- seconda parte -
di
Nihal
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il racconto
CAPITOLO VI
<<Ginevra, sei pronta?>> chiese Dorilea, bussando delicatamente alla porta della regina.
La donna rimase in silenzio, continuando ad osservare la sua immagine riflessa nello specchio. L’abito viola intenso che indossava mascherava perfettamente l’addome che cominciava a gonfiarsi. Si assestò le pieghe della gonna ed andò ad aprire.
<<Sì, sono pronta>> disse alla balia che l’attendeva.
<<Perché quella faccia triste, bambina mia? Oggi è un giorno di festa!>> le accarezzò le gote più candide del solito. La regina si sforzò di sorriderle con scarso successo.
<<Non sono triste… Sono solo preoccupata>> rispose, facendole cenno di avviarsi verso la sala grande.
<<Preoccupata? Per quale motivo? Il re sta per annunciare l’arrivo del suo primogenito ed erede, di cosa sei preoccupata?>>
Lo sguardo della regina da solo sarebbe stato sufficiente a spiegarle quale fosse il peso che la incupiva.
<<Lancillotto non è ancora tornato>> aggiunse poi.
<<Ginevra, è un guerriero molto valoroso: non devi temere per lui!>> si avvicinò poi al suo orecchio <<E poi ti ha promesso di tornare: se è legata a te come dici, nulla le potrebbe impedire di mantenere la parola data>>
Le parole della balia riuscirono a ridarle almeno un accenno di serenità.
<<Hai ragione, Dorilea… Come sempre>>
L’anziana strizzò l’occhio, complice, poi le lasciò il passo affinché la regina fosse la prima ad attraversare la soglia della sala in cui era attesa. Ginevra prese un profondo respiro ed entrò a testa alta, pronta a sopportare il cerimoniale di corte cui era particolarmente insofferente.
<<Ginevra!>> esclamò Artù non appena la vide giungere e lasciò gli uomini con cui stava discorrendo, dirigendosi raggiante verso di lei. Le si inchinò, sfiorandole con le labbra la mano delicata e porgendole il braccio.
Mentre si dirigevano verso la pedana su cui erano collocati i due troni, la corte riunita lasciava loro un ampio passaggio, dividendosi in due ali. Ginevra rispondeva con sorrisi gentili alle riverenze che le venivano offerte e, quando fu seduta sul trono, uno scintillio metallico attirò la sua attenzione.
E la vide: i suoi occhi cerulei sembrarono far scomparire tutto, lasciandola senza parole e senza fiato. Era tornata, ma quando? Aveva pensato che sarebbe stata la prima a saperlo. Cercò di controllarsi per non dar troppo a vedere quanto forte stesse battendo il suo cuore e quanto desiderasse gettarle le braccia al collo, per lasciarsi stringere dalla sua figura solida e sicura.
Xena le sorrise un attimo, un gesto tanto fugace che credette quasi di averlo soltanto immaginato. Quando, poi, Artù si alzò e chiese il silenzio sollevando la mano, la realtà le si schiantò addosso. Sbatté le palpebre più volte, cercando di tornare presente a se stessa.
<<Miei valorosi compagni, gentilissime dame e nobili tutti>> cominciò il sovrano, rivolgendosi ai presenti <<Oggi è un giorno molto lieto per questo regno>> si voltò verso Ginevra con un sorriso radioso e le porse la mano, facendola alzare per essergli accanto. La donna lo fece senza staccare gli occhi dal viso di Xena, che osservava, curiosamente preoccupata, Artù, ritto in tutta la sua statuaria figura.
<<La nostra regina, la mia amatissima Ginevra>> riprese <<porta in grembo il mio figlio primogenito>>
Nei primi secondi successivi al suo annuncio calò un silenzio sorpreso, seguito poi da un fragoroso scroscio di applausi e congratulazioni. Xena sentì il gelo scorrerle nelle vene. Incapace anche solo di respirare, si limitò ad applaudire, mentre la sua mente cercava di rimettere insieme i frammenti che si erano dispersi a seguito dello schianto che aveva provocato quella notizia.
Gli occhi di Ginevra, pur fuggendo l’incontro diretto con quelli della guerriera, non smisero mai di seguirla in ogni suo movimento, come tutti i presenti, portò le sue congratulazioni ai sovrani, ricambiando l’abbraccio di Artù e sfiorando con le labbra la mano gentile della regina. Approfittando poi della confusione, sfuggì all’osservazione costante della donna, abbandonando la sala. Ginevra si accorse della sua assenza solo quando vide entrare nella sala Morgana ed il suo seguito e cercò disperatamente gli occhi di Xena per trovarvi conforto.
