PROLOGO
Le mura d’Atene
s’illuminavano piano al sole che, da est, tingeva la pianura
dell’Attica di sfumature pastello.
La vita nella città si riprendeva piano piano, a partire dalla
piazza del mercato, che si stava riempiendo di persone, animali e
cose.
Xena, già in piedi come sua abitudine, osservava l’andirivieni
concitato dei mercanti dalla finestrella della camera della locanda
in cui lei e Olimpia avevano trovato sistemazione per la notte.
Tutta città sembrava in fermento. Xena rifletté: non
le aveva fatto la stessa impressione vitale la sera prima, quando
lei e la sua compagna erano giunte alle porte di Atene, dopo parecchi
giorni di viaggio. Le era parso di scorgere sgomento negli sguardi
delle guardie addette all’apertura delle porte cittadine, ma
aveva pensato che fosse solo la sua immaginazione. Eppure, era certa
d’aver fiutato nell’aria il sentore della paura: sapeva
riconoscere, per esperienza, la tensione che si fa palpabile poco
prima che un dramma abbia inizio. La guerriera sorrise a se stessa:
stava diventando una filosofa… Le sovvenne una delle frasi che
sua madre soleva ripeterle: “La saggezza avanza con l’età.”
Scrollò debolmente le spalle, scostandosi dalla finestra. Forse…
Forse stava davvero invecchiando, ma la cosa non la preoccupava più
di tanto! S’incamminò verso il centro della stanza e
stette pacificamente a rimirare Olimpia, che dormiva profondamente,
il corpo mollemente abbandonato tra le coperte, la pelle chiara ambrata
dai raggi del sole nascente che filtravano dalla finestra. La guerriera
passò lentamente lo sguardo su tutta la silouette dell’amica,
il cui respiro regolarmente cadenzato era perfettamente udibile, pur
nel frastuono che andava man mano aumentando nelle vie cittadine.
Xena pensò con piacere alla bella giornata che stava attendendo
il bardo. Durante tutto il viaggio verso Atene, Olimpia era stata
euforica al pensiero che avrebbe rivisto il suo vecchio compagno d’Accademia:
Omero.
La ragazza aveva sentito cantare dagli aedi molte sue composizioni
e tanto aveva fatto e detto che Xena alla fine aveva acconsentito
ad accompagnarla in Attica, per incontrarlo.
- Sveglia dormigliona! - la guerriera scosse gentilmente l’amica,
come sempre sprofondata in un sonno di pietra.
- Mmm… Non ora Xe… - Olimpia mugugnò con la voce
impastata di sonno, voltandosi sull’altro fianco.
La guerriera sorrise e, sdraiandosi a sua volta sul letto, avvicinò
le labbra all’orecchio della giovane. Con la mano scostò
leggermente una ciocca bionda che ricadeva davanti al padiglione e
con voce suadente sussurrò: - Olimpia … Faremo tardi…
C’è mercato… Gli affari migliori si fanno al mattino…
-.
- Affari??? - Olimpia si mise a sedere con uno scatto improvviso,
tale che Xena fece appena in tempo a spostarsi di lato per non essere
travolta. Istantaneamente sveglia e vigile la ragazza si alzò
e, meccanicamente, si sciacquò il viso con l’acqua contenuta
in un bacile di metallo.
- Affari… - ripeté fra sé con aria estatica, mentre
si vestiva velocemente.
Dal letto Xena la guardava divertita: aveva pronunciato la formula
magica, l’unica in grado di schiodare Olimpia da qualsiasi situazione
di stallo.
Oltre al richiamo del cibo, le compere erano l’unica cosa degna
d’attenzione per il bardo e Xena lo sapeva più che bene.
Alzandosi, Xena lasciò alcuni denari sul letto: - Bene. Dopo
colazione ti lascerò libera di scorazzare per il mercato finché
t’aggrada: io porto i cavalli dal fabbro per una nuova ferratura,
cerco una sistemazione per loro in qualche buona stalla e…
- Xe! I soldi sul letto! - Olimpia gridò improvvisamente, interrompendola,
con l’aria di aver visto un fantasma.
