CAPITOLO
VIII
-Grandissimo bastardo!
Che cosa credi di ottenere? Pensi che con le torture lei ti amerà?
L’ho passato prima io di te e non è cosi che l’avrai!
Non l’avrai mai! Gli umani non possono amarci! Noi dei viviamo
l’amore in modo diverso da loro, dovresti saperlo!! Libera quella
ragazza dal maleficio e vedrai che ti porterà più rispetto!-
urlava Marte asciugandosi il sudore dalla fronte. L’altro dio
giaceva a terra esausto ma la stanchezza non gli impedì di
rispondere -se tu sei un fallito e non sai ottenere quello che vuoi
non puoi prendertela con me- e tossì.
Marte ancora più adirato lo raggiunse con un calcio alla pancia
che lo fece sobbalzare da terra.
-Sei solo un cretino illuso Morfeo!- disse prima di colpirlo ancora.
-Marte! Non esagerare, siamo rimasti già in pochi- disse ad
alta voce Venere manifestandosi.
-Stiamo molto bene anche io e te soltanto, non trovi? Sorella? - ribatté
arrogante il dio della guerra
-Non può esistere un mondo senza il sonno e il sogno, lo sapete
bene entrambi. Non potete farmi nulla!- gridò altezzoso, con
il poco fiato rimastogli, l’altro.
-Non farmi adirare più di quanto non sia già- disse
minacciosa Venere.
Il suo tono stupì entrambi i duellanti che solo osservandola
meglio, notarono l’alone rosato che la circondava.
Venere era visibilmente alterata, e stava evidentemente cercando di
contenere una voglia irrefrenabile di usare i suoi poteri.
Si avvicinò a Morfeo, che nel frattempo si stava rialzando,
lo afferrò per i capelli strattonandogli la testa all’indietro
verso di lei. Poi ringhiò con voce bassa -Olimpia non è
solo la mia migliore amica, è anche la mia protetta e non tollero
che la si faccia soffrire per amore. Sono io che gestisco l’amore,
non tu. Hai accecato la sua compagna come fosse un vecchio balocco
da buttare. Ti conviene far tornare tutto com’era prima o ti
farò sperimentare le vere pene d’amore, e credimi, non
sono sottili se mi metto d’ impegno. Ti piacerebbe essere schiavo
di una donna che non ti vuole? Morire per lei? Donare ogni goccia
del tuo sangue per lei? Se tu non fossi un dio…quante cose impareresti…quanta
sofferenza ti avvolgerebbe. Ti uccideresti da solo credimi. Posso
rovinarti l’esistenza con uno schioccar di dita…e in questo
momento lo desidero molto…Marte ha ragione. Gli uomini non ricambiano
il nostro affetto come vorremmo, ma possono fare molto di più
e molto meglio se svincolati da folli contratti e liberi di esprimersi
apertamente. Rinuncia a quella ragazza. Ti conviene- mollò
la presa spingendo la testa dell’avversario a terra dove picchiò
con un tonfo secco.
Marte si avvicinò alla sorella e le mise una mano sulla spalla.
Lei si voltò e lo guardò con due occhi impauriti. L’alone
roseo sparì.
-Adesso si che ti riconosco come sorella- disse ammiccando il dio
della guerra -Ma non ti aspettare che per dimostrarti il mio legame
di sangue con te, vada in giro ad annusare rose o a saltellare idilliaco
nei prati- ironizzò ancora.
La dea osservò gli occhi di fronte a lei carichi di comprensione.
Loro erano stati mortali e avevano vissuto con e come mortali. Avevano
imparato il rispetto per quegli esseri che prima trattavano come pedine
di una scacchiera chiamata vita. Lei era veramente amica di Olimpia
e sapeva che la regina amazzone l’amava e la rispettava esattamente
come lei voleva. Ma se l’era dovuta conquistare quell’amicizia.
Troppo facile usare i poteri. Quello era un sentimento vero. Era nato
senza il suo intercedere, esattamente come era nato il legame indissolubile
tra le anime delle due guerriere. E Venere era soddisfatta di tutto
questo perché era la testimonianza che l’amore è
più forte di qualunque sortilegio, e lei, in qualità
di divinità protettrice dell’amore, non poteva tollerare
che si pretendessero stima e affetto tramite un contratto.
