EPISODIO N. 12
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il racconto
di GXP
L’insostenibile leggerezza dell’essere - parte II
Capitolo 19 – Ovunque tu andrai, io sarò con te
Il sonno era stato avido quella notte e Xena aveva dormito poco e male. Era piuttosto nervosa sia per le ore notturne trascorse che per la giornata che l’aspettava. Sapeva che la dea dell’amore sarebbe stata in agguato dietro ogni parola infuocata e temeva che potesse peggiorare la situazione con i suoi interventi spesso istintivi. Si recò nella sala, dove trovò la figlia con la stessa espressione di fastidio e stanchezza. Le sorrise e si capirono con lo sguardo: entrambe avevano avuto una nottataccia. Olimpia non era ancora uscita dalla sua camera. Nessuna delle due sentiva il bisogno di mangiare, quindi pensarono di dedicarsi alla meditazione per tentare di recuperare quelle forze che la notte non aveva concesso. Si sedettero spalla a spalla a gambe incrociate nella veranda, direttamente sul legno e, traendo profondi respiri, iniziarono il processo di concentrazione. Il momento di tranquillità durò poco perché entrambe furono attirate dallo scricchiolare delle assi. Aprirono gli occhi e l’amazzone era in piedi sull’uscio della porta, che le osservava. Evi le sorrise. - Sei diventata più brava: un tempo ti avrei sentita appena scesa dal giaciglio- cercò di complimentarsi per alleviare la tensione che già si percepiva nell’aria. - Dobbiamo parlare, Xena - disse fermamente Olimpia, ignorando le parole della messaggera di pace, la quale trasse un deciso sospiro di rassegnazione e si alzò sbattendo le mani sui calzoni verdi per togliervi la polvere. Xena la imitò poi disse - Posso fornirti la mia spiegazione prima che tu mi esponga la tua decisione? - La poetessa trasalì Come sa che ho deciso di andarmene? La osservò negli occhi e vi vide un certo disagio. È come se lei sapesse che qualunque cosa mi dica, io me ne andrei comunque. Non vuole discutere. Vuole solo pulirsi la coscienza! Olimpia voltò le spalle alle due donne ed andò a sedersi vicino al caminetto spento. Le due rimasero perplesse di fronte alla mancata risposta e la seguirono a ruota. La trovarono con le braccia conserte in attesa di spiegazioni. Con una mano fece cenno di parlare. La cosa infastidì Evi non poco. Xena, invece, iniziò la sua narrazione spiegando per filo e per segno come le era nata l’idea e di come aveva chiesto aiuto a Marte e Venere per organizzare tutta la festa del genetliaco e quindi anche il rito. Anche per lei inizialmente erano sconosciute le conseguenze di una simile richiesta, ma ragionandoci con Marte aveva capito che era una cosa fattibile e che, come sempre, sarebbe riuscita gabbarlo per eludere il patto. - Nulla di nuovo da quello che mi hai detto ieri sera- sentenziò Olimpia con fare acido. - Il patto è stato sciolto da Venere ingannando la mente di Marte. Lui crede che … che tra noi… non sia finita e quindi ha perso il legame con me- si maledì da sola mentre lo diceva pensando alla sua stessa reazione la notte precedente. - Ti ha salvato Venere?- domandò infastidita la bionda. - Ha fatto tutto da sola. Inoltre… Beh, non pensavo di certo di fallire - commentò con tono risentito la guerriera davanti allo sguardo stizzito della sua interlocutrice. - Ovviamente, Xena. Per te basta un rito e tutto torna come prima!- affermò con fare rabbioso il bardo, alzandosi dalla sedia. La principessa rimase alquanto sbigottita. - Ho fatto tutto questo per te Olimpia! Io… l’ho fatto per riaverti…per ridarti una possibilità!- le replicò. - Ridarmi? RIDARMI UNA POSSIBILITÁ? E SE IO NON LA VOLESSI, QUESTA POSSIBILITÁ, XENA? HAI MAI VALUTATO QUESTA IPOTESI?- era più che palese quanto fosse arrabbiata. - CHE COSA? HAI CERCATO PER MESI DI RIAVVICINARTI A ME ED ORA CHE TE LO CONCEDO ME LO RINFACCI ?