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"Nè demoni o Dei"
romanzo seguito di "Identità Sepolta"

ROMANZO DI A. SCAGLIONI

(Capitolo XVIII)

Parte 1

(85) Xena/Jennifer, Sutherland e Carruthers

Immobile davanti al cancello in metallo lavorato che dà l'accesso alla proprietà del professor Sutherland, Carruthers estrae dalla tasca un fazzolettino di carta e si asciuga dall'ampia fronte il sudore di una giornata davvero afosa per essere in autunno inoltrato.
E ora cosa faccio? pensa. Che gli dico? D'un tratto quell'idea pazzesca, assolutamente pazzesca, che lo aveva costretto a mollare tutto e a precipitarsi qui per toccare con mano i suoi sospetti gli era apparsa in tutta la sua monumentale assurdità, e se non avesse già suonato quel campanello, e non fosse stato sicuro da un lieve movimento dietro una delle finestre che gli abitanti della casa lo avevano già visto e riconosciuto, avrebbe girato sui tacchi e sarebbe tornato di corsa alla sua auto, lasciandosi alle spalle quella situazione che minacciava di diventare la più imbarazzante della sua vita.
Lo scatto metallico dell'apertura del cancello lo fa sussultare.
Ecco. Ci siamo. Ormai è troppo tardi per tornare indietro.
E il poliziotto con una mano quasi tremante lo spinge, varcando lentamente il muro di cinta.

