La guerriera arrivò poco dopo, nello stesso luogo nel quale
si erano lasciate la mattina; vide fra l’erba poco alta, la
sagoma di una persona accasciata al suolo, rivolta col volto per terra...scese
dal cavallo e si gettò diritta su quella figura che si rivelò
essere la sua amica. Xena la prese tra le braccia sollevandole il
capo tra le mani e carezzandole il volto pallido ed esanime, le tastò
il polso per vedere se in quel corpo quasi cadaverico, alitasse ancora
qualche respiro di vita…era viva.
Xena aveva una morsa che le attanagliava il cuore, era spaventata,
così istintivamente prese delle coperte e le stese a terra,
poi prese Olimpia in braccio parlandole: <Ehi piccola, che ti è
successo? E’ colpa mia, non dovevo lasciarti sola, non nelle
tue condizioni! Che sciocca che sono! Stupida, stupida, stupida!>
La guerriera appoggiò delicatamente la compagna sulle pelli,
e la coprì in modo che non prendesse freddo: <Sei proprio
debole, hai bisogno di qualcosa che ti rimetta in forze…>
le disse; poi si chinò verso di lei sfiorandole delicatamente
le labbra con le sue, si sedette vicino a lei tenendole la mano, e
cominciò a parlarle con gli occhi lucidi: <Ti ricordi, Olimpia,
quante avventure abbiamo passato insieme? Quando ti conobbi e decidesti
di venire con me? Sai, forse non te l’ ho mai detto, ma tu hai
tirato fuori, fin dall’inizio il meglio di me. Grazie a te ho
riscoperto i più nobili sentimenti come il rispetto per la
vita, la lealtà, l’amicizia…l’amore, che
era già in me, ma aspettava solo di essere risvegliato. Avevo
bisogno di qualcuno che fosse l’opposto di me, qualcuno che
mi indicasse la retta via. E quella persona potevi essere solo tu:
pura e sincera Olimpia… Ti amo tantissimo, più della
mia stessa vita!> Si passò un dito al di sotto degli occhi
quasi come per cancellare una lacrima che, prepotente, insisteva a
voler scendere; poi si alzò coprendo meglio la sua amica, mettendole
una mano sulla fronte, sembrò essere sollevata: <Non scotti!
Per fortuna non hai la febbre. Dormi vecchia mia, dormi! Domani ti
sentirai come nuova!> Si avviò dunque ad accendere un focolare
per affrontare meglio l’approssimarsi di un’altra nottata
gelida, su questo vi fece bollire dell’acqua in un recipiente,
nella quale gettò foglie di te verde, menta e bacche di ginepro,
con qualche pizzico di polvere di mandragola che portava sempre con
se in una boccetta, rimestando finché l’infuso non si
tinse di un verde intenso e rilasciò un aroma acre nell’aria.
Xena tolse il recipiente dal fuoco e mise un po’ di quel liquido
in un mestolo, poi si avvicinò a Olimpia e accovacciandosi
accanto a lei, le bagnò le labbra dell’infuso; la reazione
della poetessa fu istantanea, difatti dischiuse la bocca come per
assaggiare, ma l’amarezza di quel liquido, la fece sobbalzare.
Olimpia aprì lentamente gli occhi, la prima cosa che vide,
cercando con grande sforzo di mettere a fuoco, fu l’immagine
sfocata della guerriera, la quale le passò un braccio sotto
al capo aiutandola a stare su; la barda, ancora intontita disse: <Xena?