Questo risentimento verso le azioni del dio dei sogni, le aveva maturato
dentro una tal rabbia da far riaffiorare poteri che tutti gli dei
hanno, ma che lei non usava mai: il potere di colpire con forza, di
scagliare sfere energetiche distruttive…dare la morte…Avrebbe
potuto eliminare con uno schioccar di dita colui che portava sofferenza
e che ostentava sicurezza delle proprie azioni palesandole come prove
d’amore. Come si permetteva lui di occupare il suo posto?
Contenne a forza quella tremenda sete di violenza che non era da lei,
e Marte, che di quella sete viveva, se ne era accorto e le aveva mostrato
il lato più umano di sé che conosceva: la comprensione.
Perché Marte era tutto quello che diceva di essere, ma sapeva
anche sfoderare quel lato che Xena aveva forgiato e modellato in lui.
Marte sapeva capire e sostenere con affetto.
…Affetto, quella parola colma di significato che Morfeo, invece,
ignorava.
Doveva far in modo che anche lui capisse, ma come?
Sorrise al fratello che ancora teneva la mano sulla sua spalla.
Con un cenno del capo indicò il corpo a terra. Il suoi occhi
domandavano “che fare con lui”. Il fratello rispose avvicinandosi
a Morfeo. Lo colpì nuovamente al fianco con un calcio e a voce
disse -Non lo so, ma così ridotto avremo più tempo per
pensare-
Marte sapeva essere comprensivo…ma rimaneva comunque un dio
della guerra colpito nel suo punto debole: la donna che amava.
-Va meglio ora?-
chiese Olimpia mentre tamponava le palpebre all’amica
-Si grazie. Sai, pensavo che se riuscissi ad introdurmi nel mondo
dei sogni di Altea, forse riuscirei a portarla fuori da li!- propose
l’altra.
-Non so, come potresti fare? Dormendo con lei? Dovremmo chiedere ad
Agesandro se durante quella notte passata di fianco alla sorella,
ha fatto il suo stesso sogno-
-Ottima idea! Presto va a chiamarlo e portamelo qui, cosi ci parliamo
per bene-
-Vado e torno…e non corro-
-Brava, così mi piaci!-
-Un solo giorno
Marte, un giorno senza il sogno, senza il sonno, senza Morfeo. Restare
mortale per un solo giorno gli sarà di aiuto- proponeva supplicante
Venere
-Non lo so…è stato anche lui mortale subito dopo il vaticinio,
anche se meno di noi, e non ne ha colto nulla di buono. Lui è
il dio dei sogni, non vive in questo mondo…secondo me non gli
servirebbe a nulla. Anzi, vista la brutalità di questa realtà
credo che terrebbe ancor più stretto a sé il suo stupido
contratto-
Marte aveva ragione, certo le sue considerazioni suonavano stonate
nella sua bocca, ma erano giuste e Venere non lo poteva negare. Allora
come fare? Forse dovevano interpellare Xena e Olimpia e discuterne
con loro. Forse, quattro teste avrebbero trovato una via di mezzo.
-Andiamo da loro- propose Marte.
E svanirono lasciando il corpo di Morfeo ancora a terra.
-No quella notte
non vidi mio padre, ma dormii sereno. In realtà non vidi mai
mio padre dopo la sua morte. Anche se sognavo spesso di aiutarlo a
sistemare la nostra casa. Il tetto era già consumato e lui
mi diceva sempre che avremmo dovuto metterlo in sesto prima che ci
finisse in testa. È ancora lì tutto malconcio che mi
aspetta…ma sognarlo come faceva mia sorella…quello mai-
fissava il vuoto, Agesandro, mentre portava alla mente il felice ricordo
del padre.
-Ma perché me lo chiedete? Avete un piano? Parlate- ordinò.
Lo sguardo buio di Xena si perdeva senza meta nella stanza; improvvisamente
la sua espressione cambiò, pareva sentire qualcosa. In quel
momento si materializzarono le due divinità lasciando a bocca
aperta uno sbigottito Agesandro.