"Come mai sarà venuto? Cosa pensi che possa volere?"
Ancora seminascosto dietro la tenda della finestra, il professore continua a seguire con lo sguardo la figura dell'uomo che si avvicina con passo non troppo deciso alla casa.
"Io ho molte doti, Sutherland" risponde Xena, scrutando la figura da sopra la sua spalla "ma la lettura del pensiero non è ancora tra quelle. Non resta che aspettare e sentire cosa ha da dirci."
Giunto alla fine del sentiero di ghiaia, Carruthers resta fermo ancora per un attimo prima di salire i tre gradini che lo separano dalla porta, e Sutherland si affretta a richiudere la tenda.
"Bene." dice, sfregandosi le mani. "Questa storia sta facendosi sempre più interessante di minuto in minuto."
"Trovi?" mormora la guerriera, gettandogli un'occhiata gelida.
"Ehm, non intendevo..." tenta di dire il professore arrossendo. "Era solo un'osservazione da..." Poi abbassa gli occhi. "... da idiota. Scusami. Andiamo a sentire cosa vuole il nostro ospite imprevisto."
Evitando di incrociare ancora lo sguardo di Xena, Sutherland si dirige verso la porta e la apre.
"Capitano. Questo è un inaspettato piacere. A cosa devo la sua visita?"
Carruthers, con un sorriso indeciso, stringe la mano che il professore gli sta tendendo.
"Francamente" risponde, dopo una breve esitazione "non lo so neanche io."
"Ma si accomodi. Non stia sulla porta." lo esorta cerimoniosamente il vecchio, facendogli strada. Entrando, il poliziotto scorge la donna alta e bruna che lo fissa imperscrutabile.
"Salve... Rowles." dice, guardandola negli occhi.
"Salve, George." lo saluta lei, con un lieve cenno della testa.
"Ero quasi certo di trovarti qui."
La donna non risponde, e i due seguono il professore nel salotto.
"Venga, capitano." Sutherland è già con il bricco fumante in mano. "Stavamo facendo colazione. Posso offrirle del tè? O se preferisce potrei prepararle velocemente un buon caffè..."
"No grazie, professore. Non si disturbi." Il poliziotto lo interrompe con uno sguardo distratto, poi i suoi occhi tornano sulla donna. "Non vorrei sembrarle scortese, ma se non le dispiace, vorrei parlare un po' con Jennifer. Da solo."
Xena guarda Carruthers, mentre Sutherland posa il bricco sul tavolino.
"Certo." dice. "Non c'è problema, capitano. Io... avevo giusto un paio di... cose da fare. Vi lascio a parlare. Se ha bisogno di me..."
"Grazie." ripete Carruthers.
Con un sorriso ed uno sguardo perplesso alla guerriera, il vecchio esce chiudendosi piano la porta alle spalle.
Rimasti soli, l'uomo e la donna restano a fissarsi in silenzio per un momento, poi, con un sospiro, il poliziotto distoglie lo sguardo, lasciandosi cadere su una poltrona.
"D'accordo." dice Carruthers, guardando il pavimento. "Io non sono bravo con i giri di parole e comunque, probabilmente non esiste un modo facile per domandartelo. Quindi... andrò diretto al punto." I suoi occhi si sollevano fino a tornare in quelli di Xena e restarvi inchiodati. "Chi sei tu?" chiede.
I due si squadrano ancora per qualche secondo, poi Xena si gira, fissando senza vederlo il giardino illuminato da un pallido sole oltre la vetrata.
"Non credo di aver capito cosa vuoi dire."
Carruthers osserva la donna che gli dà le spalle, notando con occhio professionale la postura eretta della schiena, la testa alta, le braccia incrociate sul petto e un atteggiamento generale di tutta la persona che non gli ricorda in niente Jennifer.
"Fino ad un attimo fa" dice piano "pensavo sinceramente che questa fosse la domanda più assurda del mondo e che nel farla mi sarei sentito un completo imbecille. Anzi, non credevo nemmeno che all'ultimo momento avrei trovato il coraggio per fartela. Finché non sono entrato da quella porta e ti ho vista. Ora invece, mi chiedo semplicemente come ho fatto a non capirlo prima."
La donna continua a fissare il giardino, senza rispondere.
"Ascolta... Jennifer. Ti chiamo così, perché non so in che altro modo chiamarti, ancora. Io sono un uomo semplice. Credo solo a quello che posso toccare e la mia vita non mi ha mai dato occasione di pormi dei dubbi sulle mie convinzioni. O se l'ha fatto" prosegue l'uomo alzandosi e dirigendosi verso il mobile bar "forse io non sono stato pronto o disposto a coglierle. Solo pochi mesi fa, mi sono imbattuto in una storia assurda a base di angeli senza ali" e qui, versandosi una generosa dose di whisky, Carruthers non riesce ad evitare un mesto sorriso "e di giustiziere armate di spade e vestite come amazzoni che sembravano avere il dono di apparire sempre nei posti giusti, per poi risparire nel nulla. Ho perfino visto con i miei occhi una donna alta quasi due metri che parlava in una lingua incomprensibile e che pur essendo virtualmente morta, praticamente sventrata da una raffica di mitra" e il poliziotto lancia una breve occhiata verso Xena che è rimasta immobile "è riuscita ancora a scappare, gettando per aria uomini grandi e grossi come fossero fuscelli."
