EPISODIO N. 12
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il racconto
di GXP
L’insostenibile leggerezza dell’essere - parte II
Nota dell’autrice: un ringraziamento speciale a Nihal per la supervisione a questo lungo racconto e per avermi aiutato con la stesura delle poesie di Olimpia.
Capitolo 14 - Il grande giorno
Quella mattina c’era molto fermento presso la casa di campagna di Xena. Quando Olimpia si destò la sua camera era vuota. Clangore di spade e indicazioni su come colpire meglio le fecero intuire che le sorelle amazzoni si stavano allenando. Un leggero profumino di pancetta scaldata e uova le stimolava la voglia di alzarsi: evidentemente Fillide si stava cimentando in qualche nuova ricetta. Guardò il soffitto ripensando al sogno della sera prima. Era certamente stato causato dal rito purificatore delle amazzoni. A mente lucida non sarebbe stato difficile interpretarlo, ma c’era qualcosa che l’aveva colpita particolarmente e le impediva di trovare una soluzione definitiva: quel cerchio di fiamme che l’aveva bruciata, le aveva procurato un momentaneo dolore. Eppure, subito dopo aveva percepito un forte calore nel cuore. Un calore umano che l’aveva risvegliata. Brunhilde pensò passandosi una mano sul petto. Erano due sere che non pensava a lei così intensamente. Quel rito aveva risvegliato quel sentimento che l’aveva condotta lontana da Xena. Eppure sentiva che il suo posto era in quella casa, in quel letto, in mezzo a quella gente amica. È inevitabile: hai segnato la mia vita e ancora una volta mi hai protetta ed aiutata a trovare la giusta strada pensò con un sorriso sulle labbra. Permettermi di starti vicino è stato il dono più grande che tu ti sia concessa. Hai sempre saputo che il mio posto era qui. Eppure mi hai amato come sorella, consapevole che me ne sarei andata. Che sofferenza. Il tuo amore non era possesso. Era puro e semplice… e dolce e disgraziato. Brunhilde amica preziosa… ti porterò sempre dentro di me. Qualcuno bussò alla porta distogliendola dai suoi pensieri. Evi entrò timidamente informandola che la colazione era pronta. Quando si recarono nella stanza allestita a sala da pranzo trovò la grande tavolata della sera prima e tutti erano gioiosi e in attesa di gustarsi il prelibato menù del bravo Fillide. Olimpia salutò il gruppo con dolcezza, ringraziandoli con lo sguardo per essere lì ad allietare una festa di genetliaco immeritata. Solo allora si accorse che Xena mancava all’appello. Chiese dove si trovasse e fu Hercules a rispondere. - Aveva delle faccende in sospeso al villaggio, tornerà per sera non temere - - Che genere di faccende? - domandò nuovamente il bardo. - Sai come è fatta mia madre, Olimpia. Difficilmente dà spiegazioni di ciò che deve fare - cercò di deviare Evi. - Già, ha preso il cavallo e via come un fulmine – aggiunse Fillide. - Non crucciarti Olimpia, pensa a mangiare questa colazione da regina - le consigliò sorridente Virgilio. L’amazzone si sedette al posto assegnatole e, seppur pensierosa, prese a pasteggiare con gli altri. Il pomeriggio trascorse tra allenamenti e racconti di avventure ma di Xena nessuna traccia. Dove era finita?
