seconda parte
di
Nihal
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il racconto
CAPITOLO III
<<Padre…>> la voce di Ginevra era dolce mentre stringeva tra le sue la mano fredda e debole dell’uomo. L’anziano aprì a fatica gli occhi stanchi che ebbero un moto di gioia quando riconobbero il viso della figlia.
<<Ginevra… Speravo di poterti vedere un’ultima volta prima di morire>> le sue parole erano stentate ed il respiro difficoltoso.
<<Non dite così, padre! Sir Lancillotto è qui per curarvi e presto starete meglio>> sembrava più un tentativo di convincere se stessa che di rassicurare l’anziano. Leodegranz si sforzò di sorridere.
<<A meno che non sia un mago…e possa riavvolgere il tempo, non credo che…il tuo amico possa fare molto… La vecchiaia è una malattia incurabile>>
Avere la conferma dei suoi pensieri più cupi le impedì di controllare oltre le lacrime, che presero a scorrerle sulle gote completamente libere. Il padre la fece avvicinare e gliele asciugò lentamente.
<<Piccola mia, non devi piangere per me… Ho fatto il mio tempo, ho avuto le mie gioie…. È ora che raggiunga tua madre>> le disse incredibilmente sereno.
Non c’erano ombre né timori a violare la dolcezza di quel viso ormai stanco. Ginevra continuava a piangere, stringe dosi al petto affaticato ma ancora solido del padre, che le accarezzava i lunghi capelli biondi intrecciati.
<<Abbi cura di Eilan…. È giovane ed ha sempre visto in te la sua guida>> continuò, quasi a volerle consegnare, ora che poteva farlo di persona, le sue ultime volontà
<<E fai in modo che trovi uno sposo che sappia renderla felice... e che possa essere anche un buon re cui affidare la mia corona>> si fermò a prender fiato, affaticato.
La regina continuava a scuotere la testa, mormorando poche parole appena comprensibili. Si sforzava con tutte le sue energie di negare l’evidenza di quella terribile ma inevitabile realtà.
<<Piccola mia, non piangere…Non rendermi tutto così difficile. Non voglio portare con me il ricordo del tuo viso in lacrime>> le disse, facendola sollevare per guardarla negli occhi, ora gonfi ed arrossati dal pianto. Ginevra si sforzò di riprendere la sua dignità di regina, ricacciando indietro i singulti che ancora minacciavano di agitarle il petto.
Deglutì più volte, prendendo fiato, prima di riuscire a sostenere il suo sguardo con tranquillità sufficiente. Leodegranz le sorrise.
<<Dammi la tua benedizione, figlia mia, e potrò andarmene in pace>>
Ginevra si sentì vacillare nel profondo e desiderò intensamente di urlargli che non poteva lasciarlo andare, che non voleva perderlo così all’improvviso, così presto.
Gli diede un bacio sulla fronte chinandosi su di lui.
<<Sii felice, figlia mia…>> disse, poi chiuse gli occhi.
Smise di respirare poche ore dopo. La regina lasciò il capezzale dell’uomo solo quando giunsero i sacerdoti per comporre la salma. Lancillotto le fu immediatamente accanto, convincendola a riposarsi per quella notte e di cominciare la veglia al colpo del padre la mattina seguente.
<<Ho inviato un messaggio ad Artù per avvisarlo dell’accaduto.>> le disse, accompagnandola nella sua stanza. Ginevra annuì silenziosa, quasi assente. Si sedette sul bordo del letto che le era stato preparato, fissando un punto indefinito davanti a sé. Il cavaliere, preoccupato, chiuse la porta e le si avvicinò.
<<Olimpia, stai bene?>> le chiese dolcemente. La donna si voltò a guardarla.
<<Come posso stare bene? Mio padre è appena morto tra le mie braccia!>> la sua voce era venata sia di dolore che di rabbia. Lentamente le lacrime tornarono a riempirle gli occhi e si gettò tra le braccia del’altra, che la strinse a sé, in silenzio. Lasciò che fosse lei a separarsi quando ebbe smesso di piangere.
<<Grazie>> disse, asciugandosi gli occhi con il fazzoletto che l’altra le porgeva. Xena le sorrise, facendo poi per uscire dalla stanza.
<<Xena>> la fermò prima che potesse aprire la porta. La guerriera si voltò verso la donna.
<<Resta qui…Non ce la faccio a rimanere sola>>
La guerriera la guardò, combattuta, senza essere in grado di risponderle.
<<Te ne prego>> aggiunse Olimpia, comprendendo i dubbi che stavano attraversando la mente dell’altra. Xena rimase in silenzio ancora per alcuni momenti prima di risponderle.
<<Se non mi vedessero uscire, sarebbe troppo sospetto. Non dimenticare chi siamo, Olimpia. Ti raggiungerò più tardi, dopo aver fatto ritirare Lancillotto nelle sue stanze>>
La regina annuì ed attese che uscisse prima di cominciare a spogliarsi per mettersi a letto. Si era quasi addormentata quando sentì i battenti schiudersi lentamente. Rimase ad occhi chiusi quando sentì il corpo di Xena sistemarsi accanto a lei. Poteva sentire il suo respiro tranquillo quando le posò un bacio sulla fronte. Solo allora schiuse le palpebre per voltarsi verso di lei. Le sorrise.
<<Cominciavo a pensare che non saresti venuta>> le disse.
<<Mantengo sempre le mie promesse>> rispose serena <<Ora, però, cerca di dormire>>
Coprì entrambe con le coperte e, tenendola a sé, chiuse gli occhi. Olimpia posò il capo nell’incavo del collo della guerriera, respirando l’odore di fresco che emanava la sua pelle e, confortata dal calore e dalla forza di quell’abbraccio, si addormentò, lasciando che un sonno senza sogni le invadesse completamente la mente.