Xena sei tu? Xe, che è successo?> La guerriera si limitò
a risponderle con un atteggiamento quasi materno: <Veramente speravo
me lo dicesi tu…Ecco piccola: bevi questo, ti farà bene
e domani ti sentirai come nuova!> La bionda, ancora abbastanza
confusa, prese il mestolo, aiutata da Xena, e poggiò le labbra
sui bordi per berne un sorso; la sua reazione fu immediata: rigettò
immediatamente quel poco di infuso che aveva bevuto, ed accompagnò
il gesto con un sonoro: <Bleah! Amore, che cos’è questa
porcheria? E così amaro!!> Xena sbuffò leggermente
spazientita e disse: <E’ un infuso, e se non lo bevi, dubito
che per domani potrai rimetterti in sesto! Avanti tesoro, so che è
molto amaro, ma devi berlo: Ti farà bene!> Olimpia che era
riuscita a mettere a fuoco nel frattempo, fissò Xena negli
occhi e dopo aver letto in essi tanta apprensione, le poggiò
una mano sul viso carezzandoglielo, poi ubbidì, deglutendo
quel liquido tutto d’un sorso; Xena la guardò compiaciuta,
poi disse: <Ora amore, devi riposare: cerca di dormire mentre io
ti spalmo un po’ di unguento sulla tumefazione, vedrai che domattina
starai benone… riposa per favore…>
Xena, si tolse l’armatura rimanendo solo col corpetto, poi si
sedette accanto alla compagna. Olimpia si gettò fra le braccia
di Xena, e cercò per qualche attimo le sue labbra, quindi una
volta trovatele, si lasciò andare in un passionale bacio, in
cui le loro lingue sembravano danzare insieme come se fossero ad un
baccanale.. La principessa guerriera prese il bardo fra le braccia
e la fece accomodare su di se, le prese una mano e gliela pose su
un suo seno, che fu massaggiato da Olimpia a dovere, poi il bardo,
stanco e sotto l’effetto di quell’intruglio, con occhi
socchiusi, quasi rapita dal sonno a sua volta sussurrò: <Xena,
non mi lasciare più come hai fatto stamattina..> e si addormentò
con un capezzolo di Xena tra le mani, sentendo a malapena la risposta
dell’amica che suonava così: <No! No, stanne certa!
Non temere, non ti lascio più…Scusami!> Così
si stese facendo poggiare ad Olimpia anche il capo sul suo petto,
accanto alla sua mano.
La nottata passò molto tranquilla per Xena, che difatti si
addormentò poco dopo, accanto alla sua amica con una mano piegata
al di sotto del volto, ed un’altra poggiata sul fianco; lo stesso
non si poté dire di Olimpia che ebbe un sonno molto agitato;
degli incubi la perseguitavano:
- Una lettera, un congedo e un turbinio di parole - <…La
leggenda delle Valchirie…Xena era la più valorosa delle
Valchirie di Odino…> <Piacere, sono Brunilde…Incontriamoci
stasera nel bosco e ti narrerò della leggenda…> <Beawolf…l’oro
del Reno…un anello magico… Grindl…> <Xena
ha forgiato l’anello magico con l’oro del Reno…Xena
ha creato Grindl…Il prezzo da pagare per il potere di quell’anello,
era perdere le proprie facoltà di poter amare qualcuno…>
<Xena! Xena è… Xena ha indossato l’anello, e
si è dimenticata della cosa più importante per lei:
tu!> - E il nome dell’amica rimbombava più volte nella
sua testa, con un lungo strascico; sembrava che le stesse scoppiando
la testa - <Xe… Xena… Xenaaa…Xena ti distruggerà!>
Olimpia agitata, sembrava essere stata punta da uno scorpione o un
ragno velenoso, si dimenava, ansimava, sudava, finché un urlo
non le uscì fuori dalla gola: O: <Noooo! Non andare! Non
farlo per favore, Xenaaaa!>
Istantaneamente balzò a sedersi aprendo gli occhi, a causa
di quell’urlo ansimava ancora; abbassò lo sguardo fissando
un punto indefinito della fitta boscaglia.
Il suo gesto fu quasi contemporaneo al sussulto di Xena, che con un
repentino scatto si alzò spaventata da quell’urlo.
La guerriera fissava la barda spaventata: notava perle di sudore che
le scendevano dalla fronte, che si andavano a mischiare con le calde
lacrime che bagnavano quegli occhi smeraldini, resi ancor più
lucenti nell’oscurità, grazie alle gocce che ancora le
albergavano negli occhi.