- sbottò l’altra innervosita dalla confusione che si stava creando. - ED OVVIAMENTE ME LO DEVI CONCEDERE, VERO XENA? A ME DEVE ESSERE CONCESSO DA TE QUALSIASI COSA, MA IO NON DEVO MAI DIRE NULLA SULLE COSE CHE CONCEDI A TE STESSA!- - CHE COSA…? CHE ACCIDENTI STAI DICENDO, OLIMPIA? TU MI HAI TRADITA!- - GIÀ, TI HO TRADITA, XENA, ED ORMAI LO SANNO ANCHE I SASSI!- - NON È COLPA MIA SE VENERE E FILLIDE NON SANNO TENERE LA BOCCA CHIUSA - - SMETTILA DI SCARICARE LE RESPONSABILITÀ SUGLI ALTRI!- - QUINDI MI STAI DICENDO CHE È COLPA MIA SE TU MI HAI TRADITA?- Il gelo calò all’istante: Evi era sulla soglia con i nervi a fior di pelle. Le due guerriere si guardavano incredule l’una l’altra, attendendosi ormai qualsiasi tipo di reazione. Olimpia si portò le mani al viso, coprendosi il volto. Osservò tra le dita l’amica. Prese fiato, lasciandosi scivolare le mani sui fianchi. - Torno da Brunhlde, Xena.- lo disse come se il discorso fosse concluso. Un alone rosa apparve tra le due e Venere stava già per inveire contro l’amica quando, nella fase di apparizione, venne letteralmente attraversata da Evi, che avanzava col dito puntato verso Olimpia con fare minaccioso. - Tu... tu sei... assurda Olimpia. Assurda! Te ne vuoi andare? Vattene anche subito! Ma cerca prima di farti un esame di coscienza! Mia madre… mia madre… - cercava di contenersi ma cedette - MIA MADRE TI HA PERDONATA! E NON SOLO PER IL TRADIMENTO! MIA MADRE TI HA PERDONATA QUANDO HAI UCCISO MIO FRATELLO SELEUCO! MIA MADRE TI HA PERDONATA QUANDO HAI TRAPASSATO LA MIA SCHIENA COL TUO SAI! MIA MADRE TI HA SEMPRE PERDONATA, DANNAZIONE! - Evi, ti prego… - cercò di intervenire la guerriera, ma venne interrotta da Venere - Amica mia, quando sbagli, sbagli! Pensaci bene! Brunhilde ti ha mandato via dalla sua casa! - NON PARLATEMI DI BRUNHILDE, VOI NON LA CONOSCETE! LEI NON MI AVREBBE MAI TRADITA! – urlò fremente il bardo. Xena ebbe chiaro in un lampo il ragionamento di Olimpia e non seppe trattenere la rabbia che le montò in testa. - QUINDI È QUESTO CHE TI HA PORTATO A DECIDERE DI ANDARTENE! IL BACIO CON MARTE!- non poteva credere alle sue stesse parole. - SÌ, XENA, SÌ! PERCHÉ SONO STANCA, STANCA DI TE E DEI TUOI ATTEGGIAMENTI! SONO STANCA DI SENTIRMI IN COLPA PER AVER VISSUTO DEI MESI DI FELICITÀ SINCERA ED ONESTA CON UNA PERSONA CHE MI RICAMBIAVA, MENTRE TU SALTI DA UN LETTO ALL’ ALTRO! – - COME TI PERMETTI?- intervenne nuovamente Evi. - Olimpia, non è come credi - cercò di argomentare la dea dell’amore. - NON LO È? E QUELLO CHE ABBIAMO VISTO IERI COSA ERA? - ERA UN SACRIFCIO PER TE, DANNAZIONE!- urlò Evi, alzando le braccia al cielo e lasciandole cadere, come se avesse detto la più banale delle ovvietà. - Lasciatelo dire Evi, come messaggera di pace sei pessima- commentò sarcasticamente il bardo. Xena, che fino a quel momento stava ancora tentando di sommergere l’ira, lasciò ogni remora e si lasciò esplodere. - NON HAI CAPITO UN BEL NIENTE! IO HO DATO LA ANIMA PER TE!- - Solo quella, Xena?- chiese acidamente l’amazzone. - PER GLI DEI, OLIMPIA! DEVI ESSERE DAVVERO CIECA! ERA L’UNICO MODO PER DARTI QUALCOSA CHE LEI NON AVREBBE POTUTO! – - Credimi se ti dico che mi ha dato la sua anima con molta più semplicità- nel tono della donna traspariva una perfidia voluta. - IO MI SAREI DANNATA IN ETERNO PER TE, OLIMPIA!- strillò Xena, sgrandando gli occhi. - Una vera dannazione, tra le gambe di Marte- fu la risposta impassibile dell’altra. - TI HO RIDATO I TUOI CARI! E SE TU AVESSI VOLUTO TENERLI CON TE, IO SAREI RIMASTA NEL LIMBO! COME FAI A NON CAPIRE? HO DATO ME STESSA PER LA TUA FELCITÀ! - E LA CHIAMI FELICITÀ QUESTA? È FELICITÀ VEDERE TUO PADRE E IL TUO MIGLIORE AMICO UCCISO DA TUA FIGLIA SCOMPARIRMI DAVANTI AGLI OCCHI? È FELICITÀ VEDERE MIA MADRE PIANGERE PERCHÉ STA SVANENDO? CHE RAZZA DI FELICITÀ È MAI QUESTA, XENA? LA VERITÀ È CHE SEI UN’EGOISTA! UNA PATETICA EGOISTA! - CHE COSA? QUESTO È DAVVERO ASSURDO!