Con il velo nero calato sul capo, Ginevra osservava, silenziosa ed impassibile al braccio dello sposo, la pira su cui era stato deposto il corpo del defunto re Leodegranz. Sulla collina alle spalle del castello, dalla quale il re amava osservare i suoi possedimenti, aveva fatto realizzare il tumulo che ne avrebbe ospitato le ceneri.
“Così non smetterai mai di guardare la tua amata terra” pensò, fissando le fiamme che avvolgevano, danzando, la salma. Sentiva distintamente i singhiozzi di pianto che Eilan cercava di trattenere, reggendosi al braccio di Lancillotto, che si era offerto di accompagnarla al rituale. Oltre alla corte reale di Camelot, era presente tutta la nobiltà locale e, per quanto suo padre potesse essere amato, Ginevra era certa che la maggior parte di loro fosse lì per mettersi in buona luce per la successione. Ora la reggenza era nelle sue mani, o meglio, in quelle di Artù, ma non appena Eilan si fosse sposata, avrebbe ottenuto il diritto di regnare. Respirò lentamente, allontanando quei pensieri mentre procedeva alla testa del corteo funebre all’interno delle mura: un picchetto di guardie scelte sarebbe rimasto a vegliare la pira fino a quando il fuoco non si fosse spento completamente.
Entrando nella sala del trono e sedendosi sullo scranno che aveva occupato sua madre, sentì un brivido correrle lungo la schiena. Si limitò a rivolgere i saluti di circostanza a coloro che le porsero i loro omaggi ed il loro cordoglio, cercando spesso gli occhi di Lancillotto per prendere forza. Artù, d’altro canto, mantenne uno sguardo corrucciato per tutto il tempo e non ebbe per lei neppure una parola di conforto. Quando si ritrovarono nella loro stanza, tuttavia, il sovrano continuò a comportarsi in modo freddo e scostante, senza neppure mai guardarla in viso.
<<Artù, qualcosa non va?>> gli chiese, slacciandosi i nastri dell’abito nero che indossava.
Lo sposo le rispose con un grugnito indefinito, sistemandosi tra le coltri e dandole le spalle. Quando fu pronta, entrò nel talamo, tenendosi però a distanza da Artù.
<<Eilan dovrebbe sposarsi>> disse poi l’uomo all’improvviso, senza neppure voltarsi.
Ginevra non rispose: le sembrava sciocco e poco sensibile accelerare così le cose.
“Non è morto da neppure una luna e già parla di come sostituirlo?” pensò, notevolmente infastidita.
<<Sono abbastanza sicuro>> proseguì imperterrito <<che Lancillotto sarà bel lieto di sposare Eilan. Del resto lei ha per lui un’assoluta venerazione>> concluse.
La dama sobbalzò, colta completamente alla sprovvista. Aveva colto anche lei l’interesse della sorella minore, ma aveva sperato che non si arrivasse ad una simile situazione.
<<Mi sembra fuori luogo organizzare un matrimonio quando le ceneri di mio padre non si sono ancora raffreddate>> gli rispose, ma il tono della voce tradì il suo disagio.
Artù si decise a voltarsi e la fissò negli occhi come se volesse estrarne la verità che avrebbe posto fine ai dubbi che lo attanagliavano.
<<Non sei d’accordo con questa unione?>> le chiese.
<<Non è questo il punto… E poi non so se Lancillotto sarebbe disponibile>> fu la sua risposta, che cercò di far sembrare il più disinteressata possibile.
<<Tu credi? Te l’ha detto lui oppure lo sai perché è già legato a te?>> la voce di Artù si era fatta rabbiosa e l’espressione del suo viso le mise paura.
<<Cosa stai insinuando, Artù?>>
<<Non fare la sciocca quando non lo sei!>> urlò l’uomo. <<Sai benissimo di cosa sto parlando! Credi forse che non mi sia accorto che per te il sole sorge e tramonta quando lui viene e va? Anche oggi non avete fatto che scambiarvi sguardi!>> entrambi erano scesi dal letto e la figura di Artù torreggiava su quella di Ginevra, il cui viso era una maschera di furia.
<<È questa la fiducia che riponi nella tua sposa? Se avevi di questi sospetti, perché hai lasciato che fosse lui a scortarmi?>> la voce della donna era tremante nel tentativo di tenere a freno l’indignazione. Artù rimase quasi disorientato, guardandosi attorno nella stanza per non dover sostenere il suo sguardo,
<<Non ho mai voluto crederci, ma è evidente che Morgana…>>
<<Lady Morgana?>> lo interruppe Ginevra. <<È tanta la stima che hai nei miei riguardi che bastano le parole di una qualsiasi delle dame di corte per accusarmi di adulterio?>> di fronte al suo silenzio un sospetto si impose nei suoi pensieri.
<<Ora capisco… Non è una qualsiasi dama per te, vero?>> lo guardò con un sorriso ironico dipinto in viso.
<<Stai accusando me di tradirti per giustificare il TUO adulterio. Non è così?>> gli chiese. L’espressione che comparve sul viso del sovrano fu ben più eloquente di qualsiasi risposta.
<<Bene>> disse Ginevra, coprendosi con il mantello e dirigendosi verso la porta.
<<Non ho intenzione di dividere il letto con un uomo che non ha fiducia nell’onore e nella fedeltà della sposa che diceva di amare>> gli disse, oltrepassando la soglia a passo sicuro.
<<Domattina annuncerò il matrimonio e tu non potrai fare nulla per opporti!>> le urlò dietro in un moto di testardo orgoglio. Cercò di mettersi a dormire, ma il letto quella notte fu per lui un rovo di spine.
<<Dorilea?>> chiamò Ginevra bussando alla porta della stanza in cui alloggiava la donna che era stata la sua balia.
<<Ginevra? Cosa ci fai qui a quest’ora?>> le chiese l’anziana, visibilmente svegliatasi da poco, dopo averle aperto la porta.
