Olimpia la guardò
non capendo a cosa volesse arrivare l’altra, ma Xena con un
cenno della testa la esortò a prepararsi per la notte.
Il bardo amazzone si svestì e si intrufolò tra il corpo
della compagna e la coperta.
La mora la cinse e poggiò il mento sulla chioma bionda ed iniziò
a raccontare -C’era una volta un villaggio molto strano. Non
era visibile ad occhio umano perché si nascondeva nella foresta
tra erbe folte e tronchi altissimi. Ad abitarlo erano delle creaturine
piccine alte poco più di due mele; avevano due gambe, due braccia
e due occhi ed un naso a patatina all’insù.
Si vestivano in modo semplice, i maschi con dei calzoni e le fanciulle
con dei graziosi vestitini merlettati. Tutti indossavano un copricapo
che li distingueva per importanza sociale: gli anziani l’avevano
giallo, gli adulti rosso e i giovani bianco-
- Xena- rise Olimpia- non serve che ti inventi una fiaba per farmi
dormire, io non voglio dormire- e rise nuovamente
-Non è per agevolare il tuo sonno che te la racconto, ma per
far si che, se ti dovessi addormentare, allora potresti sognare queste
creature- disse amorevolmente l’altra
-Ma Xena, non sono più una fanciullina, dai…ma sono simpatiche
almeno?- era ovvio che, nonostante le buone intenzioni, a Olimpia
faceva piacer sentire “decantare” la valorosa principessa
guerriera.
-Simpaticissime- rispose prontamente un’inaspettata principessa
aedo -Ognuno di loro svolge un compito preciso, c’è il
cuoco, il maniscalco, il fabbro, il giullare, il saggio, il pensatore,
addirittura un guerriero!…L’elenco è lunghissimo
perché il villaggio è molto esteso. Hanno le loro case
ricavate dai funghi. Pensa che un giovane non ancora esperto aveva
costruito la sua casa in un fungo allucinogeno e quindi chiunque gli
facesse visita rimaneva stordito, fu così che decisero di ribattezzarlo
“allucinato” . Fu costretto a trasferirsi ma il soprannome
gli rimase.-
Olimpia rideva divertita mentre faceva scivolare una ciocca nera tra
le dita.
- Xena ma che personaggi buffi ti inventi, dai, hanno un nome queste
creature?-
- Beh, sei tu la barda…non saprei come chiamarli…cosetti,
piccini…non saprei proprio, aiutami tu sono piccoli con il naso
paffuto, una codina appena pronunciata e…sono blu!- disse Xena
allegra.
-Non dimenticare il copricapo distintivo! Ed inoltre sono pure blu?
Non immaginavo avessi una tale fantasia…sarà la stanchezza
ma non trovo altro nome che “buffo” quindi loro sarebbero
i “buffi” che ne dici?-
-Vada per i “buffi”…eravamo rimaste al buffo allucinato?
Già…per vendetta iniziò a rinominare gli altri
buffi, quindi il cuoco divenne il buffo golosone, il guerriero divenne
buffo forzuto così via, allora pensi di farcela a pensare ai
buffi?- ma non ottenne risposta: Olimpia si era sopita con il sorriso
sulle labbra.
Xena la osservò amorevolmente mentre ancora le accarezzava
la fronte. Aspettò che il suo respiro fosse regolare, quindi
la spostò posizionandola delicatamente distesa acanto a lei;
la ricopri con la coperta e le poggiò un soffice bacio tra
i capelli. Quindi si adagiò supina e la avvolse con un braccio.
Chiuse gli occhi ma si sentì solleticare sotto la nuca. Rimase
perplessa e sul suo volto comparì una smorfia di incomprensione:
cosa le stava lentamente alzando la nuca?
Decise di controllare e, senza svegliare la compagna, alzo il collo
e si voltò il più possibile.
