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"Nè
demoni o Dei" ROMANZO DI A. SCAGLIONI
Brian Croft getta un'ultima
occhiata al villino che si intravede oltre la cerchia di alberi, prima
di scendere dall'auto con lo sguardo perso nei propri pensieri. Non
è stato facile rintracciare il professor Sutherland. Da quando aveva
smesso la cattedra all'università e si era ritirato in campagna, anche
i suoi più intimi amici ne avevano perso le tracce. Il professore
era stato sempre un tipo piuttosto eccentrico, totalmente perso come
era nel suo mondo, gli avevano raccontato tutti quelli con cui aveva
parlato, ma negli ultimi mesi, prima del ritiro definitivo, il suo
comportamento era parso anche più strano del solito. Aveva saltato
più di una lezione, facendosi spesso sostituire all'ultimo momento
e mettendo in crisi le tabelle dei suoi colleghi. Poi, d'improvviso
circa sei mesi prima, l'improvvisa decisione. Se ne era andato quasi
in punta di piedi, accettando (forse per non alimentare chiacchiere
intorno alla sua fuga inaspettata, qualcuno aveva insinuato)
solo la piccola cerimonia di ringraziamento che l'università solitamente
riservava ai membri più anziani al momento del loro pensionamento.
La coincidenza aveva fatto
drizzare le orecchie di Brian. Sei mesi prima. Non aveva tenuto una
rigida cronologia dei tempi, ma gli sembrava fosse più o meno lo stesso
periodo in cui Cheryl aveva anche lei iniziato a comportarsi stranamente,
chiudendosi per ore nel suo ufficio, mentre conduceva l'inchiesta
sull'Amazzone. E questo subito prima della sua morte. Scuotendo la testa, Brian
richiude la portiera e si allontana dall'auto, attraversando la stretta
strada che lo divide dal cancello della villa. Anche se nel suo mestiere
la fantasia era un elemento importante, ora non stava scrivendo un
articolo, e lasciarsi trascinare dai voli pindarici della mente poteva
invece trasformarla in un'arma a doppio taglio che rischiava di portarlo
fuori strada. Il cancello non è chiuso
e, con cautela, anche se non ci sono cartelli di avvertimento, Brian
lo spinge appena infilando la testa all'interno. Nessuna traccia di
cani da guardia all'apparenza. Quindi spingendolo più decisamente,
il giornalista entra nella proprietà, lasciando che il cancello si
richiuda alle sue spalle senza il minimo cigolio. Il rumore delle
suole delle sue scarpe sul sentierino di ghiaia è l'unico suono che
riesce ad avvertire intorno a sé. Il giardino, ampio ed alberato,
sembra immobile e silenzioso, quanto la villetta a due piani che è
apparsa improvvisamente dietro l'ultima curva. Porta chiusa, finestre
con le tende tirate. Tutto lascia pensare che il padrone di casa sia
assente, ma qualcosa nell'istinto di Brian gli dice che non è così. L'uomo ha appena salito
i gradini di pietra del portico e sta per affacciarsi alla finestra
più vicina per vedere se sia possibile scorgere qualcosa all'interno,
quando una voce alle sue spalle lo fa sobbalzare. "Sì? Posso fare qualcosa
per lei, giovanotto?" Brian si volta di scatto.
Dietro di lui, sullo stesso sentiero che ha appena finito di percorrere,
c'è un vecchio appoggiato ad un bastone, di età indefinibile, ma sicuramente
oltre la sessantina, alto, nonostante l'età cominci ad avere ragione
di lui e gli abbia lievemente incurvato le spalle, con una leggera
barba più bianca che grigia e due occhi chiari che lo fissano indagatori
dietro le lenti. "Il professor Sutherland?" "Sono io. Non ricordo
di averla sentita suonare." "Non l'ho fatto.
La prego di scusarmi, professore. Le assicuro, non è mia abitudine
introdurmi nelle proprietà private a questo modo, ma ho trovato il
cancello aperto e..." "Era aperto, perché
mi stavo apprestando ad uscire" dice Sutherland, avvicinandosi
con passo lento, senza distogliere gli occhi da lui "quando ho
visto entrare lei. E ho voluto seguirla per vedere cosa intendesse
fare." Brian resta per un attimo
interdetto. "Non ho cattive intenzioni,
professore. Glielo giuro. Volevo soltanto parlarle." Brian tende
la mano verso il vecchio. "Non ci conosciamo. Mi chiamo Brian
Croft. Sono, ma la prego di non allarmarsi, un giornalista dell'Inside
View." Brian giurerebbe di aver
visto qualcosa negli occhi del professore, quando ha pronunciato il
nome del suo giornale, ma non riesce a determinare di cosa possa trattarsi.
Qualcosa che comunque anche se ci fosse davvero stata, è sparita subito
ed ora lo sguardo del vecchio è tornato impassibile. "Non sono allarmato."
risponde con la massima calma l'anziano professore, salendo a sua
volta i gradini e ignorando la mano tesa. "Mi sto solo chiedendo
cosa possa volere un giornale come il suo da me. Non credo che le
mie consulenze siano particolarmente richieste nel vostro settore.
A meno che non stiate cambiando indirizzo editoriale." aggiunge
poi con un leggero tono ironico nella voce, sedendosi sul basso muretto
accanto all'ingresso, senza dare la minima impressione di essere intenzionato
ad invitare Brian ad entrare. "Le spiego."
inizia Brian, fingendo a sua volta di ignorare l'atteggiamento del
professore, sedendosi sul muretto di fronte e ripassandosi velocemente
la storiella che si è preparata. "Non si tratta proprio di un
cambiamento editoriale, ma di un progetto che sto eleborando e che
potrei sfruttare anche per altre riviste." Brian s'interrompe, forse
aspettandosi qualche battuta da parte del suo interlocutore, ma l'anziano
docente continua a fissarlo, senza lasciar trasparire né curiosità,
né preoccupazione nel suo sguardo. Preoccupazione? Brian resta per
un attimo sorpreso dalla parola che gli è venuta in mente. Perché
mai Sutherland dovrebbe essere preoccupato? Non saprebbe dirlo, ma
ora che ci riflette, il suo istinto di esperto osservatore gli segnala
tanti piccoli indizi nella postura e nell'espressione del vecchio.
Le sue palpebre non battono forse con eccessiva frequenza per una
persona che ostenta tanta tranquillità? E quel leggero, leggerissimo
tremito nelle mani intrecciate sull'impugnatura del bastone è solo
dovuto all'età? Inoltre il professore continua a passarsi la punta
della lingua sulle labbra. Un altro segno di vecchiaia o un indizio
di nervosismo? Visto che Sutherland non
dice niente, Brian riprende a parlare. "L'idea mi è venuta
qualche tempo fa. Lei ricorda il caso dell'Amazzone, professore?" Eh, no. Stavolta non
posso essermi sbagliato. Quando ha parlato dell'Amazzone,
Brian ha di proposito puntato lo sguardo in quello del professore
ed è sicuro, assolutamente sicuro, che Sutherland abbia avuto
una specie di trasalimento. Durato pochissimo, forse meno di un milionesimo
di secondo, ma in quell'attimo nei suoi occhi ha letto... cosa? Paura,
forse? "No... temo proprio
di no." risponde alla fine questi, dopo una pausa un po' troppo
lunga. "D'altro canto, non leggo molti giornali e riviste ultimamente.