La sacerdotessa, sprezzante, si accostò al trono, inchinandosi con eleganza senza staccare lo sguardo dal viso di Artù, visibilmente contrariato dall’imbarazzo che la sua presenza stava creando. Nella sala era sceso un silenzio in cui serpeggiavano mormorii pettegoli: tutti attendevano di vedere come avrebbe reagito la regina al primo incontro in un’occasione ufficiale con la donna che era stata l’amante del re. Dal canto suo, Ginevra si limitò a guardarla con durezza, mantenendo un’espressione di formale serietà. Non avrebbe dato a Morgana nessuna soddisfazione.
<<Miei sovrani>> disse la sacerdotessa, ancora china nella sua riverenza <<Vi porgo gli omaggi di Avalon e della sua signora, la Dama del Lago>>
<<Alzatevi pure, Lady Morgana>> le disse Artù. <<Ringraziamo la Signora di Avalon tramite voi>> concluse ed il suo tono le fece comprendere che sarebbe stato conveniente che si allontanasse. Morgana accennò ad un assenso con il capo.
<<Vi auguro che sia l’erede maschio che il regno desidera, mia signora>> aggiunse poi, sorridendo beffarda, prima di lasciare la sala, altezzosa.
<<Mi spiace per questa situazione>> mormorò Artù alla sposa. <<Non avrebbe dovuto osare tanto>>
Ginevra si voltò verso di lui ed il suo sguardo impassibile gli fece gelare il sangue.
<<Perché? È parte anche lei di questa corte>> gli disse, ironica. <<E fino a poco fa non disprezzavi la sua compagnia>> aggiunse, pungente.
Il sovrano serrò la mascella, colpito dall’asprezza delle sue parole. Fece per aggiungere altro, ma l’arrivo di Galvano lo interruppe.
Xena gettò l’ennesimo sasso nel piccolo specchio d’acqua, poggiando stancamente la schiena al tronco del possente albero sulle cui radici era seduta ormai da ore. Intorno a lei la quiete del piccolo bosco le dava una parvenza di serenità e la sua mente era libera di vagare, senza indugiare sugli eventi che erano accaduti quella mattina, troppo in fretta e troppo inaspettati perché potesse reagire con razionalità. Chiuse gli occhi, reclinando la testa e respirando lentamente.
“Olimpia è incinta”
Non riusciva a non immaginarla sorridente e radiosa stringere una tenera creatura tra le braccia. Cos’altro avrebbe potuto renderla altrettanto felice? Per quanto razionalmente si sforzasse di essere partecipe della sua gioia, sentiva quella situazione gravarle addosso come un macigno che le impediva anche di sorridere. Scagliò un altro sasso nell’acqua, osservando la superficie che si increspava in cerchi concentrici sempre più grandi, fino a scomparire.
<<Sapevo che ti avrei trovata qui…>>
La voce di Ginevra fece sobbalzare la guerriera: possibile che non l’avesse sentita arrivare? Tuttavia rimase impassibile, continuando a fissare lo specchio d’acqua che aveva di fronte. Olimpia le si avvicinò, sedendosi accanto a lei.
<<Non saresti dovuta venire: è pericoloso per te allontanarti così>> le disse Xena, senza neppure voltarsi verso di lei.
<<Non credo di meritare tutta questa freddezza>>
La guerriera si lasciò sfuggire una risata ironica, ma si trattenne dal risponderle altro.
<<Guardami, Xena>> la regina le prese le mani tra le sue, costringendo l’altra, dopo aver preso un profondo respiro, a rivolgere il suo sguardo glaciale verso di lei.
<<Come puoi comportarti così?>> le chiese Olimpia, con le lacrime pronte a rigarle il viso.
La guerriera continuò a guardarla in silenzio, certa che qualsiasi cosa avesse detto in quel momento sarebbe stata dettata solo dal dolore pulsante che le stringeva il cuore.
<<Preferirei che mi riversassi addosso tutto quello che hai dentro piuttosto che stare lì in silenzio, come se per te non contassi nulla!>> sbottò Olimpia, ferita dall’apparente indifferenza della guerriera, che, dal canto suo, sentì qualcosa incrinarsi nelle sue difese.
<<Cosa vuoi che ti dica, Olimpia? Che questo non cambierà nulla? O forse che fuggiremo chissà dove, per crescere il figlio di Artù che porti in grembo lontano da Camelot e dalle sue insidie?>> il suo sarcasmo tagliente era dettato più dall’impellenza di nascondere il proprio dolore che dal desiderio di ferire Olimpia.
<<Xena, sai meglio di me che come regina di Britannia avevo il dovere di procreare un erede…>> cercò di difendersi, schermandosi però dietro una motivazione che lei stessa sapeva essere fallace.
<<Ti stai giustificando con me o con te stessa?>> le parole le scivolarono dalle labbra prima che Xena stesa si accorgesse della loro brutalità.
<<Xena, io…>> fece per dire la regina, ma le parole le morirono in gola e la donna distolse gli occhi gonfi di pianto da quelli della guerriera, che mise a tacere il desiderio di stringerla a sé non senza sforzo.