Con il bicchiere in mano, Carruthers si avvicina alla guerriera, fissando anche lui il prato verde con gli alberi sullo sfondo.
"E' successo proprio qui. Io c'ero. L'ho visto. Eppure non ho voluto vedere. Non ho voluto pensarci. Forse perché se lo avessi fatto, questo mi avrebbe costretto a farmi anche altre domande. Domande, le cui risposte avrebbero potuto non piacermi. Così come non me le sono fatte, o non ho voluto farmele, più tardi quella stessa notte, quando mi sono recato in un certo appartamento dall'altra parte della città e ho visto il corpo di un'altra donna, apparentemente, con ferite identiche a quelle della prima. Ancora una volta le domande avrebbero dovuto essere tante, ma di nuovo io le ho rimosse dalla mia mente. E inoltre" continua con amarezza "questa volta ho trovato anche un buon incentivo per dimenticare."
Carruthers svuota in un solo sorso il bicchiere e si gira verso la donna che non ha mosso un muscolo durante tutto il discorso.
"Non bevo mai alcolici a quest'ora e dovrei anche essere in servizio, ma credo che questa sia un'occasione speciale. Stamattina, quando mi sono alzato, mi sono detto che questa sarebbe stata la mia ultima giornata da poliziotto, ma ora ho capito che sarà molto di più. Sarà anche la prima giornata in cui riaprirò gli occhi, anche sulle cose che preferirei non vedere, e non sfuggirò più le domande. Anche se le risposte non dovessero piacermi."
Xena volge lo sguardo verso di lui, e a Carruthers, forse per la prima volta, non pare leggervi solo gelo e diffidenza, ma resta silenziosa.
"Io non so che cosa significhi tutto questo, e non riesco neanche ad immaginare come o perché quello che penso che stia succedendo, sia capitato. Non so se troverò risposte da te, e non posso e non voglio costringerti a darmene. Ma qualcuno molto tempo fa disse che forse l'Amazzone era un angelo. Fu una bambina a dirlo. Una bambina che quella donna aveva salvato, come avrebbe forse potuto salvare altre vite, se la stupidità degli uomini, la mia stupidità, non avesse interrotto la sua opera. Adesso, c'è la vita di un altro bambino in gioco. Forse è già troppo tardi, ma forse no. Io ti ho vista ieri in quel parco. Non so chi sei, non so da dove vieni, ma se possiedi qualche... qualità che possa servire a ritrovarlo..."
La guerriera sta di nuovo fissando il panorama esterno, ma c'è un'ombra di profonda tristezza nei suoi occhi.
"Tu sei innamorato di lei, vero?" chiede.
L'inaspettata domanda paralizza letteralmente il poliziotto che la guarda come se non fosse sicuro di aver sentito bene.
"Co... come? Di chi parli?"
La guerriera gli sorride con compatimento.
"Sai benissimo di chi parlo. O hai già dimenticato i tuoi buoni propositi sul non sfuggire più le domande?"
Carruthers distoglie lo sguardo, fissandolo sul bicchiere vuoto che ancora stringe in mano, poi si gira velocemente tornando al mobile bar.
"Non lo so." risponde seccamente. "Ma anche se fosse, che importanza ha ora? Tanto lei non è più lì dentro, vero?"
Xena scuote appena la testa.
"E' incredibile!" sbotta l'uomo. "Se mi fossi sentito parlare così solo qualche giorno fa, sarei corso dal più vicino psichiatra. Non mi racconterai come è successo, immagino."
"Non sono ben sicura di saperlo neanch'io."
"Puoi dirmi almeno il tuo nome?"
"Io sono Xena." risponde.
"Ma lei... Jennifer, dov'è adesso? Sta bene?"
"Non posso risponderti, ma ho buone ragioni di credere che ci sia chi si sta prendendo cura di lei." mormora la donna, poi si allenta il foulard che porta ancora intorno al collo, esponendo il livido bluastro che lo circonda. "E comunque, credo che stia meglio di come starebbe se fosse ancora qui."
Carruthers spalanca gli occhi, avvicinandosi con il bicchiere in mano ormai dimenticato.
"Gesù Cristo. Come te lo sei fatto?"
"Qualcuno stava cercando di strangolarla, proprio nel momento in cui io sono... arrivata."
"Chi?"
Ora uno sguardo di indiscutibile rabbia brucia negli occhi del poliziotto. Xena scuote di nuovo la testa silenziosamente.
"Non posso rispondere neanche a questo, per ora. Ma scommetto che se lo sapessimo, sapremmo anche dove cercare il bambino." conclude.
"Quel maniaco assassino? E' stato lui?" Carruthers la fissa incredulo, poi un'ombra di paura si dipinge sul suo viso. "Allora, avevo ragione a... Se tu puoi aiutarmi a prenderlo, devi farlo."
"Vorrei." dice la guerriera riannodandosi il fazzoletto. "Non hai idea di quanto lo desideri, ma le vostre città sono immense. Troppo grandi per potervi seguire una traccia, un odore."
"Un odore?" chiede l'uomo incuriosito.
"L'ho sentito sul luogo del rapimento e della morte di quella ragazza." spiega lentamente Xena, come se temesse che lui non riesca a seguirla. "Qualcuno deve essere rimasto a lungo nascosto tra i cespugli e il suo odore era ancora vagamente avvertibile lì intorno."
"Che genere di odore?"
"Come qualcosa di marcio, di rancido. Qualcosa che stia decomponendosi. L'avevo già sentito nel posto da cui provengo."