La mia vista non è più buona come un tempo e cerco di conservarmela
per i miei studi." "Capisco." Brian
distoglie lo sguardo dal volto di Sutherland, cercando di ostentare
altrettanta indifferenza, come se quella conversazione fosse la più
casuale del mondo e non contenesse sotto traccia le tensioni che sta
avvertendo. "Beh, per fargliela breve, professore, si è trattato
di un caso criminale di qualche mese fa. Una donna, una specie di
pazzoide vigilante che si era messa in testa di fare giustizia con
le proprie mani e se ne andava in giro di notte armata di spada. E'
sicuro di non averne sentito parlare?" E Brian fissa di nuovo
i suoi occhi in quelli di Sutherland. Ma il professore non è evidentemente
più disposto a sostenere quel duello di sguardi e abbassa i propri,
appoggiandosi al bastone per rialzarsi. "Ascolti, giovanotto,
le ho già detto che non conosco questa storia. E per dirla in tutta
franchezza non mi interessa molto. Non sono un criminologo e non provo
alcuna attrazione per i delitti. Inoltre, devo fare delle commissioni
e sono già in ritardo. Quindi le sarei grato se venisse al punto." E Brian coglie l'occasione
al volo. "Ho la mia macchina
proprio qui di fronte. Mi permetta di accompagnarla, professore. Avremo
tempo per strada di parlare e le spiegherò di che cosa avrei bisogno." Sutherland è chiaramente
sorpreso da quell'improvvisa offerta, ma anche altrettanto tentato.
Per un momento Croft lo vede dibattersi nell'indecisione se accettare
o meno l'imprevista quanto allettante prospettiva, nonostante il costo
che potrebbe avere. Poi, con un sospiro rassegnato, il vecchio gli
tende un braccio. "D'accordo. Cominci
ad aiutarmi a scendere questi gradini, però. Oggi, la sciatica non
mi dà tregua."
"Allora, mi parli
del suo progetto." Una volta comodamente
seduto sul confortevole sedile anteriore della decapotabile di Brian,
il professore sembrava aver abbassato di un tantino le sue difese
e più disponibile alla conversazione. Brian ne aveva dedotto che non
fosse in realtà un carattere così schivo come voleva apparire e quell'atteggiamento
riservato e diffidente non gli si confacesse davvero. "Vede io mi occupo
ormai da anni sul View degli avvenimenti di cronaca più strani
ed inspiegabili, quelli che generalmente vengono classificati tra
le idiozie." Brian è tutto sommato sorpreso di quanto anche lui
si senta a suo agio con quell'anziano signore e prosegue a parlare
disinvoltamente. "Ma le posso assicurare che per quanto possa
sembrare strano, veramente in più di un'occasione mi sono trovato
di fronte a misteri a cui non era facile dare una spiegazione razionale,
e così ho cominciato a pensare che, beh, sarebbe stato interessante
approfondire le cose e illustrare i rapporti tra i misteri di oggi
e quelli dell'antichità." "E questo le è venuto
in mente grazie a questa...Amazzone?" "Sì, sì, esatto.
Le assicuro che è stato un bell'enigma. Quella donna appariva e spariva
come un fantasma." Brian parla, cercando di richiamare alla mente
i dettagli dell'inchiesta di Cheryl che ha trovato nei suoi files,
e contemporaneamente lancia di tanto in tanto occhiate discrete al
suo accompagnatore per studiarne le reazioni. "Interveniva e
quando arrivava la polizia era già sparita." "Ma era dalla parte
della giustizia, no?" ribatte improvvisamente il professore.
"Insomma lei mi ha parlato di una vigilante." si affretta
ad aggiungere poi, come se si fosse reso conto di essersi lasciato
sfuggire qualcosa di troppo. Brian fa finta di non
aver notato l'osservazione. "Sì, in apparenza.
Ma ha ucciso almeno un paio di persone e nessuno può prendersi libertà
di questo genere." Sutherland sembra riflettere
per un attimo sul concetto espresso da Brian. "Sì, certo. Naturalmente."
dice poi. "Comunque non mi ha ancora spiegato come entrerei io
nel suo progetto." "Beh, nelle ricerche
sulle Amazzoni nella mitologia... sa, le facevamo ad integrazione
dell'inchiesta, ed è questo che mi ha dato l'idea... mi sono imbattuto
in un suo articolo sugli antichi miti greci, ed in particolare, mi
ha colpito una sua osservazione su una certa... Xena, mi pare...sì,
Xena la Principessa Guerriera. E mi chiedevo se me ne potesse parlare." Per la prima volta, da
quando si è messo alla guida, Brian distoglie gli occhi dalla strada
e guarda il professore accanto a lui, attentamente. Lo sguardo del
vecchio è rimasto fermo davanti a sé, come se neanche avesse sentito.
Ma le sue dita si sono visibilmente contratte sul bastone che tiene
posato sulle ginocchia. "Al momento..."
e Sutherland sentendo gli occhi del giornalista su di sé, si volta
per un attimo verso di lui, per poi tornare subito a fissare il parabrezza,
con un evidente imbarazzo nello sguardo" ...temo di non rammentare
questo articolo. E' sicuro che l'abbia scritto io?" "C'era la sua firma.
E poi, aspetti..." Brian infila una mano nella tasca interna
della giacca. "Dovrei averne una copia nel mio portafoglio." Il professore prende con
mano sempre lievemente tremante il foglio spiegazzato che Brian gli
sta tendendo e lo scorre brevemente. "'Sì." dice
poi, restituendoglielo. "Sembra davvero mio. Che vuole, all'epoca
ne scrivevo molti, e non posso ricordarli tutti." "Naturalmente."
risponde con un sorriso il giornalista. "Allora, che può dirmi
di lei?" chiede poi, guardandolo. L'anziano professore resta
silenzioso per qualche attimo di troppo, come se stesse cercando di
decidere quale sia la miglior condotta di gioco in quella specie di
duello psicologico che si sta svolgendo tra lui e il suo accompagnatore.
Poi sempre continuando a fissare davanti a sé, si decide a rompere
quel silenzio che sta assumendo proporzioni imbarazzanti. "Come mai vuol sapere
proprio di lei? In quell'articolo si parla di molte altre cose, miti
più noti e forse di maggior interesse per il pubblico. Che cosa l'ha
colpita in particolare di Xena?" Superare quel muro di
diffidenza stava diventando più complicato di quanto Brian avesse
pensato, e tuttavia uno strano brivido di eccitazione sta passando
lungo la schiena del giornalista, quella sensazione che aspettava
da molto tempo di tornare a provare, la sensazione che indica inequivocabilmente
che aveva messo il dito su qualcosa di misterioso e interessante.