<<Come puoi parlarmi così?>> le chiese Olimpia quando ebbe ritrovato parte della sua compostezza, anche se sul viso le lacrime continuavano a scorrere.
“Vuoi che ti dica che mi distrugge sapere che io non potrò ai darti una gioia anche solo lontanamente paragonabile a quella di essere madre?”
Xena si trattenne a stento dal dare voce ai suoi pensieri, limitandosi ad asciugarle con una mano la gota della regina. Olimpia sollevò gli occhi sul suo viso e ritrovò nelle iridi chiare dell’altra la dolcezza che amava, nonostante la guerriera si ostinasse a tenerla nascosta.
<<Ho bisogno di averti accanto, Xena… Non posso farcela da sola>> sussurrò la regina, giunta ad un soffio dal suo viso. Xena la strinse a sé, accogliendola tra le proprie braccia.
<<Sarò sempre al tuo fianco, Olimpia. Sempre>> le rispose la guerriera quando riuscì ad avere la meglio sul nodo che le serrava la gola.
Olimpia si sollevò verso di lei, sfiorandole le labbra con un casto bacio. Lasciarono che il silenzio le avvolgesse, nella speranza che quella quiete riuscisse a rasserenare almeno un po’ i loro cuori. Nessuna delle due avrebbe saputo dire quanto tempo trascorsero avvolte da quell’atmosfera, tant’è che l’avvicinarsi del tramonto le sorprese ancora strette l’una all’altra. Olimpia non se ne curò, ma Xena cominciò ad essere irrequieta: non era affatto prudente lasciare che calassero le tenebre. Dolcemente sciolse l’abbraccio.
<<Olimpia, forse è meglio se torni al castello: una così lunga assenza della regina non può passare inosservata>>le disse, scostandole dal viso una ciocca che era sfuggita ai nastri che le acconciavano i lunghi capelli.
In un primo momento la donna sembrò riluttante a rompere quell’equilibrio, poi, amaramente consapevole della verità delle parole della guerriera, si alzò, pulendo l’ampia gonna dalle foglie e dai residui di sottobosco che vi erano rimasti impigliati. Anche se Dorilea la copriva con la scusa di un malore leggero, dopo tutto quel tempo avrebbe senz’altro avuto più di qualche difficoltà.
<<Hai ragione, purtroppo. Come vorrei che…>> non poté terminare la frase perché Xena le chiuse le labbra con un dito, poi le strinse la mano guardandola negli occhi.
<<No, Olimpia. Non aggiungere altro>> le disse, lasciando che il suo sguardo parlasse per lei. Le diede un bacio sulla fronte e le fece cenno di andare.
La regina si allontanò a malincuore, voltandosi indietro continuamente. Xena non si mosse fino a quando non la vide sparire sul suo cavallo al piccolo trotto. Avrebbe dovuto parlare di Avalon, di ciò che aveva risvegliato grazie al potere di Viviana, ma aveva ormai deciso che quel fardello l’avrebbe portato da sola, come da sola avrebbe distrutto Morgana.
“E poi?” la domanda irruppe nei suoi pensieri lasciando spiazzata la stessa guerriera.
Prese un respiro profondo, avvicinandosi alla sua cavalcatura, che l’attendeva a pochi passi di distanza. Montò in sella, procedendo lungo un sentiero opposto a quello su cui si era avviata Olimpia.
“E poi sparirò da Camelot. Per sempre”
Morgana sedeva accanto al piccolo braciere, gli occhi fissi sulla coppa di terracotta sospesavi sopra, all’interno della quale un liquido scuro cominciava a bollire, portando in superficie i frammenti delle erbe che la donna vi aveva versato. Mentre i vapori si facevano più densi, nella stanza si espandeva un forte odore di decotto. Non appena la sacerdotessa fu certa che la mistura fosse pronta, con mano ferma allontanò la coppa dalle braci, filtrandone il contenuto in un calice. Ne aspirò l’odore pungente, facendo poi roteare il liquido, ormai nerastro, lungo le pareti del calice, soddisfatta della densità dell’infuso. Il viso le si aprì in un’espressione di assoluta e feroce soddisfazione.
“Non ti basterà essere incinta per poterti salvare, cara la mia dolce Olimpia… Vedremo cosa accadrà quando avrò finito con te”
<<Cosa significa che non posso entrare?>> la voce di Artù oscillava tra la sorpresa e l’indignazione quando Dorilea, nel modo più deferente possibile, gli aveva negato l’accesso alle stanze della regina.
<<Maestà, la regina è stata molto chiara: non desidera essere disturbata>> gli ripeté la donna, pregando mentalmente che il sovrano non insistesse oltre. Poteva sentire le iridi chiare dell’uomo fisse su di lei, nonostante fosse rispettosamente inchinata. Gli istanti di silenzio che seguirono le parvero interminabili…
<<Devo far chiamare il medico?>> chiese poi Artù, ora preoccupato. Dorilea tirò un sospiro di sollievo, ringraziando la sua buona stella.
