episodio n. 12
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Guardò verso la sua compagna d’avventure e notò nel suo atteggiamento che non era tranquilla e rilassata.
Ormai la conosceva proprio bene, non c’era che dire.
Ne era felice, ne andava fiera.
Posò la pergamena e s’andò a sedere vicino alla guerriera d’Anfipoli.
Questa però non smise di dedicare la propria attenzione all’arma.
L’amazzone inspirò, quello era un altro segno che c’era qualcosa che non andava.
<<Che c’è, Xena?>> Chiese, parlando a voce bassa, in modo che la conversazione rimanesse tra loro due, senza bisogno di giungere alle orecchie delle loro copie dell’universo parallelo.
<<Dovrebbe esserci qualcosa?>> Rispose, con una domanda, la Principessa Guerriera.
<<No.>> Replicò il bardo, con tono sicuro, che voleva essere anche convincente e rassicurante.
La bionda di Potidea scostò i capelli dal volto della Principessa Guerriera, per poi appoggiarsi, con la testa, sulla spalla di lei, posandovi un casto bacio.
Xena d’Anfipoli si lasciò andare, il bardo aveva ragione, non aveva motivo di prendersela.
La Principessa Guerriera accarezzò i capelli dell’amazzone, facendo scorrere le dita sul volto di lei, finché Olimpia (il bardo) non le baciò.
In quel momento, la Principessa Guerriera avrebbe voluto far l’amore con la sua compagna.
Mai aveva visto il sesso come qualcosa di dolce e pulito.
Era sempre stato puro piacere fisico, istinto primordiale.
Nel rapporto col bardo, invece, era arrivato come completamento d’una relazione già perfetta.
Completamente diverso da tutte le altre esperienze che aveva avuto.
Era tutto così perfetto con la sua Olimpia.
Ma in quel momento, v’erano anche le altre due, oltre che dei problemi d’affrontare e non poteva lasciarsi andare alla propria vita privata.
<<Hai notato lo sguardo della tua copia?>> Chiese Xena d’Anfipoli, volendo cambiare il centro d’attenzione.
Il bardo annuì.
<<Prima la guardava… E non ho letto odio nei suoi occhi.>>
<<Sbaglia, l’odio c’era, ma non era solo.>>
<<Non so cosa pensare, né come fare… Vorrei poterle aiutare…>>
<<Non possiamo sempre aiutare tutti. Questa volta non dobbiamo intrometterci troppo. Dipende solo da loro.>>
<<Devono essere due persone speciali…>>
<<Però se la situazione non si sistema, dovremo far qualcosa per impedire loro di tiranneggiare.>>
<<…Sempre che riescano a tornare a casa…>>
<<Riusciranno. C’è sotto qualcosa a tutto ciò. Devo solo capire precisamente cosa.>>
il bardo sorrise. La Principessa Guerriera cercava di sistemare sempre tutto, di rendere tutto perfetto e, chissà come, il più delle volte, ci riusciva.
<<Adesso smettila di crucciarti. Aspettiamo di sentire l’oracolo. Perché non ci mettiamo a dormire?>>
la Principessa Guerriera acconsentì.
Si stesero l’una accanto all’altra, come consueto, sotto le calde coperte.
Il bardo allungò una mano verso la Principessa Guerriera, cercando quella di lei.
Intrecciarono le loro dita e la bionda di Potidea scivolò più vicino alla sua Xena, abbracciandola alla vita.
Appoggiò la testa sulla spalla della Principessa Guerriera, baciandola sul collo.
La mora chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dalle piacevoli sensazioni che la sua Olimpia sapeva darle.
Presto furono nel mondo di Morfeo: incanto riflesso, realtà imbottita di specchi, veritieri e falsanti a turno.
La Xena di Nemia non aveva prestato troppa attenzione ai discorsi delle due guerriere d’Ellade.
Era troppo concentrata sullo concentrarsi.
Cercava di mettere in pratica ciò che il bardo, durante la giornata in tragitto, le aveva spiegato, riguardo alla meditazione.
Si stufò presto, però e, raccogliendo la coperta che il bardo le aveva dato, andò a sedersi ben lontano dal comandante, a ridosso d’un albero dalla bianca corteccia, alla quale s’appoggiò, coprendosi con la pezza.