E pensare che quando aveva deciso di incontrare Sutherland, non aveva
la minima idea di cosa stesse facendo esattamente, ma ora sentiva
che era stata la decisione giusta e se avesse agito con la necessaria
cautela avrebbe potuto sapere qualcosa d'interessante. Ma questo avrebbe
richiesto dosi ben calcolate di verità e menzogna, e Brian non era
ben certo di voler continuare ad ingannare il vecchio. C'era qualcosa
in lui che istintivamente gli piaceva. "Beh, in realtà aveva
colpito una mia collega, Cheryl Cooper, forse ne avrà sentito parlare." Altra pausa un po' più
lunga del normale. "No, non mi pare." "Era lei a condurre
l'inchiesta sull'Amazzone. Io le facevo solo da supporto. E
sempre lei aveva raccolto il materiale sugli antichi miti greci, dove
ho trovato il suo articolo. Sembra che il nome di questa Xena l'avesse
particolarmente incuriosita, se ha notato il modo in cui l'ha evidenziato." "E come mai, c'è
lei qui oggi a farmi queste domande e non la sua collega?" Questa volta è il turno
di Brian di esitare prima di rispondere. "Perché è morta." E tu lo sai molto bene,
Sutherland. Chi vuoi prendere in giro? "Mi dispiace." In qualche modo ripensare
a Cheryl ha fatto sembrare a Brian improvvisamente stupida e meschina
quella recita e il giornalista decelerando gradualmente, sterza fermandosi
su un bordo della strada. "Senta" dice,
una volta fermo, voltandosi verso il vecchio "smettiamola con
questa commedia. Lei non crede affatto che io stia scrivendo degli
articoli sui miti greci e io non credo per nulla che lei non abbia
mai sentito parlare della mia collega o dell'Amazzone." Con un sospiro, Sutherland
lo guarda. "Se lo dice lei,
giovanotto. E allora? A che punto siamo? Mi dice cosa vuole davvero
da me?" Il silenzio nell'abitacolo
della vettura adesso è talmente spesso da potersi quasi toccare. Brian
e Sutherland si fissano mentre i secondi trascorrono lentamente scanditi
dal piccolo orologio digitale posizionato esattamente tra loro sul
cruscotto. Alla fine, è Brian ad arrendersi. Al diavolo tutto!
pensa. Poi, appoggiandosi al sedile, inspira profondamente
e insieme al fiato emette tutte insieme le parole che sentiva premergli
in gola. "La mia collega è
stata uccisa, professore. Barbaramente assassinata in casa sua, e
la polizia non ha mosso un dito per rintracciare il colpevole, o i
colpevoli. Per ragioni che non ho ancora capito, i risultati dell'autopsia
non sono ancora stati resi noti e dovunque io vada, continuo a sbattere
contro un muro di omertà e silenzi." Il professor Sutherland
distoglie lo sguardo e tende la mano per riprendere il foglio che
Brian ha tenuto stretto tra le dita fino a quel momento. "Mi dispiace molto.
Davvero. Ma al di là di questo, non vedo proprio come possa esserle
utile. E ancor meno capisco cosa c'entri il mito di Xena in tutto
ciò." Brian reprime a stento
un moto di rabbia. Lui aveva deciso di giocare a carte scoperte con
il professore, ma evidentemente questi non era dello stesso avviso. "In questi mesi"
dice, cercando di mantenere il crescente nervosismo sotto controllo
"ho letteralmente scandagliato la vita di Cheryl e non ho trovato
il più piccolo indizio che possa spiegare la sua fine. Ho scoperto
solo che negli ultimi giorni della sua vita, all'improvviso e per
nessuna ragione apparente l'antica Grecia e questa Xena sembravano
essere al centro dei suoi interessi. Io non riesco a capirne il significato,
e non so se abbia un qualche rapporto con la sua morte, ma non lascerò
nulla d'intentato per trovare la verità." Sutherland continua a
rileggere la pagina da cui non ha tolto gli occhi, durante tutto il
discorso di Brian. Poi, alza lo sguardo e ripiega il foglio mettendoselo
in tasca. "D'accordo."
dice, tornando a fissare la strada. "Adesso mi accompagni per
le mie commissioni. E al ritorno le dirò quello che so su Xena."
Senza dire nulla, Brian
Croft rimette in moto l'auto.
(16) Xena e Olimpia
Olimpia si era svegliata
all'improvviso con un sobbalzo e la netta impressione ancora una volta
di aver sfiorato immagini impalpabili e enigmatiche. Questa volta
non ricordava di aver visto quel volto di donna che popolava i suoi
sogni negli ultimi tempi e di cui, senza sapere perché, non aveva
ancora parlato a Xena, ma la sensazione le era rimasta attaccata addosso
come un velo di sudore sulla pelle. Per la verità, non ricordava neanche
quando esattamente si fosse assopita (solo assopita, non si poteva
parlare di un vero e proprio sonno), né ricordava quando si fosse
distesa sullo stesso pagliericcio sul quale si erano già risvegliate
la prima volta. Poi, la sua mano era
scivolata sulla superficie ruvida, incontrando un corpo caldo accanto
al suo. E vi aveva indugiato, mentre lasciava che le dita scorressero
lungo un braccio, una spalla, fino a fermarsi su una guancia liscia
e morbida. Allora si era voltata e nell'ombra aveva scorto il volto
di Xena accanto al suo, gli occhi chiusi, l'espressione calma in quello
che sembrava un sonno quieto. Delicatamente, cercando
di non svegliarla, Olimpia ne aveva seguito il profilo con la punta
delle dita, sfiorandolo appena, quando un fremito delle lunghe ciglia
l'aveva dissuasa dal continuare e aveva posato nuovamente la mano
sotto la propria guancia, accontentandosi solo di avvertire il suo
calore vicino. Poi, la sua mente era
tornata ai concitati avvenimenti di solo poco tempo prima... quanto
esattamente? Il buio regnava quasi
sovrano all'esterno, appena mitigato dalla pallida luce della luna,
che filtrando dalla finestrella in alto sulla parete ricadeva esattamente
sul loro stretto giaciglio, e le diceva che doveva essere ormai notte,
ma certo non l'aiutava a stabilire quanto tempo
fosse passato dal caos scatenatosi in quella casa e nelle loro
menti. Era stata una cosa talmente
improvvisa che ancora Olimpia stentava a darle un senso. Non aveva
idea di cosa fosse successo veramente. Un momento prima, Xena e quello
strano vecchio si fronteggiavano e subito dopo era come se una terrificante
tempesta si fosse abbattuta su di loro. Il tutto non doveva essere
durato più di un battito di ciglia, ma a lei era sembrato che il tempo
si fosse dilatato oltre il verosimile, e quando era tornato al suo
normale scorrimento, il vecchio era accasciato sulla sua poltrona
come una bambola di pezza. Si era rialzata dal
suolo sul quale era finita distesa, senza neanche sapere come, sorreggendosi
a Xena che sembrava disorientata e confusa almeno quanto lei. Alexi
era nella più completa disperazione e si affannava attorno al corpo
immobile di suo padre, urlando il suo nome. Poi, l'aveva preso tra
le braccia dirigendosi verso la porta. Nonostante la confusione
che ancora avvertiva nella testa, Olimpia si era sentita chiedere,
con una voce che non le era neanche sembrata la propria, se poteva
fare qualcosa per aiutarlo. Ma Alexi, senza voltarsi, aveva risposto
semplicemente che nessuna di loro poteva fare assolutamente niente
ed era sparito oltre la soglia di quella che doveva essere la stanza
del vecchio. Stordite, lei e Xena
si erano invece dirette verso la loro, ma da quel punto le memorie
si facevano più confuse. Ricordava solo di aver chiesto alla compagna
come si sentisse, e che questa le aveva risposto di stare bene, ma
di volersi distendere per un momento e lei, evidentemente doveva aver
pensato di farle compagnia. Ma per quanto si sforzasse, non rammentava
assolutamente che avessero minimamente discusso di ciò che era accaduto
non nel mondo materiale, ma in quella dimensione onirica in cui si
era sentita trascinare, quando la sua mano aveva toccato la pelle
di Xena. Nel momento stesso era
stato come se un vento impetuoso l'avesse praticamente sollevata da
terra. La sua mente era stata invasa in un attimo da decine, centinaia
di visioni di sofferenza, accompagnate da sensazioni di un dolore
fisico troppo reale per potere essere solo un'esperienza psichica.