-Per gli dei che cosa sta accadendo?-
-Per noi cosa? Non hai mai visto due divinità?- chiese stupita
Venere
-Io…beh io…-Agesandro era senza risposta
-Agesandro, ti riconosco. Ottimo lavoro, ti sei battuto ferocemente
ma con classe. Sei un bravo guerriero- commentò Marte (ovviamente
artefice della guerra in cui era stato coinvolto il ragazzo)
-Mio signore, dio della guerra!- esclamò intimorito l’altro
prostrandosi a terra
-Lascia stare ragazzo, mettiti in piedi e stacci ad ascoltare, ascoltate
tutti!- disse il dio
-Morfeo è irremovibile sulla sua posizione. Venere propone
di renderlo mortale per un solo giorno per fargli comprendere il significato
della parola amore, io ne sostengo l’inutilità e propongo
di sfidarlo a duello. Se perde ci rende la ragazza-
- non accetterà mai. Immagino tu l’abbia già sfidato
e sentirti così sicuro mi fa intuire che tu abbia vinto- commentò
la principessa guerriera
-Non ho detto che lo sfiderò io. Potrebbe farlo il ragazzo.
È un abile guerriero- ribattè l’altro.
-Lo manderesti a morte certa!- esclamò Venere poi continuò
-Morfeo è diventato subdolo e astuto, lo ucciderà prima
ancora che il ragazzo sfoderi la spada-
-Farò qualunque cosa per mia sorella!Anche morire!- affermò
con forza il diretto interessato.
-No…qui ci vuole una sfida di cervelli…entrare nel mondo
di Morfeo e distruggerlo con le sue stesse armi- asserì Xena.
Calò il silenzio. Ognuno pensava osservando tutti gli altri.
Una voce si alzò dal gruppo.
-Sarò io a sfidarlo!-
Tutti si voltarono verso il letto su cui giaceva la principessa con
accanto seduta la regina amazzone.
-Sì, posso farcela. Ditemi solo il modo per raggiungerlo è
lo sconfiggerò-
-Olimpia no!- esclamò impaurita Venere -Non farlo, Morfeo ti
distruggerà!-
-Sono una barda, ho molta immaginazione, posso resistere ai suoi trucchi.
In fondo, gli incubi che ho vissuto nella foresta erano ancora dettati
da lui, anche se inviati da Altea. Lei non è altro che una
sua appendice. Non ha poteri. È lui che comanda. Ed io lo sfiderò
e lo vincerò.-
Calò nuovamente il silenzio mentre Venere la fissava negli
occhi intensamente supplicandola con lo sguardo di rinunciare a questa
folle impresa. Poi notò una cosa che le fece capire che nulla
poteva persuaderla: la mano di Xena era stretta tra le dita della
barda. Olimpia lo faceva per lei, e se c’era Xena di mezzo,
non c’era discussione. Il fatto poi che Xena non commentasse,
lasciava intuire che ci fosse complicità. Quindi, abbassato
lo sguardo, la dea prese parola -E sia, ti condurrò io nel
mondo di Morfeo, e tramite Marte vi racconterò lo svolgimento
dei fatti. Voi rimarrete qui a vegliare sul corpo di Olimpia. La sua
anima dormiente sarà vulnerabile come il corpo. Abbiatene cura.
Aspetteremo la notte, solo allora potrai sfidare Morfeo. L’unica
legge nel suo mondo è che tutto cessa quando il sogno finisce…eccetto
la morte di chi osa sfidarlo-
Marte annuì col capo poi propose -Forse è il caso che
sia io ad accompagnarla. Se Morfeo dovesse essere in vantaggio, potrei
intervenire e evitare il peggio. Tu sorella, non uccideresti neanche
una mosca nel tuo sidro-
-Marte ha ragione, vorrei che tu stessi qui con me- disse Xena -Marte
è il dio della guerra…- concluse la principessa guerriera.
Venere si rattristò vedutasi sottovalutare cosi apertamente.