Xena la prese istintivamente tra le sue braccia, cercando di calmare
i suoi singhiozzi disse: <Va tutto bene, sta tranquilla: va tutto
bene…> Poi le passò una mano nel corto caschetto carezzandole
il capo e la nuca, cercando di farla rilassare più che poteva;
e le posò un fugace bacio sulle labbra. La bionda, si appoggiò
col capo sulla spalla della compagna e cercò di recuperare
fiato. La principessa guerriera era in pena per lei: cosa mai aveva
sognato che l’ aveva turbata tanto da urlare? Così, decisa
a vederci chiaro le chiese con tanta dolcezza: <Per favore amore
mio, puoi raccontarmi quello che è successo?> <Ho fatto
solo un brutto sogno!> farfugliava l’amica cercando di essere
evasiva, ma Xena le rispose: <Solo un brutto sogno? Hai urlato
in piena notte trasalendo dal sogno e ti vuoi giustificare dicendo
che era solo un incubo? Dai, racconta visto, che citavi anche il mio
nome!> <E va bene… > le disse l’amica rassegnata,
così le due si avvicinarono di più al focolare ancora
acceso e coprendosi con una coltre sulle spalle si sedettero. Xena
trafficò un momento nella sua bisaccia, e prese un otre riempita
d’ acqua, che porse all’amica; la compagna l’afferrò
tracannando avidamente, per spegnere il fuoco che le si era creato
in gola a causa di quell’urlo. Poi si schiarì la voce
e continuò: <Vedi Xena… è difficile per me,
non so da che parte cominciare…> Xena suggerendole le parole
disse: <Perché, tanto per cominciare, non mi riveli il motivo
dei tuoi strani comportamenti di questi ultimi giorni?> Olimpia,
respirando a pieni polmoni disse: <Ricordi la battaglia contro
i briganti a Dicearchia?> Xena la interruppe: <Certo che mi
ricordo, anzi volevo farti anche una…> Ma non riuscì
a finire per tempo, che si trovò il dito di Olimpia sulle labbra
che la stava zittendo, e prendendo coraggio cominciò a parlare:
<Shhtt! Fammi finire e capirai tutto! Dicevo: ricordi la battaglia
a Dicearchia? Ricordi che ero immobile di fronte a quel soldato? Ebbene,
mi fece una dichiarazione sconvolgente…> Xena, cercando di
smorzare un po’ l’atmosfera pesante venutasi a creare,
la prese in giro dicendo: <Ti ha mica chiesto di sposarlo? No perché
ti ricordo che tu sei già felicemente impegnata con me!>
Olimpia spazientita, ma anche divertita dalla smorfia fatta dall’amica
mentre le si rivolgeva così, le fece un sorrisino e rispose:
<Eh eh…Ma che simpatica! Se vuoi sapere, fammi finire, e
non interrompere sempre saltando come tuo solito a conclusioni affrettate!>
Xena la guardò, lieta di aver fatto recuperare almeno in parte
la serenità alla sua compagna poi disse: <Obbedisco: Va
avanti!>
La bionda ritornò di nuovo seria e cominciò la sua rivelazione:
<Credo tu abbia notato i tratti somatici di quell’uomo con
la cicatrice che mi ha aggredita; non era un greco, ne un italico,
aveva piuttosto i tratti del barbaro, dell’uomo nordico, le
caratteristiche del celtico…> <Dunque, credo di essermi
persa…cosa vuoi dire?> rispose Xena smarrita, inarcando il
sopracciglio. Olimpia continuò: <No, era una mia considerazione…Ma
mentre combattevo contro di lui, mi ha detto che era un mercenario
assoldato dal re dei Geati, e che aveva il compito di impedire a tutti
i costi, che noi arrivassimo in Scandinavia; ma il re gli aveva ordinato
rigorosamente di lasciarci vive, difatti sebbene avesse avuto la possibilità
di uccidermi, mi ha solo sferrato un imponente colpo alla testa, per
carità, tanto dolore, ma non mi ha uccisa… non ti sembra
strano?> Xena concluse ponendosi pollice ed indice sotto al mento,
sfregandosi pensierosamente: <Qualcuno vuole che noi non mettiamo
piede in Scandinavia…e mi dispiace sospettare di un vecchio
amico, ma il re del popolo dei Geati è ora il vecchio caro…>
Olimpia la interruppe pronunciando prima di lei quel fatidico nome
che rimbombò nel tetro bosco quasi come un urlo: <Beawolf!>
Xena con aria più pacata le bisbigliò: <Si…>
Olimpia le disse: <So come sei fatta e so anche che ora tu, un
po’ per dispetto, un po’ perché vuoi vederci chiaro,
mi dirai ugualmente di recarci là, ed era proprio questo che
non volevo, dato che il mercenario mi parlava di un’altra grande
minaccia per la terra geata…una minaccia superiore a Grindl…Ora
capisci perché non volevo a nessun costo tornare in Scandinavia?