Soltanto Antinea era stata capace di provocarle qualcosa di simile
quando si era scontrata con lei anni prima in quel suo viaggio nell'oltretomba
alla ricerca dello spirito del bambino di Xena. In quel caso era rimasta
quasi uccisa lei stessa, e tuttavia non ricordava una tale sofferenza.
Ora, riesaminandole
più freddamente, capiva che le sensazioni fisiche, da cui si era sentita
attraversare il corpo con violenza inaudita, le avevano fatto vivere
in prima persona esperienze traumatiche del passato della sua compagna,.
Come se il solo toccarla avesse collegato le loro menti trasmettendole
tutto il dolore che in quel momento stava rivivendo. Esperienze di
cui Xena le aveva parlato, mai troppo approfonditamente in realtà,
ed altre di cui era stata testimone impotente, ma le ultime immagini,
quelle delle frecce che la trafiggevano e la lunga lama che le recideva
il collo, quelle Olimpia aveva potuto fino ad ora solo immaginarle,
poiché Xena non le aveva mai neanche accennato di cosa ricordasse
della sua morte in battaglia nella lontana terra del Sol Levante.
E quelle sensazioni di rosso e di buio che erano seguite al dolore...
Un brivido l'aveva scossa,
spingendola per reazione a stringersi alla compagna, ricevendone in
premio di sentire il suo braccio avvolgerlesi intorno, mentre sul
suo viso ancora apparentemente addormentato si accendeva un leggero
sorriso. La morte era un'esperienza che lei stessa conosceva bene,
ma la disperazione, la sofferenza che in quei brevi attimi aveva condiviso
con la mente di Xena, le avevano comunicato un'impressione ben peggiore.
Il lungo, interminabile momento del trapasso, quello in cui la sua
Principessa Guerriera aveva guardato in faccia la fine, una fine scelta
questa volta non per cercare una pace a lungo agognata, ma frutto
di un obbligo morale, di una punizione autoinflittasi che le strappava
la possibilità di rivederla, riabbracciarla un'ultima volta, la consapevolezza
dell'enorme dolore che le avrebbe procurato e il dubbio atroce di
un sacrificio della cui utilità non era più totalmente convinta, di
un errore che solo allora, quando era ormai troppo tardi, la sua mente
ottusamente concentrata sull'obiettivo, le aveva fatto intravedere. Olimpia chiude gli occhi
al ricordo di quell'ondata di immagini che le ha inondato il cervello
quando ha toccato Xena, ma sa che questo non basterà a cancellarle
e non è neanche sicura di volerlo fare. Perché in quella ventata di
orrore, dolore, disperazione e morte, ha sentito anche tutto l'amore
e la passione che Xena prova per lei, una testimonianza così profonda
e vera, quanto nessuna parola o gesto potranno mai evocare con maggior
forza. E ha sentito il suo cuore rispondere totalmente a quel richiamo,
in quell'unione di anime che dubita possa avere uguali nell'universo.
Ha sentito il loro calore avvolgerle l'una all'altra come l'abbraccio
che le lega fisicamente in quel momento e in quegli attimi di paura,
ha provato un senso di felicità. Un leggero fruscio sulla
soglia, la riporta di scatto alla realtà, e Olimpia si rende conto
di essere passata di nuovo dalle sue riflessioni a quello stato di
sopore senza essersene accorta. Immediatamente i suoi occhi si aprono
nella leggera luce che adesso rischiara l'ambiente, e si fissano in
quelli della compagna, già aperti e diretti su di un punto alle sue
spalle. Ma nonostante l'espressione ben desta e come al solito concentrata
della guerriera, l'assenza di allarme nel suo sguardo rilassa la tensione
in Olimpia che si volta per vedere la figura ormai familiare di Alexi
sulla porta che, con una candela in mano, scruta cautamente verso
di loro. Accorgendosi che le due donne sono sveglie, il giovane avanza
con sul volto il suo sorriso quieto. "Scusatemi, non volevo
svegliarvi. Ho cercato di fare piano. Volevo soltanto accertarmi di
come state. Deve essere stato un colpo tremendo. Come vi sentite?" "Piuttosto indolenzite,
ma bene nel complesso, direi. E tuo padre come sta ?"chiede Xena
tirandosi su a sedere. "Un po' meglio, pare."
risponde Alexi lasciandosi cadere su uno sgabello. "Ma ormai
non può più permettersi sforzi di quel genere. Una di queste volte..."
e scuote la testa lasciando il resto della frase in sospeso. "Ma che cosa è successo?"
s'intromette Olimpia, mettendosi a sedere su un bordo del pagliericcio
e guardandolo. "Che cosa ci ha fatto tuo padre? Conoscevo solo
un'altra persona in grado di fare cose del genere, ma doveva toccare
le sue vittime per ottenere questo effetto." "Parli di Antinea."
dice Alexi, chinando le spalle e fissando a terra quasi soprappensiero.
"Una maga davvero potente, in effetti, e forse anche qualcosa
di più, ma il potere di Aristis non origina dalla stessa fonte e comunque
non è di lei che dobbiamo preoccuparci adesso." "Lo spero proprio."
Xena, a sua volta scende dal giaciglio e massaggiandosi il collo,
si appoggia alla parete, fissando il loro ospite. "Anche se con
certa gente non si può mai dire." "No, su questo almeno
posso rassicurarvi." risponde il giovane, tornando a fissare
lo sguardo su di lei. "Antinea non esiste più. L'energia che
l'alimentava si è dispersa per sempre e non potrà mai più ricostituirsi.
Almeno non in quella forma." "Ma come fai tu a
sapere tutte queste cose di noi?" Più che la paura o la confusione,
adesso è la curiosità, l'elemento preponderante nella voce di Olimpia.
La ragazza sta guardando Alexi come se fissasse qualche sconosciuta
forma di vita insolita e affascinante. E sentendosi sottoposto a quella
specie di esame, il viso del giovane si colora improvvisamente di
un rossore che gli arriva fino alle orecchie, costringendolo ad abbassare
gli occhi. La cosa non sfugge a Xena, la cui espressione però non
muta di una virgola, mentre continua a tenere lo sguardo incollato
sul suo viso. "Io..." comincia
Alexi, esitando, poi ingoiando l'evidente imbarazzo, alza la testa
e fissa le due donne di rimando. "Io non posso dirvi tutto, ma
cercherò nei limiti del possibile di dirvi abbastanza perché possiate
capire. Mio padre... Sono certo che non fosse sua intenzione nuocervi,
ma Xena lo ha minacciato e lui non è tipo da subire passivamente."
Parlando, Alexi, abbassa nuovamente lo sguardo, come se non riuscisse
a sostenere a lungo quelli delle due donne puntati su di lui. "Ma
Aristis è molto vecchio e debole, ormai. La battaglia di questi ultimi
mesi poi lo sta particolarmente provando." "Battaglia?" Alexi esita per un momento. "Sto correndo troppo."
dice poi. "Lascia che vi racconti prima, Olimpia, e almeno alcune
delle tue domande troveranno risposta."