<<Posso entrare?>>
<<Certo, piccola! Entra>> la donna si spostò per lasciarla entrare, facendole cenno di sedersi sul letto. Le fu immediatamente accanto dopo aver acceso un piccolo lume e le prese le mani tra le sue.
<<Dimmi cos’è accaduto, piccola mia>> le disse, percependo il tormento dei suoi pensieri.
Ginevra le aprì completamente il suo cuore, raccontandole di lei e di Selene, di ciò che erano state e del legame che ancora le univa in modo così indissolubile che nulla poteva separare, né ora né mai. Dorilea l’ascoltò in silenzio, ben attenta a tenere per sé il propri stupore.
<<Piccola mia… Quale segreto ti porti dentro…>> le disse quando tra di loro calò il silenzio. Non ebbe la forza di rassicurarla che tutto si sarebbe risolto: non si potevano piegare le leggi del destino.
“Ti aspetta una dura lotta, Ginevra cara”
L’intera corte osservava il sovrano, in attesa di venire a sapere la causa di una convocazione così repentina. Un borbottio tutt’altro che mascherato accompagnò l’ingresso nella sala della regina che sul capo portava la corona della Carmelide e non quella della Britannia. Lancillotto notò il disappunto di Artù quando la donna gli si sedette accanto con sterile formalità ed un’aura di altera fierezza che ne impregnava ogni movimento. Preoccupato, il cavaliere cercò gli occhi della regina, ma non riuscì a leggervi nulla al di fuori di una profonda collera.
<<Miei signori>> esordì Artù con voce profonda <<Come tutti sapete, il trono di Carmelide è nelle mani della mia sposa fino a quando la principessa Eilan non prenderà marito>> fece una pausa per misurare la reazione dei suoi ascoltatori. La fanciulla lo fissava interrogativa, senza riuscire a capire dove volesse arrivare con quel discorso.
<<Sarebbe per me motivo di gioia se la tua scelta, Eilan>> fissò lo sguardo sulla ragazza <<cadesse sul mio miglior cavaliere, sir Lancillotto>>
Nella sala calò il silenzio più assoluto. Ginevra non diene cenno di provare alcuna emozione, mentre il viso di Eilan era illuminato a tratti dalla gioia, a tratti dallo stupore. Il cavaliere, invece, aveva sgranato gli occhi per la sorpresa e sentiva il sudore freddo scorrergli lungo la schiena.
Quasi non sentì le parole con cui il sovrano lo invitava ad avvicinarsi al trono. Avanzò con passi quasi incerto, la mente che si affollava di pensieri alla ricerca di una soluzione a quell’imbarazzante situazione. S’inchinò al sovrano ed osservò la fanciulla, che emanava una gioia così intensa da farla quasi risplendere di luce propria. Cercò gli occhi di Ginevra e non vi trovò che una compartecipe impotenza. Strinse la mascella e si risolse che non ci fosse solo un modo per uscire da un simile imbarazzo.
“Perdonami, Eilan” pensò, poi chiese al sovrano la parola.
<<Sire>> esordì <<è un onore immenso questo che mi state offrendo e non c’è uomo che non vorrebbe avere una simile fanciulla come sposa>> prese un respiro profondo. <<Ma quell’uomo non posso essere io>> sentì il cuore stringersi quando vide il volto della principessa che si raggelava. Il silenzio gravava sulle sue spalle come un macigno immenso.
<<Sono un guerrieri consacrato alla Dea e come tale posso sposare solo una sacerdotessa consacrata>> abbassò gli occhi, lottando contro il senso di profonda rabbia che sentiva crescere.
Le lacrime di Eilan, poi, lo colsero impreparato. Si voltò verso di lei e la supplicò con lo sguardo di perdonarlo. Fece per avvicinarsi e prenderle la mano, ma la giovane si scostò come inorridita. Si guardò intorno, sentendo tutti gli occhi puntati su di lei. Neppure Ginevra sembrava comprenderla o offrirle altro che non fosse pietà. Scappò via lungo la navata, ancora in lacrime.
<<Spero che ora ti ritenga soddisfatto>> sussurrò la regina ad Artù.
L’uomo non le rispose, continuando a guardare fisso davanti a sé con gli occhi puntati sul cavaliere, che teneva lo sguardo basso. Quando lo rialzò, l’espressione che vi lesse lo fece quasi sobbalzare: le iridi azzurre sembravano mandare lampi così intensi da accecare chiunque osasse sfidarne la potenza. Si avvicinò al trono di un passo.
<<Sire, non so cosa vi abbia spinto ad una simile azione, ma sappiate che se dovesse accadere qualcosa alla giovane Eilan, vi riterrò direttamente responsabile>> disse con voce tale che le sue parole venissero udite solo dai due sovrani.
<<E sai bene, Artù, quanto letale può essere la mia spada>> concluse, inchinandosi prima di abbandonare la sala a grandi falcate. In cuor suo sperava di non dover affrontare l’amico in duello perché era certo di uscirne vincitore, cosa che avrebbe fatto sprofondare l’intera Britannia nel caos più assoluto.
Si fermò quando sentì dei passi alle sue spalle e, voltandosi, vide un’anziana donna che ricordò essere stata la balia della regina. Attese che lo raggiungesse, certa che stesse cercando lui.
<<Sir Lancillotto, la regina vuole vedervi nelle sue stanze>> gli disse senza il minimo cenno di affanno nel respiro, nonostante avesse camminato a passo svelto.
<<Dite alla regina che sono a cavallo>> rispose, voltandosi per continuare nella sua direzione.
<<Aspettate!>> gli si avvicinò di nuovo. <<Non vi manda a chiamare come Ginevra, ma come Olimpia>> sussurrò in un modo appena percettibile. Il cavaliere sgranò gli occhi.
<<Come fate a sapere…?>> poi la risposta si mostrò nella sua ovvietà, ma non fece mutare la sua decisione.
