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"Nè
demoni o Dei" ROMANZO DI A. SCAGLIONI BASATO SUI PERSONAGGI DELLA SERIE TV "XENA PRINCIPESSA
GUERRIERA" CREATA DA JOHN SCHULIAN E ROBERT TAPERT E SVILUPPATA DA R.J.STEWART E SULLA SERIE INTERNET "XENA
WARRIOR PRINCESS SUBTEXT VIRTUAL SEASON" DI MELISSA GOOD, SUSANNE BECK E
TNOVAN
Nonostante
sia pubblicato circa quattro anni dopo IDENTITA' SEPOLTA, questo NE' DEMONI O DEI si svolge in un periodo
di tempo successivo cronologicamente di solo pochi mesi agli avvenimenti
del romanzo precedente (anche se come scoprirete nel corso della storia,
il concetto della linearità del tempo subirà alcuni rudi scossoni)
e ritrova i personaggi pressappoco nel momento in cui li avevamo lasciati,
ancora alle prese con i postumi drammatici di quella vicenda. Dei
due capitoletti iniziali, quello intitolato "Prima..." è
collocabile precedentemente al primo romanzo e ne costituisce in pratica
l'elemento di avvio, mentre l'altro intitolato "Poi..."
riprende Xena e Olimpia poco tempo dopo che si sono reincontrate al
termine di quella storia. La
scena del matrimonio amazzone, per concludere, è tratta da "Not
Even Death", diciassettesimo episodio della settima stagione
della "Xena Warrior Princess Subtext Virtual Seasons", più
semplicemente nota tra i fans come SVS, l'ideale seguito su internet
della serie televisiva, scritto da Melissa Good.
La piccola stanza che fa anche da ingresso è illuminata
dalla ancora debole fiamma di una candela appena accesa e dal fuoco,
anch'esso nascente, nel caminetto appoggiato alla parete opposta.
Quando Xena e Olimpia lo raggiungono, Alexi sta aggiungendo legna
per ravvivarne la forza e continua nel suo lavoro senza girarsi. "Non sto cercando di prendere tempo." dice, con
la testa ancora abbassata sotto la cappa, tanto che il tono della
voce rimbomba più grave e profondo. "Vi ho promesso che avrei
detto ciò che sapevo e lo farò, ma dovete capirmi. Non è facile rievocare
il momento in cui questa cosa è entrata a far parte delle nostre vite.
E soprattutto non è facile farlo là fuori. Al buio." aggiunge
gettando l'ultimo pezzo di legno nel fuoco che ora crepita intensamente,
alleviando nell'intero ambiente quella sensazione di soffocamento
e di cupezza che l'aveva avvolto fino ad allora. O era la presenza di Aristis a gravarvi sopra, pensa Olimpia fugacemente, subito
vergognandosene e tornando a concentrarsi sulle parole di Alexi. "Non è che non avessi creduto a mio padre, ma quel
suo modo di fare così severo ed ascetico... beh, mi spingeva a credere
che ci fosse una certa esagerazione nelle sue paure." Il giovane
finalmente si volta, mostrando il viso arrossato dal calore, e forse
non solo da quello, e torna a sedere al tavolo a cui hanno già preso
posto le sue ospiti. "Ma in quel momento cambiai idea e compresi,
quanto fossi stato stupido a non ascoltarlo." "Insomma, Alexi! Per l'amor di tutti gli Dèi, vuoi
deciderti a dirci che cosa vedesti in quella buca?!?" sbotta
alla fine Olimpia, dopo che questo si era arrestato ancora una volta
nel suo racconto, fissando il tavolo. L'uomo solleva gli occhi su di lei, guardandola sorpreso
come se la vedesse per la prima volta e Olimpia è contemporaneamente
consapevole, anche senza vederlo, del sorrisino ironico che deve essersi
dipinto sul volto della sua compagna e sposa. Guarda, guarda. Allora sembra che non sia io l'unica a perdere
facilmente la pazienza in famiglia, le pare perfino di sentire nella mente e d'un tratto,
quello di Alexi non è più il solo viso arrossato nella stanza. "Che cosa vidi?" chiede il giovane, continuando
a fissarla, forse leggermente risentito da quello scatto, ma cercando
di non darlo a vedere "E' proprio questo il punto, Olimpia. Non
vidi nulla." Con un nervosismo, ormai evidente nei gesti e negli atteggiamenti,
si alza, lasciando scorrere lo sguardo dall'una all'altra delle sue
ascoltatrici, che adesso lo osservano mute. "Se avessi visto qualcosa, qualunque cosa, anche la
più orribile, avrei saputo almeno di aver a che fare con un pericolo
solido, concreto, qualcosa da poter affrontare... Ma non vidi nulla,
assolutamente nulla. Io cercavo di scrutare nel buio e nello stesso
momento, per quanto possa sembrare pazzesco, ebbi la netta impressione
che quel buio stesse scrutando in me. Subito non sentii nulla, se
non una improvvisa sensazione di gelo. Allora mi sporsi un po' più
avanti e fu in quell'attimo che successe." Ora nell'illuminazione più viva della stanza, piccole gocce
di sudore sono perfettamente visibili sulla sua fronte, e mentre Alexi
continua a parlare cominciano a scorregli verso gli occhi spalancati
sulla sua visione. "Non credo di riuscire a rendere il ribrezzo che provai,
quando spinsi la mia testa in quella buca. Immaginatevi di immergere
le mani in un nido di serpenti che vi strisciano da tutte le parti.