La guerriera le rivolse uno sguardo tra l’interrogativo e lo
stupito. - E perché? Non sono sporchi… - raccolse incuriosita
una moneta dalle coperte e se la rigirò tra le dita, - E neppure
falsi. - concluse, seriosa. Lanciò il dischetto metallico al
bardo che lo afferrò al volo.
- Ma no, Xena! Che hai capito?! In Italia ho sentito dire che porta
sfortuna lasciare i soldi sul letto… -
Xena alzò gli occhi al cielo in atto di rassegnazione. - Olimpia…
Non dirmi che credi…? - davanti allo sguardo risoluto dell’amica,
la guerriera sorrise, - Lasciamo perdere, è meglio… Senti,
mentre fai compere io spiccio le faccende che t’ho detto e poi
vado a contrattare il prezzo per il nostro imbarco. - si sistemò
l’armatura parlando, del tutto incurante dello sguardo trasalito
della compagna.
- I… Imbarcarci??!! - gemette Olimpia.
La guerriera si voltò: un sopraciglio inarcato all’inverosimile
sottolineava la sorpresa davanti all’esclamazione del bardo.
- Non dirmi che anche quello porta male! E comunque, sì, per
l’isola di Thira. Non ricordi? Autolico ha appena acquistato
una villa lì, con tanto di vigneto: ci è arrivato l’invito
all’inaugurazione qualche giorno fa… - Xena si sistemò
la bisaccia a tracolla.
- Ma Xena… Navigare… Di nuovo? Già il viaggio verso
Lesbo non è stato dei più piacevoli. Pensavo avesti
risposto che non potevamo:
non è il compleanno di Toris tra qualche giorno? - il bardo
assunse un’espressione affranta.
- Tra cinque mesi, Olimpia. Faremo tranquillamente in tempo a tornare
e goderci la festa di compleanno ad Amphipolis. - Xena sorrise, certa
di aver messo a tacere la ragazza.
- Ma Xena… - Olimpia riprese senza demordere, - E se il viaggio
ci portasse via più tempo del previsto? E se non arrivassimo
in tempo? Toris s’offenderebbe… Sai che non è bello…
-
- Non preoccuparti. - tagliò corto la guerriera appoggiando
ambedue le mani sulle spalle del bardo. - Faremo in tempo. - Sorrise.
- Quel che è promesso è promesso e, se non erro, anche
tu avevi dichiarato di voler partecipare all’inaugurazione e
non eri sotto l’effetto del pane alle noci, giusto? - le strizzò
l’occhio con fare malizioso.
- Mi arrendo. - cedette Olimpia. - Ma non sono del tutto d’accordo.
Quindi, per convincermi completamente, ho bisogno di una razione extra
di compere… - ammiccò la ragazza.
- E sia. - accettò Xena con compiacenza, - Ecco qualche soldo
in più. Comprati un abito leggero ma lungo: a Thira fa caldo,
sì, ma tira un vento forte e fastidioso. -
- Va bene. - sorrise felice Olimpia, - Ricorda che, dopo il mercato,
vado in visita da Omero. Mi ha mandato a dire che m’attende
per il pranzo. -
- Sta bene: ci vediamo nel tardo pomeriggio. Prima di partire voglio
farmi un bel bagno: ho chiesto all’oste di preparare la vasca
grande. Per due persone. Penso che t’interessi… - Xena,
già sulla soglia, si voltò e rivolse uno sguardo ammiccante
all’amica.
- Mmm… - soppesò Olimpia, guardando di sottecchi l’amica
- Bella idea Xe… A patto che si possa usare l’olio di
rose che abbiamo portato dall’Italia: lascia la pelle così
morbida… - il bardo infilò le monete nel proprio sacchetto
appeso alla cintola.
Xena sorrise e annuì.
- Ci vediamo più tardi! - Olimpia sorrise a sua volta ai due
occhi che la osservavano attenti e divertiti.
- A più tardi. Non spendere troppo, mi raccomando… -
le gridò bonaria la guerriera, già all’inizio
delle scale.
- Sai che sono morigerata! - rispose la ragazza, - Quando voglio…
- quest’ultima frase la sussurrò ridendo e soppesando
la borsa delle monete con la mano.