- Sei decisamente un bastardo, Marte- disse pacatamente la principessa guerriera - È da questa mattina che ci battiamo e che ti sconfiggo e ancora non demordi – continuò. - Sai bene che sono un tipo tenace - commentò lui ironico. - Avrei questioni più urgenti da risolvere. Vuoi dirmi perché mi hai chiamata qui? - chiese stizzita. - Dovrai estorcermelo con la forza, mia cara- provocò lui. - Più forza di quella che uso di solito per stenderti?- Iniziarono a colpirsi con una raffica di pugni puntualmente parati dall’altro. Volarono calci deviati e gomitate ben attutite. L’attacco frontale di Xena venne abilmente parato da Marte, che le afferrò i pugni. La guerriera iniziò ad indietreggiare costringendo il dio ad allungare le proprie braccia mentre con i piedi manteneva la sua posizione rigida. Quando entrambi ebbero le braccia distese Xena spiccò un salto e con rapidità usò l’aggancio di Marte come supporto per scagliare un potente calcio in capriola. A colpo ricevuto il dio mollò la presa, permettendo alla donna di completare la sua capriola ed atterrare in piedi. Lui cadde di schiena per poi tentare di rialzarsi ma subito lei gli fu addosso e lo prese per il collo con fare minaccioso. - Adesso parla - breve e concisa, strinse ancor di più la mano attorno all’epiglottide. - Ok… ok Xena… molla la presa- chiese lui tra colpi di tosse e rantoli. La principessa guerriera lasciò la stretta e si alzò, mettendosi le mani sui fianchi. Toccandosi la gola, il Dio si portò di fronte a lei. - Bella presa- si complimentò alzando un sopracciglio. - Parla- - Ok, la questione è questa Xena: i patti sono cambiati - - CHE COSA?- urlò lei pronta a colpirlo nuovamente. - Ferma ferma ferma. Lasciami finire. Il patto tra noi è sempre lo stesso ma tu non potrai assistere. - - Che cosa vuol dire? - - Vuol dire che se Olimpia torna da te io ti lascio in pace, ma se lei ti si nega tu sarai mia, ma non potrai saperlo finché il rituale non sarà concluso – - Se mancherò al rituale Olimpia lo interpreterà come mio disinteresse! – - Questo è un problema tuo. Sei tu quella che fa le cose in gran segreto. Io non posso farci niente. Prendere o lasciare, Xena - concluse minaccioso. - Quanto tempo ho prima di dovermene andare? E quanto per tornare?- - Quando avvieremo il cerimoniale tu sparirai per tornare a rito concluso, penserò a tutto io- - Marte se questo è uno dei tuoi trucchetti… - - Ti conviene fidarti, Xena. Hai puntato tutto su questo espediente. Non sono io a fare le regole. Se dipendesse da me saresti mia fin da subito data la fatica a cui mi hai sottoposto- Xena si guardò attorno come a cercare una soluzione. Vide che il sole del mezzogiorno era già calato verso il tramonto e doveva assolutamente rientrare prima di suscitare altro astio con Olimpia. - È tutto quello che devi dirmi?- - C’è ancora una cosa- - Parla - Ci fu un attimo di silenzio. Marte la fissava negli occhi e fece un passo verso di lei avvicinandosi notevolmente al suo viso. - Spero tu fallisca - le sussurrò sfiorandole le labbra con le sue per poi dissolversi. Xena si ritrovò sola in mezzo ad una prateria polverosa piena delle impronte del lungo duello. La polvere veniva alzata dal vento della sera in arrivo. Una ciocca di capelli venne trascinata lungo il collo provocandole un brivido. Trasse un profondo respiro e, portate le dita alla bocca, emise un fischio che portò Argo dritta da lei. - Forza amica mia, di corsa a casa: siamo in ritardo –