O in una tana piena di ratti con le loro code che vi si avvolgono
intorno alle braccia e i loro piccoli corpi pelosi che vi si strusciano
tra le dita." "Eew." mormora Olimpia con una smorfia. "Ti ringrazio dell'immagine,
Alexi. Credo che tu abbia reso perfettamente l'idea." Poi si
gira verso Xena, ma la guerriera continua a guardare l'uomo senza
mostrare particolari emozioni. "No, non penso proprio, Olimpia." risponde il
giovane, scuotendo la testa. "Perché per quanto orribili possano
essere queste esperienze, sono comunque qualcosa di fisico, qualcosa
da cui puoi scappare, da cui puoi ripulirti, liberarti in qualche
modo. Ma quella cosa, qualunque cosa fosse, non toccò la mia pelle,
ma la mia mente." La voce di Alexi aveva assunto una vibrazione insolita,
come se il giovane stesse letteralmente rivivendo sotto i loro occhi
quel momento e la mano di Olimpia scivola quasi inconsapevolmente
lungo la superficie del tavolo, finché non avverte il calore di quella
di Xena che le si avvolge intorno alle dita e con un sospiro lascia
che si intreccino in quelle di lei. Se il giovane si è accorto del
movimento, non dà a vederlo e prosegue il suo racconto. "Di colpo quel buio non sembrava più confinato all'interno
della caverna, ma pareva aver invaso ogni cosa. Era mattino inoltrato,
ma sembrava la più oscura delle notti. Non c'era niente che mi trattenesse
e tuttavia non riuscivo a muovermi. Sentivo il mio corpo tremare come
in preda ad un attacco convulsivo, i miei polmoni lottare disperatamente
in cerca di aria, ma erano sensazioni quasi marginali in confronto
alla cosa più terrificante di tutte, quel buio che lentamente stava
invadendo anche la mia mente. I miei pensieri erano ridotti a nient'altro
che caotici lampi in cui casuali ed incoerenti immagini che non sapevo
neanche se mi appartenevano realmente, si sovrapponevano le une alle
altre, impedendomi di mettere insieme un solo pensiero logico, al
di fuori dell'impulso di puro panico che mi spingeva a cercare di
fuggire di là, tirare fuori la testa da quella buca, alzarmi in piedi
e correre via con tutta la forza delle mie gambe. Ma era anche una
cosa totalmente impossibile, perché non solo non riuscivo ad allontanarmi,
ma mentre il terrore si era completamente impadronito di me, cominciai
a sentire una forza che mi tirava verso l'interno e proprio quando
stavo ormai per cedere, mi sentii afferrare per le braccia e strattonare
con forza e un momento dopo ero disteso al suolo, ancora confuso e
istupidito, e mo padre era in piedi davanti a me. Non parlò, non mi
rivolse neanche uno sguardo, si mise davanti alla buca e spalancò
le braccia e improvvisamente quella sensazione che mi aveva continuato
ad avviluppare anche mentre giacevo in terra, scomparve come era arrivata.