Un esserino blu sbucò tra i suoi capelli e la guardò
adirato. Si risistemò il cappello, lisciò alcune grinze
dei calzoni, da una tasca nascosta estrasse uno specchio e si rimirò
per verificare la sua compostezza. Appurato che tutto fosse in ordine
tornò a fissare come meglio poteva, gli immensi occhi azzurri
ed increduli della guerriera.
Il cosetto blu si strofinò un dito sotto il nasino e, fattosi
coraggio, diede un impercettibile calcio alla punta del naso di Xena,
quindi rapidamente scalò le lenzuola sulle spalle di Olimpia
ed andò a coricarsi accanto alla fronte di lei.
-Fortuna che non voleva dormire, lei sogna buffo sciccoso e io ne
pago le conseguenze- sorrise vedendo disegnata la calma sul viso della
bionda dormiente.
Sussurrò uno scusa al buffo che, aperto un occhio, le sorrise.
Scuse accettate, anche la principessa guerriera poteva trovare riposo.
Evidentemente
Altea voleva essere salvata dato che le due passarono una notte tranquilla.
Soprattutto il bardo amazzone che alla mattina, scendendo dal letto,
rischiò di sterminare con un solo piede un accampamento di
buffi cresciuto durante la notte.
-Per gli dei, e voi che ci fate qui? Sto ancora sognando forse?- chiese
la barda in equilibro con il sedere sul ciglio del letto. Con una
mano si aggrappò al braccio di Xena e riuscì a mantenersi
stabilmente.
La guerriera si svegliò e, rotato il corpo vide l’amica
in stato confusionale con lo sguardo fisso al suolo. Decise di alzarsi
ed osservare cosa c’era di tanto interessante sul legno scricchiolante
i quella stanza. Quindi con un braccio fece leva e alzò il
busto inclinandolo verso l’esterno e finendo con il petto poggiato
alla schiena dell’amica. Osservò.
-Ecco, figurati se da uno non diventavano una marea, piccola ma che
sogno hai fatto stanotte?- chiese la mora divertita
-Beh, ho sognato che vivevamo con loro…ed ora si sono accampati
e credo abbiano fame…buffo golosone ha acceso un fuocherello-
fu la risposta
-Ignorali come ci ha detto Agesandro..non credo che riusciremmo a
sfamarli tutti- suggerì Xena.
Olimpia segui il consiglio, quindi li scavalcò per raggiungere
i suoi abiti. Tutti buffi, alzato lo sguardo, si misero ad esultare
contenti ma, subito, uscirono dalle loro abitazioni le buffe armate
di mestoli e calici di legno e li lanciarono contro i rispettivi buffi
consorti.
Xena e Olimpia risero di gusto mentre si preparavano ad incontrare
Altea e trovare una soluzione.
CAPITOLO
VII
-Oste? Vorremo
fare colazione. Ci porti pure quello che ha- ordinò cordialmente
la barda mentre si sedeva su di una seggiolina sgangherata e tarlata.
-Olimpia non mi sembra molto stabile, cambiala con un’altra…qui
è pieno di sedie vuote- consigliò Xena.
Olimpia la guardò, cercò un po’ di assestamento
ma, notato che era praticamente impossibile, la ascoltò e cambiò
la malconcia seduta.
Arrivò l’oste con un vassoio ricco di prelibatezze locali,
forse un po’ eccessive per una colazione.
Le due si guardavano in silenzio alternando lo sguardo tra le portate
e gli occhi della compagna di fronte.
Quando il locandiere poggiò anche l’ultimo piattino esordì
dicendo
-Accettate questo mio servigio come pagamento per il vostro soccorso.
Badate, non consideratemi crudele, io…tengo molto alla piccola…ad
Altea, ma…per causa sua ho perso un figlio- ci fu silenzio e
l’oste sentì il bisogno di chiarirsi -La locanda non
chiama visitatori eccetto burberi guerrieri che al terzo boccale recano
danno alle strutture. Mio figlio il maggiore è partito come
mercenario per una guerra che non ci riguarda…non ha ancora
fatto ritorno e non ho avuto più sue notizie…credo fermamente
di che sia…morto.