Uscita dalla locanda, Olimpia imboccò subito la via che portava
al mercato, unendosi al flusso di gente che s’avviava nella
medesima direzione.
Giunta nella grande piazza d’Atene, s’immerse nei colori
e nei profumi, fermandosi continuamente tra le bancarelle, tastando
con mano la consistenza delle stoffe, contrattando coi mercanti, osservando
con fare critico il banco dell’armaiolo e buttandosi a capofitto
su quello del venditore di pergamene.
Quando ebbe acquistato, a malincuore a dire il vero, ciò che
serviva per il viaggio a Thira, si lasciò attrarre dalla bancarella
del venditore di profumi e spezie. C’era qualcosa nelle essenze
che impregnavano l’aria che le ricordava Xena. Tutte queste
fragranze colpivano il suo olfatto, scatenandole nella mente una ridda
d’immagini che arrivavano all’improvviso, come scoperte
nei meandri della sua memoria e ripescate dal potere dei profumi.
Muschio… Ed ecco Xena che, china su di lei, la risveglia nel
mezzo del cerchio di fuoco di Brunhilde.
Cuoio… Xena ha appena indossato l’armatura…
Sandalo… Xena la invita a galoppare con lei su Argo…
Cardamomo… Xena corre ad asciugarsi accanto a lei dopo una nuotata
nel lago…
- Signorina! - la ridestò d’un tratto il mercante, -
In cerca di un buon profumo per ammaliare il suo promesso sposo? -
le sorrise cordialmente, mostrando una bocca sdentata che Olimpia
trovò molto grottesca.
- No… - rispose la ragazza divertita dall’insinuazione
e ancora un po’ trasognata, - Niente promesso sposo. Anche se
il profumo è per una persona speciale, molto speciale…
- completò, assaporando l’aroma intenso del glicine da
un’ampolla.
- Ah sì………? - chiese l’uomo, col chiaro
intento di scucire qualche informazione alla giovane restia.
- Sì, beh… Xe… Hem, la mia amica, questa…
persona, appunto… Dicevo: la mia amica non ama particolarmente
imbellettarsi o ricoprirsi di fronzoli, ma adora i bagni caldi, meglio
se con qualche essenza dentro… Quindi io… Ho pensato…
- si schiarì la voce, - Vorrei farle un regalo: è da
parecchio che non gliene faccio uno… -
Il mercante s’avvicinò alla ragazza con fare suadente
e un po’ untuoso. - E sentiamo, questa bella ragazza saprebbe
indicarmi come aiutarla? - Olimpia non riusciva a staccare lo sguardo
da quei pochi denti storti e neri, infissi come per miracolo nella
bocca del venditore.
- Certo. Qualcosa che sappia di dolce… e tenero… E che,
contemporaneamente, dia un’impressione di forza. Come lei…
- abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente, - Non so se un
profumo del genere esista, ma sarebbe perfetto per lei… - sorrise
alle proprie mani che giocherellavano con una boccetta di vetro.
- Non è un profumo, - le disse l’uomo mentre spariva
dietro una tenda, riapparendo pochi istanti dopo con un sacchetto
di pelle tra le mani, - ma può fare al caso suo. E’ una
polvere che arriva direttamente dall’Egitto. Si dice che Cleopatra
stessa la preferisse ad ogni altra essenza e, talvolta, la facesse
aggiungere al suo bagno di latte quotidiano… -
- Cleopatra? - chiese Olimpia incuriosita. - Cleopatra VII, intende?
-
- Proprio lei, l’amante di Marc’Antonio. Ma lei è
troppo giovane, signorina, per sapere certe cose, ne sono passati
di anni da quando quei due sono morti! Eh… Gran bella donna!
Dicono che praticamente tutti ne fossero innamorati e che non si riuscisse
a resisterle a lungo: se lei decideva di conquistarti era sicuro che
ci sarebbe riuscita nel giro di poco tempo… - l’uomo chiuse
gli occhi, rapito dalle sue stesse parole.