<<No, sire, non è necessario. La regina è solo stanca e provvederò personalmente a qualsiasi sua necessità>> gli rispose.
Il sovrano annuì e fece per andarsene. Poi si fermò e tornò sui suoi passo. La donna temette che avesse cambiato idea e si preparò ad affrontare ancora le sue insistenze e, se necessario, la sua ira.
<<Quando si sveglia, fatemi chiamare. Voglio parlarle prima di partire per la Cornovaglia>> le ordinò, allontanandosi, questa volta definitivamente, lungo il corridoio.
Dorilea non ebbe neppure il tempo di rispondergli tanto si era mosso velocemente. Ritornando nelle stanze della regina, la balia trovò la donna intenta a cambiarsi gli abiti, talmente assorta nei suoi pensieri che neppure si accorse dell’ingresso della donna.
<<Ginevra?>> la chiamò l’altra, quasi sottovoce.
La regina si voltò verso di lei e le sorrise, ma il suo sguardo le mise i brividi.
<<Cos’è accaduto?>> le chiese, raggiungendola e fermando i suoi gesti che si erano fatti frenetici.
<<Magari lo sapessi…>> fu la risposta amara che ottenne. <<Voglio rimanere sola, Dorilea..>> aggiunse poi la regina, alzandosi e dandole le spalle.
<<Artù vuole vederti>> provò a dire la balia.
<<Artù può aspettare: è l’ultima persona che desidero vedere in questo momento>> rispose, secca, nascondendo a stento la sua rabbia.
<<Non dovresti comportarti così…. È molto preoccupato per te>>
Ginevra si girò di scatto e Dorilea vide il fuoco nei suoi occhi.
<<È preoccupato per il suo erede, è ben altra cosa! È a causa sua che la sto perdendo…>> Nonostante avesse mantenuto un tono di voce basso, le sue parole riecheggiarono quasi come un urlo. Un urlo di dolore, di rabbia, di amore ferito.
<<Voglio rimanere sola>> ripeté la regina.
<<Come vuoi>>
Non appena Dorilea si chiuse la porta alle spalle, Ginevra si rannicchiò tra le coperte, costringendosi ad un sonno senza sogni che desse un po’ di calore al suo cuore. La balia, però, si risolse ad allontanarsi dalle stanze della sua protetta solo quando l’alba era ormai prossima ed il suo corpo, non più nel fiore degli anni, reclamava riposo. Si allontanò riluttante, fino a scomparire tra i corridoi.
Solo allora Morgana si decise ad allontanarsi dalla nicchia in cui si era rifugiata, nell’attesa che l’altra donna andasse via. Maledicendola entrò silenziosa come un’ombra nelle stanze della regina, tenendosi però ben lontana dalla sua camera da letto. Posò con cautela un calice sullo scrittoio della sovrana e, quasi come se non avesse consistenza corporea, scomparve senza produrre alcun rumore.
<<Cos’è questo?>> chiese Ginevra, notando sul suo scrittoio il calice, che mandava riflessi luminosi sotto la luce del sole.
<<Lo ha portato Donna Dorilea questa mattina, mentre eravate ancora addormentata, maestà>> le rispose una delle ancelle che, quotidianamente, l’assistevano per la vestizione.
La regina guardò la donna, immobile nella sua riverenza, con aria interrogativa.
<<Ne sei certa?>> insistette, allarmata da una sensazione di inquietudine che la vista di quella coppa le aveva destato.
<<Certo, maestà>> le rispose l’altra con tono candidamente innocente.
<<Immagino che dovrei berlo allora…>> disse, più rivolta a se stessa che alla serva.
L’ancella fece per rispondere, poi, raccolti gli abiti smessi della regina, si congedò, allontanandosi dalle sue stanze lungo un corridoio secondario. Per poco non urlò quando una mano le ghermì la gola, attirandola in una sala ancora avvolta dalla penombra.
<<Hai fatto come ti ho detto?>> la voce di Morgana la fece tremare ed i cenni d’assenso che rivolse alla sacerdotessa parvero frenetici, quasi isterici. Questa la guardò negli occhi, minacciosa, con tale intensità che l’ancella desiderò di scomparire.
<<Ha bevuto?>> insistette, senza allontanarsi neppure di un soffio.
<<No, mia signora… Non ha ancora bevuto…>> riuscì a risponderle, ostacolata dalla paura e dalla solida stretta con cui la sacerdotessa le stringeva la gola. Gli occhi della donna parvero infiammarsi.
<<Cosa significa che non ha ancora bevuto?>> il suo tono roco lasciava presagire una rabbia potente sul punto di esplodere.
<<Se non berrà quella coppa, sappi che ti riterrò direttamente responsabile… E non vedrai sorgere la prossima alba>>
La serva cominciò a tremare ben più forte, il viso ormai una maschera di terrore puro. Morgana sorrise, compiaciuta di quel suo potere, e la lasciò andare.