"Io e mio padre viviamo
in questa foresta ormai da molto tempo. In realtà lui non è veramente
mio padre. Mi raccolse quando ero ancora piccolo. I miei veri genitori
mi avevano abbandonato in un'altra foresta, molto lontana da qui,
legato ad un albero perché fossi divorato dagli animali e non potessi
mai tornare a dannare le loro vite." "Perché avrebbero
mai fatto una cosa del genere?" Olimpia fissa incredula il giovane
che ora sta seduto davanti a loro nella poltrona prima occupata da
Aristis. "Perché io avevo
il dono." risponde Alexi con un sorriso malinconico. "O
così lo chiama Aristis. Anche se per anni, l'aveva chiamata la maledizione.
La capacità di vedere oltre la realtà umana. Di leggere la mente e
d'influire sulle emozioni e sui comportamenti della gente." "E così che sai tante
cose su di noi?" "Vi ho notate fin
da quando siete arrivate in questo posto, e ho capito che eravate
voi che stavamo aspettando." "Aspettando? Per
cosa?" chiede Xena, con un inequivocabile tono d'impazienza. L'uomo esita di nuovo,
evidentemente indeciso se rispondere o no a quella domanda. "Lascerò che sia
Aristis a parlarvi di questo, quando si riprenderà. Non voglio rivelare
più di quanto sia consentito." Olimpia avverte chiaramente
l'impazienza di Xena, in piedi accanto a lei, senza neanche bisogno
di voltarsi a guardarla, e coglie con la coda dell'occhio un movimento
della compagna che fa per staccarsi dal muro a cui sta appoggiata.
Immediatamente la ragazza tende una mano verso di lei sfiorandole
appena una spalla e quel contatto è sufficiente a far sì che la guerriera
con un sospiro si rimetta di nuovo nella primitiva posizione tenendo
a freno, sia pur a fatica, il suo temperamento. "Cosa c'è di così
segreto?" chiede poi ad Alexi, riportando tutta l'attenzione
su di lui. "Cosa succede in questo posto?" "Mi spiace, Olimpia,
ma credimi, è meglio che sia Aristis a rispondere." "Dimmi almeno chi
è Aristis. Da dove trae i suoi poteri?" "Te l'ho detto. E'
l'uomo che mi ha salvato e che si è preso cura di me fin da bambino." "Quell'uomo è cieco
e anche da molto tempo a quanto posso giudicare. Non deve essere stato
facile per una persona nelle sue condizioni accudire un bambino. Puoi
dirmi come è avvenuto?" "Aristis non ha più
gli occhi, è vero, ma non è cieco." Lo sguardo del giovane emana
quasi una luminosità e il suo tono di voce scende fino a farsi appena
udibile. "In lui, il potere è arrivato ad un livello altissimo.
Egli può vedervi come e meglio di me." "Come ha perso gli
occhi?" chiede ancora Olimpia, che non ha potuto fare a meno
di notare la nota di venerazione nelle parole dell'uomo e per un curioso
parallelismo si è trovata istintivamente a paragonarla a ciò che spesso
sente nella propria voce o nella propria anima quando parla di Xena
o pensa a lei. Chissà se anch'io assumo
quell'espressione estatica? pensa per un attimo, prima di accantonare
il pensiero e tornare a concentrarsi su Alexi. E la sua risposta la
distoglie all'istante da qualunque riflessione errabonda. "Se li è cavati." Olimpia lo fissa sbalordita
e, sempre senza vederla, sa che anche Xena ha irrigidito tutta la
sua persona a quelle parole. "Non aveva raggiunto
neanche i trent'anni." prosegue Alexi, ormai apparentemente immerso
completamente nel suo racconto e come se a malapena fosse consapevole
della loro presenza. "Non riusciva ancora a comprendere le visioni
che lo ossessionavano e così una notte, in una crisi di follia e disperazione,
se li strappò letteralmente dalle orbite con un coltello." A questo punto, Alexi
s'interrompe per lunghi momenti come cercasse di dare loro il tempo
di assimilare l'immagine che aveva evocato, o come se fosse lui a
doverla ancora accettare. Poi riprende. "Ma come scoprì presto,
non erano gli occhi la fonte o lo strumento del suo potere. Così cominciò
a vagare, mendicando o facendo piccoli lavoretti che nonostante la
sua apparente cecità non sollevassero sospetti su di lui. Non voleva
che i suoi poteri potessero ancora causare rovina ad altri o a lui
stesso. Ma non sempre gli era possibile." Xena e Olimpia se ne stanno
immobili ad ascoltarlo e Alexi dopo aver atteso un tempo ragionevole
per dare loro l'opportunità di fargli delle domande, prosegue con
la sua storia. "Vedete, anni prima,
quando si era reso conto di riuscire a capire i pensieri della gente
e intuire le loro azioni ed intenzioni, ma ancora non sapeva di poterle
dirigere, l'aveva preso come un gioco, e si divertiva a stupire gli
amici, ma poi arrivarono le visioni ed allora non fu più molto divertente.
Vedeva le persone morire, riusciva a prevedere inondazioni e carestie,
ma la gente anziché ringraziarlo cominciò a dargliene la colpa. Pensavano
che fosse lui ad attirarle, che gli Dèì avessero maledetto il villaggio
e tutti loro a causa sua. Al punto che anche Aristis giunse a pensarlo
e nella sua ancora giovane età iniziò a provare terribili sensi di
colpa ogni volta che una visione lo colpiva. Una notte dopo che un
terribile ed inspiegabile incendio aveva colpito il granaio del villaggio
distruggendo tutto il raccolto per l'inverno e gettando nella disperazione
l'intera comunità, i suoi concittadini, gente che aveva bevuto e riso
con lui ed altri che lo avevano visto nascere, si armarono di bastoni
e forche e si diressero verso la casa in cui abitava con l'anziana
madre. La povera donna cercò inutilmente di fermarli e di farli ragionare,
ma la folla è una forza incontrollabile e priva di pensiero. Lo trascinarono
fuori dalla sua casa, legato per il collo, e cercarono di impiccarlo
ad un albero, ma se gli Dèi avevano davvero maledetto il villaggio,
sicuramente qualcuno di loro proteggeva invece Aristis. Una banda
di predoni scelse proprio quel momento per attaccare e saccheggiare
le case dei contadini che si erano radunati per giustiziarlo e appena
giunse l'allarme, tutti corsero dalle loro famiglie dimenticando il
giovane che erano venuti ad uccidere. E lui restò là, appeso ad un
ramo d'albero a soffocare lentamente, se non fosse stato per sua madre
che lo liberò e lo spinse alla fuga. E così fece. Fuggì senza neanche
sapere dove andare. Quella notte trovò rifugio in una grotta e nelle
notti seguenti dormì, quando ci riusciva, dove poteva, con un unico
pensiero nella mente. Andarsene il più lontano possibile da quel luogo.
Andare da qualche parte dove nessuno lo conoscesse o avesse mai sentito parlare
di lui e del suo potere. Ma per quanta distanza potesse mettere tra
sé e il suo passato, qualcosa gli impediva e gli avrebbe sempre impedito
di staccarsene completamente. Le visioni divenivano di giorno in giorno
sempre più forti ed insopportabili ed una notte infine, quasi in preda
alla follia si strappò gli occhi, nella disperata, irragionevole speranza
che questo avesse potuto liberarlo finalmente. Ma non fu così. Non
solo le visioni non lo abbandonarono, ma scoprì con sorpresa ed orrore
che il suo potere gli consentiva di vedere comunque, anche senza occhi." Alexi si ferma. quasi
come se avesse bisogno di riprendere fiato, tornando al presente da
cui il suo racconto e il trasporto che vi metteva lo avevano strappato.