Olimpia fece scorrere le dita intorno all’imboccatura dell’ampolla
che teneva ancora tra le mani e mostrò al venditore un sorriso
tirato.
- E così, - riprese la ragazza, un po’ stizzita, - tutti
sapevano che Cleopatra e Antonio erano amanti… -
Il mercante la guardò, incuriosito da quel repentino cambio
d’umore.
- Beh, ma certo! I maligni ancora oggi insinuano che Cleopatra non
fosse realmente innamorata, ma le sue fossero solo mire espansionistiche,
solo politica, insomma… -
- Sì. - intervenne Olimpia secca. - Penso che abbiano ragione:
non credo che Cleopatra avesse perso la testa per quel romano. -
L’uomo la guardò di sbieco. - E com’è che
questa bella signorina sa tutte queste cose? Lei non era ancora nata:
saranno passati ventisette o ventotto anni dalla battaglia di Azio.
* -
*
Come tutti saprete, né Cleopatra né Marc’Antonio
morirono ad Azio, ma il tf sostiene questa tesi (almeno per il secondo),
per cui ho seguito la versione di Tapert & Co.
Olimpia si accorse solo allora di aver messo il piede in fallo e s’affrettò
a cambiare discorso. - Che mi diceva del profumo di Cleopatra? Non
ne ho mai sentito parlare prima… -
- Come spiegavo, non è un profumo. Si deve impastare questa
polvere con un po’ d’olio o di latte e se ne ottiene una
crema da spalmare sul corpo. La regina la usava per aumentare il proprio
fascino ammaliatore: uno degli ingredienti ha potere afrodisiaco…
Annusi e mi dica che ne pensa. - ciò detto, allungò
il piccolo sacchetto di pelle e ne sciolse i legacci proprio sotto
il naso di Olimpia.
- Percepisco il gelsomino… - sussurrò la giovane.
- Vedo che conosce l’Oriente! E’ vero: parte del prodotto
è gelsomino, e viene proprio dal Celeste Impero. - il venditore
le sorrise, ammiccante. - La sfido a riconoscere l’altro ingrediente,
però… -
Per quanto si sforzasse, Olimpia non riuscì a ricollegare il
vago polverio che percepiva alle narici con un’erba o una corteccia
o un minerale conosciuto.
- M’arrendo! - disse sorridendo al mercante.
- Effettivamente è un ingrediente particolare. La leggenda
vuole che sia un frutto portato dalle navi fenicie da un loro viaggio,
un viaggio al di là delle Colonne d’Ercole! Incredibile,
eh? - rivolse un sorriso malizioso ad Olimpia, che però non
reagì secondo le aspettative del venditore.
- Dopo tutto ciò che ho visto e sperimentato nella mia vita,
so per certo che non esiste nulla di incredibile, buonuomo, mi creda.
-
- Beh, - riprese l’uomo, spiazzato, - mi dia retta quando le
dico che io non ho mai sperimentato nulla del genere in tutta la mia
vita da spezierie. Neppure quando lavoravo alla corte di Minosse.
-
- Lei è cretese? - chiese gentilmente Olimpia.
- Fortunatamente no. - rispose schietto l’uomo. - Gli dei abbiano
pietà di chi è nato nella terra in cui gli uomini si
uniscono ai tori… - la voce era quasi un soffio.
- Cosa….? - s’incuriosì il bardo.
- Nulla. - tagliò corto il mercante, - Piuttosto, se dovesse
acquistare questa polvere, si ricordi di non toccarsi gli occhi né
la bocca dopo averla armeggiata: si lavi abbondantemente le mani e
le deterga con un po’ di cenere. In caso contrario, tutto le
brucerebbe indicibilmente. -
- Ma non deve potenziare il fascino? - chiese perplessa la ragazza.
- Su un amante, l’effetto è diverso. Ma per un’amica…
- piegò di lato il capo, fissando gli occhi in quelli di Olimpia,
scrutandola intensamente. - Basterà aggiungere la polvere all’acqua
calda e il gelsomino farà il resto. - scoccò un’occhiata
maliziosa al bardo.
