Guardò
verso la sua compagna d’avventure e notò nel suo atteggiamento
che non era tranquilla e rilassata.
Ormai la conosceva proprio bene, non c’era che dire.
Ne era felice, ne andava fiera.
Posò la pergamena e s’andò a sedere vicino alla
guerriera d’Anfipoli.
Questa però non smise di dedicare la propria attenzione all’arma.
L’amazzone inspirò, quello era un altro segno che c’era
qualcosa che non andava.
<<Che c’è, Xena?>> Chiese, parlando a voce
bassa, in modo che la conversazione rimanesse tra loro due, senza
bisogno di giungere alle orecchie delle loro copie dell’universo
parallelo.
<<Dovrebbe esserci qualcosa?>> Rispose, con una domanda,
la Principessa Guerriera.
<<No.>> Replicò il bardo, con tono sicuro, che
voleva essere anche convincente e rassicurante.
La bionda di Potidea scostò i capelli dal volto della Principessa
Guerriera, per poi appoggiarsi, con la testa, sulla spalla di lei,
posandovi un casto bacio.
Xena d’Anfipoli si lasciò andare, il bardo aveva ragione,
non aveva motivo di prendersela.
La Principessa Guerriera accarezzò i capelli dell’amazzone,
facendo scorrere le dita sul volto di lei, finché Olimpia (il
bardo) non le baciò.
In quel momento, la Principessa Guerriera avrebbe voluto far l’amore
con la sua compagna.
Mai aveva visto il sesso come qualcosa di dolce e pulito.
Era sempre stato puro piacere fisico, istinto primordiale.
Nel rapporto col bardo, invece, era arrivato come completamento d’una
relazione già perfetta.
Completamente diverso da tutte le altre esperienze che aveva avuto.
Era tutto così perfetto con la sua Olimpia.
Ma in quel momento, v’erano anche le altre due, oltre che dei
problemi d’affrontare e non poteva lasciarsi andare alla propria
vita privata.
<<Hai notato lo sguardo della tua copia?>> Chiese Xena
d’Anfipoli, volendo cambiare il centro d’attenzione.
Il bardo annuì.
<<Prima la guardava… E non ho letto odio nei suoi occhi.>>
<<Sbaglia, l’odio c’era, ma non era solo.>>
<<Non so cosa pensare, né come fare… Vorrei poterle
aiutare…>>
<<Non possiamo sempre aiutare tutti. Questa volta non dobbiamo
intrometterci troppo. Dipende solo da loro.>>
<<Devono essere due persone speciali…>>
<<Però se la situazione non si sistema, dovremo far qualcosa
per impedire loro di tiranneggiare.>>
<<…Sempre che riescano a tornare a casa…>>
<<Riusciranno. C’è sotto qualcosa a tutto ciò.
Devo solo capire precisamente cosa.>>
il bardo sorrise. La Principessa Guerriera cercava di sistemare sempre
tutto, di rendere tutto perfetto e, chissà come, il più
delle volte, ci riusciva.
<<Adesso smettila di crucciarti. Aspettiamo di sentire l’oracolo.
Perché non ci mettiamo a dormire?>>
la Principessa Guerriera acconsentì.
Si stesero l’una accanto all’altra, come consueto, sotto
le calde coperte.
Il bardo allungò una mano verso la Principessa Guerriera, cercando
quella di lei.
Intrecciarono le loro dita e la bionda di Potidea scivolò più
vicino alla sua Xena, abbracciandola alla vita.
Appoggiò la testa sulla spalla della Principessa Guerriera,
baciandola sul collo.
La mora chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dalle piacevoli
sensazioni che la sua Olimpia sapeva darle.
Presto furono nel mondo di Morfeo: incanto riflesso, realtà
imbottita di specchi, veritieri e falsanti a turno.
La Xena di Nemia non aveva prestato troppa attenzione ai discorsi
delle due guerriere d’Ellade.
Era troppo concentrata sullo concentrarsi.
Cercava di mettere in pratica ciò che il bardo, durante la
giornata in tragitto, le aveva spiegato, riguardo alla meditazione.
Si stufò presto, però e, raccogliendo la coperta che
il bardo le aveva dato, andò a sedersi ben lontano dal comandante,
a ridosso d’un albero dalla bianca corteccia, alla quale s’appoggiò,
coprendosi con la pezza.
Qualche ora dopo, mentre tutto era avvolto nell’oscurità,
i respiri delle quattro donne erano avvolti nel silenzio di quel sonno.