Olimpia si alzò di scatto e le andò in contro abbracciandola.
-Venere ti ringrazio. Ma vorrei tu stessi qui a badare a Xena. So
che ce la puoi fare. Io sarò sempre in contatto con voi tramite
Marte, non mi perderete per un solo istante, e quando tornerò
con la ragazza, voglio trovarti qui tutta raggiante ed euforica come
sei sempre, perché il tuo sorriso mi da tanta forza e poi,
con un tocco di dita, mi farai trovare un bel bagnetto pronto che
ne dici?-
Venere sorrise e strinse l’amica -Sarà fatto-
Olimpia la strinse ancora un po’.
-Non ci vedo ma ci sento- commentò dal letto, lentamente e
a voce profonda, la guerriera.
- E dai Xena, non te porto mica via!-commentò ironica la dea.
- Ma che ci troverete in lei?- sussurrò a bassa voce il dio
-Non ci vedo ma ci sento Marte, attento a te- commentò Xena.
Olimpia si sciolse dall’abbraccio e, poggiandosi le mani sui
fianchi, arricciò il naso in direzione di Marte.
Il dio alzò le mani in segno di resa poi disse -Meglio andare,
è già pomeriggio inoltrato. Lasciamo riposare questa
musa delle carinerie e troviamoci qui al calar della notte-
Tutti annuirono e le due divinità si congedarono sparendo nei
loro fasci di luce.
Agesandro, rimasto zitto fino a quel momento, alzò un dito
e chiese -C’è qualcosa che le storie su di voi non dicono,
ma che io dovrei sapere?-
Xena e Olimpia risero -Siamo amici di vecchia data, noi abbiamo salvato
loro dalla caduta dell’Olimpo e loro salvano noi quando capita-
informò Xena
-Non credo si riferisse a quello…noi siamo anime gemelle Agesandro-
chiarì la barda
-Ah…anime gemelle…allora…beh, ci vediamo più
tardi. A dopo- e scomparì imbarazzato dietro la porta.
Rimasero sole nel mutismo dello spazio attorno a loro. La barda chiuse
gli occhi.
-Ora sono come te, nel buio- disse
-Chiudi le tende per favore, poi siediti qui vicino a me e raccontami
una storia- ordinò Xena con un filo di voce.
Olimpia obbedì chiedendosi a cosa sarebbe servito chiuderle
visto che non poteva vedere.
Quando si sedette, accolse la guerriera tra le sue braccia.
-Che cosa ti devo raccontare?- domandò
-Fammi vedere coi i tuoi occhi cerulei, raccontami com’è
la luce in questa stanza, raccontami i tuoi movimenti. Ti voglio immaginare
prima di lasciarti andare in quel regno-
-Hai paura?-
-Questa volta sì-
-Hai paura solo perché non potrai combattere fisicamente-
-Ho paura di non vederti tornare-
-Xena, noi siamo anime unite dal destino. Niente ci separerà!
Io tornerò e tu mi vedrai con i tuoi stessi occhi-
-Troverò il modo per aiutarti-
-Solo se sarò in grave pericolo. Tu hai già rischiato
abbastanza-
-Darei la vita per te-
-L’hai già fatto…e non mi hai reso per nulla felice.
Lascia fare a me; ma non pensiamo a queste brutte cose…ti racconto
una storia…-
Xena sorrise e poggiò la testa sulla spalla della compagna.
Respirò profondamente e si preparò all’ascolto.
La tenda pesante e malconcia rabbuiava la stanza, sembrava già
la luce della sera subito dopo il crepuscolo. Il piccolo alloggio
era stato riscaldato dal respiro di ospiti da poco dileguatesi. Uno
spiffero primaverile fischiettava una melodia tranquilla, come una
nenia; la barda sussurrava parole dolci nell’orecchio della
compagna, raccontandole una loro avventura arricchita di tenerezze.
Xena rideva e si lasciava cullare dal corpo dell’amica su cui
poggiava.
La mano nella barda scivolò sui ganci dell’armatura sbloccandoli.
