urla ancora più forte la donna.

Il rumore dei passi del vecchio che si allontanano, all'inizio indecisi, poi sempre più marcati, sono l'unico suono udibile nella stanza, mentre i tre fissano il buio in un silenzio paralizzato.

"Xena..." mormora poi, la voce tremante di Brian Croft.

"SHHHH!" ingiunge imperiosa quella della guerriera. In quei lunghi momenti, Xena ha cercato di raggiungere la concentrazione necessaria per assestare i suoi sensi residui, ma qualcosa sembra ovattarli come se la stanza stesse riempiendosi di nebbia.

"...la Colbert." continua Croft, tastando con il piede sul pavimento accanto a lui. "Non c'è più."

Con un improvviso sospetto, Xena tende una mano dietro di lei e le sue dita toccano la superficie intrisa di sudore del materasso.

Neanche la vecchia è più sul letto!

"Guardate!" dice ad un tratto Carruthers e occhi percorrono confusi il buio intorno, finché non individuano due ombre appena distinguibili, nell'adesso debolissimo lucore della torcia tascabile, in piedi fianco a fianco contro la parete opposta.

"Hai cercato di uccidere la mia bambina." sibila una voce bassa con un rauco sottofondo che dà la sensazione di un gesso che gratti una lavagna, e Xena arretra istintivamente di un passo, perché quella non è una vera voce, ma un pensiero, il ripugnante tocco di una mente aliena nella sua testa. "Chi mi nutrirebbe allora? Chi camminerebbe al mio posto nel mondo esterno alla ricerca di cibo tenero per i miei vecchi denti? Chi mi proteggerebbe dai pericoli?"

"Chi sei?" chiede Xena, e si sorprende nello scoprire che anche la sua domanda è stata formulata nel silenzio, mentre i suoi occhi cercano di penetrare la coltre scura davanti a lei. Non l'ha fatto volutamente. E' come se la sua mente avesse raccolto la sfida e deciso autonomamente. Come se dentro di sé sapesse che quel duello si combatte su un altro livello.

"Qualcosa che tu non potresti neanche cominciare a comprendere, guerriera." dice la voce nella sua testa. "Noi siamo più antichi di questo e di qualsiasi altro universo."

"Noi?"

Ma questa volta nessuna risposta giunge dal buio quasi totale e nel silenzio Xena riesce perfettamente a percepire i respiri affannati, come dopo una lunga corsa, dei due uomini dietro di lei. Come se la già poca aria nella piccola stanza stesse ulteriormente rarefacendosi, come se il tempo stesso avesse rallentato.

Il rumore di un tessuto che sfrega su di un altro, lo scatto di qualcosa che si apre, lo strisciare di metallo su pelle rigida.

"Ma sei costretto ad usare gli esseri viventi per i tuoi scopi, vero?" incalza a voce alta stavolta, solo vagamente cosciente di tutti quei suoni. "Non puoi muoverti, non puoi nutrirti se non attraverso loro, è così?"

"Questo mondo ha i suoi limiti" risponde la voce nella sua testa freddamente "ma è anche fonte di infiniti piaceri... e deliziosi dolori."

"Xena, che succede? Con chi parli?" chiede con tono terrorizzato Croft dietro di lei, e quell'intrusione inaspettatta rompe per un attimo la concentrazione della guerriera. Un vuoto improvviso le riempie la mente riportandola istantaneamente all'attimo presente e d'un tratto comprende.

E' un inganno! Stava parlandomi per distrarmi! Sta girandomi intorno!

"ATTENTI!" urla Carruthers. Due esplosioni quasi simultanee riempiono l'aria, e un colpo tremendo di fuoco e dolore le esplode nella schiena, mozzandole il fiato e proiettandola in avanti. Sente il suo corpo abbattersi sulla rigida superficie del materasso, incapace di muoversi, mentre alla sue spalle torna il silenzio e un acre odore di polvere bruciata si diffonde nell'ambiente.

"L'ha presa? E' morta?" chiede la voce di Croft.

Un attimo di pausa e quella di Carruthers che risponde con un tono leggermente sorpreso.

"Mi sembrano morte tutte e due."

"Ma come...?"

Poi, il peso del poliziotto che si precipita su di lei, strappandole un gemito di dolore.

"Jennifer...Oh, mio Dio... Jennifer." la chiama, voltandola su di un fianco per guardarla in viso. "Dove ti ha colpita?"

"Non... sento più le gambe... e le braccia." riesce appena a rispondere.

"Croft!" urla Carruthers. "Accenda una luce, qualcosa!"

"E dove la trovo?!" grida di rimando il giornalista, guardando inutilmente verso il punto in cui solo un attimo prima anche quell'ultima, flebile fonte luminosa si è estinta definitivamente.

Uno scatto metallico e una fiamma appare come d'incanto nella mano del poliziotto che si china sul volto ora pallido della donna con espressione angosciata, passando l'accendino all'altro.

"Quella vecchia bastarda! Non so come ha fatto, ma si è alzata dal letto e si è impadronita di una pistola!" dice con tono rabbioso.

"E' ferita gravemente?" chiede Croft.

"C'è molto sangue" risponde con un tremito nella voce Carruthers "ma non riesco a vedere nulla."

"La schiena..." mormora Xena con un filo di voce. "Mi ha colpita alla schiena..."

"Oh, mio Dio, oh, mio Dio." continua a ripetere il poliziotto stringendola tra le braccia.

"Capitano? Xena?" chiama d'un tratto la voce di Sutherland da fuori della porta. "Cosa...?"

"Sutherland!" grida Carruthers. "Corra a chiamare un'ambulanza! Presto!"

"Già fatto." risponde il professore. "E ho chiamato anche la polizia. Dovrebbero essere qui da un momento all'altro."

"Grazie a Dio." sussurra il poliziotto, poi si china sulla donna. "Stanno arrivando. Andrà tutto bene. Resisti, eh? Non lasciarmi."

"Ma cosa è successo? Ci ha capito niente, lei?" Croft fissa Carruthers. "Come si è alzata da terra la Colbert? Avrei giurato che era fuori combattimento per un bel po'. E come possono essere morte entrambe? Lei ha sparato solo un colpo. L'ho visto io!"

Carruthers alza lo sguardo sul giornalista, poi lo sposta sui due corpi distesi a terra l'uno vicino all'altro. Nel centro della fronte di Evelyn Colbert, anche nel buio della stanza appena rischiarato dalla fiamma dell'accendino che Croft tiene in mano, spicca netto un foro con un rivolo scuro che le scivola lungo la linea del naso e due occhi spalancati e spenti. Accanto a lei giace Hermia, con la stessa espressione stupita e morta sul volto, ma senza visibili ferite.

"Non lo so." mormora il poliziotto, tornando a guardare la donna stretta a sé. "E non mi interessa. Non più."

In lontananza, anche attaverso le spesse mura della casa, risuona l'urlo delle sirene.





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