Nella casa di campagna era tutto pronto per la festa. Le amazzoni avevano creato delle lanterne che avevano collocato lungo la ringhiera lignea del patio, illuminandolo con la luce soffusa delle candele. Con delle fascine legate a grossi rami avevano costruito delle fiaccole che, invece, illuminavano l’esterno. Hercules si stava occupando della selvaggina sul fuoco, aiutato da Iolao mentre Virgilio e Fillide stavano preparando altra miscela araba per rinvigorire gli spiriti degli invitati. Olimpia disquisiva delle dottrine di Belur seduta attorno ad un altro fuoco esterno insieme alle amazzoni ed ad Evi. In lontananza sentirono lo scalpitare di un cavallo e non tardarono a riconoscere la figura di Xena. Olimpia le andò incontro seguita a ruota da Evi. - Dove sei stata?- - Madre, ben tornata, serve aiuto con quel pacco? - intervenne subito la messaggera di pace. Solo allora la poetessa notò la grossa confezione stretta da foglie di acacia e pergamene e legata con corda dorata. Xena allungò il pacco alla figlia mentre sul volto di Olimpia comparve un rossore d’imbarazzo. - Buon genetliaco Olimpia - le disse la principessa guerriera mentre smontava da cavallo. - Grazie… - rispose lei timidamente. Un bagliore rosa illuminò il cortile. - È qui la festa?- chiese un’entusiasta Venere, presentandosi nel suo scollatissimo abito da sera rosa con coprispalle in tulle ed, tra l’acconciatura dei capelli, un vistoso fiore indefinito ma sempre rigorosamente rosa. - Venere! - esclamò Olimpia andandole incontro. - Credevi davvero che mi sarei persa il tuo genetliaco? - le disse lei sorridente, ricambiando i baci di benvenuto sulle guancie. - Questo è per te amica mia - schioccate le dita apparve una sacca di seta purpurea, chiusa con una catenella dorata e piuttosto piena. - Non dovevi… ma grazie - rispose il bardo amazzone. - Hei hei non è ancora il momento dei regali!aprilo dopo!- suggerì Iolao dalla sua postazione. - Hai ragione - gli rispose ridente l’amazzone. Un bagliore azzurro li illuminò tutti come un fulmine. - Buonasera a tutti voi - disse Marte presentandosi nel solito abito di pelle. Hercules passò a Iolao il pennello di crine e con cui insaporiva gli animali arrosto e si diresse deciso verso di lui. - Calma fratello, sono stato invitato- disse arrogantemente il dio della guerra. - C’era da aspettarselo- bofonchiò Iolao. Olimpia pareva confusa, la mano di Venere le si posò sulle spalle. - Capirai più tardi - le sussurrò ma visto il disagio negli occhi dell’amica, aggiunse con un filo di voce - Non pensare alla scorsa notte, non era in sé - Le due si guardarono. Il bardo amazzone annuì deglutendo spostando gli occhi verso il dio che gli fece ciao con la mano prima di dirigersi verso la carne al fuoco. - Che vuoi? - chiese Iolao. - Controllo che non mi avveleniate – rispose Marte - Anche se fosse sei immortale, sarebbe veleno sprecato - - Gnee, girarlo quel coniglio o mangeremo i carboni degli inferi - Olimpa rimase basita: Marte che scherzava con Iolao? Forse Venere aveva ragione, o gli aveva fatto qualche incantesimo… Xena le aveva appena raggiunte dopo aver sistemato Argo nella stalla. Propose di entrare non appena la selvaggina fosse pronta ma per il dio della guerra servivano ancora 30 minuti per il lato che Iolao si era dimenticato di cuocere. Fu Fillide a insistere affinché entrassero, cuochi esclusi, per gustare un po’ di miscela nell’attesa. Anche Iolao abbandonò il fuoco con disappunto del dio. Tutti si sedettero alla tavola e Fillide portò ad ognuno un piccolo bicchiere mezzo pieno di liquido. - Forza, gustatevi il Cos’è prima che si raffreddi! - - Il che? - chiese stupito Virgilio mentre lo aiutava a servire. - Il Cos’è! Ero stanco di chiamarlo miscela araba quindi siccome non so cosa sia, l’ho chiamato nel modo più semplice: Cos’è! - - Sono