- esclamò l’altra facendo un passo indietro per l’indignazione. - LO È, XENA?- ringhiò il bardo. - SI LO È! - AH GIÀ, TU SEI MORTA PER SALVARE LE ANIME DI HIGUCHI! CHE EROINA! - ME LO STAI DAVVERO RINFACCIANDO?!- chiese incredula la guerriera, avvicinandosi all’amazzone con due lunghi passi. - GLIELO STAI DAVVERO RINFACCIANDO?!?!?! – chiesero in coro stupite, Evi e la dea. - Io devo abbandonare questa casa o le mie prediche diventeranno vane in pochi attimi- aggiunse la messaggera di pace, indietreggiando disgustata verso la veranda. Uscì e corse verso la boscaglia dove si sfogò urlando al vento.
- Xena, dannazione… Tu pensi sempre agli altri ed a te stessa... ed a me non pensi mai- argomentò con voce roca la poetessa. La cosa infastidì notevolmente la già arrabbiata principessa guerriera che cominciò ad osservare accigliata la bionda. Venere, ancora in mezzo, si fece da parte, scrollando la testa e guardando l’amica bardo con sguardo compassionevole. - Continua- ordinò fermamente la mora. - Xena… tu ti fregi di questi atti eroici che nessuno ti chiede. - Olimpia, ma sei impazzita?- domandò incredula la dea con una mano al collo. - Io… sono stanca di questa vita e, come ho già detto, sono stanca di dividerti con Marte. Dovevi davvero prometterti a lui per regalarmi un dono così doloroso ed inutile come farmi vedere gente morta che cercavo di lasciare nei ricordi per non soffrire più la loro assenza? A volte mi chiedo se davvero mi conosci, Xena- l’aedo ora piangeva. Abbassò lo sguardo e nessuno andò a consolarla. Si risedette e tornò a fissare la guerriera davanti a lei. - Brunhilde aveva rinunciato ad essere una valchiria. Lei lo aveva capito- Il silenzio di Xena e Venere era eloquente. La guerriera, irta in tutta la sua statura, era di fronte al bardo, la porta lasciata aperta da Evi lasciava entrare i rumori della stalla. Argo nitriva come a dare sostegno alla padrona. C’era un bel sole che illuminava la polvere non rimossa nei giorni successivi alla festa. Alcune orme si potevano intravedere sul pavimento ligneo. La principessa teneva lo sguardo fisso sui calzari mentre la dea spostava gli occhi tra le due ormai rivali, con le dita che fremevano per lanciare un incantesimo e la coscienza che glielo impediva. - Hai… hai scelto di essere quella Olimpia?- domandò la dea, temendo la risposta. - Sì- sussurrò l’altra, portandosi le mani al volto. Xena le stava ancora di fronte. La stava odiando. La stava osservando mentre si vittimizzava, mentre cercava compassione, mentre piangeva per le sue scelte come se le fossero state imposte. Xena aveva un passato da redimere. Aveva ucciso a sangue freddo. Aveva raso al suolo villaggi, aveva conquistato nazioni, aveva bevuto sangue umano, aveva fatto sesso per potere. Aveva amato ed era stata uccisa. Ed ora, ora che cercava di purificarsi, ora che cercava di creare un mondo migliore di quello che lei stessa aveva contribuito ad alimentare, Olimpia, la sua compagna di viaggio e di vita, l’ispiratrice della sua conversione, la forza nei momenti di tentazione oscura, le stava rinfacciando tutto. Le dava dell’egoista. La insultava. Rendeva ogni gesto, ogni sacrifico insignificante. Come osava? Come poteva? La osservava disgustata mentre i singhiozzi riempivano il silenzio tetro della stanza. Strinse i pugni e pensò a quanto fosse stata stupida pensando che un altro sacrificio le avrebbe fatto capire quanto teneva a lei. Sì, era stata stupida. Perché è questo che l’amore fa: rende stupidi. La disprezzava e glielo si leggeva in viso. Una smorfia vi apparve