Alleggerì il corpo dell’amica privandola della ferraglia
e poi del cuoio…e poi del lino…la storia proseguiva con
le parole sussurrate con sempre meno fiato e più respiro direttamente
sul collo della principessa guerriera che molle si lasciava condurre
dalla compagna. Le labbra sulla pelle scandivano ogni singola parola
pronunciata da Olimpia che continuava a raccontare avviandosi alla
fine del racconto mentre la guerriera si lasciava condurre dalla barda
in posizioni più comode.
-E fu così, che anche quella volta, il pasto fu servito…
senza rimetterci…il tegame- concluse la bionda stendendosi accanto
alla compagna.
-Mi hai fatto venire fame- commentò Xena sfiorando il volto
dell’amica
-Hai freddo? Hai la pelle d’oca- notò la barda apprestandosi
a coprire il corpo dell’amica con il lenzuolo.
Xena rispose avvinghiando teneramente la compagna. Poggiò il
suo naso sulla fronte tiepida dell’altra. Odorò il profumo
della pelle imprigionandolo in se.
-Ho proprio fame- disse la guerriera… ed anche Olimpia spari
sotto il bianco del lenzuolo.
CAPITOLO
IX
Alla porta un
pugno chiedeva il permesso di entrare, ma non otteneva nessuna riposta.
L’oste, preoccupato accostò l’orecchio al legno
e non sentì alcun rumore.
Pensò che le due stessero già dormendo e quindi bussò
con più forza.
Finalmente un rumore all’interno della stanza fece capire al
locandiere che poteva entrare. Spinse pian piano la porta e lasciò
scivolare all’interno della stanza due vassoi carichi di vettovaglie.
-Non volevo disturbare il vostro sonno, ma mi è stato dato
ordine di portarvi cibo e bevande quando la luna si sarebbe alzata.
Buon pasto e buona notte- e richiuse la porta senza neanche mostrare
il naso nell’alloggio.
-Deve essere stato Agesandro, beh meglio, mi rifocillerò prima
di partire. Ti porto il vassoio e ceniamo va bene Xena?-
-Si grazie, meglio darsi una sistemata prima che arrivino gli altri-
consigliò la guerriera
-Ok capito, ora ti rimetto l’armatura-
Olimpia poggiò i vassoi sulle seggiole lignee, poi raccattò
gli indumenti sparsi e si avvicinò al letto per sistemare l’amica.
Proprio mentre si apprestava a rivestirla, un bagliore violaceo la
invase
-Per il fuoco di Vulcano!- esclamò Marte a bocca aperta davanti
alla scenetta che gli si presentava
-Per il cielo! Ragazze, un po’ di contegno!- commentò
divertita Venere mentre con uno schioccar di dita portava tutto alla
normalità.
-Se tu imparassi ad avvisare il tuo arrivo, forse non capiteresti
in certe situazioni private- commentò un po’ scocciata
Xena verso Marte
-Bae..bah..beh..- fu tutto ciò che riuscì a proferire
il dio dall’alto della sua potenza.
-Bu bu settete? Ma che stai dicendo Marte! Ma lasciamo stare; che
ci fate già qui? Si è appena alzata la luna- domandò
Olimpia indaffarata nel portare i vassoi sul letto.
-Olimpia- iniziò Venere -Come tu ben sai, Morfeo dona sogni
in qualsiasi momento della giornata. Ma per sfidarlo nel suo regno
bisogna rispettare la ciclicità degli eventi, e il sonno…viene
di notte…beh, sempre che non si faccia altro- sghignazzò
-Prosegui e pensa i fatti tuoi- commentò bassa Xena.
-Hem, bene; Avrai tutto il tempo che va dal sorgere della luna al
suo calare per batterti con lui. Abbiam pensato che farti partire
un po’ prima sarebbe stata la cosa migliore da fare per guadagnare
tempo sul combattimento. È un osso duro- concluse la dea
-Finisci il tuo pasto saluta, la tua amica ed andiamo. Prima ci leviamo
di torno quello scocciatore e prima potremmo tornare a vivere notti
tranquille- commentò il dio della guerra con tono di sfida.