Xena guarda perplessa Carruthers che è improvvisamente pallido in volto e ingoia velocemente e senza respirare il secondo whisky.
"Che c'è?"
"Non... non ci badare." balbetta il poliziotto, guardando il bicchiere che tiene in mano nuovamente vuoto. "E' solo che... beh, un conto è immaginare una cosa del genere, ma adesso...? Devi perdonarmi se mi sento un po' scosso."
"George..." prova a dire Xena, ma Carruthers sembra troppo sconvolto per ascoltare e afferra di nuovo la bottiglia.
"E come c'entrava Cheryl Cooper in tutto questo? Tu eri lei, allora, no? Eppure quando ti ho incontrata qui quella notte, tu eri diversa. Non le somigliavi affatto. Se non nello sguardo. E' stato quello. E' quello sguardo che allora non avevo notato ma che non ho mai dimenticato."
"George, smettila."
"Quello sguardo che ho rivisto ieri quando sono passato da casa tua... da casa di Jennifer. Avrei dovuto capire in quel momento. Qualcosa ho visto, ma come potevo pensare... come facevo ad immaginare...?"
Ora la voce dell'uomo trema come la sua mano, mentre se la porta alle labbra con il terzo bicchiere ancor più colmo dei precedenti. Ma il gesto viene arrestato a mezz'aria dalla presa della donna che lo tiene per il polso costringendolo a consegnarglielo.
"Smettila." dice con voce bassa ma autoritaria. "Hai già bevuto abbastanza. Non mi serve un alleato ubriaco."
"Non capisci?" chiede Carruthers e adesso sembra quasi sull'orlo delle lacrime. "Io credevo di aver causato la morte di una donna che adesso è qui, davanti a me, ma è lei senza esserlo, perché ora ha il volto della mia migliore amica, ma non lo è perché in realtà è una donna venuta da chissà dove... forse proveniente da un mondo che non esiste più da migliaia di anni. E' così? Io devo sapere... capire... o impazzirò."
La guerriera lo guarda, posando il bicchiere sul ripiano del mobile bar.
"Ti ho già detto che non so cosa rispondere alle tue domande." dice poi, fissandolo cupamente. "Io non so come sono arrivata qui. Non so come ci sono arrivata la prima volta, né perché fossi questa... quel nome che hai detto. E non so come ci sono arrivata ora finendo nel corpo della tua amica. Ma una cosa posso assicurartela. Il mio mondo esiste ancora e io ho tutte le intenzioni di tornarci. E tu certo non mi stai aiutando con questo atteggiamento."
Carruthers le restiuisce lo sguardo, ma ora sembra che il tremito che si era impossessato di lui stia diminuendo.
"Io... io non riesco a capire..." mormora.
"E allora, lascia perdere!" esplode la guerriera. "Neanch'io capisco, ma in questo momento ci sono altre priorità, no?"
A capo chino, l'uomo si lascia cadere sulla poltrona senza rispondere.
"Dimmi piuttosto." chede la donna. "Quanto pesa la tua autorità, in questo luogo?"
Carruthers alza la testa, guardandola indeciso.
"Sei in grado di aggregarmi alle squadre di ricerca, senza troppe domande?" insiste Xena.
"Credo... credo di sì." risponde il poliziotto, cercando di riprendere il controllo di se stesso. "Almeno per un po'. In effetti, tu... voglio dire, Jennifer ne faceva già parte. Hai idea di come procedere?"
"No." La donna serra le labbra. "Ma di sicuro, standomene qui, in attesa, non potrò..."
Lo squillo improvviso che risuona imperiosamente nella stanza fa sussultare entrambi, e gli occhi corrono all'antiquato apparecchio in metallo colorato di nero che è in bella mostra su un tavolinetto laterale. Un altro squillo e la porta del salotto si riapre, mentre esitante fa il suo ingresso il professore appoggiato al suo bastone.
"Scusatemi" dice " non volevo interrompervi, ma la derivazione è al piano superiore e se posso evitare una rampa di scale..."
I due non rispondono nemmeno continuando a fissare l'oggetto scuro che adesso pare dotato di vita propria e persevera nel suo monotono concerto. Sutherland si avvicina lentamente e prende la grande cornetta portandosela all'orecchio.
"Michael Sutherland. Chi parla?"
Una voce udibile a quella distanza solo per la grandezza del ricevitore grida qualcosa di concitato e inintelleggibile.
"Signor Croft? E' lei?"
Altre urla incomprensibili.
"Dove ha detto?" Pausa. "Aspetti un momento, per favore. Me lo ripeta più lentamente." Il professore estrae dal taschino una minuscola matita e traccia qualcosa su un taccuino accanto al telefono. "D'accordo. Saremo lì prima possibile." dice, e dopo aver riattaccato, alza la testa ad osservare le due altre persone presenti nella stanza, che lo stanno fissando a loro volta.
"E' una vera fortuna che lei sia qui, capitano. Spero che sia venuto con la sua auto." dice rivolto a Carruthers, poi guarda Xena che senza sapere perché ha sentito un brivido correrle lungo la schiena al primo squillo di quel diabolico arnese ed ora avverte ondate di energia percorrerla come accade sempre nell'imminenza dell'azione.
"Ecco forse il segnale che stavamo aspettando, mia cara. Si direbbe che chiunque stia vegliando su questa incredibile storia si sia fatto vivo, finalmente." aggiunge con un sorriso.