Olimpia è rimasta immobile come una statua ad ascoltarlo. La sua esperienza
di bardo e la grande immaginazione le hanno consentito quasi di vedere le immagini evocate dalla voce del giovane e anche lei fatica un
attimo a tornare con la mente in quella piccola stanza appena illuminata
dalla luce sempre più debole della candela. Resta un momento incerta
se dare voce alle mille domande che le ruotano nella testa, poi decide
di continuare a tacere e lasciare all'uomo la possibilità di proseguire
nel filo della narrazione. "Tutte queste cose
me le ha raccontate negli anni." continua Alexi e un sorriso
di affettuosa malinconia gli dipinge lo sguardo. "Io ancora non
ero entrato nel suo destino, e non ci entrai ancora per molto tempo.
Per anni e anni vagò per le strade della Grecia e di molti altri paesi,
di qua e di là dal mare, ma il suo vero sentiero lo percorreva sulla
strada di mattoni infuocati del Tartaro. Compatito, dileggiato, offeso,
anche minacciato ovunque andasse, non appena gli abitanti del luogo
si rendevano conto del suo potere, finché cominciò ad evitare i centri
abitati, vivendo di stenti in rifugi di fortuna. E intanto quella
vita raminga e le visioni che non lo avevano mai abbandonato incidevano
profondamente nel suo fisico e nella sua mente. Disperato, indebolito
e incapace di capire perché gli Dèi avessero deciso di dannarlo, una
notte, decise di porre in atto ciò che i suoi concttadini tanto tempo
prima avevano cercato di fare senza riuscirci. Accanto all'ennesima
grotta in cui aveva cercato riparo, c'era una fenditura abbastanza
ampia perché un corpo potesse caderci dentro, e le sue visioni gli
avevano mostrato nel modo più traumatico che la cosa era già successa
molte volte, e abbastanza profonda da impedire che potesse tornare
su. Quindi, cominciò ad avanzare deciso verso quello stretto abisso
ed ormai non gli restava che compiere l'ultimo fatale passo, quando
alle sue orecchie giunse un suono. Un suono strano, che per un momento
la sua mente pensò di identificare come il lamento di un gatto selvatico,
prima di comprendere all'improvviso cos'era davvero e bloccare il
suo piede a mezz'aria sul vuoto." Ancora una volta, Alexi
arresta il suo racconto, e Olimpia torna ad essere cosciente della
stanza dalle pareti strette e grigie e dello sgabello su cui quasi
senza rendersene conto si è messa a sedere per ascoltare il racconto.
Trasportata dalla voce di lui si è astratta di nuovo dalla realtà
ed ora vi è tornata, sentendo d'improvviso qualcosa di strano su quel
misterioso canale, da sempre aperto, ma ora spalancato tra lei e Xena.
Immediatamente si volta verso la compagna ed è sorpresa e sconcertata
di vedere nei suoi occhi tracce di lacrime, evidenti anche nei pallidi
riflessi della candela. Lo sguardo della guerriera è puntato su Alexi. "Quel suono era il
pianto di un bimbo, vero?" chiede. "Era il tuo pianto." "Sì." conferma
dopo un attimo di esitazione, Alexi, e adesso anche nei suoi occhi
brilla qualche lacrima. "Sì, ero io, appena abbandonato nella
foresta, legato ad un albero. Mio... padre, se posso chiamarlo così,
il mio vero padre" aggiunge con un tono di voce in cui
il rancore rincorre il rimpianto "mi aveva anche praticato un
taglio sulla gamba, perché sanguinasse e attirasse prima i predatori
notturni. Avevo appena sette anni e i miei genitori mi avevano condannato
a morte, come il peggiore e più incallito dei delinquenti." Olimpia è immobile, tesa
nella sua posizione, incapace di decidere in quale direzione dirigere
i suoi pensieri. Il richiamo che avverte provenire dalla sua compagna
è forte e il desiderio di correre da lei ed abbracciarla stretta è
quasi insostenibile, ma ancora vivide scorrono nella sua mente le
immagini del racconto di Alexi, ed è come se la bloccassero. Il pensiero
di quel bambino solo, lasciato a morire in quei boschi bui, dai suoi
stessi genitori la scuote nel più profondo dell'anima. Come era possibile
una cosa del genere? Quali divinità potevano mai permetterla, senza
folgorare all'istante gli autori di un simile gesto? Anni prima, anni
di cui avrebbe voluto non conservare mai il ricordo, lei stessa era
stata costretta ad abbandonare la sua bambina alla corrente di un
fiume, e nonostante ciò che era accaduto dopo e che
la piccola avesse poi ampiamente dimostrato le sue origini diaboliche,
il dolore di quel momento ancora le straziava il cuore. E che dire
di Xena, costretta a sua volta ancora prima a lasciare il suo Seleuco,
perché il destino di morte e distruzione che si portava dietro non
travolgesse anche lui? Nessuno meglio di una madre può capire il dolore
che provoca la perdita o la morte di un figlio e nessuno meno di una
madre può comprendere come sia anche solo concepibile progettarla
freddamente. Poi, quei pensieri prendono il sopravvento su di lei
e, senza pensarci, Olimpia si alza di getto e si butta letteralmente
tra le braccia di Xena che sembra non aspettasse altro, seppellendo
il viso nella sua spalla e lasciando che le calde lacrime, a stento
trattenute fino a quel momento, scorrano liberamente.
Qualche minuto dopo, Olimpia,
ora più calma, siede sulle ginocchia di Xena, un braccio intorno al
suo collo e la testa ancora lievemente inclinata ad appoggiarsi sulla
sua guancia, mentre la guerriera le cinge le braccia intorno al corpo.
Entrambe le donne hanno evidenti sul volto le tracce di un pianto
recente, e Alexi, seduto ancora nello stesso posto, le osserva un
po' imbarazzato. "Mi dispiace, se
vi ho ricordato cose dolorose del vostro passato, non era mia intenzione." "Lascia perdere."
dice Xena. "Ci sono cose che non si possono mai veramente dimenticare.
Puoi solo riporle nell'angolo più buio e più nascosto della tua mente
e cercare di non pensarci. E per un po' forse anche riuscirci, ma
alla fine, quando meno te lo aspetti, ti ricascano addosso, con gli
interessi." Poi, più sottovoce: "Certo, non immaginavo così." "Questo legame che
condividiamo" chiede Olimpia, tirando su col naso "c'entra
in qualche modo?" "Forse." risponde
Alexi. "E in parte potrebbe anche essere colpa mia." "Cosa?" Lo sguardo
delle due donne è fisso su di lui. "Che vuoi dire?" "Beh, quando ho...
diciamo, agevolato la vostra comunicazione, prima nel bosco,
forse ne ho, più o meno involontariamente... amplificato la portata."
finisce la frase velocemente l'uomo, evitando d'incontrare i loro
occhi. "Amplificato...?"