senza parole – disse sbigottita Venere provocando una risata collettiva, poi allungò la mano verso il suo bicchierino. - Venere, fai attenzione, è amaro – le disse pacatamente Xena mentre già lo sorseggiava. Venere ne bevve un sorso molto piccolo. - QUESTA COSA FA SCHIFO AI MISERI!!! È AMARISSIMO- esclamò, continuando a leccarsi le labbra per togliere tutto il sapore che vi trovava. Marte nel dubbio lo assaggiò e lo sputò subito dopo nel fuoco - HA RAGIONE! È DISGUSTOSAMENTE AMARO, UAH- - Voi divinità non sapete apprezzare i doni della terra – commentò mesto il figlio di Corilo, provocando un’altra risata di gruppo. - Forse ci vorrebbe un po’ di zucchero, che ne dite? – propose Venere, scrollando il dito sopra la tazza, poi si rivolse supplichevole al fratello. - Io sono la dea dell'amore, se mi altero io per una cosa che fa disgusto il mondo ne potrebbe risentire, ma se ti infervori tu Marte.,. beh quello è normale!- Marte sbuffò sotto gli occhi curiosi di tutti, mescolò il tutto e ne bevve un piccolo sorsetto. Calò il silenzio; lo guardavano semi preoccupati mentre ancora teneva la tazza alle labbra. Il dio della guerra inarcò il sopracciglio e fece comparire una boccetta: ne versò un bel goccio nella tazza, appendendo poi la fiaschetta alla cinta dei pantaloni. Rimescolò e assaggiò nuovamente. Il silenzio regnava più di prima... - Beh... così corretto questo Cos’è è bevibile – sentenziò, pulendosi la bocca con le dita. - Che ci hai messo dentro?- chiese Hercules - Alcool- rispose prontamente lui Hercules scrollò la testa mentre Fillide si avvicinava per annusare il fumo dalla tazzina del dio. - Non ci provare - minacciò il dio. - Volevo solo captarne l’aroma – rispose impaurito lui. Marte sganciò la fiaschetta e la porse al ragazzo. - Vacci piano - gli consigliò. - Posso riavere il mio Cos’è? - chiese Venere. - Te ne porto un altro- le rispose Virgilio. L’odore della carne li avvolse quasi ipnoticamente. Le amazzoni si alzarono per portare le pietanze in casa. Xena andò a prendere la botte di birra scura a cui Fillide teneva tanto mentre Evi sistemava i piatti in tavola. Tutti si sedettero pronti a banchettare in onore di Olimpia che sedeva a capotavola. La birra inondava i boccali che si svuotavano facilmente, Iolao aveva portato anche del buon vino rosso delle sue terre che con la selvaggina calzava a pennello. L’acqua serviva solo per rinfrescare la gola tra un sorso, un morso e una pausa tra le portate. I peperoni cotti alla piastra dal bravo Fillide facevano gola a tutti. Erano ripieni di pane macinato e spezie come anche i pomodori tagliati a metà cotti nel forno a legna coperti dal formaggio. Il pane che il ragazzo aveva impastato alla mattina era fragrante e profumato e veniva facilmente utilizzato per ripulire i piatti. Il giovane cuoco aveva anche fatto bollire delle uova facendole diventare sode ed una volta sgusciate le aveva tagliate a metà e condite con olio, sale, limone e mentuccia fresca. Un refrigerio per la bocca. Mangiarono tutti di buon gusto, complimentandosi più di una volta con il compiaciutissimo Fillide. Iolao, preso dai ricordi, associava il sapore di ogni cibo ad un’avventura ed iniziava a raccontarla. Puntualmente nella storia c’era Marte che le prendeva dal fratellastro, il che comportava sonore risate da parte dei commensali. Caleipe raccontò di alcuni poteri dei cibi che sua madre, la shamana nella tribù, le aveva spiegato. Xena ascoltava curiosa seduta al capo opposto di Olimpia. Non c’era dialogo diretto tra le due, eppure si percepivano l’una l’altra. Più di una volta, infatti, alzato lo sguardo, si accorgevano di