episodio n. 12
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Non fisicamente, però, purtroppo.
Aveva ucciso la sua anima ed il suo cuore… Quegli elementi ch’ella stessa le aveva donato.
L’aveva pugnalata sulla ferita che aveva sanato.
La peggiore delle torture.
E quell’amore così profondo, s’era trasformato in odio.
Non meno forte del sentimento di prima
E la pazzia della bella imperatrice, era diventata senza limiti.
Gli argini di freddezza ed insensibilità erano già stati rotti.
Non poteva più tornare indietro, solo andare avanti. E quello era l’unico modo che aveva trovato, per farlo.
Perseguitare Olimpia, rovinarle la vita, uccidere i suoi amanti… Tutti uomini, sia prima che dopo lei.
Xena aveva cercato di ridarle tutto il male che da lei aveva ricevuto. E, allo stesso tempo, continuava a farsi del male anche da sola, troppo spaventata dal bene che era diventato, per lei, il peggiore dei mali.
Se solo fosse potuta tornare indietro e cambiare le cose, cos’avrebbe fatto?
Se l’era chiesta spesso.
E la risposta l’aveva trovata…
Avrebbe cambiato molte cose ma non l’abbandono avuto da Olimpia.
Strano, assurdo.
Ma vero.
Non avrebbe saputo vivere nel bene e, forse, con a sua ragione contorta, non lo voleva neanche.

Dal canto suo, Olimpia di Nemia, aveva trovato una piccola grotta e v’aveva deciso di passare la notte.
Il giorno dopo se ne sarebbe andata, diceva a se stessa.
In realtà, qualcosa tratteneva anch’ella. Sì.
Poteva negare tutto a tutti, e lo faceva.
Negava tutto perfino a se stessa.
Ma quella sera, il suo cuore era troppo sveglio, la memoria troppo viva e la ragione troppo debole e stanca.
Quegli occhi le mancavano davvero.
La Xena d’una volta, le mancava.
Era così sola… E stava davvero al posto nel quale l’Imperatrice l’aveva figuratamene mandata.
La sua vita era un inferno.
Un inferno che s’era creata da sola, in cambio della normalità, del potere.
Eppure, se fosse tornata indietro, avrebbe rifatto le stesse scelte, magari gli stessi errori. Tutto allo stesso modo.
S’intrecciò i lunghi capelli e lasciò poi ricadere la traccia sulla spalla sinistra, quindi appoggiò la testa contro al muro.
Xena (l’Imperatrice) l’aveva cambiata, svegliata… e non aveva mai capito se ciò era stato un bene o un male.
All’epoca, la bella mora, era stata per lei una luce, un angelo nero che, con quegli occhi azzurri come il cielo d’estate, le aveva illuminato la vita e la via e l’aveva condotta alla verità.
Lei che però un angelo proprio non era.
Lei che aveva la morte dentro.
Lei che sapeva farsi amare ed odiare di pari intensità, da un momento all’altro.
Lei ch’era pazza ma che svegliava la pazzia negli altri.
Olimpia di Nemia chiuse gli occhi.
Si chiese quando e se sarebbe mai uscita da quella situazione.

Senza neanche saperlo, i loro pensieri erano volti allo stesso verso ed i ricordi, per forza di cose, erano gli stessi.
In apparenza erano così lontane ma, in realtà, erano talmente vicine da essere quasi una cosa sola.
Ed in quel momento, ammettendo pur quell’amore che c’era (stato?) , s’odiarono l’un l’altra ancor di più.
Ma trovarono qualcosa, entro loro stesse, che era più grande dell’odio reciproco: l’odio per la loro stessa persona.

CAPITOLO/ATTO TERZO
<<Non sta andando affatto meglio!>> Esclamò Evi, nella sua tunica nera, seduta su un trono argenteo, nella sua buia sala.
Marte, ancora vestito di bianco, sembrava preoccupato e pensieroso.
<<Io non so… che disperazione!>> Disse egli, asciugandosi il sudore sulla fronte.
Evi s’alzò, maestosa, dal trono.