(86) Jennifer/Xena e Olimpia

D'un tratto, la foresta intorno a Jennifer sembra sparita, inghiottita da un banco di nebbia scura, spessa e soffocante. Ma la donna non ha tempo di fare considerazioni in proposito. Qualcosa gli fischia accanto all'orecchio, avvertendola un istante prima che il colpo la raggiunga alla spalla, e con riflessi che non avrebbe mai sospettato di possedere, si sposta di lato, sollevando contemporaneamente la propria vanga e colpendo di taglio sul fianco Alexi. L'urto del metallo contro la cassa toracica dell'uomo, gli fa quasi rimbalzare l'impugnatura tra le mani, provocando un urlo di dolore e rabbia nel suo avversario che arretra sotto il colpo.
"Maledetta femmina." sibila la voce nelle tenebre, con un orrido brontolio in sottofondo. "Non sperare di potermi sfuggire."
Nel buio che la circonda, Jennifer riesce appena a distinguere una vaga forma umana a non più di tre passi di distanza.
D'accordo. Adesso cerca di mantenere la calma, e resta in silenzio. Se tu non vedi bene lui, è probabile che neanche lui veda bene te.
Un nuovo sibilo, più vicino del precedente, arriva questa volta dalla parte opposta e la donna si china fulmineamente solo un istante prima che la pesante arma attraversi l'aria esattamente nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la sua testa, andando invece a battere con clangore contro il tronco di un albero. Rotolandosi velocemente sul terreno, Jennifer fa ruotare nello stesso tempo le sue gambe, serrando in una morsa i piedi di Alexi e facendolo crollare pesantemente al suolo con un grugnito.
Il dèmone si è rifugiato in lui, ma forse così non può aiutarlo più di tanto. Forse è solo un uomo quello con cui hai a che fare.
Ritrovando coraggio a quell'idea, la donna schizza in piedi e calcolando la distanza dalla testa di Alexi si scaglia in quella direzione, brandendo la vanga a due mani e abbassandola con tutta la forza, ma questa volta è lei ad incontrare solo la dura superficie del terreno, mentre l'attrezzo le fa vibrare anche i polsi nel contraccolpo. La presenza accanto a lei è più percepita che vista, e Jennifer salta evitando per un soffio il colpo che stava per abbattersi sulle sue ginocchia, atterrando e accovacciandosi subito, guardandosi intorno con tutti i sensi tesi a individuare la posizione del nemico.
La nebbia adesso è anche più fitta, suoni e rumori paiono ovattati e strane ombre sembrano muoversi tra le sagome degli alberi.
Attenta, dice a se stessa, forse sta cercando di accedere alla tua mente. Impedisciglielo!
No, risponde un'altra voce che non sembra provenire da lei, ma che le risuona nella testa come un proprio pensiero, sta già usando tutte le sue energie residue per controllare Alexi. Si è nascosto in lui perché dopo aver ucciso quegli uomini e affrontato Olimpia si è indebolito ulteriormente. Adesso è più vulnerabile che mai. Se lo costringerai ad uscire dal suo rifugio umano per lui sarà la fine.
Costringerlo ad uscire dal suo rifugio. Ma come?
Continuando a muoversi in tondo con estrema cautela, la donna scruta intorno a sè, ma tra le mille ombre che sembrano circondarla, quelle degli alberi ed altre più difficili da determinare che fluttuano e ondeggiano, non riesce a scorgere quella dell'uomo, quando un fruscio, quasi inudibile ad orecchi umani, sopra la sua testa la spinge a sollevare lo sguardo sui rami che pendono su di lei. E con un'imprecazione che non sapeva di conoscere, Jennifer riesce appena ad afferrare le braccia di Alexi che piombatole addosso con tutto il suo peso, adesso preme la lama della vanga contro il suo collo.
La posizione di svantaggio, con la schiena piegata all'indietro da una grossa radice sporgente dal terreno, non permette a Jennifer di esercitare appieno la forza dei suoi muscoli contro la spinta dell'uomo su di lei. Solo la lunghezza delle braccia le consente di impedire alla grossa estremità metallica dell'attrezzo, che ora sente straordinariamente affilata contro la pelle, di reciderle la gola.
"Alexi" riesce a dire, lottando contro quel peso che minaccia di schiacciarle la trachea "questo non sei tu. Non vedi che ti sta controllando? E' la Bestia che agisce attraverso di te. Scuotiti. Torna in te stesso."
"Smettila, donna! Che tu sia dannata!" La voce, che è più un basso ruggito, esce incontestabilmente dalla bocca del giovane, ma proprio come il suo sguardo, oscuro ed alieno, non sembra appartenergli. "Non riuscirai a confondermi! Non ti permetterò di crearmi ostacoli. Quando tu sarai morta e distrutta per sempre, io e Olimpia..."
"FERMATI!"
Il grido proviene da qualche punto nella nebbia. La densità di questa ormai preclude la possibilità di capire da dove esattamente, ma la pressione sulla gola di Jennifer si allenta istantaneamente, e subito la donna ne approfitta per sollevare da terra le ginocchia, spingendo con tutta la forza delle gambe contro il basso ventre di Alexi, che sotto quel colpo improvviso vola letteralmente sopra la sua testa, mentre la vanga, scivolando verso sinistra, si pianta nel terreno ad un dito dal collo della donna.
Riempiendo nuovamente d'aria i polmoni, con una capriola all'indietro, Jennifer si rimette in piedi, afferrando nello stesso momento la vanga di Alexi e puntandola contro il petto dell'uomo che è rimasto disteso in terra e senza fiato.
"Tieni." dice Olimpia avvicinandosi a lei e consegnandole la spada. "Credo che questa faccia più al caso tuo."
Jennifer getta la vanga da una parte e prende l'arma, premendone la punta sotto il mento di Alexi.
"Olimpia! Cosa fai?" biascica il giovane, tendendo indietro la testa per sottrarsi alla minaccia, mentre fissa la figura della ragazza emersa dall'oscurità intorno che gli rimanda uno sguardo impassibile. "Aspetta! Tu non capisci! Se sapessi quello che voglio fare, aiuteresti me, non lei!"
"A fare cosa, Alexi?" chiede Olimpia, gelida. "Ad uccidere la mia amica? Ma ti sei sentito? Ti sei visto? Da quanto tempo quell'essere ti ha invaso? Cosa ti ha fatto fare?"
"IO NON SONO POSSEDUTO DA QUEL DEMONIO!!!"
Malgrado la spada puntata alla gola, il corpo di Alexi sembra scosso da un'ondata di energia che lo solleva quasi dal suolo, costringendo istintivamente Jennifer ad arretrare di quel tanto da non trafiggerlo.
"SAPEVO CHE NON AVRESTI CAPITO!" ruggisce ancora, facendo vibrare l'aria intorno a sé, e i suoi occhi sembrano mandare fiamme nere. "PER QUESTO NON DOVEVI ESSERE QUI! NON DOVEVI VEDERE!"
"Se credevi seriamente che quel trucchetto sarebbe bastato a mettermi fuori combattimento" ribatte quietamente Olimpia, con invidiabile sangue freddo "allora vuol dire che non ci conosci affatto. In tutti questi anni, Xena mi ha insegnato a riconoscere ogni erba, radice o sostanza medicamentosa e tossica, e mi sono accorta quasi subito che nel miele che avevi aggiunto alle bacche c'era della belladonna. Il sapore dolce non è riuscito a nasconderlo del tutto. Non mi ci è voluto molto a capire il resto."