Mio padre abbassò le braccia, restò immobile per qualche momento ancora,
poi venne verso di me e senza una parola mi portò via, tirandomi per
un braccio." Lo sguardo di Alexi, nel rievocare la figura di suo padre,
si riaddolcisce un attimo e il giovane si volta verso il fuoco del
camino che ora scoppietta allegramente creando un bel contrasto con
l'atmosfera cupa del suo racconto. "Per tutta la strada di ritorno, non parlammo. Del
resto, non credo che sarei riuscito a spiccicare neanche una parola.
A parte lo stato di confusione mentale in cui ancora mi trovavo, avevo
la lingua praticamente incollata al palato e riuscivo solo a ingoiare
aria cercando di rimettere in funzione i miei polmoni che in quegli
attimi mi erano parsi svuotarsi completamente accartocciandosi su
se stessi. Quando arrivammo a casa, mio padre chiuse la porta con
un grande tonfo, poi finalmente mi guardò e mi tirò uno schiaffo così
forte che sembrava impossibile potesse venire da quell'esile uomo
che ormai già superavo in statura di parecchio. Io rimasi a fissarlo,
incapace ancora di poter dire qualunque cosa, allora lui mi prese
il volto tra le mani e tenendo i suoi occhi inchiodati nei miei, disse:
"Non osare mai più disobbedirmi.
Mi hai sentito? Mai più!". Il tono della sua voce era irato,
ma nei suoi occhi non scorsi solo rabbia, ma anche paura. In tanti
anni di vita insieme non avevo mai visto mio padre in quello stato
e quindi ne restai profondamente colpito, soprattutto quando capii
che aveva avuto paura per me. Io adoravo mio padre, ma solo in quel
momento mi resi conto che non mi ero mai realmente chiesto se anche
lui mi amasse. E quel giorno lo scoprii nel modo più traumatico." Con passo stanco, come se rivivere quella sua esperienza
lo avesse spossato, Alexi torna alla sua sedia e vi si lascia cadere. "Aristis non accennò a ciò che era accaduto, né quel
giorno, né quelli che seguirono, e io gliene fui grato. L'unico mio
desiderio in quel momento era cercare di rimuovere al più presto anche
il più piccolo ricordo legato a quella caverna e a quello che vi si
nascondeva dentro e tuttavia mi accorgevo di quanto fosse difficile.
Per molte notti, mi svegliai con quella sensazione di soffocamento
e di buio avvolgente intorno a me e quelle immagini caotiche che avevo
creduto di vedere, tornavano di continuo nei miei incubi anche se
al risveglio non riuscivo mai a ricordarle esattamente. In realtà
forse erano più impressioni che vere e proprie immagini, sensazioni,
come se quell'oscurità mi fosse entrata nella mente e non fossi più
in grado di liberarmene." "E tuo padre non ti spiegò di cosa si trattava?"
chiede Olimpia, la mano ancora saldamente stretta in quella della
compagna. Il racconto di Alexi, per quanto ancora vago nei dettagli,
l'aveva riempita di uno strano disagio, difficile da definire. Forse
quella frase di Xena sul talento come bardo di Alexi, era qualcosa
di più di una battuta. Il giovane aveva senz'altro delle potenzialità
se riusciva a comunicare quelle emozioni. "Non allora, no. E io mi guardai bene dal chiedergli
qualunque cosa. Quello che mi era successo, mi era bastato. E d'altronde"
dice Alexi, tornando ad alzarsi, evidentemente troppo irrequieto per
riuscire a stare fermo per più di qualche momento "non ce ne
fu neanche l'occasione. Il tempo passava e la cosa che viveva in quella
buca, se davvero la si poteva definire vita, non fece più parlare
di sé, per cui finii per convincermi che di qualunque cosa si trattasse,
forse se non fossi più tornato ad infastidirla e avessi ascoltato
mio padre, se ne sarebbe rimasta là, immobile, a dormire il suo sonno
di tenebra. Ma mio padre, anche se non ne parlava mai, non pareva
affatto tranquillizzato ed ebbi anzi l'impressione che giorno dopo
giorno questo pensiero che sembrava occupargli costantemente i pensieri
stesse consumandolo. Non ho mai saputo esattamente quale fosse la
sua età, e forse non la sapeva neanche lui. La vita che aveva condotto
lo aveva segnato profondamente nel fisico. Quando lo vidi la prima
volta mi sembrò vecchissimo, ma in realtà doveva avere meno di quarant'anni.