Fece qualche passo per la stanza, andando vicino all’altarino colmo di vecchi libroni ed oggettistica strana, quali candele, cofanetti, ecc…
<<Come dio dell’amore non sei il massimo!>>
Marte avrebbe voluto fulminare quella giovane e presuntuosa all’istante.
Ma sapeva benissimo che se si fosse messo contro Evi, la protetta di Morte, non gli sarebbe convenuto molto.
Quindi si diede contegno e, ragionandoci un attimo, dovette convenire con ella… Non aveva fatto il migliore dei lavori, con l’Imperatrice ed il comandante.
Né lui, né Discordia, il cupido del suo universo.
Già, perché quello in cui vivevano queste copie strane dei consueti Xena, Olimpia, Marte, Evi, Discordia, era un altro universo, nel vero senso del termine.
Evi era una di quelle “nuove divinità”, era al fedele servizio di Morte (qua entità maschile).
Il compito d’Evi era quello di punire chi nella vita compiva troppe meschinità, portando costoro, a Morte.
Ma pur essendo “la Giustiziera” dell’Olimpo del mondo parallelo, Evi non era una divinità necessariamente maligna.
Concedeva infatti sempre una possibilità a coloro ai quali faceva visita, spesso in accordo con altre divinità, come, in questo caso, Marte, dio dell’amore.
Xena di Nemia, nella vita, non aveva mai combinato niente di buono, ma, nel profondo, non aveva un cuore cattivo, era solo uno spirito tormentato.
Per quanto riguarda Olimpia di Nemia, anch’ella, col buono, aveva avuto poco a che fare mentre col male, invece, era ben avvezza.
Ma Marte le aveva sempre protette o, perlomeno, aveva sempre provato.
Nessun’altra divinità capiva perché, ma il dio dell’amore aveva nelle sue grazie quelle due mortali disgraziate e portatrici di disgrazia.
Ma egli sapeva bene che, oltre all’apparenza, nel profondo, quelle due custodivano nel loro cuore un sentimento del quale pochi mortali erano capaci: un amore particolare legava quelle due creature figlie della sofferenza.
Un amore soffocato, represso, martirizzato e, perciò, reso immortale.
Marte sospirò, trasportato dai romanticismi.
<<Marte, sveglia!>> Lo riportò alla realtà, Evi, la Giustiziera.
<<Sì, sì! – Disse gli, agitandosi. – Stavi dicendo?>>
Evi rotò gli occhi .
<<Hanno tempo fino a stanotte… La clessidra non mente.>>
Quindi indicò il fatidico oggetto, posto saldamente sul bracciale del trono.
Se le due non avessero fatto pace e così, cambiato, migliorato la loro disordinata e dannosa vita, entro lo scadere del tempo, avrebbero visto la fine dei loro giorni.
Marte annuì e pregò entro se stesso tutti gli altri dei benigni che il piano funzionasse.
Quel piano entro il quale aveva riposto tutte sue speranze per le sue due care.
Le aveva, insieme alla Giustiziera, mandate nell’altro universo, nel mondo della Principessa Guerriera e del bardo.
Non per vezzo o per divertimento, ma con la speranza che il profondo affetto che v’era tra la Xena d’Anfipoli e l’Olimpia di Potidea, il loro senso di bene e giustizia, potessero risvegliare questi sentimenti nelle due donne di Nemia.
Sentimenti che tutti credevano in loro, persi.

La mattina del giorno dopo il sole ea meno forte di com’era stato.
Il giorno precedente, le nuvole sembravano voler soffocare la sua energia.
La Principessa Guerriera ed il bardo, raccolsero le loro cose, dirette a Tebe, dall’oracolo che già una volta, tempo addietro, le aveva aiutate.
Volevano scoprire chi in realtà fossero le loro copie odiose per poter quindi risolvere la sgradevole situazione.
Camminavano l’una accanto all’altra: la Principessa Guerriera teneva tra le mani le briglie di Argo secondo, mentre l’amazzone pareva concentrata e pensosa.
Stava infatti cercando di capire la situazione, oltre che comporre il suo prossimo racconto, che avrebbe narrato quella vicenda.