"XENA! XENA!! XENA!!!" Adesso il corpo di Alexi si scuote come in preda alle convulsioni, e Jennifer si allontana ancora un po', sempre tenendo la spada puntata, mentre Olimpia si afferra al suo braccio, fissando l'uomo al suolo in cui sembrano dibattersi due figure sovrapposte. "TU RIESCI A PENSARE SEMPRE E SOLO A QUELLA DONNA MALEFICA! MA LEI NON ESISTE PIU'! E' SVANITA DA QUESTO MONDO E DALLA TUA VITA E NON TI BASTERA' QUEL PALLIDO SIMULACRO AL TUO FIANCO A SOSTITUIRLA!"
"Questo non è vero, Alexi" dice piano la ragazza "e tu lo sai. Queste parole non vengono da te. Così come non ti appartengono le azioni che hai compiuto, ed è con te che sto parlando ora. Combatti. Caccialo via da te. Tu l'hai lasciato entrare, e solo tu puoi espellerlo."
"NOO! NOOOO!!!"
La voce ruggente risuona furiosa ancora una volta, mentre Alexi è scosso da convulsioni incontrollabili e il suo corpo si contorce, piegandosi ad angolazioni tali da non credere possibile che ossa e articolazioni possano resistere senza spezzarsi come altrettanti bastoncini. Poi, d'improvviso, la sua schiena s'inarca, le pupille sembrano quasi sparire nella rotazione completa dei bulbi oculari, ed un orribile gorgoglio gli esce dalla gola, lasciandolo immobile al suolo.
Olimpia e Jennifer restano ferme a qualche passo di distanza, guardando il giovane steso in terra senza dare segni di vita.
"Credi che..." comincia a dire Jennifer quando, con un urlo selvaggio e disumano oltre ogni possibile immaginazione, un urlo che scuote le loro anime e le loro menti, un'ombra nera emerge improvvisa dal corpo, sollevandosi nell'aria. Le due donne si gettano a terra, coprendosi le orecchie per attenuare quelle grida bestiali, che però continuano a ripercuotersi nella testa come se fosse la mente a percepirle direttamente. L'aria si riempie di quell'insopportabile fragore e lampi accecanti lacerano l'oscurità.
E' come se la foresta stessa andasse a fuoco, e Olimpia e Jennifer non riescono neanche a pensare, capaci solo di starsene distese al suolo con gli occhi serrati e le orecchie tappate, mentre il mondo sembra frantumarsi nella follia. Un vento di incredibile violenza, un vero e proprio vortice di aria bollente si forma dal nulla e foglie e rami spezzati e sparsi al suolo vengono inghiottiti al suo interno per sparire in una fiammata. Gli alberi stessi si piegano sotto l'irresistibile forza di attrazione esercitata dal turbine e le due donne aggrappate l'una all'altra e tenendosi con tutte le loro energie alle radici e al tronco dell'albero più vicino riescono appena a resistere al gorgo. L'urlo che sta squassando le loro menti sale fino a raggiungere vette di potenza inconcepibili, poi il vortice, trascinandosi dietro la sua forza distruttiva schizza in direzione della radura, bruciando ed inghiottendo letteralmente tutto ciò che trova sulla sua strada. Un tremendo boato fa tremare la terra sotto i piedi, seguito quasi immediatamente dal fragoroso rumore di un crollo che si ripercuote a lungo nell'aria intorno, finché lentamente il silenzio torna a regnare sul luogo.
Abbracciate strettamente tra loro e al grosso tronco che con le sue dimensioni ha fatto da schermo proteggendole, Jennifer ed Olimpia si azzardano cautamente a riaprire gli occhi. La nebbia è scomparsa e la luce del giorno illumina un paesaggio che pare quasi irriconoscibile. L'erba e gli alberi sono neri e fumanti, sui rami di quelli circostanti non vi è più traccia di foglie e molti sono spezzati o nettamente recisi, e nel punto che il vortice ha attraversato, i tronchi sono ridotti a monconi come se avessero bruciato per giorni.
Con prudenza, le due donne abbandonano il loro riparo e muovono alcuni cauti passi sul terreno.
"Non scotta." dice Olimpia, tastando ciò che resta della corteccia di un albero.
"Non penso che fosse un fuoco naturale." mormora Jennifer, abbassandosi a toccare alcuni steli d'erba anneriti, ma ancora intatti, che però appena sfiorati si trasformano in cenere sulle sue dita.
"No. Credo anch'io." conferma la ragazza, poi si volta di scatto.
In mezzo al terreno spianato dall'energia distruttiva del vortice, vi è un cerchio quasi perfetto di erba ancora incredibilmente verde ed esattamente al centro di quell'oasi nel deserto, giace il corpo di Alexi, nella stessa posizione in cui si trovava quando era iniziato l'inferno. Dalla bocca del giovane esce un gemito.
Immediatamente, Olimpia gli accorre vicino, seguita da Jennifer e le due donne si chinano su di lui. Alexi è disteso su di un fianco e sul suo viso pallido spiccano violentemente rivoli scarlatti che fuoriescono dalle palpebre chiuse e dalle narici, perdendosi tra i peli della sua folta barba.
Olimpia lo gira piano, prendendolo sotto la nuca e la schiena, finchè non è supino. Un altro gemito gli fuoriesce dalla bocca e il giovane apre gli occhi. Le sue pupille ora non sono altro che due globi scuri affogati nel rosso del sangue.
"Alexi" sussurra Olimpia. "non muoverti. Ti costruiamo una lettiga e ti trasporteremo in città..."
"Olimpia..." mormora il giovane. "Dove sei? Non ti vedo... E' tutto buio..."
La sua mano si leva, brancolando verso la direzione della voce, poi ricasca senza forze.
"Sono riuscito a scacciarlo..." dice.
"Sei stato bravo e coraggioso."
"No. Sono stato un codardo." Alcune lacrime anch'esse rosse di sangue cominciano a scorrergli lungo le guance, mescolandosi alle striature vermiglie sul suo volto. "Non avrei dovuto ascoltare. Avrei dovuto respingerlo subito." La sua mano si solleva di nuovo, e Olimpia l'afferra nella sua. "Io... non volevo farvi del male."
"Lo so." dice Olimpia. "Non eri tu."
"Perdonami. Perdonatemi tutte e due."
"Non ce n'è bisogno." Jennifer gli prende l'altra mano. "Ora cerca di stare calmo. Vedrai che..."
"No. E' inutile." Alexi muove freneticamente gli occhi ciechi dall'una all'altra. "E' il mio... tempo. Lo so. Lasciatemi andare. E' il volere di Coloro che Sanno. Vi prego, solo accertatevi che quell'essere immondo..." Un rantolo improvviso gli scaturisce dalla gola, mentre un sussulto lo scuote nuovamente. "... sia davvero distrutto." riesce a dire in un ultimo soffio. Poi, il corpo del giovane si affloscia tra le braccia di Olimpia.
La ragazza gli posa la mano, che ora pende senza vita nella sua, sul petto, poi tristemente con le dita gli chiude gli occhi, rimasti vitrei e spalancati su un mondo che non possono più vedere. Quindi le due donne si alzano, lo sguardo ancora fisso sul cadavere ai loro piedi.
"Coraggio." mormora la guerriera dai capelli biondi. "Controlliamo che questa storia si sia realmente conclusa e che quel mostro non possa più tornare."