Qualche ora dopo, mentre tutto era avvolto nell’oscurità, i respiri delle quattro donne erano avvolti nel silenzio di quel sonno.
Evi la Giustiziera dell’Universo parallelo, apparve, silenziosa come consueto, incappucciata e vestita di nero.
Misurò velocemente la situazione: la Principessa Guerriera ed il bardo dormivano.
Le riconobbe all’istante.
Cercò di diventare impercettibile: ci riuscì. Ciò non le fu affatto difficile, per una divinità, queste non erano certo complicazioni.
Il tempo dato a disposizione delle due mortali del suo mondo, era scaduto.
Le due non erano arrivate a riappacificarsi ed ora la mortale punizione incombeva su di loro.
Nelle mani della Giustiziera comparve una spada completamente bianca: persino la lama era del più candido dei colori.
L’Imperatrice di Nemia non dormiva bene, il suo sonno era disturbato ed agitato.
Avvertì pericolo, quel pericolo che qualcun altro non avrebbe potuto captare.
Si svegliò di soprassalto e vide Evi la Giustiziera la, stante, sopra ad Olimpia (il comandante), con la spada spianata, pronta a tagliarle di netto la gola.
Nessun pensiero sembrò attraversare la mente dell’Imperatrice, ella si gettò solamente, di scatto, verso la Giustiziera, facendola cadere a terra.
Subito anche la Principessa Guerriera ed il bardo si svegliarono e, con loro, anche l’Olimpia di Nemia.
Evi la Giustiziera si guardò in torno, spaventata: le quattro guerriere, l’accerchiavano.
<<Cosa vuoi?>> Chiese, quasi urlando, l’imperatrice.
la Principessa Guerriera ed il bardo erano molto sorprese.
Quella donna vestita di nero, era identica alla loro Evi. Ma ormai era ovvio, anche la figlia della Xena d’Anfipoli aveva un’esatta copia nell’Universo parallelo.
<<Chi sei?>> Chiese la Principessa Guerriera.
<<Sono Evi, Giustiziera di Morte.>>
<<Cosa vuoi da Olimpia??>> Chiese l’Imperatrice, proseguendo con quel tono aggressivo. Sembrava davvero infuriata.
<<Hai creato tu tutto questo?>> Chiese il comandante che già stava razionalizzando e capendo la situazione.
Come anche le due guerriere d’Ellade.
L’unica che in quel momento non riusciva a ragionare era la mora di Nemia.
La rabbia le era salita troppo, dentro.
<<Xena di Nemia, Olimpia di Nemia… Siete sotto il mio giudizio. Il tempo a voi concesso per rimediare ai vostri misfatti è giunto al termine. È tempo di pagare il conto.>>
spiegò, professionale, la Giustiziera.
<<Non spetta alle divinità decidere del destino degli uomini!>> Replicò la Principessa Guerriera.
<<Il destino ce lo costruiamo noi.>> Aggiunse il bardo, quella perla di vita imparata dalla sua compagna d’avventure.
<<Non voglio mettermi contro te, Xena d’Anfipoli.>> Rispose la Giustiziera.
<<Non ti conviene neanche. – Aggiunse ‘Imperatrice. – Lei può uccidere gli dei!>>
Sembrava tutta fiera e compiaciuta di quello che diceva, la forza e le capacità della sua copia la facevano sentire vincente perfino contro quella divinità che si stava giocando la sua vita.
<<Lo so. – Rispose Evi la Giustiziera. – Non interferire, Xena di Anfipoli. Questo è il mio compito.>>
<<Tu hai mandato loro nel nostro mondo e con questo c’hai automaticamente messo in mezzo. Ormai è anche affar nostro.>> Replicò l’amazzone, schierandosi con determinazione e sicurezza dalla parte delle due di Nemia,
la Giustiziera guardò verso la Principessa Guerriera che, per tutta risposta, si toccò il chakram.
Evi, non avrebbe potuto avere risposta migliore.
<<Non finisce qui.>> Disse la Giustiziera, per poi scomparire in un veloce annuvolamento.
Le quattro rimasero sole.
Si guardarono a vicenda.
<<Ecco, ora almeno è tutto chiaro.>> Esclamò la Principessa Guerriera.
<<…Grazie.>> Sussurrò il comandante, rivelandosi per la prima volta, riconoscente.
Entrambe le guerriere d’Ellade apprezzarono quel gesto, la bionda lo ricambiò con un sorriso, la mora si limitò ad annuire.