<<Xena, Olimpia!>>
le due, udendosi chiamare, si voltarono in direzione del suono e si ritrovarono davanti la Xena Imperatrice di Nemia.
Le due d’Ellade furono sorprese solo in parte, di vederla: avevano già notato la sera precedente che, inizialmente, ella sembrava disposta a collaborare.
<<Io… - Iniziò l’Imperatrice. – Vorrei tornare a casa.>>
la Principessa Guerriera lanciò una veloce occhiata all’amazzone, volendo vedere la sua reazione, cosa stesse pensando.
E vide che stava sorridendo.
<<Rilassati pure, sei tra amiche.>> Disse il bardo.
Lo Principessa Guerriera la guardò di nuovo, mentre l’Imperatrice sembrò stupita di quella gentilezza.
Le faceva strano sentire gentilezze da Olimpia, anche se non era la “sua”, di Olimpia.
<<Dovrai essere sincera, però.>> Disse la Principessa Guerriera e la sua copia annuì.
Le tre si spostarono d’un po’ ed andarono a sedersi su un tronco d’albero caduto.
O, meglio, Xena di Nemia ed il bardo si sedettero, mentre la Principessa Guerriera rimase in piedi, appoggiatasi ad un albero.
<<Non è facile raccontare la mia storia…>> Esordì, affaticata l’Imperatrice, sapendo che le due donne stavano aspettando di sentire il suo racconto.
L’amazzone pose una mano sulla spalla di Xena di Nemia, volendola rassicurare.
La mora dai capelli corti le sorrise, come per ringraziarla.
Le gentilezze del bardo non sembravano darle fastidio, anzi… ma cominciavano a dar fastidio alla Principessa Guerriera che però non intervenne, non volendo affaticare ancor più quella situazione già difficile.
<<Odio Olimpia, quella del mio paese, intendo… - S’affrettò subito a specificare. – Ma una volta l’ho amata…>> Xena di Nemia sembrò lasciar tempo alle due guerriere greche d’assorbire quella notizia che però non fu così tanto eclatante.
Il bardo e la Principessa Guerriera avevano già intuito la cosa.
<<Non ho mai avuto una vita facile ma non voglio farmi compiangere, che sia chiaro! La vita che ho avuto, me la sono cercata, l’ho voluta io.>>
La Principessa Guerriera sentì quelle parole sue ed anche il bardo, anche se meno di quanto le sentisse proprie la sua cara amica.
<<Sono stata felice solo con lei e non ho mai voluto bene a nessun altro. Che gran maledizione i sentimenti… poi quell’incubo idilliaco d’affetto è finito, per colpa sua… per fortuna.>>
Continuava a contraddirsi, con ogni sua parola.
Quell’argomento non era davvero facile, per lei.
<<L’amore, in tutte le sue forme, non è mai una maledizione. È il dono più grande, la ragione della vita…>> Intervenne il bardo.
<<T’illudi, dolce Olimpia. Tu che non hai niente a che fare con colei che è un’altra te, hai un cuore gentile e ciò traspare. Ma sei ancora ingenua e non so se mai ti sveglierai.>>
le parole ed il tono della Xena di Nemia colpirono il bardo, che ripensò alla teoria che aveva avuto su quella donna strana, il giorno precedente.
Ora, l’Imperatrice di quel regno sconosciuto, sembrava così tranquilla…rassegnata.
Non c’era quello scoppiettante fuoco di rabbia e vendetta che le ardeva negli occhi.
Quanta pena c’era in lei, eppure non sembrava debole, ne bisognosa d’aiuto.
Sembrava padrona delle proprie sofferenze.
Anche la Principessa Guerriera riconobbe quei tratti nell’altra se. E convenne con se stessa sul fatto che, in qualche modo strano, erano davvero somiglianti.
Olimpia di Potidea ripensò alle parole appena pronunciate dell’Imperatrice.
Oh, no, non era più ingenua.
Lo era stata, a lungo, ma non lo era più.
Eppure non aveva mai smesso di credere e sperare nell’amore e nella gente.
<<E’ il dio dell’amore ad interferire nella mia vita. Ed anche in quella di lei…>> Continuò la Xena di Nemia, a raccontare.