L'estesa radura di fronte alla caverna è ora un'enorme spianata di erba bruciata e terra grigia e fumante, ma anche qui le due donne possono posare i piedi senza timore di scottarsi, poiché il terreno appare innaturalmente secco e freddo sotto le suole degli stivali. Sul fondo, là dove era la grande bocca nera attraversata da radici che parevano altrettanti denti acuminati in un ghigno diabolico, il grosso albero che la sovrastava ha ceduto, crollandovi sopra e sigillando con la sua mole l'apertura, già scomparsa sotto una montagna di macigni.
"Come sarà successo?" chiede Jennifer, guardando la massa di pietre che ha trasformato la profonda cavità in un impenetrabile parete di roccia.
"Non lo so." risponde Olimpia, avvicinandosi lentamente e passando la mano con circospezione sulla pietra. Anche quella era fredda. "Si direbbe che ci sia stata una specie di esplosione dall'interno che ha scagliato questi massi, tappando l'ingresso. Speriamo per sempre."
"E i cadaveri? Dove sono Acros e i suoi soci?"
"Se non sono stati inceneriti dal calore soprannaturale di quel vortice, credo che li abbia portati via con sé, come ha spazzato via tutto ciò che non era saldamente ancorato al suolo."
Jennifer gira su se stessa, osservando la desolazione del paesaggio intorno.
"E' finita davvero, allora?" dice, ed è più un'affermazione che una domanda.
Olimpia non risponde, e la sua mano continua ad accarezzare soprappensiero la superficie della roccia.
"E io?" chiede ancora Jennifer, voltandosi verso di lei. "E Xena? Non potremo più tornare ai nostri corpi, ai nostri mondi? Se quella caverna era il passaggio..."
"Non lo era." la interrompe bruscamente la ragazza. "Tu ci sei entrata. Hai visto. Se fosse stata il passaggio, ora non saresti più qui... e ci sarebbe Xena al tuo posto." conclude con un filo di voce.
"Ma forse non era il momento giusto. Il dèmone non era stato ancora sconfitto. Forse adesso..."
"Forse. Forse. Forse!" sbotta Olimpia picchiando un pugno sulla pietra, con espressione rabbiosa. "Non sei stata tu a dire che c'erano troppi forse nelle mie frasi? Forse non riavrò mai più indietro Xena, e forse tu resterai qui per il resto della vita! E forse la cosa non ti dispiace neanche tanto. Dico bene?"
Le ultime parole, pronunciate con un tono di profonda amarezza, gelano Jennifer che resta immobile a fissarla. Gli occhi di Olimpia sono velati da un pianto a stento trattenuto.
"Mi... mi dispiace." balbetta, mentre sente un groppo formarlesi in gola. "Io... io non volevo. Da... darei la mia vita, se questo servisse a restituirti Xena."
La ragazza appoggia la schiena contro la roccia e poi si lascia lentamente scivolare a sedere, lo sguardo perso nel vuoto, senza parlare.
"Capisco se non vuoi più vedermi." prosegue Jennifer, senza neanche accorgersi delle grosse lacrime che hanno cominciato a bagnarle il viso. "Me ne vado anche subito se vuoi."
"Credevo che avessimo finito di soffrire." mormora Olimpia, quasi come se parlasse a se stessa. "Speravo che avessimo finito di soffrire. Che potessimo vivere in pace, finalmente. Era chiedere troppo?" dice, sollevando verso di lei un volto anch'esso rigato di lacrime silenziose.
"No. No. Certo che no." Jennifer s'inginocchia accanto a lei, accarezzandole piano i capelli. "Se potessi fare qualcosa... qualunque cosa..."
"Smettila." La ragazza scosta la testa, e riabbassa lo sguardo a terra. "Ti chiedo scusa per quello che ho detto. Non ce l'ho con te. E non voglio che tu te ne vada." aggiunge poi, a voce bassa.
"Davvero?" chiede Jennifer e nel suo tono speranza e dubbio s'inseguono.
"In questi giorni trascorsi insieme, ho imparato a stimarti ed apprezzarti, Jenna." dice Olimpia, lo sguardo ancora incollato al suolo. "Sei stata una buona amica, e potrai continuare ad esserlo, se vorrai."
Un lieve sorriso si fa strada sul volto della donna bruna.
"Ma anche se abiti il suo corpo, tu non sei Xena, e non potrai mai esserlo per me." continua la ragazza, rialzando finalmente gli occhi per fissarli in quelli dell'altra. "Voglio che questo sia ben chiaro, tra noi."
Il leggero sorriso scompare in uno sguardo imbarazzato.
"Sì, capisco." risponde quasi in un sospiro Jennifer.
"E ora andiamo." fa Olimpia, tirandosi su. "Dobbiamo trasportare Alexi fino alla sua capanna. Lo seppelliremo..."
Ma la sua frase resta incompiuta. Interrotta da un grido soffocato al suo fianco, mentre Jennifer improvvisamente arcua il corpo all'indietro e crolla a terra con un lamento.
"JENNA!" urla sorpresa e spaventata Olimpia chinandosi immediatamente su di lei. "Che hai? Che ti succede?"
La donna, in preda ad un'evidente sofferenza, ha gli occhi chiusi strettamente ed una smorfia sul volto.
"La schiena..." riesce appena a dire, quasi senza fiato. "Brucia... Qualcosa mi ha colpito..."
Olimpia getta rapide occhiate intorno, alla ricerca di nemici nascosti, ma tutto appare silenzioso e tranquillo tra gli alberi spogli.
"Cosa? Chi?" chiede la guerriera bionda, tornando a guardare il viso dell'altra, che ora le rimanda uno sguardo pieno di paura e confusione. "Girati piano. Fammi vedere."
"Non... ce la faccio." risponde faticosamente Jennifer. "Non riesco a muovermi."
Assalita da un panico crescente, lanciando ancora frettolose occhiate intorno, Olimpia delicatamente solleva il corpo dell'amica.
"Non c'è niente." dice, fissandola poi, sconcertata e confusa a sua volta. "Niente sangue e nessuna ferita."
"Non... riesco più a muovere le gambe... e le braccia." dice con la voce rotta dal dolore Jennifer.
Incapace di capire cosa stia succedendo, Olimpia si scuote da quello stato e prendendola sotto le ascelle la trascina piano fino alla roccia appoggiandovela.
"Ah! No, ti prego. Fa male!" grida la donna, poi si abbatte contro la pietra con un gemito.
"Jenna, fammi capire, per favore. Spiegami cosa succede."
"Non... lo so." mormora Jennifer. "Ho sentito un colpo terribile alla schiena... come una pugnalata..."
"Ma non c'è nessuno qui, a parte noi due, e tu non sei ferita. Non hai neanche un graffio."
"Ma allora... come..."
Olimpia lascia scorrere lo sguardo lungo Jennifer. Appoggiato in parte contro la roccia e in parte a lei, niente sembra leso in quel corpo, eppure tutto resta immobile tranne il seno che si alza e si abbassa affannosamente.
"Prova a muovere le dita di una mano o di un piede." le dice.
"No..." risponde dopo una pausa, con un sospiro di frustrazione la donna. "Niente... non ci riesco."
Afferrando uno dei suoi sai, Olimpia ne avvicina la punta ad una mano di Jennifer e spinge lievemente. Una piccola goccia scarlatta subito appare sulla pelle, ma la donna non ha nessuna reazione.
"Non hai sentito niente?" chiede la ragazza.
Jennifer scuote solo la testa, mentre il suo busto tende a scivolare lentamente verso il basso. Olimpia l'afferra prontamente e lascia che la testa della donna si appoggi sulla sua spalla.
"Che mi sta succedendo, Olimpia?"
"Non lo so, tesoro. Non ci capisco niente."
"Credi che possa trattarsi...?"
Gli sguardi delle due donne s'incontrano, quando Olimpia abbassa il suo e Jennifer solleva un po' a fatica la testa.
"Non lo so." ripete la ragazza.