Sembra che non siamo più le benvenute in quella terra…sembra
che tutti si siano alleati per cospirarci contro: Beawolf, Odino,
Grinilde, persino Brunilde…Perché Xena, perché?>
La guerriera era confusa quanto lei, sapeva che la sua compagna aveva
pienamente ragione, che le circostanze sembravano per loro avverse;
ma se c’era una qualità che si attribuiva al popolo geato,
era la fedeltà perpetua verso i suoi amici e alleati; perché
allora Beawulf si stava comportando in quel modo? Xena cercò
di prendere coraggio, sospirò e disse: <Ad ogni modo, tesoro,
riposiamoci, entro domani voglio essere in Scandinavia; voglio ben
capire cosa sta succedendo di tanto strano lassù!> Olimpia
la guardò con aria rassegnata dicendo: <Neanche stavolta
lascerai perdere, vero? Sei una zuccona!> Xena le sorrise e rispose:
< Cera di capirmi amore, Se devo perdere un amico, devo farlo a
modo mio, non mi piace che mi sguinzagli dietro i suoi mercenari per
impedirmi di raggiungerlo…Beawulf mi deve delle spiegazioni,
e dovrà essere anche molto convincente! Sono profondamente
in collera con lui!> Xena prese un attimo il respiro, poi continuò
con tono estremamente geloso, più parlando a se stessa che
all’amica: <Possibile che un uomo che fino a poco tempo fa
sembrava letteralmente morire d’amore per te, ora possa braccarti
come un animale selvatico? E meno male che era innamorato! Questo
dimostra che in fondo non faceva per te…> < E chi fa per
me Xena?> Domandò provocatoria Olimpia. <Che domande
sciocchina! Io!> E sorrisero insieme.
Olimpia si rintanò di nuovo nei suoi pensieri, ed assorta,
ripensando al sogno, le disse: <Non sono tranquilla Xena, ho paura
che accada qualcosa di brutto, di molto brutto… Dobbiamo stare
attente e qualunque cosa succeda, non ti separare mai da me…Non
voglio perderti come in Giappone. Voglio amarti e voglio essere amata
da te per tutta la vita!> Una carezza sul viso ed un successivo
bacio, soffocarono le parole di Olimpia, ma quello era il modo migliore
che Xena conoscesse per consolare la sua donna.
Le due tornarono così ai loro giacigli per addormentarsi esauste.
Fu tanta la strada a cavallo del giorno dopo, che le due si trovarono
a circa mezza giornata di cammino, dal posto dove furono invitate
al certamen di Catullo; decisero di fermarsi per rifocillarsi un po’
in un ridente paesino nella giurisdizione della città di Berg
Hem, dedito all’agricoltura ed alla pastorizia, dove per ogni
uomo c’erano quattro capre. Questo posto era chiamato dai romani
Calavagium.
Ma nonostante la buona lena, le due riuscirono a mettere piede in
terra barbara, solo all’alba della mattina seguente, poiché
Olimpia aveva esortato la sua donna a non spingersi oltre, e a non
affrontare viaggi che sono notoriamente più rischiosi di notte.
CAPITOLO 3
Un uomo era seduto sul suo trono, aveva chiari in volto i segni della
preoccupazione e della stanchezza di combattere; quell’uomo
era Beawolf che ravvolto nel suo scuro mantello, si copriva alla meglio
per proteggersi dalla gelida giornata scandinava.
Improvvisamente la porta della sala del trono, fu picchiata con delicatezza
ma altrettanta sicurezza; dopo il permesso del re, fece il suo ingresso
nella stanza il fedele Wilbur, il compagno di tante avventure di Beawolf,
che lo accompagnò anche nella sua avventura contro Grindl;
Wilbur era sempre stato visto dal suo re , come un ragazzetto smilzo,
molto cagionevole di salute, ma aveva un grande cuore ed un coraggio
da leoni; non tutti i ragazzi della sua età avevano il coraggio
di impugnare la spada e combattere… eppure ora, nonostante fossero
passati solo due anni dalle vicende dell’oro del Reno, quanto
gli sembrava cresciuto…Beawolf guardava con paterno sguardo
il ragazzo dinnanzi a lui: la prima barba incolta contornava il suo
volto dagli occhi chiari; le sue mani erano diventate più dure
e callose a forza di impugnare la spada, e la sua muscolatura sembrava
più armonica e sviluppata rispetto agli inizi…eppure
il suo sguardo era sempre quello innocente ed allo stesso tempo fiero
di chi sa che per amore di patria, per amore del suo re, sarebbe capace
anche di sacrificare la propria vita. Wilbur si chinò, ma Beawolf
lo fece subito alzare dicendogli: <Sono passati tanti mesi e tu
ancora ti chini prostrandoti davanti a me? Non mi piacciono questi
servilismi: tu non hai affatto bisogno di chinarti dinnanzi a me!