- La prendo. - concluse Olimpia, frettolosamente, togliendo dalle
mani del mercante il sacchetto e riannodandone i legacci. - Aggiunga
anche, a parte, qualche essenza per il bagno: mi sto recando a fare
una visita ad un caro amico, che ha una figlia in età da marito.
Sicuramente le farà piacere qualcosa in più con cui
farsi bella per il suo promesso. -
Il mercante la guardò serio: - Oggi non è giornata per
le visite di cortesia, signorina. Soprattutto in case con giovani
fanciulle. Non è giorno. -
Olimpia non capì le stranezze di quell’uomo: pagò
e ritirò la merce, fissandosi alla cintura il sacchetto contenente
la polvere da bagno per Xena e tenendo tra le mani, in bella vista,
il regalo per la figlia di Omero. Si avviò poi di lena verso
la casa dell’amico.
Il mercante stette a guardare la ragazza bionda che spariva nella
calca del mercato e si girò verso la propria mercanzia, sospirando:
- Si caccerà nei guai… - poi, improvvisamente, come tutti
quelli attorno a lui, fu attratto dal suono lugubre del corno, proveniente
dalla porta principale della città.
L’uomo chiuse gli occhi per un momento e sospirò di nuovo:
- Ecco, sono arrivati: l’avevo detto che oggi non è giorno.
-
Olimpia si fece
largo tra gli ultimi avventori che la separavano dalla casa di Omero.
Quanta gente al mercato di Atene! Le piaceva la sensazione gioiosa
che il mercato era in grado di darle: profumi, colori, schiamazzi…
Tutto concorreva a farla sentire viva! Non era solo la possibilità
di poter concludere buoni affari, come credeva Xena, ad attrarla nelle
piazze affollate delle città, ma l’opportunità
di stare in mezzo alla gente, di sentire il contatto delle persone,
l’odore della civiltà. Le doleva ammetterlo, ma durante
i lunghi tragitti di spostamento da una parte all’altra del
Mediterraneo - e anche oltre, a dir il vero, - talvolta la solitudine
l’affliggeva e anche parlarne con Xena non risolveva il suo
malessere. Avrebbe voluto fermarsi per un po’, riposare nel
vero senso della parola, magari iniziare un’attività
insieme a Xena, o dare una mano a Tereo, alla locanda di Amphipolis,
insieme a lei… Metter su casa. Invece, fin dai tempi dell’infanzia
di Evi, le era stato chiaro che Xena non era fatta per la vita casalinga
e, pur sentendone ormai il peso, aveva accettato di condividere con
la compagna la scelta di vivere “senza fissa dimora”.
Si ritrovò davanti all’ingresso della casa di Omero proprio
mentre nella sua testa facevano di nuovo capolino tutti dubbi sulla
sua esistenza da raminga e sul significato dell’avventura iniziata
tanti anni prima con Xena.
Sorrise al battente dalla foggia leonina, mentre veloci immagini del
passato le scorrevano davanti agli occhi: sì, non avrebbe cambiato
una virgola della propria esistenza al fianco della principessa guerriera.
Era il sentimento profondo, sincero, incondizionato che provava, ricambiata,
per Xena, a darle la forza di continuare, nonostante gli acciacchi
e la stanchezza.
Batté più volte con forza il batacchio di bronzo sulla
pesante porta, finché qualcuno non venne ad aprire.
Quando l’anta si aprì, Olimpia notò con sorpresa
che ad attenderla era arrivato addirittura il padrone di casa: trovò
la cosa alquanto strana, ma la considerò immediatamente come
segno di considerazione speciale da parte di Omero nei suoi confronti.
L’uomo le apparve subito visibilmente agitato. Omero, ormai
verso la sessantina, sgranò gli occhi. La ragazza, in un primo
momento, immaginò che a causare quel comportamento fosse stato
il vedere la vecchia compagna d’Accademia immutata rispetto
all’immagine che l’uomo, sicuramente, ricordava di lei.
Poi, però, Olimpia si accorse che il vecchio portava sugli
occhi il presagio di un’incipiente cecità: più
di una volta fu certa che Omero percepisse di lei solo l’ombra,
ma non disse nulla.