Sono legato alla giovane fanciulla: in tenera età scappava
qui per chiedere qualche leccornia che la madre le privava; diceva
che ammalavano la bocca- sorrise -Non c’era cosa migliore che
vedere splendere quegli occhi verdi come il mare dopo un tramonto
invernale- poi si incupì -Fino a quel giorno…dove nulla
più ha splenduto eccetto questo sole che non conosce stagioni.
Dovete salvarci da questa maledizione!-
In quel momento entrò Agesandro, l’oste finse di ripulire
una porzione di tavolo non coperta dalle vettovaglie, augurò
il buongiorno e tornò al bancone.
-Sia lieto il giorno per voi, valorose guerriere, spero abbiate passato
bene la notte- disse il ragazzo
-Molto bene grazie, e a tal proposito volevamo ragionare sulle differenze
tra le due notti- rispose Xena
-Vedi, la prima notte abbiamo avuto incubi al limite dell’intervento
delle furie, invece ieri sera abbiamo vissuto solo sogni giocosi e
simpatici…cosa pensi che sia potuto accadere?- puntualizzò
e domandò Olimpia
-Forse mia sorella ha capito che siete qui per aiutarla e quindi vi
tratta bene- suggerì l’uomo
-Oppure il ricatto di Morfeo è divenuto insostenibile ed ella
vuole riscattarsi- pizzicò Xena, poi continuò -Facendoci
fare un bel sogno ha assicurato di voler il nostro intervento, ma
noi dobbiamo scoprire esattamente cosa sta accadendo in quel mondo.
solo dopo potremo agire-
-Come pensi di procedere?- interrogò Agesandro.
Xena rimase in silenzio. Non aveva mai svelato i suoi piani a nessuno,
neanche alla sua cara amica e non lo avrebbe fatto ora, quindi disse
-Per ora penso che nutrirò corpo e spirito con questo lauto
banchetto dopo di che la vedrò e qualcosa mi verrà in
mente-
Agesanrdo rimase stupito, a lui sembrava che Xena non avesse un piano
e che manifestasse falsa tranquillità, ma di lei aveva sentito
cose degne di ogni forma di rispetto ed inoltre sapeva che Olimpia
era la sua spalla e che quindi, con un animo così puro accanto
a lei, in qualche modo avrebbero risolto.
-E sia. Finite il vostro pasto. Poi andremo da lei…Mi troverete
dal mastro falegname a piallare delle tavole - disse Agesandro congedandosi.
Olimpia gli sorrise grata per la sua comprensione e pazienza verso
quel lato di Xena che anche lei non apprezzava molto. Appena fu uscito,
la barda si volto con aria inquisitoria mentre con una mano fermava
le dita dell’amica che pizzicavano un tozzo di pane.
La guerriera sfoderò un espressione perplessa ma sapeva benissimo
dove voleva parare l’amica, quindi, sbuffando e versando del
latte nelle loro ciotole, soddisfò la muta richiesta
-Beh, vorrei vederla per constatare le sue condizioni. Poi credo che
chiederò il sostegno di un paio di “amici” che
ritengo siano sempre utili per queste cose sopra natura, solo allora
potrò veramente agire-
Olimpia le sorrise contenta e tornò a concentrarsi sulla colazione.
-Per di qui- disse
Agesandro spostando una tenda appesantita dalla polvere
davanti a loro si apriva una piccola stanzetta legnosa, con una giaciglio
ricavato da un’asse poggiata sopra due ceppi di quercia piuttosto
alti. Un’esile figura fanciullesca sbucava da una coperta di
stoffe diverse e colorate rattoppate qua e là. Da una piccola
finestra entrava la luce di quel sole sempre alto e splendente (finché
non si scatenava un diluvio come quello di due sere prima).
L’aria era comunque pesante e si capiva che da tanto nessuno
rassettava.
La bambina aveva dei lunghi capelli biondo cenere con grossi boccoli
che arrivavano ai fianchi. Le labbra rosee ma secche recavano un’espressione
cupa mentre gli occhi chiusi facevano intravedere il movimento sognante
dei bulbi oculari. Piccole croste si erano create agli angoli delle
palpebre, come lacrime secche mai pulite.