Wilbur, sai che abbiamo condiviso tanto, e sai che per me sei come
un figlio, perciò non voglio che ti chini, ne adesso ne mai!>
Il giovane cercò di controbattere ma subito Beawolf incalzò:
<Wilbur, non una parola in più: obbedisci!> Il ragazzo
scattò sollevandosi e rispondendo: <Certo sire!> ma Beawolf
incalzò: < E a te non è dovuto riservarmi gli attributi
reali, tranne che se non stiamo in pubblico.. perciò nessun
Sire per favore!> il timido Wilbur rispose: <Come desideri…>
<…Beawolf! Chiamami solo Beawolf!> rispose lestamente
il re. Wilbur fece un cenno di assenso con la testa e gettò
un rapido sguardo fuori dalla finestra, poi si sistemò la sua
casacca di pelle di capra; Beawolf gli disse: <Ed ora pensiamo
agli affari del regno: Che notizie mi porti?> Wilbur incontrò
lo sguardo del re parlando: <Non buone Beawolf: il mostro sta facendo
razzie ed incursioni nei boschi di Ostelhalf, confinante con il nostro
paese… uccide chiunque uomo, donna o bambino chicchessia, osi
addentrarsi nel bosco; il problema principale è che in quel
bosco ha sede l’unica sorgente di acqua potabile del paese e
ormai nessuno si addentra più in quel bosco per andare a riempire
secchi ed otri; nessuno tranne qualche temerario, che puntualmente
finisce col non fare più ritorno a casa… La situazione
igienica sta diventando insostenibile…> E mentre parlava,
il giovane sembrava inorridito da quello scempio, e buttato giù
un grande respiro continuò: <…Un quarto della popolazione
sta morendo di sete, mentre una grande parte si sta ammalando per
le condizioni malsane di quel posto…> Beawolf sembrò
incassare quella notizia nel silenzio più completo; poi assorto
disse: <Dovremo spingere Bradl nel territorio paludoso a nord;
non possiamo combatterlo di città in città, o combatterlo
al passo di Turpaj…> Poi continuò: < E che mi dici
di…> Wilbur che conosceva il suo re, intuì quale fosse
la domanda che il re stava per porgli, e senza aspettare che il re
finisse disse: <No Beawolf, purtroppo quei briganti non sono riusciti
a fermare l’avanzata di Xena e Olimpia…> Beawolf con
aria alquanto seccata disse: <Accidenti, quelle due si metteranno
nei guai…> Ma le sue parole furono interrotte da un pesante
tonfo, e dall’aprirsi della porta della sala del trono; successivamente
ecco sull’uscio Xena e Olimpia; dietro di loro stese a terra,
surclassate della forza distruttrice delle guerriere, i due soldati
che erano di guardia. Per un lungo attimo, nessuno fiatò, poi,
facendo per chiudere dietro di se la porta, Xena disse in maniera
provocatoria, rivolgendosi al re: <Salve Beawolf, sarai anche diventato
un re, ma le tue maniere sono sempre quelle del rude e grezzo guerriero!>
Olimpia la strattonò supplicandola di non essere eccessiva;
il re allora con fare spazientito disse: <Benvenute nelle mie terre
nobili guerriere.> Poi la donna continuò ironicamente:<Oh
la ringrazio sua maestà, ma se siamo giunte sin qui, non è
certamente per merito suo…Mi sembra che abbiamo avuto il nostro
bel daffare con dei banditi che ci hanno seguito praticamente per
mezza Italia!> Xena lo guardò con aria accusante, perciò
l’uomo poté solo dire: <Non è come sembra Xena!>
<Ah no? A me sembra che hai fatto di tutto per impedirci di giungere
qui in Scandinavia!> e ad ogni parola marcava ancora di più
il suo fastidio per quella situazione. Beawolf disse: <Senti, ho
avuto i miei buoni motivi per agire così! E non sono tenuto
a spiegarli a te!> Xena si avvicinò al trono del re minacciosa,
sfoderò la spada, e puntandola alla gola del re disse: <Ah,
così non sei tenuto a spiegarmi perché volevi togliermi
di mezzo? Mi dispiace ma se fossi dovuta morire, voglio sapere almeno
perché! Ne valeva la pena togliermi di mezzo?> E fece per
far pressione con la spada alla gola. Un brivido percorse la schiena
di Olimpia che sussurrò: <Xena cosa fai?> Ma in quel
momento intervenne Wilbur schiacciato dal peso di quella insostenibile
situazione: <Chiedo scusa Xena, ma forse stai giudicano con troppa
leggerezza il mio re!> <Ah si?> rispose la principessa guerriera
inarcando il sopracciglio: <E cosa ti fa credere che sia così
è che il tuo re non stia usando anche te, e alla fine ti perseguiterà?