Xena e Olimpia guardano incredule il giovane davanti a loro, che appare
sempre più imbarazzato. "Vuoi dire che l'hai fatta aumentare?" "Oh, ma è solo una
cosa momentanea." si affretta ad aggiungere Alexi. "Passerà
presto." "E come fai a dirlo?"
chiede Xena, con un tono di voce pericolosamente vicino all'esplosione,
che Olimpia avverte benissimo e subito cerca di mitigare, accarezzandole
la schiena. "Perché mi è gia
successo." risponde lui, ad occhi bassi, con una lieve alzata
di spalle. "Io... non è colpa mia! Io cerco di sondare
e spingere con molta cautela, come mi ha sempre insegnato e
raccomandato mio padre, ma è così... difficile graduare esattamente
il potere e, in qualche modo finisco sempre per esagerare." Sentendo che il suo lieve
massaggio sta ottenendo l'effetto desiderato sulla compagna, che adesso
appare più calma, Olimpia lascia che la curiosità prenda il sopravvento. "Quando ti è successo,
e cosa hai fatto?" "Beh, molte primavere
fa, quando ancora viaggiavamo ed eravamo lontani da qui, passammo
per un villaggio dove conobbi un giovane, Licio. Diventammo amici,
anche se sapevo che come al solito non avremmo potuto trattenerci
a lungo. Licio era molto innamorato di una fanciulla del posto che
conosceva fin da bambina, Isandra, ed era sicuro che anche lei lo
amasse, ma la sua innata timidezza gli impediva di manifestare i suoi
sentimenti, e lei, vedendo che lui non si faceva mai avanti, stava
per andare in sposa, per desiderio del padre, con un ricco mercante.
Licio era disperato. Alle nozze mancava meno di un mese e lui avrebbe
perso per sempre la sua Isandra. Aveva provato di tutto per trovare
il coraggio, anche ubriacandosi, ma aveva solo peggiorato le cose,
e il padre di lei l'aveva fatto buttare fuori di casa. Così, pensai
che non ci sarebbe stato niente di male, se lo avessi solo spinto
un po', quel tanto che bastava perché potesse dichiararsi alla
sua amata." Alexi s'interrompe nuovamente
e lancia uno sguardo fulmineo verso Olimpia subito riabbassando gli
occhi, provocando un lieve aggrottarsi della fronte in Xena. "E allora?"
lo incita Olimpia. "E allora, lo feci.
Mentre eravamo seduti ad un tavolo d'osteria. Vidi letteralmente la
sua espressione cambiare da triste e avvilita, a piena d'amore e di
speranza. Batté il bicchiere sul tavolo e si alzò con una nuova sicurezza
in lui. Mi disse che parlare con me gli aveva fatto bene, e che ora
sapeva quello che doveva fare. Mi ringraziò e se ne andò." Nuova lunga pausa. "E allora?!"
grida quasi Olimpia, esasperata dalle esitazioni continue del loro
interlocutore. "Non farti strappare le parole di bocca! Cosa
successe?" "Lo rividi una settimana
dopo. Aveva un braccio al collo e la testa fasciata, ma era felice
come un bambino. Mi raccontò che era corso alla casa di Isandra, era
penetrato nella sua camera da letto, passando dalla finestra perché
suo padre non lo vedesse e le aveva dichiarato il suo amore. La ragazza
era scoppiata in lacrime perché ormai era tutto pronto per il matrimonio
e non c'era più niente da fare. Anche scappare sarebbe stato impossibile.
I servi e i contadini del padre gremivano la tenuta e li avrebbero
sicuramente fermati prima che riuscissero ad allontanarsi. Allora
lui fece la cosa più incredibile. Andò alla finestra e cominciò ad
urlare che amava Isandra, attirando l'attenzione di tutti, dopodiché
sbarrò porta e finestra con tutti i mobili della stanza, e là sul
posto prese la verginità della fanciulla, incurante della massa di
persone urlanti che cercavano di entrare per catturarlo." "Vuoi dire che la
stuprò." dice Xena, con un sinistro bagliore negli occhi, costringendo
Olimpia a riprendere con rinnovato vigore il suo massaggio calmante. "No." risponde
subito Alexi, e per la prima volta abbandonando quella sua continua
aria di esitazione, come se l'osservazione di Xena ne avesse toccato
un punto debole. "No, non è come credi. Lui non l'avrebbe fatto
mai! Amava Isandra. Mi giurò che la ragazza era d'accordo. Che quello
era l'unico sistema per ottenere ciò che entrambi desideravano." Ma Xena non risponde,
continuando a fissarlo, con quel suo sguardo gelido e minaccioso.
Olimpia, tra di loro, non trova di meglio per abbassare, quell'aura
di tensione che si è improvvisamente sollevata nella stanza, che chiedere
con l'aria più casuale del mondo: "Allora il loro piano funzionò?" "Direi di sì."
risponde Alexi, riportando la sua attenzione su di lei, con evidente
sollievo. "Quando riaprirono la porta, la... cosa era già avvenuta.
Isandra disse al padre che amava Licio e che era stata sua volontariamente.
Dopo quello che era accaduto, il mercante ovviamente non avrebbe più
accettato di sposare sua figlia e quindi a lui non rimaneva che accettare
la situazione. Inoltre Licio, per sua fortuna, proveniva anch'egli
da una famiglia abbastanza agiata e quindi la soluzione venne trovata
senza troppe difficoltà e di lì ad un mese, le nozze sarebbero avvenute
ugualmente, solo tra Licio e Isandra questa volta. Tuttavia, pochi
giorni dopo, Licio di ritorno a casa a sera tardi, venne aggredito
da un paio di energumeni di cui mai nessuno è riuscito a stabilire
l'identità. Gli ruppero un braccio e gli procurarono alcune contusioni,
non gravi e guaribili in poco tempo, che non provocarono comunque
problemi o ritardi alle nozze." "Una piccola vendetta
del suocero?" chiede Olimpia. "Probabile, o anche
del mancato sposo. Chi lo sa?" risponde Alexi con un sorriso
appena accennato. "Beh, in fondo tutto
è finito bene, no?" E Olimpia guarda a turno Alexi e Xena, sulle
cui ginocchia è ancora comodamente seduta, ma i cui occhi non sembrano
affatto addolciti. "Dipende dai punti
di vista." dice quest'ultima, sempre senza togliere lo sguardo
da Alexi. "Quel ragazzo, a causa tua, ha fatto qualcosa che non
avrebbe mai fatto in condizioni normali, e che avrebbe potuto avere
conseguenze molto più gravi. E se il padre non fosse stato così ragionevole
e l'avesse fatto uccidere? O il ricco mercante avesse mandato dei
sicari, magari ad ucciderli entrambi? Ci avevi pensato?" "Xena..." fa
per dire Olimpia, ma Alexi alza una mano, interrompendola. "No, ha ragione.
Aristis mi disse le stesse cose... e mi chiuse in uno sgabuzzino a
pane ed acqua per tre giorni, quando tornai tutto tronfio a raccontargli
della mia impresa." "Davvero?" chiede
Olimpia, arrestando per un attimo il suo massaggio divenuto ormai
quasi automatico sulla schiena della compagna. "Sì. S'infuriò moltissimo.