Evi la Giustiziera dell’Universo parallelo, apparve, silenziosa
come consueto, incappucciata e vestita di nero.
Misurò velocemente la situazione: la Principessa Guerriera
ed il bardo dormivano.
Le riconobbe all’istante.
Cercò di diventare impercettibile: ci riuscì. Ciò
non le fu affatto difficile, per una divinità, queste non erano
certo complicazioni.
Il tempo dato a disposizione delle due mortali del suo mondo, era
scaduto.
Le due non erano arrivate a riappacificarsi ed ora la mortale punizione
incombeva su di loro.
Nelle mani della Giustiziera comparve una spada completamente bianca:
persino la lama era del più candido dei colori.
L’Imperatrice di Nemia non dormiva bene, il suo sonno era disturbato
ed agitato.
Avvertì pericolo, quel pericolo che qualcun altro non avrebbe
potuto captare.
Si svegliò di soprassalto e vide Evi la Giustiziera la, stante,
sopra ad Olimpia (il comandante), con la spada spianata, pronta a
tagliarle di netto la gola.
Nessun pensiero sembrò attraversare la mente dell’Imperatrice,
ella si gettò solamente, di scatto, verso la Giustiziera, facendola
cadere a terra.
Subito anche la Principessa Guerriera ed il bardo si svegliarono e,
con loro, anche l’Olimpia di Nemia.
Evi la Giustiziera si guardò in torno, spaventata: le quattro
guerriere, l’accerchiavano.
<<Cosa vuoi?>> Chiese, quasi urlando, l’imperatrice.
la Principessa Guerriera ed il bardo erano molto sorprese.
Quella donna vestita di nero, era identica alla loro Evi. Ma ormai
era ovvio, anche la figlia della Xena d’Anfipoli aveva un’esatta
copia nell’Universo parallelo.
<<Chi sei?>> Chiese la Principessa Guerriera.
<<Sono Evi, Giustiziera di Morte.>>
<<Cosa vuoi da Olimpia??>> Chiese l’Imperatrice,
proseguendo con quel tono aggressivo. Sembrava davvero infuriata.
<<Hai creato tu tutto questo?>> Chiese il comandante che
già stava razionalizzando e capendo la situazione.
Come anche le due guerriere d’Ellade.
L’unica che in quel momento non riusciva a ragionare era la
mora di Nemia.
La rabbia le era salita troppo, dentro.
<<Xena di Nemia, Olimpia di Nemia… Siete sotto il mio
giudizio. Il tempo a voi concesso per rimediare ai vostri misfatti
è giunto al termine. È tempo di pagare il conto.>>
spiegò, professionale, la Giustiziera.
<<Non spetta alle divinità decidere del destino degli
uomini!>> Replicò la Principessa Guerriera.
<<Il destino ce lo costruiamo noi.>> Aggiunse il bardo,
quella perla di vita imparata dalla sua compagna d’avventure.
<<Non voglio mettermi contro te, Xena d’Anfipoli.>>
Rispose la Giustiziera.
<<Non ti conviene neanche. – Aggiunse ‘Imperatrice.
– Lei può uccidere gli dei!>>
Sembrava tutta fiera e compiaciuta di quello che diceva, la forza
e le capacità della sua copia la facevano sentire vincente
perfino contro quella divinità che si stava giocando la sua
vita.
<<Lo so. – Rispose Evi la Giustiziera. – Non interferire,
Xena di Anfipoli. Questo è il mio compito.>>
<<Tu hai mandato loro nel nostro mondo e con questo c’hai
automaticamente messo in mezzo. Ormai è anche affar nostro.>>
Replicò l’amazzone, schierandosi con determinazione e
sicurezza dalla parte delle due di Nemia,
la Giustiziera guardò verso la Principessa Guerriera che, per
tutta risposta, si toccò il chakram.
Evi, non avrebbe potuto avere risposta migliore.
<<Non finisce qui.>> Disse la Giustiziera, per poi scomparire
in un veloce annuvolamento.
Le quattro rimasero sole.
Si guardarono a vicenda.
<<Ecco, ora almeno è tutto chiaro.>> Esclamò
la Principessa Guerriera.
<<…Grazie.>> Sussurrò il comandante, rivelandosi
per la prima volta, riconoscente.
Entrambe le guerriere d’Ellade apprezzarono quel gesto, la bionda
lo ricambiò con un sorriso, la mora si limitò ad annuire.