<<Vai… Ed accertati che beva>> le intimò quasi sussurrando.
La donna scappò via come se di fronte a lei vi fosse l’immagine stessa della morte.
Dorilea si svegliò di soprassalto. Non appena la sua mente riprese ad operare regolarmente, si accorse che i colpi alla sua porta erano reali e, data la loro insistenza, si precipitò ad aprire, insospettita da una preoccupazione sorda che non l’aveva abbandonata neppure durante il sonno.
Alla porta attendeva, in lacrime, una delle dame di Ginevra.
<<La regina… C’è sangue ovunque… Sta male!>> disse convulsamente la giovane donna, visibilmente sconvolta.
Dorilea ebbe un tutto al cuore. Si precipitò nella sua stanza per indossare le scarpe e si diresse a rotta di collo nella stanza della regina, senza neppure attendere la donna che avanzava a stento dietro di lei.
Spalancò la porta e la scena che le si parò di fronte le fece gelare il sangue: Ginevra era riversa a terra, in un lago di sangue, semisvenuta. Recuperando il suo sangue freddo la raggiunse e, dopo averla fatta rinvenire con fatica, fece in modo di stenderla sul letto. Purtroppo la sua esperienza le fece intuire che non c’era molto che potesse fare.
<<Ginevra, bambina mia, cos’è accaduto?>> le chiese con le lacrime agli occhi.
<<Il calice… L’ho bevuto… Ha detto che era tuo>> balbettò la regina, cadendo poi nuovamente in uno stato di semicoscienza.
CAPITOLO VII
Un vociare confuso fu la prima sensazione che riuscì a riportarla alla realtà. Si sforzò di aprire gli occhi, ma le palpebre erano così pesanti… Prese un profondo respiro e si concentrò, riuscendo finalmente a mettere a fuoco la stanza e le persone attorno a sé. Le finestre erano sbarrate e si respirava un’arsia densa di fumi di decotti e di un calore quasi soffocante.
Lentamente cominciò ad avvertire un dolore sordo nel profondo del ventre, che fece tornare a galla, anche se a frammentati, i ricordi di quanto era accaduto: la coppa ed il suo contenuto dolciastro, la fitta profonda nell’addome, il senso di vuoto e poi il buio…
<<Ginevra, sei sveglia?>> la voce di Dorilea le giunse come da un universo lontanissimo. La fissò, quasi assente, per alcuni istanti, senza riuscire a risponderle.
La donna le si sedette accanto e le carezzò il capo con fare materno, attendendo che riuscisse a ritrovare appieno le proprie facoltà.
<<Cos’è…successo?>> chiese alla fine la regina.
La balia la guardò con occhi colmi di tristezza.
<<Hai perso il bambino>>
Quelle parole scavarono in lei ancora più profondamente del dolore fisico. Scosse il capo, cercando di negare a se stessa l’evidenza dei fatti.
<<Ho trovato una coppa. Era un abortivo… Perché l’hai bevuto?>> insistette Dorilea, volendo ottenere quante più informazioni possibile prima che il dolore le impedisse di pensare razionalmente.
<<Chi ti ha detto questo?>>
<<Non lo so… Un’ancella, non ricordo>> i singhiozzi le bloccarono la voce, facendosi via via più forti, fin quando si lasciò andare ad un pianto disperato.
La balia la strinse al petto, consapevole che ulteriori domande non avrebbero fatto altro che aggravare il trauma che stava subendo. Dal canto suo Ginevra le si aggrappò alle vesti, piangendo con tutta la forza che le era rimasta.
<<Fai uscire tutti>> le sussurrò tra le lacrime.
Dorilea, senza lasciarla neppure per un attimo, diede ordine alle ancelle di lasciare immediatamente la stanza della regina. Riprendendo un po’ di calma, Ginevra sciolse l’abbraccio, asciugandosi il viso con il dorso della mano.
<<Il re sa qualcosa?>> chiese, recuperando anche un tono di voce sufficientemente saldo. Dorilea le sorrise, accarezzandole i capelli.
<<Non è a Camelot. È stato mandato un messaggero che lo avvertisse di un tuo malessere, ma non sa cos’è accaduto nel dettaglio>> le rispose. La regina annuì, pensosa.
<<Dov’è ora?>> la voce cominciò ad incrinarsi nuovamente.
<<Era in viaggio per la Cornovaglia. Se il messaggero l’ha già raggiunto, entro domattina dovrebbe essere di ritorno>>
<<E sir Lancillotto?>> cominciò a percepire una sensazione di dolore liquido partirle dal centro del ventre e diffondersi lentamente in tutto il corpo…
<<Vuoi che lo mandi a chiamare?>>
La vista le si annebbiò nel giro di pochi attimi: i contorni del viso di Dorilea si fecero immateriali e la sua voce ritornò a provenire da un universo così lontano…
<<Ha bevuto, certo. Ora è svenuta tra le sue ancelle>>
Morgana ascoltava con soddisfazione.