Bussarono alla porta, gli dei si guardarono e si resero invisibili
ad occhi estranei da quelli delle loro amiche.
Una voce chiese il permesso di farsi avanti. Era una voce nota: anche
Agesandro si era presentato in anticipo all’appuntamento.
Xena ed Olimpia all’unisono lo invitarono ad raggiungerlo ed
egli entrò un po’ timoroso. Capito chi era, le due divinità
si resero manifeste anche ai suoi occhi
-Per gli dei!- esclamò senza fiato il ragazzo
-Per noi cosa? Ma non c’è un altro modo di esplicare
il proprio stupore, sempre che ci nominate invano, ti piacerebbe se
ogni volta che qualcosa colpisse, tutti esclamassero “ per Agesandro!”
?- borbottò Venere. Era ovvio che era nervosa per la sua amica.
-Non credo mi ci abituerò mai, scusatemi- dichiarò il
guerriero.
-Non sono queste le cose per cui alterarsi. Olimpia ha concluso il
suo pasto. Sorella, prepariamoci al rito- informò Marte
-Ed io che faccio?- chiese Agesandro
-Stai a guardare, come me…beh, io starò a sentire- disse
delusa Xena
-Io so che anche nell’altro mondo tu sarai accanto a me, e so
che se mi penserai intensamente potrai anche vedermi. Non preoccuparti
Xena, non ho intenzione di prolungare il soggiorno nel regno di Morfeo.
Qualche oretta di cervelli attivi e vedrai che risolverò tutto-
rassicurò Olimpia, poi continuò -Che devo fare?-
-Stenditi accanto a Xena e chiudi gli occhi, Xena per favore, non
devi toccarla finchè il rito non è concluso- ordinò
Marte.
Olimpia obbedì e Xena si accosto alla parte più estrema
del letto per far stare comoda la compagna.
Agesandro si accomodò su una delle seggioline legnose e stette
ad osservare.
Marte e Venere si portarono al limite del giaciglio e imposero le
mani sull’amica. Con gli occhi chiusi mormoravano velocemente
parole che gli altri non riuscivano a capire; dalle loro mani un bagliore
verde illuminò il corpo immobile della regina amazzone.
Venere aprì gli occhi e si voltò verso il fratello.
Marte non c’era più e con lui, se ne era andata anche
l’anima di Olimpia.
-Ha funzionato. Sono nell’altro regno. Tra poco Marte si metterà
in contatto e i racconterà tutto. Non temete. Xena ora puoi
anche stringere la mano ad Olimpia. Per ora è un solo un corpo
immobile, ma sono certa che con il legame che c’è tra
voi, la sua anima ti sentirà vicina e le darai forza- disse
Venere soddisfatta del suo operato.
Si sedette e si mise ad aspettare con gli altri.
-E cosi sei tu
la fanciulla che crede di potermi battere. Ingenua creatura- sussurrò
Morfeo comparso alle spalle di Olimpia.
Erano in un mondo completamente grigio: niente vegetazione o forme
di vita. Solo grigio.
-Il mio mondo non ti piace? Te lo immaginavi diverso? Così
forse?- domandò il dio e chiudendo delicatamente il pugno destro,
ruotato il polso dirigendo il palmo all’esterno e riaprendo
la mano, fece apparire una folta vegetazione con una cascatella.
-Voi umani. Ipocriti balocchi. Ci supplicate per ogni balordaggine
e ci siete devoti come il cane al padrone che gli lancia l’osso.
Ma quando siete sazi, vi dimenticate chi vi ha nutrito ed esigete
di tornare sui vostri passi. Siete delle nullità e credete
di poter sfidare un dio come si sfida una pecora nel giorno della
tosatura. Pensi veramente di riuscire anche solo a scalfirmi? Credi
di essere cosi furba da vincere nel mio mondo? Lo so che sei qui su
consiglio dei miei cari amici ma credo che siano stati cattivi suggeritori.