<<Non è solo noi che dovresti ringraziare.>> Aggiunse,
quindi, il bardo, riferendosi al gesto dell’Imperatrice.
Olimpia di Nemia ci pensò: la sua copia aveva ragione…
Era stata la Xena di Nemia a salvarla.
Se non fosse stato per lei, il comandante sarebbe già nell’aldilà.
L’Imperatrice capì solo allora quanto insensato era stato
il suo gesto, nei confronti di colei che dichiarava la sua odiata
nemica.
Quindi face spallucce ostentando indifferenza e s’allontanò
d’un po’.
Le due donne d’Ellade si scambiarono uno sguardo d’intesa
e tornarono a dormire.
Sapevano che la Giustiziera non sarebbe tornata presto, temeva troppo
la Principessa Guerriera, la sua capacità riacquistata d’uccidere
li dei.
Ed inoltre, sapevano che le loro due copie di Nemia avevano bisogno
di restare sole.
Olimpia di Nemia si sentiva confusa.
Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo, delle proprie
sensazioni e di quello che c’era dentro all’Imperatrice
in quel momento.
Dopo tutto il tempo passato a perseguitarla, le salvava la vita.
Non aveva senso… A meno che…
Forse anche la mora aveva avuto i suoi stessi pensieri.
Olimpia di Nemia non sapeva dove tutto ciò l’avrebbe
portata, comunque voleva scoprire qualcosa in più.
La cercò e la trovò seduta, come prima, sulla sponda
del fiumiciattolo.
<<Non so neanche dove iniziare…>> Tentò la
bionda.
<<Allora non farlo.>> Replicò la Xena di Nemia.
Era già sulla difensiva.
<<Devo, voglio.>> Continuò Olimpia il comandante.
Silenzio, non ottenne risposta.
<<Sono confusa, Xena.>>
Ancora silenzio.
Il comandante continuò. <<Non rendermi le cose ancora
più difficile…>>
<<Una volta ogni tanto, ti sta bene.>> Parlò, finalmente,
la mora, tenendo salda la propria corazza sarcastica ed aggressiva.
Questa volta fu il comandante a non parlare.
Non sapeva cosa dire, non sapeva neanche cosa pensare.
Era lì, ferma, impalata in piedi davanti all’Imperatrice
che sembrava padrona della situazione più che mai.
<<Non montarti castelli di carta. – Proseguì la
mora. – Dopo tutto questo tempo voglio io la soddisfazione d’ucciderti.>>
Olimpia di Nemia, dopo un silenzio di qualche secondo, estrasse un
pugnale dai calzari.
S’inginocchiò a terra, stretta davanti all’altra
donna.
Xena l’Imperatrice la guardò con attenzione.
Il verde chiaro della sue veste mascolina, da guerriera, spiccava,
nella notte, ripreso dai colori in tinta del piccolo tratto verdeggiante
sulle sponde del fiume.
Gli occhi turchesi del comandante brillavano come le stelle.
La sua intera figura, coronata da quei capelli color oro, sembravano
risplendere al chiarore della luna.
Olimpia di Nemia allungò il pugnale, col manico rivolto verso
l’Imperatrice.
<<Allora uccidimi.>> Disse.
Ed era seria.
Mai la Xena di Nemia aveva pensato che qualcosa di simile sarebbe
potuto succedere, che quella donna dalla quale si sentiva sempre soggiogata
e vinta, potesse accettare, chiedere la propria morte.
Gli occhi della mora si velarono di lacrime.
Non sapeva che fare, non poteva ucciderla.
Non poteva fare nulla, solo essere completamente sincera.
<<Non posso… - Sussurrò. – Non posso fare
niente, senza te. Io non riesco più a vivere, senza te!>>
Urlò infine.
Anche gli occhi del comandante videro tutto appannarsi, colti dal
fiume dell’emozione che aveva rotto gli argini.
<<Neanch’io… Xena, non so più vivere. Né
con te, né senza te.>>
<<Ti odio profondamente perché ti amo ancora di più!>>
Replicò l’Imperatrice.
<<Amarti è stato il più bel dono e la più
grande condanna della mia vita. Non riesco a liberarmi di te…
Tu non mi permetti di farlo…>>
<<Come potrei… Quando non lo permetto neanche a me stessa…>>
Olimpia di Nemia allungò una mano verso il volto dell’Imperatrice
e le accarezzò una guancia, ove score una calda e rara lacrima.