<<Dite allora ad Olimpia che sono fuori a cavallo>> questa volta il suo tono non ammetteva repliche e Dorilea si limitò ad annuire prima di andar via.
<<Cosa significa che non è nelle sue stanze?>> la voce di Ginevra era venata di notevole preoccupazione. La domestica abbassò ancora di più il capo.
<<Maestà, ieri non ho voluto disturbarla: ho visto la porta chiusa ed ho pensato che non volesse mangiare. Poi quando non mi ha risposto…>> cercò di giustificarsi.
“Ed ora dov’è andata?” pensò la regina, preoccupata.
<<Manda a chiamare il capo della guardi a e sir Lancillotto: voglio vederli subito>> le ordinò. Quando fu andata via, si diresse veloce nelle sue stanze, sostituendo il suo abito con dei più pratici calzoni da cavallo.
“Non può essersi allontanata di molto… Se avesse preso un cavallo sicuramente qualcuno se ne sarebbe accorto. Eiln, perché devi sempre comportarti in questo modo?”
A passo quasi di marcia raggiunse Artù, mentre la collera cominciava a montarle dentro come le onde di un mare in piena tempesta.
<<Artù!>> urlò spalancando la porta, ignorando ogni cerimoniale. L’uomo era ancora semi assopito e sobbalzò per la sorpresa. Non gli diede neppure il tempo di proferire una parola.
<<Eilan è scomparsa! Ho già mandato a chiamare il capo delle mie guardie. Convoca anche i tuoi uomini>> gli disse con un tono che non lasciava spazio alle obiezioni. Artù annuì, cominciando rapidamente a vestirsi mentre sul suo viso diventava sempre più evidente il senso di colpa. Ginevra lo ignorò volutamente e, raggiunte le sue stanze, trovò sulla soglia i due guerrieri ad attenderla.
Fece loro cenno di seguirla e spiegò la situazione. Lancillotto sembrava una maschera di cera tanto il suo volto era inespressivo. La regina ne cercò gli occhi, trovandovi la sua stessa rabbia. Nessuno dei due disse nulla e solo uscendo il cavaliere le sfiorò il dorso della mano con la sua.
Lancillotto era consapevole che il suo cavallo era ormai allo stremo delle forze e che incitarlo ancora sarebbe stato inutile. Lasciò che rallentasse il passo, facendo cenno a Ginevra di fare altrettanto. Raggiunta la regina, si scambiarono uno sguardo d’incoraggiamento, pur essendo consapevoli che le speranze di ritrovarla erano ridotte all’osso. Stavano setacciando la zona per un raggio di diverse miglia da due giorni, ma della principessa neppure la più piccola traccia.
<<Poco più avanti c’è una polla d’acqua>> disse Ginevra con voce atona. Il cavaliere si limitò ad annuire, conscio che nessuna parola sarebbe servita a molto. Superò di pochi metri la donna non tollerando oltre la cappa di doloroso silenzio che era calato. Arrivato in vista dello specchio d’acqua sentì il cuore perdere un colpo: era Eilan. Chiese un ultimo sforzo al povero animale e lo spronò al galoppo, pregando la dea che non fosse tutto uno scherzo della sua mente stanca. Man mano che si avvicinava, però, si rese conto della realtà: il corpo della fanciulla era riverso nell’acqua prono e mortalmente pallido. Scese da cavallo e la trasse all’asciutto: l’espressione vuota dei suoi occhi le serrò la gola, costringendola a lottare con le lacrime.
Sentiva distintamente il cavallo di Ginevra avvicinarsi e l’attese immobile, in ginocchio, con il corpo della giovane stretto al suo, quasi nell’inconscio tentativo di donarle il suo calore. Agli occhi della regina la situazione fu inequivocabile.
<<No!>> l’urlo lacerò il silenzio sereno attorno a loro come una lama affilata.
Lancillotto la cedette alle sue braccia non appena la raggiunse.
La pira ardeva a pochi passi dal luogo in cui era stata eretta quella del padre, di cui erano ancora visibili le tracce di bruciato. La figura di Ginevra si ergeva in tutto il suo il suo fiero dolore, sufficientemente vicina al rogo da sentire le ondate di calore colpirle il viso ed asciugarle le lacrime.
“Non doveva andare così…. Qualcuno pagherà per questo” continuava a ripetersi ogni volta che le sembrava di rivedere il sorriso gioioso della sorella.
Dietro di lei Artù assisteva a capo chino alla cerimonia, pienamente consapevole di essere l’unico responsabile di quella tragedia, sebbene si sforzasse di accusare Lancillotto, che lo osservava, silenzioso, nascosto tra le ombre delle colonne del porticato. Alcune ore dopo era rimasta solo Ginevra a vegliare la pira e solo allora le si avvicinò, intonando in onore della fanciulla defunta un canto funebre.
<<Xena, perché?>> le chiese Olimpia stringendole la mano.
La guerriera rimase in silenzio mentre i raggi del sole davano l’ultimo bacio alle ceneri di Eilan, le cui braci erano prossime ormai a spegnersi. Rimasero immobili, l’una accanto all’altra, attendendo che la notte ponesse il suo sigillo a quell’infausto giorno.
<<Andar via?>> Artù sembrava sorpreso dalla richiesta del cavaliere. <<Perché?>> gli chiese.
<<Sire, la corte ora mi porta alla mente troppi ricordi… Ed io ho bisogno di trovare serenità>> fu la risposta pacata che ottenne.
Guardò Lancillotto negli occhi e le sue iridi cerulee gli infusero un brivido gelido. Era l’occasione per liberarsi di lui eppure l’amicizia che li legava gli impediva di gioirne. Il ricordo delle parole di Morgana poi lo scosse. Quell’uomo aveva osato infangare il suo onore, anche se non poteva ancora dimostrarlo ed ora chiedeva un esilio volontario, come poteva tentennare?