<<Non potranno ugualmente fare nulla. L’erede è morto prima ancora di nascere>> la sua risata riecheggiò nella stanza e la serva sentì un brivido di paura correrle lungo la schiena.
<<In ogni caso assicurati che sia realmente così. Non voglio correre nessun rischio>> disse poi la sacerdotessa, tornando presente a se stessa.
<<Ma ora ha fatto uscire tutti…>> cominciò a dire, ma lo sguardo di Morgana le bloccò le parole in gola.
<<Chi c’è con lei?>> gli occhi le si illuminarono.
<<La sua balia… Donna Dorilea>> riuscì a rispondere.
<<Nessun altro?>> insistette la sacerdotessa.
<<No, nessun altro>>
Scese nella stanza un silenzio vibrante. La serva, ancora inchinata, osservava di sottecchi l’altra donna, attendendo impaurita un suo nuovo ordine, che non tardò ad arrivare.
<<Fai in modo di trovarti nei pressi della stanza della regina e non appena entrerà qualcuno che non sia Dorilea, vieni immediatamente qui. È chiaro?>> il suo tono minaccioso non ammetteva alcun tipo di obiezione.
<<Sì, mia signora>>
Lancillotto sbatté le palpebre mentre la sua mente cercava di razionalizzare quanto Dorilea le stava dicendo.
<<Un abortivo? Ne sei sicura?>> chiese, mentre un sospetto si faceva sempre più spazio nei suoi pensieri.
<<Conosco il mio lavoro, cavaliere! Non posso sbagliarmi su una cosa tanto evidente>> sbottò Dorilea, infastidita dalla gelida incredulità del cavaliere. Lancillotto corrugò la fronte ancora di più e serrò la mascella.
<<Non volevo mettere in dubbio le tue capacità. Se le è stato somministrato un abortivo, c’è solo una persona che può aver osato tanto>> si sforzò di non lasciar trasparire la rabbia che sentiva crescere a dismisura. Ma doveva controllarsi: avrebbe avuto tempo per fargliela pagare.
<<Hai già un sospetto?>> la voce della balia la sottrasse ai suoi pensieri.
<<No, ho una certezza. Solo Morgana potrebbe aver architettato una cosa del genere, ma di lei mi occuperò a tempo debito. Oli…Ginevra come sta?>> chiese, non potendo contenere anche la sua apprensione.
<<Ora dorme, ma è particolarmente debole. Ha chiesto di te, penso che voglia vederti>>
Lancillotto annuì, grave.
<<Assicurati che dopo il tramonto non ci sia nessuno: la raggiungerò allora. Se lo facessi adesso, con il re assente, sarebbe un’incoscienza>>
I suoi occhi di ghiaccio si fecero distanti, come se il loro sguardo fosse rivolto ad un luogo lontano, ad una persona cui non poteva essere accanto in quel momento. Dorilea la fissò, cercando di capire quali pensieri le attraversassero la mente e quali emozioni le si agitassero nel cuore, oltre quell’aspetto marziale, ma, per quanto provasse, non riuscì a penetrare la corazza dietro la quale si era barricata. Così si limitò a congedarsi, allontanandosi.
Il cavaliere attese che l’eco dei suoi passi si estinguesse in lontananza e scagliò la sua rabbia colpendo con forza lo stipite della porta. Cadde in ginocchio, maledicendo Antinea e la propria incapacità di proteggere Olimpia dalla vendetta e dalla sete di potere della sacerdotessa. Lei, la persona più importante della sua vita, l’unica che potesse amare e che amava ben al di sopra della sua stessa vita. Maledisse sir Lancillotto, il dovere che la costringeva a starle lontana ora che avrebbe dovuto starle accanto più che mai.
Riaprendo lentamente gli occhi Ginevra si ritrovò ad osservare la propria stanza avvolta nella semioscurità, intervallata solo dalla luce incerta di poche lampade ad olio. Fece per mettersi seduta sul letto e due braccia immediatamente accorsero a sostenerla. Non ebbe neppure bisogno di voltarsi per riconoscerla.
<<Xena…>>
<<Sono qui>> le rispose la guerriera, uscendo dall’ombra e sedendosi di fronte a lei, prendendole dolcemente le mani tra le sue. Le accarezzò il viso, ancora pallido, e la regina chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel dolce contatto, lasciando che lacrime silenziose prendessero a rigarle le gote.
Xena le si avvicinò, stringendola a sé e permettendole di lasciar fluire via, almeno in parte, il suo dolore. La cullò sottovoce, tenendola stretta come se volesse fare propria la sua sofferenza.
<<Xena, perché?>> le chiese, con occhi lucidi, colmi di lacrime.
<<Olimpia… Pagherà per questo, non dubitarne>> ne rispose, posandole un delicato bacio sulla fronte.