L’Imperatrice chiuse gli occhi.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, sentiva di vivere in un sogno
e ne era contenta.
Quello era un sogno doppio, scrigno di dolci e riflesse speranze che,
non essendo solitarie erano molto reali.
E così, il sogno diventava realtà. O la realtà
sogno.
L’Imperatrice scivolò più vicino alla bionda.
Le accarezzò il viso con due mani, non le pareva vero di toccare
ancora in quel modo il comandante.
Non c’aveva praticamente mai sperato.
Olimpia di Nemia la lasciava fare, sapeva quanto, quello che stava
accadendo, contasse e comportasse per la mora ed anche per se stessa.
In quel momento, il comandante non voleva pensare.
Voleva solo vivere, per la prima, a pieno e liberamente, dopo tanto
tempo.
Xena di Nemia accarezzò i lunghi capelli della sua amata nemica,
per poi avvicinare il proprio volto lentamente a quello di lei.
Le loro labbra s’unirono mentre le loro mani s’accarezzavano
con quasi timorosa passione.
La mora, per quanto aggressiva e forte fosse, in quel momento tratteneva
a stento le lacrime, non riusciva a controllarsi.
Il sentimento aveva preso il sopravvento su tutto il resto.
Olimpia di Nemia si staccò dal loro bacio ed abbracciò
forte l’Imperatrice.
Neanche lei ragionava, stringeva solamente la mora a se.
Non voleva lasciarla andare. L’aveva già fatto una volta,
soffrendone molto, poi.
Non voleva perderla ancora.
Non l’avrebbe sopportato.
Sapeva troppo bene quanto la vita fosse vuota senza la sua bella ed
instabile Xena.
Ed anche quest’ultima, a suo credo ancor più, sapeva
cosa voleva dire vivere senza il comandante.
Entrambe, in quel momento tornate ad essere una cosa sola, forse più
che mai, sapevano, nel loro profondo, che non avrebbero sopportato
un altro distacco.
Si strinsero ancora più forte, consapevoli di tutto: di loro
stesse, dell’altra, del loro amore, del mondo.
Nell’Universo
parallelo, Marte, dio dell’amore ed Evi la Giustiziera, osservavano
ciò che stava accadendo.
Sul volto del dio regnava un gran sorriso compiaciuto.
Il piano era perfettamente riuscito e le sue protette erano salve.
La loro vita e la loro anima.
Sapeva che, ora, una volta insieme, avrebbero aggiustato tutto: la
loro vita sregolata e, quindi, quella di chi, sotto loro, subiva la
loro sregolatezza.
<<Avevi ragione, caro Marte. – Esordì la Giustiziera.
– Spero solo che d’ora in poi, andrà tutto meglio,
anche per quanto riguarda le sorti di Nemia.>>
<<Con la speranza che mia sorella Venere, dea della guerra,
non sia troppo infastidita d’aver perso due guerriere come le
mie care.>> Rispose il dio dell’amore.
Evi la Giustiziera lo fulminò con lo sguardo.
Non aveva mica fatto tutto quel lavoro per sapere che il buon fine
non era poi tanto buono!
Marte sorrise con aria innocente.
<<Eh… hehe, scherzavo!>> Esclamò.
La Giustiziera contorse il volto in un’espressione rassegnata
pe ril comportamento un po’infantile e vanescente del dio dell’amore.
<<Mi spiace, - Esordì Evi con tono ironico. – se
non posso restare qui a ciarlare con te, ma devo concludere il nostro
compito.>>
Marte annuì, era davvero tutto contento e soddisfatto.
Presto fu mattina
e le due d’Ellade stavano raccogliendo le loro cose, erano pronte
a partire.
Il bardo sgomitò piano verso la Principessa Guerriera, indicandole
di guardare verso le loro due nuove amiche.
Queste ultime facevano le indifferenti ma i loro sguardi erano diversi,
pieni d’una nuova luce che, per l’amazzone era indubbiamente
quella d’un nuovo cammino d’amore.
Evi la Giustiziera apparve in quell’istante alle quattro che,
immediatamente, come sincronizzate, si misero sulla difensiva, estraendo
le armi e puntandole contro ella.
<<Ferme! – Esclamò la divina. – Vengo in
pace.>>
Gli sguardi erano puntati su ella, tutte attendevano che parlasse.