e non si poteva nascondere. Venere lo notò subito. Era la dea dell’amore. Era suo compito… ma aveva promesso di non intervenire e non lo avrebbe fatto. Trasse un profondo sospiro, desolato e affranto e, fatto un passo avanti, scostando una ciocca riccia e bionda dal viso, si limitò a sentenziare: - Se andrai nelle terre del nord perderai un’amica, Olimpia. Il bardo amazzone alzò di scatto il capo e, vedendo Xena ritta e minacciosa davanti a sé, ruotò la testa verso la dea. - Avrò sempre te – commentò, cercando di sorriderle. - Parlavo di me – replicò la dea e svanì. Il gelo era tagliente. Xena scosse la testa come se avesse un tic. Stava cercando di contenere l’odio che le avvelenava il sangue. Osservava Olimpia rimasta a bocca aperta con lo sguardo fisso in quella zona della stanza che Venere aveva occupato fino a poco prima. Non poteva credere che se ne fosse andata così. La sua attenzione fu richiamata dalla voce della guerriera. - Ovunque andrai io sarò al tuo fianco... Ricordi?- citò Xena a voce bassa. Olimpia non rispose, anche se la osservava negli occhi freddi. - Sei libera da quella promessa, Olimpia - concluse ed abbandonò la stanza.
Capitolo 21 – Addii
Il bardo amazzone si ritrovò sola nell’abitazione illuminata da uno splendido sole. Era ancora seduta con le mani sulle ginocchia e lo sguardo rivolto verso la porta aperta. Xena se ne era andata, anche se era certa che sarebbe tornata. Argo era ancora nella stalla e continuava a nitrire. Si osservò attorno e le parve così assurdo vedere quella stanza così vuota e deprimente. Solo pochi giorni prima i suoi più cari amici erano lì e festeggiavo con lei. Sua madre e suo padre erano lì. Non poteva negare la grandezza del regalo. Ma la sofferenza patita dopo le aveva distrutto ogni magia. Il caro Corilo ancora vicino lei… Il solo pensare a lui le riportò quel nodo allo stomaco che non l’aveva mai abbandonata nei primi mesi della morte dell’amico. Con una giornata così soleggiata era possibile percorrere molta strada. Decise di affrettarsi a preparare i bagagli. Forse sarebbe passata a Tebe, aspettando Virgilio, forse no. Non aveva chiaro che itinerario percorrere. L’unica cosa certa era che voleva andarsene di lì. Andò nella sua stanza e da sotto il letto tirò fuori le bisacce finemente decorate regalatele dalle sorelle amazzoni. Forse avrebbe potuto raggiungere il nord passando per i vari villaggi. Le avrebbe certamente fatto bene stare con la sua gente. Diede un’occhiata rapida alla camera. C’era poco da portare via. Era meglio provvedere alle provviste per il viaggio. Infilò rapidamente il set per la pulizia regalatole da Venere e prese, sebbene con disgusto, le pergamene dono di Marte. Avvolse con cura le bottiglie di olio e vino di Iolao e le mise in fondo ad una bisaccia. Raggiunse la cucina. Vi trovò del pane e lo mise nella borsa con le bevande. Afferrò qualche frutto e della verdura. Un’altra rapida occhiata e notò la cassa di acqua con le bolle. Raggiunta la stalla fece uscire il cavallo donatole sempre dalle amazzoni. Vi posizionò la sella e redini, di ugual fattura delle bisacce, che ancorò all’animale. Con dei lacci vi legò anche quattro delle bocce regalate da Hercules. Era pronta. Montò a cavallo e, confermata la stabilità dei carichi, diede ancora un’occhiata alla casa poi, con mossa sicura, ordinò il trotto alla bestia e prese la strada per il villaggio. Era decisa ad attraversarlo per acquistare del formaggio stagionato per il lungo viaggio che l’attendeva. Quando vi arrivò, trovò Evi in un bagno di folla. - Perché è questo l’amore che Belur ci insegna, diventiamo fratelli e lasciamo che l’oscurità abbandoni il nostro animo. - Ma come possiamo fare?