osservarsi a vicenda. Marte, a metà strada tra le due, in mezzo a Fillide e Valesia, le teneva d’occhio, più volte scoperto da entrambe. I posti erano questi: Xena a capotavola, procedendo verso destra, Evi, Virgilio, Venere, Caleipe, Mistrene, Iolao, Olimpia all’altro capo della tavola, Hercules, Saloniche, Genziana, Valesia, Marte, Fillide, quindi nuovamente Xena. Arrivato il momento del dolce, Evi si alzò per prendere il pacco con cui si era presentata Xena. Lo depose di fronte a Olimpia e la invitò ad aprirlo. Venere lanciò un’occhiata di intesa alla principessa guerriera. Era stata lei a procurare la torta un attimo prima che Xena rientrasse alla fattoria. - Qui vi vuole un po’ di spirito! - esclamò divertita la dea mentre l’amica scartava il dono, quindi con uno scioccar di dita fece comparire luci lampeggianti colorate e delle musiche ben ritmate che animarono il momento. Tutti si guardarono intorno stupiti e divertiti da quella magia, mentre Venere teneva il tempo muovendosi col busto. Olimpia le sorrise mentre levava l’ultimo strato di pergamena scoprendo un’enorme torta decorata con frutta fresca e con una dedica in glassa colorata. Marte puntò le dita come una pistola e con un leggero movimento fece comparire una fiammella sopra la torta. - Esprimi un desiderio- le disse. La donna osservò d’istinto Xena, la quale stava bevendo dal suo boccale che posò subito ricambiando il leggero sorriso imbarazzato ed incerto che l’amica le aveva dedicato. Marte vide tutta la scena e roteo gli occhi in segno di scarsa pazienza. - Veloce, prima che vada tutto a fuoco- la esortò. Olimpia soffiò sulla fiammella ed un applauso sommerse la musica magica. Si guardò attorno commossa mentre ad uno ad uno gli invitati le si avvicinavano per porle gli auguri, un bacio ed un abbraccio. - Per i regali aspettiamo di aver finito il dolce?- chiese Fillide. - Mi sembra un’ottima idea, forza, mangiamo perché sono davvero curiosa! - esclamò divertita Caleipe.
Capitolo 15 – A caval donato non si guarda in bocca
Quando anche il dolce fu fatto sparire da tutti i piatti, le amazzoni si proposero per mostrare per prime il regalo alla loro regina. Genziana si recò frettolosamente nella stalla mentre Caleipe porgeva alla regina Valesia una grossa sacca di cuoio. A sua volta Valesia porse la sacca ad Olimpia invitandola ad aprirla. Dentro vi trovò un abito da cerimonia con tutti gli accessori recanti le sue iniziali. Mistrene le si affiancò porgendole un telo che copriva delle armi nuove e Saloniche le allungò una bisaccia gemella di quella già aperta. Solo allora Genziana chiamò dall’esterno facendosi vedere dalla finestra della sala e mostrando il nuovo cavallo di razza che per giorni era stato nascosto alla vista del bardo. Olimpia ne fu entusiasta e le ringraziò di cuore con le lacrime agli occhi abbracciandole una ad una. Hercules scomparve dall’uscio per riapparire tenendo tra le braccia una grossa scatola di legno. La poggiò a terra e la scoperchiò; Iolao prese ad illustrarne il contenuto. -Tempo fa Hercules venne a farmi visita portandomi una notizia sconvolgente – rise - Il buon Salmoneo si era dato agli affari onesti! - - Decisamente sconvolgente come notizia, non trovate? - disse ironico il semidio. - Si era rimesso a produrre l'acqua con le bolle, e come ne andava fiero! “Ti assicuro che ha degli effetti molto utili per il corpo! Credimi!!” ripeteva sempre ogni volta che vendeva una confezione. Nonostante la sua età molto avanzata, restava sempre un abile venditore - proseguì l’anziano Iolao porgendo alla festeggiata una delle sacche infiocchettate contenute nella cassa. - Passavo dal