<<Se è questa la tua decisione, non posso certo impedirtelo. Vai pure>> disse, facendogli cenno con la mano.
Il cavaliere si inchinò ed andò via. Aveva fatto portare i suoi pochi bagagli nella stalla e sellare il cavallo in modo da poter partire immediatamente. Era già in sella quando la voce di Ginevra lo fece fermare. Attese che lo raggiungesse, immobile.
<<Dove stai andando?>> gli chiese la donna, guardandolo con triste rassegnazione.
<<Torno ad Escalot…Poi, non lo so>> le rispose freddamente.
<<Non c’è nulla che possa fare per convincerti a restare, vero?>>
Lancillotto scosse la testa. <<Olimpia, ora Camelot non può essere il mio posto>> aggiunse. Non aveva immaginato che reggere il suo sguardo sarebbe stato così difficile…
<<Portami con te…>> disse la sovrana, sorridendo amara, consapevole dell’assurdità delle sue parole.
<<Ti prego, Olimpia, non rendere tutto più difficile. Se avrai bisogno di me, saprai sempre dove trovarmi>> si chinò su di lei e le posò un bacio sulla fronte, poi spronò il cavallo al galoppo, senza voltarsi indietro.
Cameo divenne un luogo asfittico: la presenza di Morgana e l’ormai impudico ed evidente favore che Artù le accordava aveva diviso la corte in due, ma ero ancora troppo lacerata dal mio dolore per preoccuparmi delle beghe delle mie dame. Inoltre, mi importava poco il fatto di vedere Artù solo nelle occasioni ufficiali in cui era strettamente necessaria la mia presenza: se Eilan era morta e Xena lontana, lui era il solo responsabile. Lui ed il veleno che Morgana gli iniettava costantemente con le sue parole. Aveva fatto del re il suo burattino ed ogni suo volere era legge. Chiusa nelle mie stanze, cercai di isolare la mia vita da ciò che c’era al di fuori della corte, sforzandomi di dimenticare tutto e tutti.
Scrissi più volte a Xena, affidando i messaggi a cavalieri fidati, ma non ottenni mai risposta. Cominciai a temere che mi volesse fuori dalla sua vita e smisi di insistere. Passò più di un anno senza che ricevessi alcuna notizia dalla corte di Escalot, ma non riuscivo a smettere di immaginare come sarebbe stata una vita con lei, senza re né regine, senza false apparenze. Solo lei ed io, come eravamo state un tempo, come temevo che non saremmo state più.
CAPITOLO IV
519 d. C., Camelot
<<Il mio regno ha bisogno di un erede>> la voce ed il viso di Artù erano duri e non ammettevano repliche. Ginevra lo guardò con aria di sfida.
<<Cos’è, la tua piccola concubina non riesce a partorirti un figlio?>> il suo sarcasmo fece comparire sul volto del sovrano un’espressione carica d’ira.
<<Non ti permetto di insultare Morgana! Soprattutto ora che ti sto mostrando la mia magnanimità>> La regina scoppiò in una risata fragorosa.
<<Davvero molto magnanimo da parte tua chiedermi, anzi ordinarmi, di essere la tua occasionale prostituta solo perché nessuno accetterebbe un figlio nato da una sacerdotessa qualunque di un culto dimenticato>> gli rispose pacata, sostenendo con assoluta serenità il suo sguardo lampeggiante.
<<Detto così è molto meno nobile, non è vero Artù?>> lo canzonò.
L’uomo si alzò di scatto dal seggio e la prese per il collo, sbattendola violentemente contro la parete.
<<Stammi a sentire, impudica adultera! Tu mi darai l’erede di cui ho bisogno, oppure farò processare te per adulterio ed il tuo amante per alto tradimento! Troveresti nobile morire con lui, vero?>> le sibilò ad un soffio dal viso.
Ginevra vide nei suoi occhi una furia omicida che la sconvolse, facendole temere per la prima volta per la sua vita- quando Artù la lasciò andare, prese un profondo respiro, portandosi le mani alla gola contusa.
<<Ora vattene>> le ordinò il sovrano, dandole le spalle. Ginevra si allontanò, precipitandosi nelle sue stanze con gli occhi colmi di lacrime.
519 d. C., Escalot
Seduta sul parapetto, Xena osservava le piane di Escalot: aveva smesso di piovere da poco ed il manto erboso sembrava costellato di tanti piccoli diamanti che sfavillavano sotto i raggi del sole.
<<Sapevo che eri qui>> la voce della cugina Hanna la fece voltare.
Cercò di sorriderle, ma nell’ultimo anno era una facoltà che era riuscita ad esercitare davvero di rado. La fanciulla si avvicinò, porgendole una pergamena sigillata. La guerriera riconobbe immediatamente lo stemma reale impresso nella cera.
<<È arrivata da Camelot>> le disse Hanna. Xena annuì corrucciata.
<<Immagino che tu voglia rimanere da solo>> aggiunse la giovane donna di fronte al suo silenzio.
<<Sì, grazie...>> le rispose la guerriera, riuscendo, questa volta, a sorriderle davvero.
La principessa accennò un piccolo inchino, ritornando all’interno del castello. Xena ruppe il sigillo ed aprì la pergamena, riconoscendo immediatamente la grafia ordinata di Olimpia.
“Avevo giurato a me stessa che non avrei violato il silenzio e l’esilio in cui ti sei confinata, spezzando ogni legame con Camelot, ma non posso più tollerare di non averti accanto. Mi manchi, Xena, più di quanto potessi immaginare, più di quanto ora mi sia possibile controllare.
Morgana ha avvelenato la corte e le mie stesse stanze sono il mio rifugio e la mia prigione, di cui quella donna detiene le chiavi con spietata ferocia. Ha deciso di distruggermi, Xena, e se non tornerai, credo che ci riuscirà. Temo concretamente per la mia vita ed anche la tua sarà in pericolo se non darò ad Artù un erede legittimo. Nessuno accetterebbe che venga designato al trono un figlio bastardo, tra l’altro generato da una sacerdotessa senza rango.