<<Non m’importa, Xena. Il mio bambino non c’è più… L’ho sentito scivolare via da me senza che potessi far nulla!!>>
La guerriera rimase in silenzio, incapace di proferire parola. Anche il semplice sostenere lo sguardo degli occhi smeraldini dell’altra le era difficile. Le asciugò le lacrime, tenendole il viso tra le mani, sperando che i suoi occhi parlassero meglio di quanto avrebbe potuto fare lei.
<<Xena, mi ami?>> la domanda arrivò improvvisa e letale.
<<Più della mia stessa vita>> le rispose d’impeto, senza esitare un solo istante. Olimpia trovò la forza di sorridere appena.
<<Non dubitare mai, amore mio>> proseguì la guerriera. <<Non c'è nulla al mondo che possa tenermi lontana da te>>
I loro volti arrivarono ad un soffio l’uno dall’altro e potevano sentire i loro respiri fondersi in un unico anelito, così come i loro destini erano indissolubilmente legati l’uno all’altro. Olimpia le sfiorò i capelli corvini, tenuti fermi da un legaccio, seguendo poi il profilo del volto e del collo. Le sue mani proseguirono lungo le spalle e le braccia, percependo attraverso la blusa bianca il calore che vibrava al di sotto della pelle.
<<Non lasciarmi sola questa notte>> le disse con un filo di voce, incerta.
La guerriera esitò un momento, consapevole dei rischi che avrebbe potuto comportare se fosse rimasta, ma la forza del legame che le univa ebbe la meglio sulla sua razionalità.
<<Non ti lascerò sola mai più>> le rispose, sorridendole.
Con calma Xena si alzò, spegnendo le lampade ad olio che illuminavano fiocamente la stanza, lasciando come unica fonte di luce la candela che ardeva accanto al letto della regina. Sfilati gli stivali, si mosse silenziosa tra le ombre, raggiungendola tra le coltri. La strinse a sé, cullandola dolcemente. Olimpia lasciò che il tepore delle sue braccia la confortasse. Si abbandonò completamente ad esse, chiudendo gli occhi, rasserenata dalla sua presenza.
<<Xena>>
La guerriera si voltò verso di lei, guardandola negli occhi. La regina le accarezzò una ciocca di capelli corvini che sfuggiva dalla sua acconciatura maschile. Xena rimase immobile, contenendo il desiderio che cominciava a scalpitare dentro di lei.
<<Sono qui…>> disse, trovando la forza di rompere quel silenzio.
<<Se ti trovassero qui potrebbero ucciderti…>>
<<Vuoi che vada via?>>
<<No!>> rispose la regina, stringendola più forte, come se fosse spaventata alla sola idea che potesse andar via da un momento all’altro. Xena le sorrise di nuovo.
<<Stai tranquilla, non accadrà>> la rassicurò, cercando di ignorare il fatto che lei stessa nutriva le medesime paure.
<<Ma…>>
<<Chiudi gli occhi>> le disse quasi bruscamente la guerriera.
<<Cosa?>>
<<Chiudi gli occhi>> Xena la guardò con un sorriso delicato, sfiorandole il viso con la punta delle dita.
La regina obbedì. Non accadde nulla per alcuni secondi. Non riusciva a sentire null’altro al di fuori del silenzio ed il contatto con le labbra della guerriera la colse alla sprovvista, ma si lasciò trascinare senza remore. Non aprì subito gli occhi e sentì il corpo dell’altra spostarsi per poi gravarle appena addosso. Le loro dita si intrecciarono e Xena gliele tenne ferme gentilmente sul giaciglio. Lentamente si spostò lungo il collo della donna, sfiorandole appena la pelle lasciata scoperta dalla leggera sottoveste. Continuarono in quella danza fino a quando i loro corpi non cominciarono ad esigere di più. Senza avere neppure la percezione esatta dei loro gesti, in breve Olimpia le sfilò la blusa e le sciolse le bende con cui la guerriera mascherava le sue forme femminili: si trovarono libere, pelle su pelle. Le mani di Xena le accarezzarono le forme morbide con delicata passione.
<<Xena…>> sussurrò la regina, richiamando a sé le labbra dell’altra. Le prese poi il volto tra le mani, quasi a volersi assicurare che fosse davvero lì, che fosse davvero lei. La guardò negli occhi con un’intensità tale che la guerriera ebbe la netta sensazione che al di fuori di essi nulla avesse ragione di esistere.
Olimpia le sciolse i capelli, lasciando che le ciocche corvine si mescolassero alle sue. Le spostò un ciuffo dal viso, perdendosi lungo la linea forte e sinuosa del collo, ritrovando nella pelle dell’altra lo stesso fremito vibrante che percorreva il suo corpo.