Non lo avevo mai visto in quello stato. Mi urlò che ero un giovane
idiota. Un moccioso indegno del dono che mi era stato fatto, disse
che ci avrebbe pensato lui a farmi passare la voglia di usare il potere
per farmi bello, e quando terminò la condanna, mi ammonì gravemente
che se fossi ricaduto ancora una volta in una cosa simile, anziché
tre giorni, mi avrebbe tenuto tre mesi chiuso a pane ed acqua, finché
non avessi imparato. Ma non ci fu bisogno, perché non è più successo." "Fino ad oggi."
dice Xena. "Beh, stavolta era
diverso. Questa volta avevo l'autorizzazione di Aristis ad agire,
e inoltre" aggiunge il giovane con una punta di orgoglio "come
vi ho detto è passato molto tempo da allora, e so gestire molto meglio
il potere." "Quanti anni avevi,
all'epoca di quello che ci hai raccontato?" chiede Olimpia. "Diciassette. Ero
ancora un ragazzino, ed Aristis aveva tutte le ragioni per avercela
con me e punirmi. Non ero ancora pronto." "Non che tu lo sia
molto di più adesso". La voce di Xena appare ancora fredda, ma
all'orecchio sensibile di Olimpia, quella nota minacciosa sembra essersi
notevolmente attenuata. "Finisci di raccontarci
di te ed Aristis." esorta la ragazza. "Eri arrivato al momento
in cui ti aveva trovato legato nel bosco." "Beh, ovviamente
le mie memorie in proposito sono molto confuse. Ero ancora piccolo.
Ma una cosa che ricordo bene fu la prima volta che lo vidi. Ero terrorizzato,
legato a quell'albero, tanto da non avere neanche la forza di gridare.
L'unica cosa che riuscivo a fare era piangere. E poi apparve lui.
All'inizio, attraverso le lacrime non lo distinguevo bene. Pensavo
che fosse mio padre, venuto a riprendermi, sorridente e a dirmi che
era stato solo uno scherzo. Ma quando lo vidi da vicino, e soprattutto
vidi quella faccia con le palpebre cucite e che tuttavia sembrava
vedermi meglio che se avesse avuto gli occhi spalancati, all'improvviso
trovai la voce per urlare il mio terrore a pieni polmoni. Cercai di
divincolarmi, di fuggire. Allora Aristis mi mise una mano sulla testa,
così semplicemente, senza dire una parola, e in un attimo mi calmai.
Le urla si trasformarono in singhiozzi, mentre lui tagliava le corde
che mi legavano e mi prendeva in braccio, e poi non ricordo altro.
Aristis mi raccontò che mi addormentai, di botto, con la testa sulla
sua spalla. E così, mi portò via e cominciammo il nostro viaggio insieme.
Non ci volle molto perché cominciassi a chiamarlo padre, e a considerarlo
davvero tale. E anche se lui manteneva sempre quella sua aria burbera
e severa, sapevo che in cuor suo ne era felice." L'amore del giovane per
il suo anziano tutore è così evidente nei suoi occhi e nella sua voce,
che Xena non ha bisogno di guardare il viso di Olimpia per sapere
che ci vedrebbe di nuovo tracce di lacrime, ed infatti, prima che
questa faccia un'altra domanda, la forte tirata di naso che la precede,
ne è un'eloquente prova. "Lui aveva già capito
che condividevate lo stesso potere?" chiede poi. "Mi ha sempre detto
che è convinto che non fosse stato solo il mio pianto a condurlo da
me, ma che ci fosse un disegno preciso nel destino. Qualcosa che avesse
deciso già molto tempo fa che noi ci saremmo incontrati e che i nostri
poteri insieme sarebbero serviti un giorno ad un grande scopo. E il
fatto inoltre che tutto questo fosse accaduto proprio nel momento
in cui stava per uccidersi ne era un ulteriore indizio. Fu così che
smise di considerare il suo potere una maledizione e cominciò a definirlo
un dono." "Ci stai dicendo
che il fatto che tanto tempo fa voi due vi siete incontrati era tutto
teso ad oggi? A che voi ci rapiste per portarci qui?" Il tono
della voce di Olimpia denuncia contemporaneamente incredulità e fascino
del mistero. "No. Non dico questo.
E neanche lo credo. Penso che il disegno sia molto più vasto di così.
Ma ritengo che la nostra e la vostra presenza qui, adesso, sia molto
importante." Alexis dà un'occhiata alla candela al centro del
tavolo che è calata di almeno mezza tacca da quando hanno iniziato
a parlare. "Ma ora direi che sia meglio riposare un po'. C'è
ancora qualche ora prima che venga il mattino." "Aspetta!" balza
sù di scatto Olimpia. "Ci sono ancora molte cose di cui dovresti
parlarci. E poi io non mi sento affatto stanca. Anzi. Sono piena di
energie, nonostante l'ora tarda e la dura giornata. Non è strano?"
aggiunge guardando Xena che si è alzata a sua volta alle sue spalle.
Poi la ragazza si blocca e fissa il giovane. "Fermo." dice,
tendendo una mano davanti a sé. "Non me lo dire. E' un altro
effetto collaterale della tua... spintarella, non è vero?" L'aria imbarazzata è tornata
sul volto di Alexi, insieme però ad uno strano sguardo indefinibile. "Effettivamente,
e così." dice, quasi a mezza voce. "Ma è un effetto collaterale
che... può avere i suoi lati buoni. E comunque non dura a lungo."
Il giovane fa per voltarsi
ed andarsene, poi si ferma. "Dimenticavo."
Prende una chiave dalla tasca e la consegna ad Olimpia. "Questa
è la chiave della vostra stanza. Sentitevi libere di fare... quello
che desiderate. Buonanotte, per quel che ne resta. Ci vediamo domattina." E il giovane se ne va
senza più voltarsi indietro. Xena si avvicina ad Olimpia
e le posa le mani sulle spalle. "Strano tipo, eh?"
dice Olimpia. "Che avrà voluto dire?" "A proposito di che?" "Sul sentirci libere
di fare quello che desideriamo. E poi quell'accenno ai lati buoni..." "Intanto credo che
tu gli piaccia." mormora Xena, soffiandole quasi nell'orecchio. Un brivido corre lungo
la schiena di Olimpia a quel contatto caldo, a malapena mascherato
da un risolino nervoso. "Non dire sciocchezze." "Sì, invece. Non
hai visto come ti guardava?" "Ma se sfuggiva sempre
il mio sguardo!" protesta la ragazza, voltandosi verso la compagna. "Appunto." risponde
lei, sorniona. Quindi, la guerriera l'avvolge
tra le sue braccia. "Sai, è una fortuna
per lui che abbia tutti quei poteri mentali." dice, fissandola
profondamente negli occhi. "Davvero." sussurra
Olimpia, mentre comincia ad avvertire un calore che da dentro di lei
s'irradia lentamente intorno colorando la stanza di rosso, o quella
è almeno la sensazione che ne riceve. "Voglio dire, davvero?" "Già, almeno non
gli mancheranno molto le braccia, se dovrò mozzargliele, in caso ti
sfiorasse." Ora, il calore è tale
da non poter più essere ignorato. "Lo faresti veramente?" "Ci puoi scommettere." "E che altro faresti?" "E' necessario che
te lo dica?" I loro occhi paiono incollati,
e a guardarli da così vicino, a Olimpia pare di vedere delle fiamme
in quelli della guerriera. Era così, Xena? Era
così che ti vedevano i tuoi amanti, uomini o donne che fossero, in
quegli anni lontani, quando lasciavi che a dominarti fosse il desiderio? "No." risponde.
"Non è necessario." Adesso pensava di aver
capito quale fosse l'effetto collaterale di cui parlava Alexi e cosa
altro il suo potere avesse amplificato. Senza altre parole abbraccia
al collo la compagna e lascia che Xena la sollevi di peso, portandola
nella loro stanza e chiudendosi la porta alle spalle con una doppia
mandata. |
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