Dalle manine, unghie lunghe e mai curate si insidiavano nella carne
infettandola; la pelle candida, bianca lentigginosa, era visibilmente
sporca e segni di cattiva pulizia erano evidenti in tutto ciò
che la circondava.
-Questa è pura follia- esclamò Olimpia disgustata
-Ma cosa avete fatto a questa creatura?- disse inorridita la principessa
guerriera cercando, con una mano, di sfiorare la fanciulla
-Non toccarla! Nessuno può toccarla!- urlò la madre
di Agesandro che si era trascinata a fatica nella stanza della figlia.
-Nessuno può toccarla! Nessuno! Se la tocchi soffrirai con
lei! Con lei! Con lei!- strillava aggrappandosi con le unghie alle
pareti per avvicinarsi di più.
-Madre! Torna nella tua stanza!- le gridò Agesandro.
-Nessuno può toccarla! Nessuno!- ripeteva istericamente la
donna.
Ebbe un mancamento per l’eccessivo sforzo e si accasciò.
Il figlio la soccorse subito e sparì dietro la tenda con la
madre tra le braccia.
-Che cosa avrà voluto dire?- chiese intimorita la regina amazzone
-Ora lo vedremo!- affermò fredda la principessa guerriera afferrando
uno straccio poggiato ad un angolo del letto. Ci sputò sopra,
lo strofinò un po’ e lo gettò a terra
-E’ più lercio di una coltre per porci!- esclamò
adirata.
Entrambe si guardarono intorno cercando qualcosa di pulito, ma la
barda ebbe l’intuizione di aprire la bisaccia che portava sempre
con sé e strappò con i denti un angolino di una delle
sue pergamene vuote-
-Usa questo Xena, è resistente!- disse.
-Ti ringrazio- rispose la guerriera. Sputò nuovamente sul pezzo
di pergamena inumidendolo, poi lo arrotolò sulla punta dell’indice
e, amorevolmente, si chinò a pulire gli occhi della piccola.
La barda indietreggiò di due passi e fece bene. Il corpo della
ragazza cominciò a sussultare come in preda a delle convulsioni.
Xena incredula cercava di tenerla ferma per le spalle. Olimpia tentò
di aiutarla. Solo allora rientrò Agesandro, che si precipitò
al letto spostando lontano e con forza le due.
Appena non ci fu più nessun contatto fisico, i contorcimenti
cessarono.
Ci fu un attimo di silenzio. Tutti guardavano verso il giaciglio.
Poco dopo Agesandro sbottò in un rimprovero.
-Perché l’avete toccata? Non avete sentito le parole
di mia madre?- urlò adirato
-Ti sembra questo il modo di trattare un essere umano?- ribattè
Xena
-Siete qui per salvarla, non per torturarla! Toccarla equivale a svegliarla
e rompere il patto con Morfeo! È lui che le fa venire questi
spasmi! Per impedirci di riportarla tra noi!- rispose nuovamente ma
già più calmo.
-Bene, abbiamo visto abbastanza. Ora ci ritireremo per pensare alla
soluzione. Non ci cercare, torneremo noi da te- disse Xena adirata
prendendo per un braccio la barda e trascinandola fuori da quella
stanzetta.
Tirarono dritto fino alla locanda senza dire una parola. Salirono
le scale in fretta e Xena una volta dentro sbatté l’esile
porta .
- Marte! Marte fatti vedere, devo assolutamente parlarti!- gridava.
-E se ce la fai porta tua sorella- aggiunse in tono più soft
la barda.
-Per gli dei dell’Olimpo, Xena ti sembra il modo di invocarmi?
Ho certe attività che non possono essere interrotte, io!- rispose
il dio mentre compariva.
-Niente di personale-gli rispose Xena sfoderandogli dritto in volto
un pugno teso
-Credimi, fa più male a me- continuò la principessa
colpendolo con una ginocchiata sul ventre.