Guarda marmocchio, che il fatto che ti sia cresciuta la barba e che
ora hai le mani più callose, non fa di te un guerriero impavido!>
Una voce squillò forte e decisa nella stanza: <Ora basta
con queste continue provocazioni! Non è certamente con le minacce
che otterrete qualcosa!> Quindi Olimpia si avvicinò a Beawolf:
<Senti, io non so cosa ti passi per la testa, fatto sta che io
ho rischiato di morire con una botta in testa. Se non vuoi dirci perché
lo hai fatto non importa. Se siamo qua è perché siamo
state avvisate che il tuo popolo era in pericolo. Visto che siamo
accorse subito, per dovere di amicizia potresti almeno dirci cosa
sta accadendo!> Il re dallo sguardo basso, dispiaciuto, fissò
il cielo grigio, ingombro di nuvole, fuori dalla finestra, mentre
non potendo più tacere, Wilbur si sistemò ancora la
sua casacca, poi cominciò a parlare: < Se re Beawolf ha
agito in questo modo, è stato soltanto per tutelarvi…>
<Oh! Ma che magnanimo, quasi mi commuovo!> dichiarò sardonica
Xena, ma Olimpia la rimproverò: <Xena, vuoi stare zitta
un attimo?> poi si rivolse a Wilbur: <Continua per favore!>
<…Dunque le cose qui non vanno affatto bene; non si sa come,
non si sa perché, ma una delle tre Figlie del Reno, si è
impossessata dell’Oro del Reno ed ha forgiato un nuovo anello.
Sapete entrambe quali sono le pericolose conseguenze di questo episodio,
conoscete molto bene l’epilogo doloroso del portatore dell’anello:
deve…> <Rinunciare alla cosa che ama di più al
mondo…> concluse pensierosa Olimpia. <Esatto!> continuò
Wilbur, per poi finire il discorso: <La questione è che
re Beawolf, sa quanto sia stato grande il sacrificio e l’impegno
che Xena ha usato per impedire che nessun’altro percorresse
la sua stessa tragica via, forgiando qualcosa che poteva arrivare
a distruggere la personalità di un individuo, così,
dato che avete già sofferto abbastanza, aveva deciso di impedirvi
di arrivare ancora qua in Scandinavia…a tutti i costi…>
Xena parve tranquillizzarsi e il suo viso imbronciato, cedette il
posto ad una visibile manifestazione di inquietudine; la cosa non
passò inosservata agli occhi del bardo, che disse interrompendo
il corso dei suoi pensieri: <Potrei anche accettare il fatto che
hai agito per proteggerci, ma lascia che ti dica che hai completamente
sbagliato, se credevi di poter risolvere il problema assoldando dei
briganti e facendoci inseguire per tutta Italia!> Poi continuò
lo stesso re: <Credetemi, amiche mie, non ho tradito ne dimenticato
il nostro patto di amicizia, ma non volevo assolutamente coinvolgervi
in una situazione dalla quale nessuno sa come uscire: il mostro è
troppo potente, molto molto di più di Grindl!> un brivido
di terrore, percorse la schiena di Olimpia che deglutì a fatica,
cercando con la sua mano la mano di Xena. Xena la sfiorò leggermente
per rassicurarla, per poi lasciarla, e con molto sangue freddo disse:
<Cos’altro c’è da sapere di questo mostro?>
Il re proseguì: <Si chiama Bradl ed è la trasformazione
della ninfa Hilda… Attacca chiunque osi avvicinarsi a lei, senza
distinzione di sesso, ne di età. Si spinge fin nei villaggi
per uccidere e bere il sangue delle sue vittime…ha già
distrutto tre villaggi del mio reame, ed ora sta mettendo in ginocchio
anche Ostelhalf; temo che tra poco si dirigerà qui. Devo fermarla
per garantire al mio popolo la sopravvivenza!> Xena fece un’amara
risata dicendo: <Ti illudi se credi di poter fare qualcosa contro
quel mostro senza alcun sacrificio umano!> <Si…> incalzò
Olimpia altrettanto amareggiata: <Xena ha perfettamente ragione:
per ogni grande battaglia c’è un prezzo di vite umane
da pagare, è il riscatto se si rivuole la propria libertà!>
Il re chiuse gli occhi sospirando, sentendo sul proprio cuore il peso
di quelle ultime parole pronunciate dal bardo, sapeva che Olimpia
aveva ragione: quale grande sacrificio avrebbe chiesto al suo popolo?