Quella frase risuonò alla mente della guerriera d’Anfipoli.
… “Il dio dell’amore”…
<<Già quando io ero la prostituta di corte, di quello schifoso di Hercules…>>
La Principessa Guerriera strabuzzò gli occhi.
<<Hercules? Il Sovrano?>> Chiese.
Olimpia guardò entrambe le Xena con attenzione.
<<Sì, quel gran bastardo…>> Rispose l’Imperatrice.
La Principessa Guerriera si premette una mano contro la fronte.
<<Come ho fatto a non pensarci prima! – Esclamò. – Tu e l’altra Olimpia, provenite da un Universo parallelo al nostro, non avete niente a che fare con questo mondo.>>
<<Aspetta Xena. – Intervenne il bardo. – Come fanno ad essere loro? Sono ancora giovani…>>
<<Per cinque lustri il tempo non è passato, per noi due.>> Esordì l’Imperatrice.
La Principessa Guerriera ed il bardo si guardarono prima tra loro e poi guardarono la Xena di Nemia con forte aria interrogativa.
<<Come vi ho detto, Marte il dio dell’amore, ci ha prese di mira ed interferisce sempre nella nostra vita… - Continuò a spiegare l’Imperatrice. – Quasi sei lustri or sono, ci ha mandate in un sonno che è durato cinque lustri… Durante questo tempo, Herc è morto e noi, al risveglio, ci siamo ritrovate in un mondo così diverso… Ci siamo conosciute bene ed è successo il disastro. Poi lei mi ha lasciata sola, come, del resto, sono ero sempre stata. E da allora, siamo le più grandi nemiche che il nostro regno abbia mai visto.>>
Concluse, con naturalezza.
<<Storia commovente, vero?>> Fu Olimpia di Nemia a parlare, sbucando la, davanti alle tre.
Gli sguardo furono subito su di ei.
<<Ah, già, scodavo di dire che prima d’essere comandante delle truppe di Lacrimante…>> Prese la parola di nuovo l’Imperatrice.
<<Lacrimante??>> Chiese il bardo, avendo in mente l’immagine di quel dio, come un essere buffo e non poi così cattivo.
<<E’ il crudele dio della Vendetta.>> Spiegò la Xena di Nemia.
*Perché no. – Pensò l’amazzone. – Marte dio dell’amore, Venere dea della guerra, Lacrimante dio della vendetta…*
<<Prima Olimpia era il grazioso boia di Hercules…>> Finì la frase iniziata prima, la Xena dell’universo parallelo.
<<Non siamo qua per giudicare. – Intervenne la Principessa Guerriera. – Ma per risolvere questo gran caos. Ci dev’essere un perché voi vi troviate qui.>>
<<La nostra cara Imperatrice avrà combinato qualcosa che c’ha fatte finire qua.>> Disse Olimpia di Nemia.
<<E’ sempre colpa mia, per te?! Puoi chiudere un po’ quella fogna che ti ritrovi?!>> Rispose, l’Imperatrice.
Entrambe non volevano altro che litigare e passare anche alle mani, era l’unico rapporto del quale erano capaci, da anni.
Ed i pensieri avuti la sera precedente, turbavano entrambe, che volevano solo tornare a quella situazione d’odio reciproco, loro routine.
Ma non andava… Sentivano entrambe di non essere nella migliore delle forme aggressive.
La Xena d’Anfipoli, invece, non le sentiva neanche più, s’era estraniata della situazione, concentrandosi sulle proprie idee.
Dai racconti della sua copia dell’Universo parallelo, era ovvio che le due non erano di certo dei “buoni elementi”, per quanto riguardava la vita civile della loro Nemia.
Il loro odio era un pericolo, la loro aggressività, le loro personalità forti e carismatiche e le posizioni di prestigio che rivestivano… Tutto, di loro, era pericoloso.
Erano due di quelle persone che di solito lei ed il bardo, fermavano.
Però… avevano quella piccola luce, dentro.
La luce che merita possibilità.
Sì, loro meritavano di poter trovare la gusta via.
Lo vedeva negli occhi della poetessa, ella pensava la medesima cosa.