villaggio in cui uno degli eredi di Salmoneo ha portato avanti l’attività ed ecco qui. Fanne buon uso - disse ridendo Hercules. - Vi ringrazio, sono certa che ne saprò fare un uso adeguato- li baciò sulla guancia. - Aha – riprese Iolao - Ecco un piccolo extra Dalla cassa estrasse una bottiglia di vino rosso ed una di olio. - Dalla mia terra. Ce ne è voluto per vederne i frutti, questo vino ha già 7 anni! - - Che onore - rispose la donna sorridendo ed abbracciandolo. - Apri il mio! Apri il mio Olimpia! - chiese Venere con infantile impazienza. Olimpia andò a recuperare la sacchetta che la dea le aveva consegnato al suo arrivo. La aprì e vi trovò un intero cofanetto pieno di piume e di prodotti per l'igiene e la bellezza: pettini, spazzole, trucchi, terre e olii. La dea della bellezza e dell'amore ricevette in cambio una risata da Olimpia (ma anche da Xena la quale si era tenuta a debita distanza, soffocando il riso con una mano) nonché un caloroso abbraccio che le fece cascare qualche lacrimuccia. - Basta così o mi farai sciogliere tutto il trucco! Sono comunque la dea della bellezza io!- Tutti risero mentre la mano della dea si poggiò sulla guancia dell’amica accarezzandola amorevolmente. Si intesero con lo sguardo: con la giusta forza tutto si sarebbe risolto e lei, sua alleata in eterno, ci sarebbe stata. - Hei Olimpia, dai, guarda il mio di regalo! - interruppe Fillide avvicinandosi con un piatto tra le mani. Si fece capannello attorno ai due. Il figlio di Corilo scoperchiò la portata con tronfio gesto mostrando un tuttotondo di pane che raffigurava il bardo amazzone come un aedo o per lo meno quella doveva essere l’intenzione. - E questo quando lo hai fatto? - chiese stupita Evi - Ma la testa quale è? - chiese Marte allungando un dito verso il pane subito schiaffeggiato dal ragazzo. - Non si tocca! Si mangia! - Ci fu una risata collettiva mentre il piatto veniva posto sul tavolo. - Prima di fare a fette Olimpia, possiamo finire con la consegna dei regali? - Chiese ridente Virgilio - Questo è il mio - Le allungò una pergamena. - Non… non ho avuto modo di comprarti un dono e così ho pensato di creare qualcosa per te, da un aspirante poeta ad una grande artista – concluse timidamente - Esagerato, ma grazie, lo leggerò volentieri- rispose lei posandogli un bacio sulla guancia. - Davanti a tanta abbondanza il mio dono può sembrare sciocco- anticipò Evi - Ma spero lo gradirai - Dalla tasca del suo abito indiano estrasse un ciondolo a forma di pesce avvolto da foglie. Quando la poetessa amazzone lo vide le si illuminarono gli occhi. Belur pensò stringendo al cuore l’amuleto. - Che la pace ti accompagni, cara Olimpia – concluse Evi avvinandosi per ricevere l’abbraccio che Olimpia le stava porgendo - Cosa mi tocca sentire- borbottò Marte, poi schiaritosi la gola schioccò le dita facendo comparire delle pergamene e dei pennini con calamaio sul tavolo – Divertiti- le disse quasi stizzito. Certamente doveva essere difficile per lui fare un regalo a colei che aveva portato al fallimento tutti i suoi tentativi di persuasione su Xena. Ma era anche vero che doveva far bella figura con la principessa guerriera. Venere lo guardò divertita mentre Olimpia sorrideva stupita. Alle spalle di Marte Xena si fece scura in volto. - Tocca a me… - disse con tono mesto e tutti si voltarono verso di lei. Marte la guardò dritta negli occhi e lei capì che era ora di congedarsi. - Concedimi solo due parole - gli disse mentre lo superava per raggiungere l’amica. Si trovarono faccia a faccia, con tutti i loro dubbi, tutte le loro questioni in sospeso. Attorno calò il silenzio. - Olimpia, io…avrei voluto fare di più ma Leuca era troppo lontana per portarla qui in tempo e...