- Olimpia? - chiese l’uomo, spiazzato dalla sorpresa e ancora
incerto su chi gli si trovasse di fronte.
- Sì Omero, sono io. - gli sorrise la ragazza.
Il padrone di casa aprì di più la porta e lasciò
entrare il bardo, che si guardò intorno, stupefatta ed affascinata
dal gran lusso che la circondò all’improvviso.
Si trovavano nel cortile d’entrata, al centro del quale una
fontana sprizzava allegramente acqua dai quattro amorini posti al
centro della vasca. Tutt’intorno, un fresco profumo di fiori
e lo stacco abbacinante delle fucsie in fiore, rampicanti sulla calce
bianca della costruzione.
Olimpia rimase senza fiato di fronte a quell’opulenza, anche
se apprezzò la modestia di Omero che non la ostentava né
nelle movenze né nelle parole. Era rimasto il ragazzo semplice
che aveva frequentato con lei l’Accademia dei Bardi di Atene.
- Ho lasciato un giorno di libertà ai miei servi… - disse
quasi senza scopo Omero, dopo qualche istante di riflessione. - Che
almeno loro abbiano una buona giornata… - sospirò più
a se stesso che all’ospite.
Olimpia fu attratta da un movimento furtivo sotto il colonnato.
La tenda, che nascondeva l’ingresso al gineceo della casa, s’era
mossa all’improvviso. Come se avvertito dal fruscio, Omero volse
la testa in direzione del drappo.
- Puoi venire tesoro… - disse Omero con voce ferma, - Non sono
le guardie. - mentre parlava non staccava gli occhi dal portico sotto
il quale, dopo alcuni istanti, Olimpia vide apparire una giovane,
dell’età approssimativa di quindici, sedici anni. Il
corpo snello era coperto da una leggera tunica bianca. I capelli scuri
erano stati raccolti sulla nuca in un molle nodo, dal quale alcune
ciocche ribelli s’erano sciolte, ricadendo in morbidi boccoli
sulle spalle. La fanciulla si avvicinò a capo chino e, quando
fu in prossimità del padre e di Olimpia, alzò il viso.
Il bardo rimase stupefatto dalla profondità di quei due occhi
neri, spalancati ed attenti, in continuo movimento. Le ricordarono,
all’improvviso, quelli di un cervo, che ha fiutato l’arrivo
dei cacciatori…
Omero distolse lo sguardo dall’adolescente e lo rivolse all’ospite:
- Mia figlia Ermione… - accennò un sorriso. - La mia
unica figlia… - la voce gli tremò all’improvviso.
Olimpia si ritrovò a pensare che qualcosa non tornava ai suoi
conti. Sapeva per certo che la famiglia di Omero era numerosa. Almeno
quattro figli: due maschi e due femmine. Com’era possibile che
Ermione fosse definita dal padre “l’unica figlia”?
E cosa centravano le guardie di cui i due sembravano avere gran timore?
L’arrivo di Ermione nel cortile ruppe il silenzio che si era
formato e che iniziava a gravare come un macigno.
- Perdona l’incostanza di un vecchio, Olimpia cara. - iniziò
Omero. - Prima t’invito nella mia dimora, poi ti tratto come
se fossi un’ospite inattesa e poco gradita… - piccole
lacrime s’affacciarono agli occhi spenti dell’uomo.
Ermione s’avvicinò al padre e lo prese sotto braccio:
- Padre, sei stanco e provato: facciamo accomodare la tua ospite nel
salone, vuoi? - sorrise amorevolmente a Olimpia, che ricambiò.
- Sì, - accondiscese l’uomo, - e mentre Olimpia ci racconta
cosa ha fatto in tutti questi anni, tu potresti mescere del buon vino
e servire il baklavás che so che hai preparato questa mattina…
- passò amorevolmente il dorso della mano sulle gote della
ragazza.
- Lo sai che è un piacere per me, padre. - rispose la giovane,
senza esitazione.
- Andiamo. - suggerì Omero.
Il trio entrò così nella casa, dove fu accolto da una
piacevole frescura, che Olimpia apprezzò parecchio, visto il
caldo che si faceva sempre più intenso all’esterno.