<<Non è solo noi che dovresti ringraziare.>> Aggiunse, quindi, il bardo, riferendosi al gesto dell’Imperatrice.
Olimpia di Nemia ci pensò: la sua copia aveva ragione… Era stata la Xena di Nemia a salvarla.
Se non fosse stato per lei, il comandante sarebbe già nell’aldilà.
L’Imperatrice capì solo allora quanto insensato era stato il suo gesto, nei confronti di colei che dichiarava la sua odiata nemica.
Quindi face spallucce ostentando indifferenza e s’allontanò d’un po’.
Le due donne d’Ellade si scambiarono uno sguardo d’intesa e tornarono a dormire.
Sapevano che la Giustiziera non sarebbe tornata presto, temeva troppo la Principessa Guerriera, la sua capacità riacquistata d’uccidere li dei.
Ed inoltre, sapevano che le loro due copie di Nemia avevano bisogno di restare sole.
Olimpia di Nemia si sentiva confusa.
Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo, delle proprie sensazioni e di quello che c’era dentro all’Imperatrice in quel momento.
Dopo tutto il tempo passato a perseguitarla, le salvava la vita.
Non aveva senso… A meno che…
Forse anche la mora aveva avuto i suoi stessi pensieri.
Olimpia di Nemia non sapeva dove tutto ciò l’avrebbe portata, comunque voleva scoprire qualcosa in più.
La cercò e la trovò seduta, come prima, sulla sponda del fiumiciattolo.
<<Non so neanche dove iniziare…>> Tentò la bionda.
<<Allora non farlo.>> Replicò la Xena di Nemia. Era già sulla difensiva.
<<Devo, voglio.>> Continuò Olimpia il comandante.
Silenzio, non ottenne risposta.
<<Sono confusa, Xena.>>
Ancora silenzio.
Il comandante continuò. <<Non rendermi le cose ancora più difficile…>>
<<Una volta ogni tanto, ti sta bene.>> Parlò, finalmente, la mora, tenendo salda la propria corazza sarcastica ed aggressiva.
Questa volta fu il comandante a non parlare.
Non sapeva cosa dire, non sapeva neanche cosa pensare.
Era lì, ferma, impalata in piedi davanti all’Imperatrice che sembrava padrona della situazione più che mai.
<<Non montarti castelli di carta. – Proseguì la mora. – Dopo tutto questo tempo voglio io la soddisfazione d’ucciderti.>>
Olimpia di Nemia, dopo un silenzio di qualche secondo, estrasse un pugnale dai calzari.
S’inginocchiò a terra, stretta davanti all’altra donna.
Xena l’Imperatrice la guardò con attenzione.
Il verde chiaro della sue veste mascolina, da guerriera, spiccava, nella notte, ripreso dai colori in tinta del piccolo tratto verdeggiante sulle sponde del fiume.
Gli occhi turchesi del comandante brillavano come le stelle.
La sua intera figura, coronata da quei capelli color oro, sembravano risplendere al chiarore della luna.
Olimpia di Nemia allungò il pugnale, col manico rivolto verso l’Imperatrice.
<<Allora uccidimi.>> Disse.
Ed era seria.
Mai la Xena di Nemia aveva pensato che qualcosa di simile sarebbe potuto succedere, che quella donna dalla quale si sentiva sempre soggiogata e vinta, potesse accettare, chiedere la propria morte.
Gli occhi della mora si velarono di lacrime.
Non sapeva che fare, non poteva ucciderla.
Non poteva fare nulla, solo essere completamente sincera.
<<Non posso… - Sussurrò. – Non posso fare niente, senza te. Io non riesco più a vivere, senza te!>> Urlò infine.
Anche gli occhi del comandante videro tutto appannarsi, colti dal fiume dell’emozione che aveva rotto gli argini.
<<Neanch’io… Xena, non so più vivere. Né con te, né senza te.>>
<<Ti odio profondamente perché ti amo ancora di più!>> Replicò l’Imperatrice.
<<Amarti è stato il più bel dono e la più grande condanna della mia vita. Non riesco a liberarmi di te… Tu non mi permetti di farlo…>>
<<Come potrei… Quando non lo permetto neanche a me stessa…>>
Olimpia di Nemia allungò una mano verso il volto dell’Imperatrice e le accarezzò una guancia, ove score una calda e rara lacrima.