Xena le sfiorò appena le labbra più volte, giocando con il reciproco desiderio, mentre le sue mani si facevano audaci. Un leggero senso di colpa cercò di farsi strada nella sua mente, ma si dissolse al calore del respiro di Olimpia che si intrecciava con il suo. La guerriera si fermò per alcuni istanti, cercando nei suoi occhi un’ulteriore conferma per potersi spingere oltre. La regina le affondò le mani tra i capelli mentre Xena, con estrema delicatezza, portò il suo corpo oltre i confini della percezione sensoriale. Olimpia venne come travolta da un vortice di sensazioni incredibilmente intense. Nella sua mentre presero corpo volti, voci, suoni che non appartenevano a questa vita. Si riempì di ricordi nuovi, mentre il suo cuore lentamente tornava a battere ad un ritmo naturale. Riaprì gli occhi e le iridi chiare della guerriera, velate di fremente passione, le sembrarono quanto di più bello potesse esistere.
<<Amore…>> le disse, prendendole il volto tra le mani e portandolo a sé.
<<Sono qui>> le rispose la guerriera, tra un bacio e l’altro.
La regina le passò ancora le mani tra i capelli, facendoli scivolare tra le sue dita. Le morse il labbro inferiore, spostandosi lungo la gola della guerriera, poi la spalla, sfiorando con la punta delle dita una cicatrice che biancheggiava alla base del collo. Xena le prese la mano, baciandola dolcemente, poi lasciò che la regina la spingesse sul giaciglio, adagiandosi senza opporre resistenza.
Olimpia esplorò il suo corpo come se lo ritrovasse dopo lunghissimo tempo, senza tralasciare nessun muscolo, nessuna cicatrice, facendole fremere la pelle in ogni punto che sfiorava con le labbra. Le sue mani scivolarono sicure lungo l’addome scolpito della guerriera, spingendosi poi oltre, mentre ritrovava il contatto con le labbra della donna. Olimpia poteva sentire i fremiti che le correvano lungo la schiena mentre le loro bocche si separavano solo per poi cercarsi ancora.
Rassicurata dagli ansiti di piacere dell’altra, Olimpia si fece più audace, portandosi nel centro del piacere della guerriera. Esitò al contatto inaspettato con la sua verginità, ma la guerriera le tenne salda la mano con la sua, cercando ancora le sue labbra, come per un’ulteriore conferma. La guerriera sentì la sua mente esplodere quando il piacere finalmente la travolse. Cerco di riprendere il controllo del suo respiro, ma il suo cuore scalpitava, ancora troppo fremente per rallentare. Olimpia si strinse a lei e Xena le cinse i fianchi, coprendo entrambe con le lenzuola. Le sorrise, scostandole una ciocca bionda dal viso.
<<Andiamo via…>> le disse la regina.
Xena fu sul punto di risponderle di slancio, ma si trattenne, corrugando la fronte.
<<Per andare dove?>> le chiese, quasi brutale.
<<Ad Avalon, in cima al mondo, ovunque! Non posso più sopportare questo posto. Non voglio dover stare lontana da te… Io ti amo>>
La guerriera esitò ancora alcuni istanti.
<<Non possiamo fuggire così, senza un posto dove andare, senza avere idea di come fare>>
Olimpia fece per parlare, ma Xena le chiuse le labbra con un bacio leggero.
<<Lasciami finire. Tu non sei nelle condizioni di affrontare un lungo viaggio a cavallo ed io non voglio correre rischi. Non mi perdonerei mai se dovesse accaderti qualcosa. Dammi un po’ di tempo, e ti porterò via da qui. Te lo giuro>>
La regina le gettò le braccia al collo, baciandola ancora.
<<Ti amo>> le disse.
<<Ti amo anch’io>> riuscì a risponderle la guerriera, prima che la passione prendesse nuovamente il sopravvento, togliendo spazio alle parole.
<<Chi va là?>> urlò la sentinella al cavaliere che si stava avvicinando al galoppo.
<<Aprite le porte!>> gli rispose, frenando la cavalcatura.
<<Chi va là?>> ripeté dall’alto delle mura il soldato.
<<Aprite questo maledetto portone: è il re che ve lo comanda!>>
<<Mostratemi il volto!>> fu la risposta che ottenne.
Il cavaliere si avvicinò ancora. Quando fu certo di essere ben visibile, si tolse l’elmo. La sentinella rimase impietrita: nonostante fosse distante, non avrebbe potuto sbagliarsi.
<<Aprite il portone!>> ordinò nuovamente Artù.
L’uomo si affrettò a diramare l’ordine il più velocemente possibile. In breve le porte si schiusero ed il sovrano spronò la propria cavalcatura attraverso il cortile interno. Mentre i battenti si richiudevano alle sue spalle, il sole fece capolino all’orizzonte, dipingendo di rosa il profilo delle colline. Morgana aveva atteso tutta la notte l’arrivo del sovrano ed ora sorrideva, compiaciuta, nel vedere l’urgenza con cui Artù aveva fatto rientro.
Era arrivato il momento dell’atto finale.
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