Come poteva mandare al massacro artigiani e contadini, umilissimi
padri di famiglia? Nessun esercito di nessun’altra regione contigua
era disposto ad allearsi con lui perché tutti i popoli scandinavi,
sovrani compresi, e lo stesso amico re Rothgar della Danimarca, erano
terrorizzati all’idea di avere a che fare con il mostruoso Bradl…
Inaspettatamente, il silenzio tombale, incombente come annuncio di
una catastrofe, che era piombato in quella stanza, fu interrotto da
Wilbur che disse: <Per favore aiutateci a venirne fuori!> Il
re tuonò maestoso con voce rimbombante: <No Wilbur! Ho detto
che non voglio che loro vengano coinvolte in questa storia! Intesi?>
Il ragazzo allora continuò: < Senti Beawolf, se fino adesso
ho agito come volevi tu, è stato perché ho obbedito
agli ordini del mio re, ma lascia che ti dia un consiglio da amico:
Sei un pazzo se credi che te la possa cavare da solo senza aiuto alcuno;
persino Odino ha trovato difficile combattere contro Bradl, tu, povero,
semplice, comune mortale soccomberesti certamente, perciò,
ascolta un consiglio: lasciati aiutare da Xena e Olimpia. Sono valorose
e l’astuzia di Xena saprà certamente sostenerci!>
Un forte sospiro da parte del re, uno sguardo all’orizzonte
attraverso la finestra ed un flebile ed impercettibile: <E sia…>
Xena finalmente poté tirare un sospiro di sollievo perché
il re si era lasciato convincere, poi osservò Olimpia che era
tutta persa nei suoi pensieri e stava muta a fissare un punto indefinito
del pavimento. <Chissà quali terribili pensieri affollano
la testa della piccola Olimpia…> pensava fra se e se la guerriera;
il suo comportamento le parve molto strano, sapeva che cosa c’era
che non andava, ma in cuor suo sapeva di non avere il coraggio di
affrontare la situazione e parlarle chiaramente, per dirle che se
fosse stato necessario, anche stavolta si sarebbero dovute separare.
Poi il re si fece più deciso, sollevò lo sguardo verso
le guerriere e disse a Wilbur: <Se hanno deciso di restare, fai
preparare loro una stanza bella grande, nell’ala del palazzo
riservata agli ospiti; non voglio che due amiche che ci portano il
loro aiuto alloggino fuori dalle mura della città, accampate
in un bosco, che nasconde chissà quali insidie!> Wilbur
si congedò con un inchino, poi fece cenno alle guerriere di
seguirlo. Beawolf si alzò dal trono raccomandandosi che Olimpia
fosse visitata e fatta curare per bene prima che avvenisse la battaglia
decisiva, poi si rivolse a Xena dicendogli: <Riposate, perché
stasera siete invitate al banchetto in vostro onore.> Prima di
uscire dalla sala del trono Xena però gli disse: <Ti ringrazio
della tua ospitalità, questo fa molto onore al re…ma
il tuo comportamento da amico è riprovevole, e nessuna ospitalità,
nessun banchetto può supplire all’azione ignobile che
hai commesso nei riguardi di due amiche!> <Ma Xena..> cercò
di giustificarsi Beawolf, che per tutta risposta sentì solo
sbattere il portone della sala del trono.