L’Imperatrice chiuse gli occhi.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, sentiva di vivere in un sogno e ne era contenta.
Quello era un sogno doppio, scrigno di dolci e riflesse speranze che, non essendo solitarie erano molto reali.
E così, il sogno diventava realtà. O la realtà sogno.
L’Imperatrice scivolò più vicino alla bionda.
Le accarezzò il viso con due mani, non le pareva vero di toccare ancora in quel modo il comandante.
Non c’aveva praticamente mai sperato.
Olimpia di Nemia la lasciava fare, sapeva quanto, quello che stava accadendo, contasse e comportasse per la mora ed anche per se stessa.
In quel momento, il comandante non voleva pensare.
Voleva solo vivere, per la prima, a pieno e liberamente, dopo tanto tempo.
Xena di Nemia accarezzò i lunghi capelli della sua amata nemica, per poi avvicinare il proprio volto lentamente a quello di lei.
Le loro labbra s’unirono mentre le loro mani s’accarezzavano con quasi timorosa passione.
La mora, per quanto aggressiva e forte fosse, in quel momento tratteneva a stento le lacrime, non riusciva a controllarsi.
Il sentimento aveva preso il sopravvento su tutto il resto.
Olimpia di Nemia si staccò dal loro bacio ed abbracciò forte l’Imperatrice.
Neanche lei ragionava, stringeva solamente la mora a se.
Non voleva lasciarla andare. L’aveva già fatto una volta, soffrendone molto, poi.
Non voleva perderla ancora.
Non l’avrebbe sopportato.
Sapeva troppo bene quanto la vita fosse vuota senza la sua bella ed instabile Xena.
Ed anche quest’ultima, a suo credo ancor più, sapeva cosa voleva dire vivere senza il comandante.
Entrambe, in quel momento tornate ad essere una cosa sola, forse più che mai, sapevano, nel loro profondo, che non avrebbero sopportato un altro distacco.
Si strinsero ancora più forte, consapevoli di tutto: di loro stesse, dell’altra, del loro amore, del mondo.

Nell’Universo parallelo, Marte, dio dell’amore ed Evi la Giustiziera, osservavano ciò che stava accadendo.
Sul volto del dio regnava un gran sorriso compiaciuto.
Il piano era perfettamente riuscito e le sue protette erano salve.
La loro vita e la loro anima.
Sapeva che, ora, una volta insieme, avrebbero aggiustato tutto: la loro vita sregolata e, quindi, quella di chi, sotto loro, subiva la loro sregolatezza.
<<Avevi ragione, caro Marte. – Esordì la Giustiziera. – Spero solo che d’ora in poi, andrà tutto meglio, anche per quanto riguarda le sorti di Nemia.>>
<<Con la speranza che mia sorella Venere, dea della guerra, non sia troppo infastidita d’aver perso due guerriere come le mie care.>> Rispose il dio dell’amore.
Evi la Giustiziera lo fulminò con lo sguardo.
Non aveva mica fatto tutto quel lavoro per sapere che il buon fine non era poi tanto buono!
Marte sorrise con aria innocente.
<<Eh… hehe, scherzavo!>> Esclamò.
La Giustiziera contorse il volto in un’espressione rassegnata pe ril comportamento un po’infantile e vanescente del dio dell’amore.
<<Mi spiace, - Esordì Evi con tono ironico. – se non posso restare qui a ciarlare con te, ma devo concludere il nostro compito.>>
Marte annuì, era davvero tutto contento e soddisfatto.

Presto fu mattina e le due d’Ellade stavano raccogliendo le loro cose, erano pronte a partire.
Il bardo sgomitò piano verso la Principessa Guerriera, indicandole di guardare verso le loro due nuove amiche.
Queste ultime facevano le indifferenti ma i loro sguardi erano diversi, pieni d’una nuova luce che, per l’amazzone era indubbiamente quella d’un nuovo cammino d’amore.
Evi la Giustiziera apparve in quell’istante alle quattro che, immediatamente, come sincronizzate, si misero sulla difensiva, estraendo le armi e puntandole contro ella.
<<Ferme! – Esclamò la divina. – Vengo in pace.>>
Gli sguardi erano puntati su ella, tutte attendevano che parlasse.