Ma negli anni che seguirono non notai in lui cambiamenti notevoli,
per me era sempre lo stesso uomo che una notte di tanto tempo prima,
mi aveva preso in braccio e portato via con lui. " Qui la sua voce si spezza un attimo, ma il giovane volge
la schiena alle sue due ascoltatrici, e se la commozione sta prendendo
il sopravvento su di lui, né Xena né Olimpia saprebbero dirlo con
certezza. "Quindi" riprende dopo un attimo di pausa, con
tono più normale "i cambiamenti che cominciai a vedere in lui
mi preoccuparono ancora di più. La sua schiena iniziò a curvarsi,
il volto acquistò un pallore sotto la sua pelle sempre abbronzata
che lo fece diventare quasi grigiastro, le sue mani mentre dormiva
e quindi non aveva il controllo totale di sé, tremavano lievemente
ma in maniera evidente. Ma la cosa che più di tutte mi colpì fu il
modo in cui affrettò la mia istruzione nell'utilizzo del potere. Nonostante
la sua severità, aveva sempre avuto molta pazienza con me, soffermandosi
spesso anche per giorni su di un singolo esercizio meditativo, perché
asseriva che la perfezione poteva arrivare solo attraverso la ripetizione
costante affinché un giorno io fossi in grado di usarlo con la stessa
naturalezza e sicurezza con la quale si tende una mano per prendere
un oggetto o si mette un piede davanti all'altro camminando. Ma in
quei mesi diede un'impressionante accellerazione alle mie lezioni.
Spesso restavamo in piedi fino a notte fonda per raggiungere il massimo
grado negli esercizi e quando io esausto, crollavo e perdevo la concentrazione,
lui andava in preda a furiosi scatti di rabbia che non gli avevo mai
visto prima. Era come se stesse cercando di accorciare i tempi, come
se avvertisse che la sua vita stava ormai per esaurirsi e che presto
avrei dovuto utilizzare quei poteri da solo, per la mia vita e per
quella di chissà quanti altri." "Quanto tempo fa scopriste la caverna?". La domanda di Xena arriva così improvvisa che sia Alexi
che Olimpia si voltano a guardarla. La guerriera non aveva praticamente
aperto bocca da quando si erano seduti fuori sul portico ad ascoltare
il racconto del giovane ed ora che aveva parlato il suono della sua
voce era apparso quasi alieno in quell'angusta stanzetta. Dopo un momento di esitazione, come se stesse ancora cercando
di capire il significato della domanda della sua taciturna ospite,
Alexi torna a fissare il fuoco nel camino. "Poco meno di tre primavere." risponde infine."
Non era molto tempo che ci eravamo stabiliti qui. Eravamo arrivati
nella stagione fredda e cominciammo a cercare ai primi disgeli, quindi...
sì, tre primavere." "E poi, cosa successe?" chiede Olimpia. "Niente, come ho detto. E davvero cominciai a sperare
che tutti i timori di mio padre fossero esagerati e che quella cosa
fosse in qualche modo... confinata là dentro, impossibilitata ad uscire,
e quindi di nuocere a chiunque, a meno che qualche idiota, come me,
non andasse a ficcanasare. E forse, chissà, cominciava a sperarlo
anche lui. La nostra vita sembrava diventata tutto sommato quasi normale.
La sera era rigidamente dedicata all'addestramento, mentre durante
il giorno, Aristis si occupava dei piccoli lavori manuali, almeno
quelli che il suo stato di progressivo decadimento gli consentivano,
e a me toccavano quelli più duri oltre che sporadicamente andare al
villaggio per acquisti. E fu in occasione di una di queste mie uscite
che cominciai a sentire le prime voci." Alexi prende due rami dalla catasta di legna accanto al
camino e li getta nel fuoco ravvivando la fiamma. "L'atteggiamento della gente non era mai stato troppo
amichevole nei miei confronti durante i miei viaggi a Kyros, e per
me questo andava benissimo, perché mi risparmiava di dover rispondere
a delle domande. Più mi stavano lontani e meglio era, ma quel giorno
mi accorsi che la sottile diffidenza si era trasformata quasi in ostilità.
La gente se ne stava riunita in capannelli e parlottava a bassa voce.