Olimpia roteò gli occhi e sospirò; accanto a lei si
materializzò Venere che le chiese cosa stesse accadendo. La
risposta arrivò direttamente da Xena
-Lo faccio solo perché siete dei! E devo parlare anche con
te, Venere!- disse mentre parava un gancio sinistro del dio che provava
a difendersi.
-Hei hei, non ci pensare nemmeno! Se questo è il tuo modo di
parlare sappi che con me non avrai alcun tipo di dialogo e che…Olimpia
farà da interprete per me!- rispose convinta la dea
-Hei!- protestò l’amazzone.
-Con te parlo a parole, non preoccuparti, è solo con lui che
mi voglio sfogare un po’!- spiegò meglio la guerriera.
-Ah si? Allora passerò all’attacco, non puoi sfogarti
se non hai veramente qualcosa da combattere- affermò arrogantemente
il dio mettendosi in posizione d’attacco.
Xena lo invitò a farsi avanti porgendogli il palmo della mano
scuotendo verso di se l’indice e il medio.
Olimpia roteò nuovamente gli occhi e si sedette pesantemente
sulla seggiolina tarlata in dotazione nella loro camera; Venere ne
fece apparire una un po’ più confortevole e si sistemò
accanto.
-Allora che c’ha la tua amica per essere così in collera
con noi dei? Sua figlia ne ha combinata un’altra? Farle passare
liscia la storia del vaticinio non è stato uno scherzo, come
madre so anche io cosa vuol dire rincorrere le proprie creature e…
- ma fu interrotta da un vaso, vittima di un calcio mal assestato
del dio, in rotta di collisione con il naso divino. Olimpia lo afferrò
prima dell’ impatto con riflessi felini e lo poggiò vicino
alla sua sedia poi parlò - Venere, Evi non c’entra nulla;
qui c’entra Morfeo, lui si che ne ha combinata una grossa. C’e
di mezzo una bambina che lui ama follemente ma che tiene prigioniera
nel suo mondo perché non ricambiato. Xena è adirata
a morte per questo. Oggi abbiamo visto la fanciulla e…è
in uno stato che…cielo non so spiegarlo-
-Credo di sapere a cosa ti riferisci- disse la dea che ad un cenno
dell’amica chinò la testa e fece schiantare contro il
muro il bracciale gemmato del fratello
-Le sta prendendo eh?- continuò Venere
-Anche lei-commentò Olimpia
Le due rimasero in silenzio osservando i due corpi muscolosi infierire
l’uno sull’altro con rapide sequenze di pugni, gomitate
e ginocchiate. Uno in particolare le stupì cioè il tallone
di Xena (di spalle) dritto sotto la cintola del dio che si accasciò
subendo un colpo di gomito sulla base del capo.
Le due sibilarono con i denti e commentarono con un “ooooooohi!”
di solidarietà seguito, come in un eco, dal gemito di dolore
del dio.
Xena si voltò verso il pubblico strofinandosi le mani.
Olimpia alzo le mani ed indicò il numerò nove; Venere
la imitò e segnalò il numero sette giustificandosi come
giudice emotivamente coinvolto per consanguineità e mantenimento
della stirpe. Olimpia si voltò e la guardò rassegnata
a questo lato brioso ed ironico anche se fuori luogo; poi si voltò
verso Xena e la informò sul breve dialogo avuto con la divinità
-Lei sa qualcosa Xena, sa di Morfeo e Altea!- disse tra l’emozionato
e il contenuto.
-E’ per Morfeo che sono stato sbattuto come un vecchio tappeto?-
chiese Marte ancora dolorante e con la guancia sinistra tutt’uno
con il pavimento.