Ho bisogno di te, Xena: sei l’unica che può ancora sperare di far ragionare Artù e riportarlo alla realtà. Se continua ad esibire la sua reale concubina, molto presto si scateneranno rivolte in tutto il regno e sarà l’ennesimo bagno di sangue. Sai bene che non hai nessuna responsabilità nella morta di Eilan. Ancora una volta è parte del disegno di Morgana per appropriarsi del potere: poco le importa se questo deve passare per la morte altrui. Non essere schiava, ancora una volta, di un senso di colpa che non ti appartiene e non lasciarmi ancora sola per pagare un debito che non hai mai contratto.
Ho riposto in te tutte le mie speranze: andiamo via da Camelot insieme, lasciamo la Britannia! Potremo vivere finalmente libere dai doveri, dalle ipocrisie… Quanto vorrei io stessa credere a queste parole!
Xena, te ne prego, torna!”
<<Maestà, Lady Morgana ha detto che non vuole straccioni nel castello>> si giustifico il ciambellano, cercando di misurare ogni parola.
<<E da quando siete agli ordini di Lady Morgana? È forse la regina?>> chiese adirata Ginevra, cercando di evitare reazioni peggiori.
<<No, maestà, siete voi la regina… Ma credevo che il re…>> la donna lo interruppe con un gesto imperioso della mano.
<<Ora il re non è a corte e dovete obbedienza ai miei ordini. Non mi importa cosa abbia detto Lady Morgana, chiaro? Ordinate che i cittadini scacciati questa mattina vengano richiamati: darò loro udienza oggi stesso>> il suo tono e la fermezza del suo sguardo bruciarono qualsiasi tentennamento del ciambellano.
<<Sì, maestà>> disse, inchinandosi ed uscendo dalla sala.
Ginevra si massaggiò le tempie con le mani. “A questo siamo arrivati? Xena, perché non sei qui?” pensò, poi decise che sarebbe stato meglio se si fosse riposata un po’: era certa che avrebbe avuto da fare ben oltre il tramonto. I suoi passi leggeri riecheggiavano nel silenzio di pietra della reggia di Camelot pressoché deserta: una rivolta a sud aveva costretto il sovrano a precipitarsi lì con le sue truppe per spegnere quel pericoloso focolaio di guerra.
Erano partiti da due lune, mentre lei era rimasta a corte, a subire le angherie di quella donna che ormai si comportava come se fosse la legittima sovrana.
Entrò nella stanza avvolta dai suoi pensieri e si chiuse la porta alle spalle. Nell’angolo, tra la parete e lo stipite una figura incappucciata di nero la osservava, immobile. Ginevra ebbe la sensazione che qualcosa fosse fuoriposto e si voltò, sobbalzando alla vista della sagoma nera. Rimasero immobili, l’una di fronte all’altra per un tempo indefinito. Lentamente dalla cappa nera emerse una mano. Ginevra la osservò avvicinarsi al cappuccio e gettarlo indietro. Sgranò gli occhi, stentando a credere ai suoi stessi occhi.
Xena la osservava con un leggero sorriso.
<<Ti sembro un fantasma?>> la canzonò la guerriera.
La regina le si gettò di slancio tra le braccia, stringendosi all’altra quasi come se volesse davvero accertarsi che fosse lì, davanti a lei, in carne ed ossa. Xena le accarezzò i capelli, lasciando che fosse lei a decidere quando separarsi.
<<Temevo che non saresti venuta>> le disse poi Olimpia, allontanandosi un po’.
Xena assunse un’espressione cupa e seria.
<<Nono potevo lasciarti sola. Non mi fido di Morgana ed Artù deve ritornare a ragionare come un sovrano>> rispose.
La regina si sedette sul bordo del letto. <<Sei arrivata tardi: il re è partito per sedare una rivolta a sud..>>
La guerriera le si sedette accanto. <<Prima o poi dovrà tornare… Nel frattempo parlerò con Morgana>> il suo sguardo si era fatto duro. Tra le due calò un denso silenzio, ognuna presa dai suoi pensieri. Olimpia fu la prima ad alzare gli occhi e, sorridendo, le strinse le mani tra le sue.
<<Sono felice che tu sia qui>>
La guerriera le sfiorò il viso con una mano. Le era mancata, più di quanto avrebbe mai ammesso.
Il rumore di passi in rapido avvicinamento fecero irrigidire la guerriera, che balzò immediatamente nel nascondiglio in cui aveva atteso l’arrivo di Olimpia.
<<Maestà!>> la porta si spalancò e Dorilea entrò affannata e con il viso paonazzo. <<Sono qui! Stanno per attaccare!>> la sua voce era stridula ed isterica.
<<Dorilea, calmati! Chi sta per attaccare?>> chiese la regina, preoccupata.
<<Stanno arrivando da nord: sono guerrieri della Cornovaglia, la sentinella ha riconosciuto le loro insegne! Dobbiamo fuggire immediatamente!>> continuò l’anziana donna, gesticolando freneticamente. Olimpia si voltò verso Xena, trovando sul viso della guerriera la stessa apprensione che incupiva il suo.
<<Cosa facciamo?>> le chiese, ignorando la sorpresa di Dorilea quando vide la donna uscire dall’ombra.
<<Possiamo fare una sola cosa: combattere>> rispose secca Xena con gli occhi freddi del condottiero.
Lancillotto osservava il comandante delle truppe che avevano assaltato Camelot, in attesa di una risposta. Addosso aveva ancora la corazza con la quale aveva guidato la difesa, ampiamente sporca di sangue e terra. La spada, riposta nel fodero, tintinnava sinistra ad ogni suo passo. Fissò con freddezza l’uomo di fronte a lui, legato saldamente ad una sedia, il cui viso era impassibile quasi quanto il suo.