- chiedeva ingenuamente un’anziana donna. - Siamo povera gente, cosa possiamo dare agli altri? Non abbiamo nulla! - brontolò un uomo che reggeva due bimbi tra le braccia. - Voi avete voi stessi. Tu, con quei bambini, sono certa che per evitare che loro patiscano la fame daresti la tua vita per nutrirli... E tu, col bastone, come hai perso la gamba? - Ho combattuto contro un signore della guerra per salvare la mia casa - rispose, quasi con orgoglio, l’uomo. - Quest’uomo ha combattuto con fierezza e tenacia, ma da oggi noi combatteremo con le parole! Ci schiereremo contro la logica della violenza e priveremo i nostri nemici della loro forza, perché noi saremo più coesi, più uniti. Noi saremo uno solo e grande. E la forza dell’Uno veglierà su di noi! La folla sembrava apprezzare le parole cariche di emozioni che la messaggera di pace regalava loro col sorriso sulle labbra. Non sembrava per nulla la ragazza inacidita che aveva abbandonato la casa ore prima per non ricorrere alla violenza. Quanta ipocrisia pensò il bardo amazzone mentre le si avvicinava col cavallo. Evi si muoveva tra la folla e, voltandosi, la vide. Ebbe un attimo di esitazione ma poi le sorrise. Olimpia non ricambiò. - Predichi la pace, ma poche ore fa mi mostravi ostilità – la rimproverò la prima seguace di Belur con aria di superiorità. - Ascoltate tutti quanti, cari fratelli, questa è la pace interiore che salverà il mondo- esclamò la ragazza, alzando le braccia al cielo ed attirando l’attenzione della folla. Si avvicinò ad Olimpia e le diede le spalle rivolgendosi al suo pubblico. - Io perdono questa donna che ha tradito e umiliato, scatenando in me sentimenti di avversione. E con questa verga le imporrò di punirmi per il mio grave peccato. Evi indicava il grosso bastone dello storpio. Olimpia trasalì: non voleva picchiarla. Perché voleva obbligarla ad una punizione pubblica? Perché la stava mettendo in imbarazzo? - Perché ti fai picchiare, donna? – chiese una voce dalla folla. - Perché io l’ho detestata e le ho impedito di capire i suoi sbagli. Non l’ho aiutata ed ora questa donna sta fuggendo a causa della mia gelosia. - Ma che cosa stai dicendo, Evi? Io voglio andarmene e lo avrei fatto anche dopo tutte le tue inutili prediche! - esclamò l’amazzone, balzando da cavallo e colpendo con un dito il petto della ragazza. - Fai pure, Olimpia- la invitò lei - Se ritieni che le mie prediche siano inutili, è giusto che tu manifesti la tua disapprovazione. Sarà il bene superiore a dirci chi sta veramente sbagliando. - Non giocare con le parole con me. - Non lo faccio. Hai con te il ciondolo che ti ho donato? Olimpia rimase perplessa alla domanda, ma effettivamente aveva il ciondolo di Belur nella bisaccia delle pergamene. Lo prese e glielo mostrò con fare infastidito. - Il simbolo della pace, fratelli. Ed ora Olimpia. Stringilo tra le mani e interrogati su ciò che stai facendo. Lui ti risponderà. - Che sciocchezze, Evi - la sminuì l’amazzone e, dato che tutti la stavano osservando, chiuse con stizza le dita attorno al ciondolo. È la cosa giusta? Si domandò involontariamente. Percepì una sensazione farinosa nella mano, come se mille formiche le scivolassero sulla pelle. Aprì il palmo per vedere cosa fosse successo e del ciondolo non trovò altro che i rimasugli del laccetto. Tutto il resto era polvere carbonizzata. - Una stregoneria!