<<Il vostro affetto, - Iniziò, riferendosi alle due di
Nemia. – vi ha fatto vincere. Non ho più nulla a che
vedere con voi.>>
l’Imperatrice ed il comandante si guardarono un po’imbarazzate
ma i loro occhi brillavano.
<<Ho solo una raccomandazione da farvi: non perdete la via giusta.>>
Aggiunse la divinità.
Xena ed Olimpia di Nemia annuirono.
Sapevano che ora sarebbe stato tutto diverso, insieme avevano il loro
equilibrio.
Per la prima volta, Evi la Giustiziera si lasciò andare ad
un grande e benigno sorriso, ricordando, così, alla Principessa
Guerriera, la propria figlia.
<<Sono contenta sia andata così. Buona fortuna, stelle
gemelle.>> Concluse Evi la Giustiziera per poi dissolversi nel
suo solito annuvolamento.
La mora di Nemia cercò la mano del comandante e la strinse
alla sua per un istante.
<<Come farete a tornare nel vostro mondo?>> Chiese il
bardo, ricordandosi di quel “piccolo particolare”, in
quel momento.
<<Vi lascio tempo di salutarvi, dopodiché Xena ed Olimpia
di Nemia torneranno nel loro mondo.>> Si udì la voce
della Giustiziera, dire, da lontano.
L’Imperatrice sentì di nuovo le lacrime bussare alle
sue iridi color cielo.
<<Grazie.>> Disse il comandante, precedendola.
<<Sono stata contenta d’incontrarvi e spero siate felici…
insime.>> Rispose il bardo.
La Principessa Guerriera si limitò a sorridere.
Xena di Nemia abbracciò Olimpia di Potidea.
Le sussurrò qualcosa all’orecchio.
L’amazzone non capì, fu sorpresa da quelle parole.
In quell’istante, le due di Nemia scomparvero, tornando nel
loro mondo, il loro Universo parallelo.
CONCLUSIONE/ESODO
Xena ed Olimpia di Nemia ricomparvero al castello dell’Imperatrice,
nel loro regno.
Si tenevano per mano.
Si voltarono l’una verso l’altra.
Gli occhi dell’Imperatrice si riempirono ancora una volta di
lacrime.
Nell’universo
della Principessa Guerriera, ella e l’amazzone avevano ripreso
a camminare.
Non avevano una meta precisa, non c’era più bisogno di
tornare a Tebe.
<<Strane le nostre… alter ego.>> Esordì il
bardo.
<<Già.>> Rispose la guerriera d’Anfipoli.
<<Non t’hanno mai convinto, vero?>>
La Principessa Guerriera non rispose.
Dopo un po’, si rivolse alla propria compagna con un’altra
domanda.
<<Cosa t’ha detto l’altra me, all’orecchio?>>
<<L’amore non vince sempre e non è abbastanza.
È troppo.>>
la Principessa Guerriera guardò Olimpia di Potidea con occhi
sgranati.
Il bardo capì ed anch’ella fu raggiunta dalle lacrime.
Entrambe sapevano il destino che le loro copie si stavano scrivendo.
Nell’Universo
parallelo, il comandante giaceva a terra, in una pozza di sangue.
<Perché?>> Chiese, con gran fatica, alla sua Xena,
stesa accanto ad ella.
Dai polsi della mora scorreva, copioso, il proprio sangue, andando
a confluire con quello che fuoriusciva dalle ferite sull’addome,
della bionda.
<<Ho promesso a me stessa che mi sarei…vendicata. –
Rispose con uno degli ultimi sprazzi di vita. - … E perché…
Te ne saresti andata di nuovo. Non so vivere senza te.>>
Olimpia di Nemia faticava a respirare: l’aria non le giungeva
più ai polmoni.
Cercando di raccogliere le ultime forze, allungò una mano verso
il volto della sua Xena, per accarezzarlo dolcemente.
La mora prese la mano della sua amata nemica e la baciò, mentre
il sangue continuava a scorrere dalle sue vene. Si stava dissanguando
lentamente.
Si spensero insieme, allo stesso modo in cui s’erano accese.
L’una senza l’altra non era viva, la loro vita solitaria,
non era vita.
Eppure, loro non sapevano vivere.
L’amore non aveva mai fatto per loro.
Xena la Principessa
Guerriera ed Olimpia il bardo guerriero, camminavano, silenziose,
insieme.
Il sole era alto nel cielo.
Ed un nuovo giorno era nato.
di
Lisa