<<Immagino che tu sia consapevole che i tuoi uomini sono morti, oppure nelle prigioni e che la tua ostinazione non ha senso>> gli disse, guardandolo dall’alto della sua statura solida, resa ancora più imponente dall’armatura che indossava.
Ancora silenzio. Lancillotto si voltò di spalle, fingendo di ignorare il prigioniero, di scatto lo colpì in pieno viso con la mano ancora coperta dal guanto ferrato. Il setto nasale dell’uomo si sgretolò per la violenza del colpo e prese a sanguinare copiosamente.
<<Questo è solo l’inizio>> disse il cavaliere ad un soffio dal viso contratto per il dolore del comandate. Poteva sentire l’odore ferrigno del sangue che gli si riversava lungo il collo. Il prigioniero lo guardò con aria di sfida, sprezzante del pericolo di morte cui andava incontro. Lancillotto non si scoraggiò e rise di fronte alla sua caparbietà.
<<Bene, la tua resistenza è ammirevole, ma puoi giurare che neppure i tuoi uomini parleranno?>> questa volta fu il cavaliere a sorridere con aria di sfida, che divenne poi soddisfazione quando vide comparire il dubbio negli occhi dell’avversario. Per render poi ancora più reale le sue parole, si voltò e fece per andarsene, certo che l’avrebbe fermato.
<<Aspetta…>> sorrise nel sentire la voce dell’uomo. Con estrema calma tornò a guardarlo negli occhi, in attesa che fosse l’altro a parlare per primo.
<<Avrò salva la vita se ti racconterò ciò che so?>> chiese, ancora incerto se fidarsi del cavaliere. Lancillotto pose la mano sulla propria spada.
<<Te lo giuro sulla mia spada>> gli rispose. L’altro annuì e cominciò a parlare.
<<Una mossa davvero astuta…>> commentò Artù che, tornato dalla campagna nel sud, si era trovato Lancillotto ad attenderlo.
<<Sì, maestà… Neppure io avrei pensato che la rivolta fosse solo un’esca per scagliare un attacco direttamente su Camelot>> rispose il cavaliere, ancora rispettosamente in ginocchio.
“Ha salvato la mia roccaforte, ha combattuto da valoroso qual è… Possibile che sia davvero il traditore che credevo?”
Un silenzio cupo calò tra i due mentre Lancillotto osservava di sottecchi le espressioni che attraversavano il viso del sovrano.
<<Alzati, Lancillotto. Il mio luogotenente non deve ossequiarmi a quel modo>> gli disse poi, sorridendo come se finalmente avesse liberato il suo animo da un peso troppo gravoso.
<<Credo di doverti delle scuse, amico mio>> gli disse poi Artù quando l’altro si fu alzato.
<<Prima che a me, credo che tu debba chiedere perdono alla tua sposa: è del suo onore che hai dubitato>> gli rispose, guardandolo negli occhi. Il sovrano annuì,mesto, abbassando lo sguardo. Con un inchino Lancillotto prese congedo, lasciando ad Artù la giusta solitudine.
<<Non pensavo di rivederti qui>> la voce sarcastica di Morgana fece voltare il cavaliere, che la fissò in silenzio mentre si avvicinava.
<<Hai riconquistato il favore del re… Me ne rallegro>>
<<Smettila di mentire: non sono Artù ed i tuoi trucchi non mi ingannano>> le disse crudo, il viso una maschera di furia latente.
<<Certo, tu non sei Artù>> la sacerdotessa sorrise maligna. <<Ma non sei neppure chi dici di essere>> sussurrò ad un soffio dal suo orecchio.
Il cavaliere si irrigidì, trattenendo la tentazione di squarciarle la gola con la spada. Morgana rimase immobile, soddisfatta.
<<Non è forse così, Selene?>> chiese, rincarando la dose. Gli occhi di ghiaccio della guerriera la inchiodarono con un solo sguardo.
<<Stammi a sentire, Morgana. Non so cosa avesse in mente Viviana quando ti ha mandata qui, ma sappi che non esiterò un solo istante se i tuoi disegni perversi colpiranno ancora Ginevra>> mentre la fissava, nella sua mente presero a scorrere le immagini della sacerdotessa, bardata di pelle di leopardo, che inseguiva Olimpia lungo un pendio erboso. Per quanto si sforzasse, però, non riuscì a collocare la donna nei ricordi della sua vita passata.
<<Spero di essere stata chiara>> le disse poi, lasciando che suonasse ben più di un semplice avvertimento. Tuttavia Morgana non sembrava affatto impressionata.
<<Hai paura che la tua dolce regina soffra, cavaliere?>> il suo tono beffardo fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il cavaliere la spinse in una rientranza della parete, puntandole il filo di un pugnale alla gola scoperta.
<<Non mi importa che Artù ti accolga nel suo letto come sua sgualdrina, chiaro? Una sola mossa falsa, anche la più piccola, e la tua testa sarà esposta sulle mura>> premette leggermente la lama sulla pelle olivastra, lasciando che stillassero alcune gocce di sangue.
Lancillotto sentì dei passi in lontananza e lasciò la presa, permettendole di respirare. Ripose l’arma e si inginocchiò con falsa cortesia, lasciandola sanguinante e furente.