CAPITOLO 4
<Ecco la stanza più bella per due ospiti speciali!> esclamò
Wilbur con un po’ più di ottimismo ed entusiasmo dopo
aver appreso che le due guerriere avrebbero aiutato il popolo dei
Geati. <Ti ringrazio..> rispose poco entusiasta, quasi irritata
Xena. Wilbur divenne di colpo serio e esordì in un discorso:
<Vedi Xena, so perfettamente che provi rabbia nei riguardi di Beawolf,
ma ti chiedo di non essere così intransigente con lui: E’
molto provato da questa situazione, non è facile per un re
assistere allo sterminio di tre dei suoi sei villaggi, senza poter
alzare un dito contro quell’orrendo mostro; sente forte questa
responsabilità e la notte non riesce a dormire: ormai la sala
del trono è diventata la sua stanza prediletta per tutto il
giorno; è sempre fisso, vicino al tavolo a trovare strategie
di attacco, a scrutare mappe e progettare fortificazioni per le rimanenti
città. So che con voi ha sbagliato, ma è un re più
saggio di quello che sembra, e ama il suo popolo più di qualunque
altra cosa, ed il suo popolo ama lui. Mai la Svezia, ha avuto re migliore,
mai re più valoroso ha calpestato i suoli scandinavi!> <Lo
acclami come fosse una divinità!> disse irritata Xena <Ma
lascia che ti dica una cosa: Se metti le persone su un piedistallo,
prima o poi queste rischiano di cadere!> continuò la guerriera
<Non lui!> esclamò con gli occhi pieni di orgoglio ed
ammirazione il giovane guerriero. Lo sguardo di Xena allora, divenne
meno duro e impenetrabile, perché carpì che lo sguardo
del giovane, era lo stesso di quello della sua compagna quando parlava
agli altri di lei, e con tono più materno disse: <Lascia
che ti dica una cosa ragazzo: Sarà alquanto ardua questa impresa;
francamente non so come finirà…> concluse pensierosa
la guerriera, dicendolo più per rammentarlo a se stessa che
non al giovane. Olimpia ascoltava il discorso, senza proferire parola,
e nella sua testa ritornavano attimo per attimo, tutti i momenti in
cui Xena combatté contro Grindl, e poi i suoi sogni, il timore
che l’anello e il mostro le avrebbe divise ancora, e tutto questo
non poteva sopportarlo. Si sedette così, schiacciata dal peso
dei suoi pensieri, sul giaciglio, e si portò le mani al capo,
come se avesse avuto un ennesimo capogiro; Xena notò tutto
attentamente, e fu allora che chiese cortesemente a Wilbur di lasciarle
sole perché il bardo aveva bisogno di riposo.
Wilbur accolse la richiesta con molta solerzia, e un attimo dopo essersi
congedato, andò via chiudendo piano la porta dietro di se.
Xena si avvicinò alla sua donna sfiorandole con il dorso della
mano il viso: <Ehi piccola, che cos’ hai?> le chiese <Senti
dolore al capo? Qualcosa non va?> continuò. <No…>
rispose Olimpia <E’ che…> e le tornò in mente
il momento in cui Xena si dimenticò di lei la prima volta che
indossò l’anello; chiuse gli occhi, scosse il capo e
poi continuò: <Sono stanca, ho solo bisogno di riposo, credo.>
<Come vuoi…> le disse Xena, che togliendole i sais dai
calzari e successivamente gli stessi calzari, la fece sdraiare un
po’ su quel giaciglio e le montò sopra a cavalcioni;
Olimpia si lasciò andare alle carezze, che le sapienti mani
di Xena sapevano dare alla sua schiena, ma la guerriera ad ogni tocco
stava eccitandosi sempre più, così, passo dopo passo,
finì col toccare ogni centimetro del corpo della sua barda,
godendo a piene mani delle forme di Olimpia. La barda si lasciava
andare a quei tocchi profondi, senza batter ciglio, si sentiva di
colpo più calma, rilassata. Non volendo abusare oltre di Olimpia,
Xena le disse: < Amore, per oggi stiamo buone buone, perché
sono preoccupata per la tua ferita e non voglio che tu ti strapazzi
per fare l’amore…> E le schioccò un sonoro bacio
sulle labbra; inoltre, Xena le scoprì la fronte, liberandola
dalla fasciatura che fino ad allora aveva portato e mise a bollire
quello straccio diventato ormai lercio, in una pentola sul focolare
del camino acceso. Faceva di tutto per prendersi cura della sua Olimpia,
eppure, paradossalmente a quella guerriera dal cuore impavido, tutto
il coraggio veniva a mancare di fronte alla fragilità ed all’amore
infinito che la sua compagna nutriva nei suoi riguardi; tutto il suo
coraggio spariva se si trattava di sostenere con il suo, lo sguardo
della donna per dirle: “Va tutto bene”, perché
lei per prima in fondo era molto scoraggiata da quella situazione
assurda. Mentre rimuginava questi pensieri, non si accorse che la
sua compagna, presa da un intenso senso di rilassamento si addormentò
col la bocca semiaperta ed il pugno chiuso sul guanciale, come fosse
una bimbetta. Xena tolse le bende dal fuoco. Prese dalla sua bisaccia
un unguento che spalmò con molta delicatezza sul capo tumefatto
della compagna, e si sdraiò vicino a lei prendendola tra le
braccia; fu solo allora, quando ormai Olimpia non poteva più
guardarla che le disse con voce flebile ed incerta: <Non temere
Olimpia, andrà tutto bene…mi auguro.> La guerriera
si addormentò poco dopo, sempre in quella stessa posizione,
con la sua amica che le dormiva col capo sul petto.
di
Bard and Warrior
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il racconto