Quando entrai nella locanda per comprare del vino, il locandiere mi
corse incontro e mi disse che mi avrebbe consegnato la merce sul retro.
Alla mia richiesta di spiegazioni, nicchiò un poco, non sapeva evidentemente
se confidarsi, poi si decise e mi raccontò. Il giorno prima era scomparso
un bambino. Era andato a giocare nella foresta, insieme ad alcuni
amichetti, nonostante le proibizioni dei genitori, ma di lui si erano
perse le tracce. Gli altri bambini erano tornati terrorizzati. Avevano
raccontato che un attimo prima era insieme a loro e subito dopo, mentre
si inseguivano tra gli alberi, non erano più riusciti a trovarlo,
come se fosse stato ingoiato dalla terra." Questa volta, la pausa nel racconto di Alexi è quasi attesa,
e il giovane si volta nuovamente verso di loro, fissandole, anche
se in contrasto con l'intensa luce del fuoco alle sue spalle, la sua
figura appare come una sagoma oscura di fronte a loro, in cui i tratti
del volto sono quasi indistinguibili, così come lo avevano visto la
prima volta sulla soglia di quella stanza, o cella, in cui si erano
risvegliate. "So cosa state pensando." dice. "Perché è
esattamente quello che pensai io. Sentii un brivido e probabilmente
dovetti impallidire notevolmente, perché il locandiere mi scrutò preoccupato.
Comunque mi disse che la gente cominciava a rumoreggiare. I genitori
del ragazzo erano impazziti dalla paura e volevano andare a cercarlo,
ma Acros, il Capo del Consiglio, aveva proibito a loro e a chiunque
altro di avvicinarsi alla foresta. Diceva che era abitata dai dèmoni
e che terribili maledizioni si sarebbero abbattute su tutti loro se
avessero disobbedito ai suoi ordini." "Abbiamo conosciuto quel tipo." mormora Olimpia.
"E non è stata una esperienza piacevole." Alexi sembra appena accorgersi dell'interruzione della ragazza
che gratifica di uno sguardo fuggevole, preso com'è dal suo racconto. "Ma l'agitazione tra gli abitanti era grande, anche
perché, come mi disse il locandiere, gli altri bambini avevano detto,
o li avevano in qualche modo spinti a dire, che quando era avvenuta
la scomparsa si trovavano a poca distanza dalla nostra casa. Il locandiere,
forse avete incontrato anche lui, un ometto più tondo che alto, di
nome Tindaro mi conosceva e non voleva credere alle voci, o più probabilmente
non voleva rischiare di perdere uno dei pochi clienti che lo pagasse
regolarmente in contanti e non con promesse, e quindi mi avvisò che
Acros o non Acros, il padre del bambino scomparso ed un gruppetto
di esagitati che aveva raccolto intorno a sé meditavano di venire
a cercarci. Presi le poche cose che potevo portare con me e tornai
velocemente qui, badando a non farmi vedere, ma quando arrivai trafelato
non dovetti perdere tempo a spiegare a mio padre l'accaduto. In qualche
modo che non sono mai completamente riuscito a comprendere sapeva
già tutto. Era come se fosse stato al villaggio con me, dentro di me." aggiunge, guardando
significativamente le due donne di fronte a lui. Olimpia sente la mano di Xena stringere ancora un po' di
più la sua e risponde automaticamente e con gratitudine a quel gesto.
Ancora una volta i concetti che Alexi sta cercando di comunicare non
le sono estranei. "Tuttavia, Aristis mi disse di non preoccuparmi troppo."
prosegue Alexi. "Un conto sono le decisioni che si prendono intorno
al tavolo di un'osteria, magari esaltandosi vicendevolmente con l'incoraggiamento
di qualche bicchiere, e ben altro conto è invece affrontare poi la
realtà. Al villaggio, le paure alimentate sul potente mago che abitava
la capanna nella foresta e che si diceva fosse in grado di evocare
i più terribili dèmoni avrebbero avuto ragione alla fine di ogni risoluzione,
e ancora una volta i fatti gli diedero ragione. Non venne nessuno,
né quel giorno, né quelli che seguirono. Malgrado ciò, ritenni più
saggio mantenermi a distanza per un po' da Kyros, anche perché l'aspetto,
sempre più smunto ed emaciato di mio padre continuava a preoccuparmi
più che mai e preferivo non lasciarlo solo. Lui insisteva
a dire che stava benissimo ed era solo stanchezza, ma quella
faccenda evidentemente funzionava in entrambi i sensi, perché io sapevo
che non era così. La realtà era che la cosa che si annidava nella
caverna stava diventando più forte, e la lotta psichica che Aristis
sosteneva ogni giorno per tenercela rinchiusa, ormai stava seriamente
compromettendo il suo fisico e la sua salute." "Ma lui ancora non te ne aveva parlato? Non ti aveva
detto cosa era?" chiede Olimpia. "No, anche se io pensavo di averlo comunque intuito."