- - Solo il fatto che tu l’abbia pensato può bastare come dono - - Xena - interrupe Marte mostrando una sfera di luce nella sua mano. Il rito aveva preso inizio. La principessa guerriera guardò l’amica sorridendo. Appena sentì il corpo farsi più leggero sussurrò - Devo andare, presto capirai- si diresse verso la porta uscendo di corsa per svanire subito dopo senza essere vista. - Ma dove è andata? - chiese Olimpia, cercando di seguirla ma venne bloccata da Marte. - Osserva - le disse e lasciò che la sfera luminosa levitasse per la stanza. - Che cosa significa? - chiese lei quasi terrorizzata. Il globo lucente toccò il soffitto e, allargatosi, sfoderò un fascio di luce conica che invase buona parte della sala, accecando tutti. Quando la luce svanì Olimpia, scostate le mani dal volto, alzò lo sguardo…I suoi occhi erano ancora un po’ abbagliati e difficoltava a scorgere le figure nella stanza…Poi tutto fu più nitido…e la vide: sua madre, affiancata da suo padre, alto e imponente come era sempre stato, giovani come l’ultima volta che l’avevano vista andar via con Xena. Erano lì davanti a lei. Dimenticò tutto. Dimenticò gli invitati, dimenticò la festa, dimenticò che Xena non era lì con lei. Non pensò ad altro che correre tra le loro braccia e farsi abbracciare scoppiando a piangere. Venere, compiaciuta, si strinse al braccio del fratello che ricambiò il gesto affettuoso con una smorfia. Quando la poetessa si sciolse dall’abbraccio non poté far altro che iniziare a far domande. - Madre, padre, ma come è possibile? Marte, che sortilegio è questo - - Non è un sortilegio, è un dono – disse una voce ben conosciuta. Tutti si voltarono verso l’angolo da cui proveniva. Dall’ombra uscì un uomo sulla trentina con un buffo elmo tra le mani ed il sorriso ingenuo e sincero che aveva sempre allietato la compagnia nei momenti più bui. - Padre! - esclamarono in coro Fillide e Virgilio. Corilo si passò una mano nei capelli, imbarazzato, mentre muoveva un passo verso di loro. Olimpia lo osservava con le mani alla bocca e le lacrime che le scivolavano sulle guance mentre il padre e la madre le si stringevano alle spalle. - Corilo - sussurrò lei allungano una mano verso di lui. Il sorriso dell’uomo divenne ancora più luminoso e mentre i figli gli si avvicinarono rapidi ed avidi di un abbraccio, Olimpia si voltò a cercare il volto di Xena per ringraziarla dello splendido dono che le aveva dato. Ma non la vide. Lei non era lì, era scappata dalla porta pochi secondi prima. Perché? Cosa c’era sotto? Dov’era l’inganno? Decise che ne avrebbe parlato con lei solo quando tutti gli invitati se ne sarebbero andati. Non conosceva la durata di quella meravigliosa magia e voleva viverla intensamente fino all’ultimo instante. Ingoiata la saliva salata dalle lacrime, si lanciò con due passi lunghi e decisi verso l’amico e lo abbracciò con forza, stringendosi al collo di lui. I figli, da poco scioltisi dal loro abbraccio, rimasero ad osservare la scena, capendo quale fosse l’intensità dell’amicizia che il padre nutriva per il bardo amazzone. Nessuna gelosia verso le rispettive madri. Solo molta tenerezza. - Olimpia, sei sempre meravigliosa- disse Corilo mentre le accarezzava la testa. - Amico mio, quanto mi sei mancato - rispose lei guardandolo negli occhi colmi di lacrime. - Ohh, su Olimpia, non piangere. Siamo qui per fare festa! È il tuo genetliaco! Dai! Coraggio! - disse lui, mascherando altrettanta commozione. Il bardo amazzone annuì e asciugatasi le lacrime, si girò verso il resto degli invitati. - Festeggiamo!- di GXP |