-Esatto, e voi dovete aiutarmi a sciogliere il contratto!- esclamò
Xena
-Oppure convincere Morfeo a rinunciare a lei- suggerì la barda
-Hai un modo strano chiedere aiuto- asserì scocciato il dio
mentre si rimetteva in piedi e tastava la linearità della sua
mascella
-Non si può disdire un contratto tra un umano ed un dio, specie
se c’è l’amore in mezzo- disse cupamente Venere
-Già, eccetto che non lo distrugga lo stesso dio- affermò
Marte
-Ma come possiamo fare?- piagnucolò Venere
Xena iniziò a passeggiare per la stanza in cerca di una riposta.
Si sentiva stanca ma non per il combattimento, infatti, improvvisamente,
la sua vista calò e perse il senso dell’equilibrio. Marte
la afferrò prima che colpisse il pavimento, la sollevo e la
mise sul giaciglio. Olimpia le si precipitò accanto in ansia.
-Xena che succede? Perché ti stringi la mano agli occhi in
quel modo?- le domandò tesa -Xena ha toccato gli occhi della
fanciulla e quella ha avuto le convulsioni, la madre ci ha detto che
chiunque la toccherà soffrirà con lei!- informò
-E’ la maledizione- sussurrò angosciata Venere
-Ne sei certa?- chiese timoroso il fratello
-E’ l’unica spiegazione a questa cecità improvvisa-
diede risposta la dea
-Ma si riprenderà?- chiese spaventata la barda
-No, se non si disdice il contratto- rispose il dio cupo.
-Annullandolo, tutto ciò che è stato causato durante
la sua validità verrà cancellato…eccetto le morti
e le nascite- spiegò Venere col tono preoccupato
-Abbiamo limiti di tempo?- chiese lievemente Xena che non aveva perso
i sensi ed aveva ascoltato tutto.
-Beh, no…ma certo sarebbe meglio chiudere questa faccenda al
più presto prima che tu possa correre dei brutti rischi proprio
a causa delle mancanza di vista- confermò la dea.
Ci fu un attimo di silenzio, poi un fascio di luce azzurra invase
la stanza e Marte sparì.
-Dove sarà andato?- chiese preoccupata Olimpia
-Tu chiama l’oste e fatti portare qualcosa per curare gli occhi
di Xena, giusto per temporeggiare contro un ulteriore peggioramento
della cecità io vado a recuperare mio fratello prima che riduca
Morfeo ad una poltiglia- disse rassegnata Venere e sparì in
un roseo bagliore.
-Fatti portare acqua fredda ed un panno pulito. Ci servirebbe la segale
egizia ma non credo che sia utile visto che la causa è una
maledizione. Limitiamoci a mantenere l’occhio fresco e pulito,
va bene Olimpia?- disse Xena con falsa tranquillità.
- …Va bene…Xena- rispose l’altra poi continuò
-Xena se dovessi…- ma venne interrotta dall’amica -Non
rimarrò cieca, tu e gli altri mi salverete esattamente come
mi salvasti precedentemente. Allora potrò rivedere il tuo sorriso
e non ci sarà visione migliore per me- sorrise nel buio ma
sapeva che Olimpia la stava guardando ed allungò una mano verso
di lei cercando la sua guancia.
Olimpia la afferrò delicatamente e se la portò alla
bocca baciandola dolcemente. Si chinò verso il giaciglio e
poggiò le labbra su quelle dell’amica.
Xena ricambiò il bacio e si strinse all’amica facendola
sedere sul letto.
-Non posso vederti ma mi piace sentirti vicino a me- le sussurrò
poi riprese a baciarla intrecciando le dita nei biondi capelli morbidi.
Olimpia le sorrise mantenendo il contatto con le labbra della compagna
e facendole quindi capire il suo gesto. Anche Xena sorrise e la avvolse
tra le sue braccia.
-Sei la mia fortuna più grande Olimpia. Ce la caveremo anche
questa volta. Ora per favore, va a prendere il necessario dal locandiere
cosi mi medico e non ci pensiamo più- disse sottovoce la guerriera
-torno subito- rispose la compagna sciogliendosi dall’abbraccio
e dirigendosi frettolosamente alla porta.
-Non correre, ci servono le tue gambe- ironizzò la mora
La regina amazzone annui e chiuse la porta alle sue spalle.