<<Bene, ragazze. – Disse Xena di Anfipoli, cercando d’alleggerire la situazione, allentare la tensione. – Stiamo tutte buone e vedremo di trovare una soluzione che vada bene per tutti.>>
<<Perché non provate a parlare un po’ civilmente…>> Tentò l’amazzone.
<<No!>> Esclamò l’Imperatrice.
<<Mai!>> Fu la risposta contemporanea del comandante, seguita da un’occhiata fulminante che le due si scambiarono.
La poetessa guardò Xena di Anfipoli.
Eh, sì, avevano proprio un bel da fare con quelle due.

Le quattro, insieme, continuarono a dirigersi verso Tebe.
Olimpia di Potidea parlò a lungo con la Xena di Imperatrice, mentre le altre due camminarono silenziosamente, senza dare troppa confidenza ad alcuno, in quel momento.
La Principessa Guerriera cominciava a provare un certo fastidio nel vedere il bardo simpatizzare per la mora di Nemia.
Quella donna non convinceva la guerriera d’Anfipoli o, forse, era semplicemente la solita troppo sospettosa.
L’Olimpia di Nemia lanciò una veloce occhiata alla Principessa Guerriera.
Il suo aspetto era identico a quello della sua nemica, eppure, le ricordava tanto la sua Xena d’una volta, quella alla quale aveva amato.
Le quattro continuarono a camminare: la strada da fare era ancora tanta e tutte loro volevano arrivare a Tebe il prima possibile.
La risata sonora della Xena di Nemia interruppe il semi silenzio che v’era.
La Principessa Guerriera guardò la sua sosia e vide che accanto a quest’ultima, anche la poetessa stava ridacchiando.
La Xena d’Anfipoli sentì di nuovo quella fitta acida, dentro se… Provava sempre più fastidio per quella situazione e per il piacere che l’Olimpia di Potidea e la Xena di Nemia sembravano provare per quella reciproca compagnia.
Anche il comandante aveva volto il proprio sguardo verso le due che chiacchieravano allegramente.
Vide il sorriso sul volto dell’Imperatrice.
Da quanto non lo vedeva.
Era così bello, una volta le piaceva tanto.
Eppure, ora, le dava fastidio.
Tutto, di quella donna, continuava a darle fastidio.
Come il fatto stesse ciarlando con l’altra bionda.
Olimpia di Nemia non riusciva a capire cosa stesse provando.
Era forse gelosia, quella che albergava dentro ella?
Represse con repulsione quell’idea.
Anche se, non era poi tanto sbagliata…
Fu presto sera ed il non troppo allegro quartetto, dovette accamparsi vicino ad un fiumiciattolo, dove s’ergevano degli alberi di modeste dimensioni, miseri rispetto a quelli del bosco dov’era nato tutto quel caos tra loro.
Olimpia di Nemia s’era infilata sotto le coperte e l’Imperatrice sedeva sul bordo del fiumiciattolo, facendo ciondolare i piedi nella fredda acqua.
Guardava, di tanto in tanto su, verso il cielo, dove risplendevano le miriadi di stella.
Una strana tranquillità sembrava possederla. Ma, in realtà, era solo un’apparenza che cercava di tenersi stretta.
Si sforzava non poco di mantenersi pacate, lo faceva spesso.
Non aveva nessun senso esternare i suoi continui tormenti, gli attacchi di follia che sentiva assalirla.
E poi, in quel momento, le mancava anche “la spinta”… l’alcool.
Il comandante, da sotto le coperte, le volgeva qualche veloce occhiata.
Vederla tranquilla la stupiva… Non riusciva più a toglierle gli occhi di dosso e per questo si sarebbe presa a pugni.
Lo aveva sempre pensato e sostenuto: quella donna era una specie di demone incantatore.
Forse era proprio il fatto che Xena l’Imperatrice non la stesse aggredendo, a stupirla.
Si voltò dall’altro lato, chiuse gli occhi e cercò di dormire.
La Principessa Guerriera stava affilando la spada, mentre il bardo, continuava a stendere il proprio nuovo racconto.

di Lisa

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