Silenzio.

"Olimpia?"
"Sì'?"
"Poco fa mi hai chiamata tesoro."
Pausa.
"Davvero?"
"Sì."
"Non me ne sono accorta."

Silenzio.

"Olimpia?"
"Sì?"
"Nell'altra vita... quando tu eri... Jo-yss..."
"Non ricordo niente di questo, lo sai."
"Anch'io non ricordo più molto... Ma una cosa la ricordo bene..."
Pausa.
"Io ti amavo. Ti amavo immensamente..."
Silenzio.
"Volevo solo che tu lo sapessi... Allora, non ho mai avuto il coraggio di dirtelo... e quando tu..."
Olimpia le accarezza delicatamente la schiena.
"Shhh... Non pensarci ora... La schiena ti fa ancora male?"
"No... Non sento più niente."
Pausa.
"Credi che stia morendo?"
"Non lo so."
"O forse..."
"Forse."

Silenzio.

"Olimpia?"
"Sono qui."
"Da quanto tempo siamo in questo posto?"
"Non lo so esattamente, ma il sole è alto. Come ti senti?"
"Bene, ora. Non sento dolore..."
"Ma dovremmo andarcene. Devo portarti in città..."
"No. Aspetta... Restiamo ancora un po'..."
Pausa.
"Come vuoi."
"Sto bene qui, tra le tue braccia..."

Silenzio.

"Olimpia..."
"Mmh?"
"Sta rannuvolandosi?"
"No."
"Allora, forse ci siamo."
"Che c'è? Che vedi?"
"E' tutto più scuro... Riesco appena a vederti..."
La mano di Olimpia sale al viso di Jennifer in una carezza.
"Ehi, stai piangendo."
"No. Non è vero."
"Non devi... Probabilmente questo vuol dire che Xena sta tornando..."
Pausa.
"Mi senti? Riavrai la tua compagna. E io tornerò nel mio mondo."
"Ti sento."
"E non sei felice?"
"Certo."

Silenzio.

"Olimpia?"
"Sì."
"Se sto andandomene... non ti rivedrò mai più..."
Jennifer alza lo sguardo per incontrare quello della ragazza.
"Potresti darmi un bacio?"
Olimpia la guarda senza rispondere.
"Come tuo ricordo... nel viaggio di ritorno..."
"Se stai tornando nel tuo mondo, te ne dimenticherai..."
Jennifer sorride.
"No... questo non lo scorderei..."
Le due donne si fissano a lungo. Poi, Olimpia abbassa il suo viso verso quello di Jennifer finché le loro bocche si toccano, assaporandosi appena all'inizio, quindi il contatto si fa più profondo, e i loro occhi si chiudono mentre le labbra si aprono per ricevere l'altra in una fusione totale di corpi e di spiriti che esclude tutto il resto del mondo per un infinito, indescrivibile momento.
"Era proprio come immaginavo..." dice infine Jennifer, quando le bocche si staccano con un'ultima leggera carezza. "Hai un sapore dolcissimo..."
"Devono essere ancora quelle bacche." risponde Olimpia, con un sorriso triste. Poi la sua espressione cambia.
"Jenna?"
Il volto della donna bruna adesso è immobile. Gli occhi si sono richiusi come in un sonno profondo.
"Jenna?"
Trema la voce di Olimpia, mentre la sua mano accarezza freneticamente la guancia dell'altra.
"Jenna..." chiama ancora una volta, chiudendo le palpebre sul sipario di lacrime che sente addensarsi nei suoi occhi, lasciando che le inondino liberamente il viso.
"Je-nnif-er..." mormora, la mano ancora posata sul volto inerte. Incapace di muoverla alla ricerca di una pulsazione, di un minimo segnale di vita in quel corpo abbandonato contro di lei. Paralizzata dal terrore di non trovarne. Il mondo intorno a lei è solo una macchia confusa, mentre fissa col cuore in gola e la mente preclusa a ogni pensiero quel viso quieto.
In attesa.

(18 - continua)

 





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