risponde il giovane, tornando a sedersi e chinandosi verso di lei.
Il tono della sua voce si abbassa fino quasi ad un sussurro. "Vedete,
ci sono... porte in questo mondo, passaggi, che... esseri, diversi
da noi, quanto noi lo siamo da una mosca o da una formica, talvolta
riescono ad attraversare." Gli occhi di Alexi si conficcano in quelli di Olimpia con
intensità, ma poi acquistano un'espressione indecisa, mentre il giovane
si rende conto che le sue parole non hanno ottenuto l'effetto che
pensava sulle sue ascoltatrici. "Vuoi dire come... il Maligno? O Lucifero?" dice
la ragazza. "Intendi dire che quella caverna è una specie di...
Bocca dell'Inferno?" "Oh no." mormora Xena, alle sue spalle. "Non
di nuovo." "Voi sapete delle Bocche dell'Inferno?" Questa
volta è il turno di Alexi di essere sorpreso.
"Che vuol dire, se sappiamo delle Bocche dell'Inferno? Ne abbiamo affrontata già una.
Xena ha ucciso il demonio che vi regnava ed ha rischiato di doverne
prendere il posto." Olimpia guarda Alexi con aria perplessa.
"Ma credevo che tu sapessi tutto di noi." Xena si sporge in avanti sul tavolo, fissandolo, senza parlare. Alexi sposta lo sguardo imbarazzato dall'una all'altra alternativamente
per qualche momento senza riuscire a rispondere. "Beh" dice infine, arrossendo visibilmente e abbassando
gli occhi "non è proprio così. Era Aristis quello che sapeva. Io so solo quello che lui mi diceva,
e quello che mi permetteva di vedere con il suo supporto." "Fammi capire bene." Xena dopo uno scambio di
sguardi perplessi con la compagna, rivolge di nuovo l'attenzione ad
Alexi, il cui imbarazzo adesso è fin troppo evidente. "Vorresti
dirmi che tutte quelle storie su te che puoi accedere alle nostre
menti e leggerle sarebbero praticamente delle balle?" Il viso del giovane diventa se possibile ancora più rosso. "Io non sono un impostore, se è questo che intendi."
protesta " E non ho mai detto di poter entrare nelle vostre menti." "Ma ce lo hai lasciato credere!" Il tono scandalizzato
nella voce di Olimpia è quello che sembra avere più effetto sul giovane,
che non sa più dove guardare. "Allora, è stato Aristis in realtà
a metterci fuori combattimento, vero?" chiede. "Non esattamente." risponde Alexi, e la sua voce
sembra adesso provenire da abissi molto profondi. "Sono stato
io a prendervi, come vi ho detto, ma senza la mente e il potere di
mio padre a sostenermi non ce l'avrei fatta. Come sempre." E d'improvviso la tensione trattenuta evidentemente troppo
a lungo ha ragione delle sue resistenze ed Alexi crolla, scoppiando
in lunghi singhiozzi, con il viso stretto tra le mani. Vedere quel
ragazzone barbuto, piangere come un bambino, faceva decisamente uno
strano effetto e Olimpia si alza e si avvicina a lui, posandogli una
mano sulla spalla. "Ehi, ascolta," gli dice "è stata una giornata
dura e se..." Con il volto rigato di lacrime, Alexi alza lo sguardo su
di lei. "Non sono un impostore." ripete, ingoiando a fatica.
"Ma i miei poteri non sono neanche lontanamente paragonabili
a quelli di mio padre. Non sapete quanto vorrei essere come lui, ma
la verità è che non lo sono e non lo sarò mai. E quella cosa è là
fuori e diventa sempre più forte, e ora che Aristis è morto, io...
io non so come fermarla." |
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