“Devo stare attenta… Molto attenta” pensò la guerriera allontanandosi, senza voltarsi. Morgana portò le dita alla piccola lacerazione sul collo e rimase ad osservare immobile il liquido rosso che le sporcava i polpastrelli. Aveva osato troppo. Questa volta avrebbe punito la sua impudenza distruggendo lei e la sua tanto cara Olimpia. Ora, però, doveva attendere. Si avviò verso le sue stanze, assorta nei suoi pensieri, senza curarsi del sangue che ora era arrivato ad imbrattarle la veste. <<Se io cadrò, tu precipiterai con me…>> sibilò la donna tra i denti mentre si allontanava <<E questa volta per sempre>>
Ginevra si guardava intorno svogliatamente: non aveva desiderio alcuno di essere presente a quel banchetto, ma i suoi doveri di regina la costringevano a recitare la parte della sposa devota e felice. Al suo fianco, Artù si prodigava in ogni modo perché non le mancasse nulla, ma lei continuò a mantenere il suo rigido atteggiamento di distaccata cortesia nei suoi confronti. L’offesa che le aveva arrecato bruciava ancora e certamente non sarebbero bastate poche premure perché lei dimenticasse. Le parole di colui che una volta aveva amato le risuonavano ancora nelle orecchie ogni volta che lui la sfiorava.
“Per la tua arroganza avresti meritato davvero una sposa adultera” pensò mentre Artù le versava dell’altro idromele nella coppa che volutamente evitò di bere.
<<Tutto bene?>> le chiese lo sposo, non mancando di notare il suo gesto.
Ginevra si costrinse a mantenersi calma: c’erano troppe orecchie indiscrete a cui senz’altro era meglio evitare di fornire motivo di pettegolezzo.
<<Non posso dire di essere esattamente lieta>> gli rispose, asciutta.
<<Ora vedrai>> le disse Artù, sorridendo mentre le stringeva la mano. Fece un cenno e dopo pochi attimi entrarono nella sala ben tre musici che presero a suonare antiche ballate druidiche. Ginevra ne rimase molto colpita e seguì le loro parole giocare tra di loro per formare meravigliosi intrecci, ciascuna come una singola tessera di un mosaico che, accompagnandosi alle altre, dà vita a splendide immagini. Il tempo parve volare e troppo presto giunse il momento di abbandonare la sala. La regina si premurò di complimentarsi personalmente con gli artisti, sperando che Artù nel frattempo si allontanasse da solo. Quando poi si voltò per recarsi nelle sue stanze, lo vide accanto alla porta, in attesa. Prese un profondo respiro e si costrinse a continuare per la sua strada. Lui l’affiancò, rispettando il suo silenzio.
<<Sono felice che tu abbia apprezzato quei musici>> le disse poi mentre salivano la stretta scalinata. <<So quanto tu apprezzi la musica>> aggiunse.
<<Ti aspetti che ti ringrazi?>> gli chiese senza neppure fermarsi a guardarlo in viso.
<<Io di solito lo faccio quando ricevo un dono gradito>> fu la risposta irritata del sovrano. Ginevra si fermò, fissandolo negli occhi.
<<Credi che mi basti questo, Artù?>> sentiva le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi.
<<Ho sbagliato, lo so, e non sai quanto mi dispiace. Ma cerca di comprendere anche le mie ragioni>> cercò di giustificarsi.
<<Quali ragioni possono essere sufficienti a comprendere un’accusa ingiusta di adulterio e la morte di una fanciulla?>> insistette lei.
Artù distolse lo sguardo, consapevole di non essere nella posizione di dire alcunché.
<<Ginevra, io ti amo>> le disse dopo una lunga pausa di silenzio. <<Eravamo felici insieme, cos’è accaduto?>> le chiese accorato.
La donna non rispose. Sentì appena la voce di Artù che continuava a parlarle. Tornò presente a se stessa quando lui la prese tra le braccia, stringendola a sé. Cominciò a piangere in silenzio di rabbia, di dolore, di amore. Piangeva per la consapevolezza di essere ingabbiata dalla rete dei suoi doveri che le avrebbero impedito di vivere come voleva, accanto a chi amava davvero. Cercò di trovare calore nella stretta dello sposo, lo stesso uomo che un tempo aveva amato e che l’aveva resa felice e che ora rappresentava tutto ciò da cui voleva disperatamente fuggire.
Si aggrappò alla sua veste, soffocando il pianto sulla sua spalla mentre Artù le sussurrava dolci parole, accarezzandole i capelli e lasciando che si liberasse del peso che le gravava addosso. Ritrovando i proprio autocontrollo, Ginevra si separò da lui, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Fece per voltarsi per entrare nelle sue stanze ma Artù la trattenne dolcemente, tenendole il bracciò. Lo guardò intensamente negli occhi. Permise che la baciasse e quando la seguì all’interno della sua camera da letto non oppose il netto rifiuto che avrebbe voluto.
La luna piena splendeva serena, stagliandosi come l’unico faro della notte. Xena abbassò la spada, detergendosi il sudore dalla fronte. L’erba attorno a lei portava i segni dei suoi stivali, lasciati durante lo sfibrante addestramento cui si stava sottoponendo. Sull’orizzonte era visibile l’imponente figura di Camelot, i fuochi sulle mura ben accesi e brillanti. Le parole ed il viso strafottente di Morgana erano stati un chiodo fisso da quando aveva lasciato la sacerdotessa. Era consapevole di averla già affrontata in passato ed era certa di poterla sconfiggere, ma a che prezzo? Non poteva rischiare che facesse ancora del male ad Olimpia. Di scatto riprese a fendere l’aria con la lama, che lanciava fasci di luce lattea quando i raggi lunari ne illuminavano la perfetta superficie d’acciaio. Il simbolo di Avalon la colpì come una folgore. Viviana era la chiave di tutto.
“Devo tornare ad Avalon” pensò, riponendo l’arma nella sua guaina ed avviandosi verso la cavalcatura che l’attendeva paziente a pochi passi di distanza. Ne accarezzò il collo robusto prima di montare in sella.
<<Stai tranquilla, ora ti porto a casa…>> le disse, spronandola poi con le redini in direzione di Camelot.
Una nuvola densa oscurò la luna, ma la guerriera se ne rese conto a stento, assorbita com’era dal flusso dei ricordi che l’effige della luna di Avalon aveva prepotentemente rievocato
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