- urlarono i primi della fila. - No, miei fratelli. Quella è la risposta! Il ciondolo apparteneva al padre di tutti noi. Al primo messaggero di pace. E la sua memoria, i suoi insegnamenti sono stati vanificati da colei che per prima fu sua allieva! Ecco la potenza dell’amore! - mostrò a tutti la polvere che volava nel vento. Olimpia era incredula. Il ciondolo di Belur si era completamente disintegrato. Di lui ormai non aveva altro che il ricordo. Ma anche quello era annebbiato dal suo stato attuale. La voce di Evi le rimbombava nelle orecchie. Non era la prima volta che rinnegava gli insegnamenti di Belur: aveva abbandonato la via della pace per salvare Xena… per salvare Xena. Che fosse un segnale? Ora che la sua vita non era più legata alla principessa guerriera, avrebbe potuto riprendere il suo cammino di messaggera di pace? E se il suo destino fosse stato quello di raggiungere le terre del Nord con Evi per diffondere la parola del Maestro? Un misto tra confusione ed inquietudine le apparve sul viso, già sconvolto. La ragazza le si avvicinò con un sorriso e la prese tra le braccia. La folla apprezzò il gesto e si lasciò andare in applausi. Scioltasi dall’abbraccio, Evi comunicò al popolo che avrebbe tenuto un’altra lezione solo nel primo pomeriggio. Quindi, accompagnata da Olimpia, raggiunse un’area del villaggio poco trafficata. Il bardo legò il cavallo e si sedette sul tronco disteso su cui l’altra giovane la stava aspettando. - Immagino che tu te ne stessi tornando nel Nord prima di incontrarmi- disse Evi, guardando il cielo. Olimpia non rispose. - E mia madre dove è? Dopo un attimo di silenzio, la donna si decise a parlarle. - Non so. Argo era nella stalla, ma di lei nessuna traccia – rispose, afferrando un ciuffo di erba e sfiorandolo con le dita. Ci fu ancora silenzio. - È la cosa giusta? – le chiese seriamente Evi. Olimpia si voltò di scatto con un’espressione incredula sul viso: aveva usato le sue stesse parole. - Non devi rispondere a me, Olimpia. Ma a te stessa. – la osservava con intensità, mentre congiungeva le mani in segno di preghiera. - Che cosa stai facendo? - le chiese la bionda. - Prego affinché tu possa trovare te stessa facendoti meno male possibile. Vuoi unirti a me? Ancora silenzio. - Dovresti odiarmi- sentenziò l’amazzone. - Dovrei - confermò l’altra con serenità. Si guardarono negli occhi. Olimpia riusciva a intravedere la stessa limpidezza che traspariva da quelli di Xena quando le diceva una verità disarmante. - Questa mattina non sono riuscita a meditare. Vuoi farlo con me?- propose la messaggera con un sorriso. L’espressione di Olimpia si rasserenò e con un cenno del capo le fece capire di voler partecipare al processo di purificazione della mente. Quindi si disposero schiena a schiena ed iniziarono a trarre profondi respiri. Fu difficoltoso per l’amazzone trovare il giusto equilibrio interiore. Ogni respiro le provocava una fitta al petto. Si sentiva scomoda in quella posizione e la schiena le doleva. Udiva, al contrario, i respiri regolari e la rigidità del corpo della figlia adottiva. Cerco di imitarla ma più tentava di trovare la pace e più sentiva dolore. Cedette alla pressione e iniziò a piangere. - Non so se è la cosa giusta, Evi!- singhiozzò - Se lo fosse non starei così male - aggiunse affranta. - Forse sei solo confusa - suggerì la ragazza. - Credevo di aver preso una decisione. Guardami! - sostenne mostrando il cavallo - Avevi deciso di scappare. Non di raggiungere Brunhilde – provò ad insinuare l’altra. - Io voglio andare da lei - tentò di dire con fare serio mentre le lacrime le inondavano il viso. - Ci andrai, ma forse non dovresti andarci subito. In queste condizioni non credo che lei creda al tuo amore ritrovato- azzardò di nuovo la ragazza. Olimpia soffocò diversi singhiozzi, asciugandosi gli occhi con le mani. Forse Evi aveva ragione. Quello stato confusionale ed il pianto continuo potevano far credere a Burnhilde che lei fosse tornata solo perché Xena l’aveva abbandonata. Lei non era un ripiego. Doveva andare da lei con la pace nel cuore. - Ho bisogno di ritrovare me stessa, Evi - le sussurrò terrorizzata. - Posso aiutarti - le rispose l’altra accarezzandole il viso.
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