Altea rimarrà qui con me, come da contratto-
-Sei bravo a parlare, ma forse un po’ meno a leggere: il contratto
stabiliva che tu avresti privato la ragazza di un anno della sua vita
per ogni mese in cui rivedeva il padre. Hai cambiato le carte in tavola…chi
è qui il più meschino?-
-Oh, la fanciulla ha fegato da vendere…ma d’altronde,
l’ha cresciuta la “valorosa principessa guerriera”!
A proposito, come stanno i suoi meravigliosi occhi ghiacciati?- sghignazzò
malignamente il dio ed assunse le sembianze di Xena imitandola nella
sua cecità mentre, a tastoni cerca di raggiungere l’amica.
-Non mi intimorisci con questi trucchetti- rispose la barda mutandosi
in Agesandro.
-Il corpo che vedi è quello di un ragazzo che darebbe la vita
per riavere la sorella. È un uomo che la ama incondizionatamente
e dovresti prenderlo da esempio. Non è un contratto che fa
ricambiare il sentimento- affermò la barda.
-Non è un contratto che fa ricambiare il sentimento- scimmiottò
l’altro assumendo le sembianze dell’amazzone, poi continuò
-Xena? Oh Xena, sei la persona che più stimo in assoluto ma
devo proprio dirtelo: mi tratti peggio di un cane- finse di piagnucolare,
il dio, mentre si portava le mani agli occhi simulando di asciugare
qualche lacrima
-Sei patetico- affermo decisa Olimpia impugnando i sais.
-No dolcezza, TU sei patetica- ribatté Morfeo scagliandosi
sull’amazzone di cui ancora possedeva le sembianze.
I due iniziarono a duellare fisicamente.
-Allora, com’è battersi contro se stessi?- domandò
allegro il dio mentre infliggeva colpi di sais dritti al ventre della
barda che però li parava magistralmente
-Un ottimo allenamento per cogliere i miei punti deboli!- affermò
l’altra decisa
-Tu hai un solo punto debole!- esclamò Morfeo mutandosi nuovamente
in Xena e facendosi trafiggere.
-Hai appena inferto un bel colpo anche alla tua amichetta lo sai?-
disse dolorante il dio mentre si accasciava a terra nel suo sangue
-No…non…è possibile!- balbettò Olimpia lasciando
cadere i sais.
Marte, che fino a quel momento non era intervenuto, si accosto rapidamente
alla barda e le sussurrò nell’ orecchio -Non credergli
lui rimane immortale e non ha legame con le persone di cui assume
le sembianze, lo dice solo per intimoriti e ricorda che questa è
una gara di cervelli, usa la testa e non la forza!- quindi sparì
esattamente come era venuto.
Olimpia strinse i denti, alzò la testa verso l’altro
come per richiamare tutte le sue forze e, mentre Morfeo, falsamente
agonizzante, cercava di suscitare la sua pena per poi finirla, venne
circondata da un alone violaceo. Quando riabbassò lo sguardo
e lo puntò sul nemico i suoi occhi erano illuminati di azzurro
e i suoi capelli volteggiavano come se mossi da un continuo flusso
d’aria.
Morfeo riprese le sue sembianze e, con sguardo interrogatorio, fissava
la nemica.
-Devi resistere,
Marte mi fa sapere che Olimpia ha capito come funziona e ora si è
staccata dalla corporeità: è diventata la pura essenza
della forza interiore. Se riesce a battere Morfeo prima che sia troppo
tardi allora questa ferita non lascerà neanche un segno e il
dolore finirà subito, ma tu devi stringere i denti, forza Xena!-
incoraggiava la dea mentre con una mano teneva saldo una stoffa impregnata
del sangue della guerriera: la ferita che Olimpia aveva inferto a
Morfeo nelle sembianze di Xena, si era ripercossa sulla vera principessa
guerriera.
Fortunatamente Marte aveva taciuto la verità sul sortilegio
fatto da Morfeo e aveva stimolato Olimpia a reagire lasciando perdere
le sembianze umane, evitando cosi anche danni ad altre persone.
Era un trucchetto che il dio del sogno usava spesso e Marte e Venere
lo sapevano. Non avevano avvisato Olimpia per paura di bloccare ogni
sua reazione, sapevano quanto la violenza a terzi non andasse a genio
al bardo di Potidea.