<<Il vostro affetto, - Iniziò, riferendosi alle due di Nemia. – vi ha fatto vincere. Non ho più nulla a che vedere con voi.>>
l’Imperatrice ed il comandante si guardarono un po’imbarazzate ma i loro occhi brillavano.
<<Ho solo una raccomandazione da farvi: non perdete la via giusta.>> Aggiunse la divinità.
Xena ed Olimpia di Nemia annuirono.
Sapevano che ora sarebbe stato tutto diverso, insieme avevano il loro equilibrio.
Per la prima volta, Evi la Giustiziera si lasciò andare ad un grande e benigno sorriso, ricordando, così, alla Principessa Guerriera, la propria figlia.
<<Sono contenta sia andata così. Buona fortuna, stelle gemelle.>> Concluse Evi la Giustiziera per poi dissolversi nel suo solito annuvolamento.
La mora di Nemia cercò la mano del comandante e la strinse alla sua per un istante.
<<Come farete a tornare nel vostro mondo?>> Chiese il bardo, ricordandosi di quel “piccolo particolare”, in quel momento.
<<Vi lascio tempo di salutarvi, dopodiché Xena ed Olimpia di Nemia torneranno nel loro mondo.>> Si udì la voce della Giustiziera, dire, da lontano.
L’Imperatrice sentì di nuovo le lacrime bussare alle sue iridi color cielo.
<<Grazie.>> Disse il comandante, precedendola.
<<Sono stata contenta d’incontrarvi e spero siate felici… insime.>> Rispose il bardo.
La Principessa Guerriera si limitò a sorridere.
Xena di Nemia abbracciò Olimpia di Potidea.
Le sussurrò qualcosa all’orecchio.
L’amazzone non capì, fu sorpresa da quelle parole.
In quell’istante, le due di Nemia scomparvero, tornando nel loro mondo, il loro Universo parallelo.

CONCLUSIONE/ESODO
Xena ed Olimpia di Nemia ricomparvero al castello dell’Imperatrice, nel loro regno.
Si tenevano per mano.
Si voltarono l’una verso l’altra.
Gli occhi dell’Imperatrice si riempirono ancora una volta di lacrime.

Nell’universo della Principessa Guerriera, ella e l’amazzone avevano ripreso a camminare.
Non avevano una meta precisa, non c’era più bisogno di tornare a Tebe.
<<Strane le nostre… alter ego.>> Esordì il bardo.
<<Già.>> Rispose la guerriera d’Anfipoli.
<<Non t’hanno mai convinto, vero?>>
La Principessa Guerriera non rispose.
Dopo un po’, si rivolse alla propria compagna con un’altra domanda.
<<Cosa t’ha detto l’altra me, all’orecchio?>>
<<L’amore non vince sempre e non è abbastanza. È troppo.>>
la Principessa Guerriera guardò Olimpia di Potidea con occhi sgranati.
Il bardo capì ed anch’ella fu raggiunta dalle lacrime.
Entrambe sapevano il destino che le loro copie si stavano scrivendo.

Nell’Universo parallelo, il comandante giaceva a terra, in una pozza di sangue.
<Perché?>> Chiese, con gran fatica, alla sua Xena, stesa accanto ad ella.
Dai polsi della mora scorreva, copioso, il proprio sangue, andando a confluire con quello che fuoriusciva dalle ferite sull’addome, della bionda.
<<Ho promesso a me stessa che mi sarei…vendicata. – Rispose con uno degli ultimi sprazzi di vita. - … E perché… Te ne saresti andata di nuovo. Non so vivere senza te.>>
Olimpia di Nemia faticava a respirare: l’aria non le giungeva più ai polmoni.
Cercando di raccogliere le ultime forze, allungò una mano verso il volto della sua Xena, per accarezzarlo dolcemente.
La mora prese la mano della sua amata nemica e la baciò, mentre il sangue continuava a scorrere dalle sue vene. Si stava dissanguando lentamente.
Si spensero insieme, allo stesso modo in cui s’erano accese.
L’una senza l’altra non era viva, la loro vita solitaria, non era vita.
Eppure, loro non sapevano vivere.
L’amore non aveva mai fatto per loro.

Xena la Principessa Guerriera ed Olimpia il bardo guerriero, camminavano, silenziose, insieme.
Il sole era alto nel cielo.
Ed un nuovo giorno era nato.

di Lisa

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