Quando Omero ebbe fatto sedere il bardo e si fu accomodato a sua volta,
Ermione scomparve verso la cucina.
- Mia figlia è uscita? - chiese trepidante l’uomo.
- Sì. - rispose pacatamente Olimpia. Sentiva che Omero stava
per scoppiare, sapeva che entro pochi istanti le avrebbe confidato
cosa opprimeva il suo cuore. Sentiva che il venirne a conoscenza non
sarebbe stato piacevole, ma avrebbe accettato comunque il fardello,
se questo avesse significato sgravare di un dolore l’amico.
- Bene. E’ meglio che non senta. - sospirò l’uomo.
- L’ho già sentita piangere troppo, in queste notti.
- silenzio. Come se avesse bisogno di raccogliere le forze prima di
proseguire, Omero si prese lunghi istanti di meditazione. Olimpia
preferì attendere che l’amico decidesse da sé
quando ricominciare.
- Avrai capito che c’è qualcosa che non va… - riprese
l’uomo, affranto. - Avevo quattro figli, Olimpia. Quattro. Ora
non me ne resta che una e anche quella mi sarà tolta tra poco.
Il mio nome è destinato a morire con me… - si portò
una mano sugli occhi e iniziò a piangere sommessamente.
Olimpia si sporse verso di lui, carezzandogli l’avambraccio.
- C’è qualcosa che posso fare? - chiese speranzosa.
- Non credo. - rispose tra i singulti Omero. - I messi di Creta sono
giunti poco fa in città. Entro breve le guardie di Egeo passeranno
nelle case dei nobili a riscuotere il debito che Atene ha contratto
con Minosse… “Ogni nove anni, sette più sette fanciulli
da mandare alla reggia” … Ed essi non fanno più
ritorno. - si coprì il viso con ambedue le mani.
- Cos… - iniziò Olimpia, ma fu interrotta dall’arrivo
della fanciulla che, visto il padre in quelle condizioni, appoggiò
frettolosamente la coppa del vino e corse ad inginocchiarsi di fronte
a lui.
- Padre… - lo implorò Ermione, - Non fare così.
La tua amica ci aiuterà… L’hai detto tu stesso:
è una guerriera di gran valore, la sua compagna altri non è
che Xena, la principessa guerriera! Ci salveranno loro da questo incubo.
- ciò detto rivolse uno sguardo disperato al bardo, in cerca
di una conferma, che l’aiutasse a sopportare la gravità
della situazione.
Continuò ad accarezzare il capo del padre, ed iniziò
il suo racconto.
- La balia me lo raccontava per esorcizzare la paura che si respirava
in questa casa, credo. - esordì con voce piatta, - Anni fa,
quando Egeo era da poco divenuto re di Atene, la piana di Maratona
era infestata da un terribile toro, che assaliva i viandanti e li
trucidava con le sue possenti corna… - la ragazza aveva lo sguardo
fisso in un punto imprecisato della parete che stava alle spalle di
Olimpia. - Nessun combattente ateniese era riuscito nell’intento
di sconfiggerlo, e le speranze stavano svanendo quando, un giorno,
comparve in città un atleta valido e possente, figlio di Minosse:
Androgeo. -
In quel momento Omero si riscosse dallo sconforto e, prese tra le
sue le mani della figlia, continuò il racconto al posto di
Ermione. Olimpia seguiva estasiata quella che, ad occhi estranei,
sarebbe potuta sembrare una valida rappresentazione da parte di due
virtuosi aedi. Invece, purtroppo, era la narrazione dolorosa di un
incubo.
- Egeo, non si sa se in buona fede o mosso da invidia, spinse Androgeo
a sfidare l’ira del toro. Il giovane si batté con tutte
le forze, ma soccombette e il suo corpo straziato fu riportato a casa
dalle navi cretesi. - il vecchio sospirò, poi fece un profondo
respiro. Riprese con voce malferma: - La reazione di Minosse fu subitanea
e crudele: inviò il suo potente esercito contro Atene e la
mise sotto assedio. Come se non bastasse, ci si misero anche gli dei,
che scatenarono pestilenze, siccità e carestie sull’Attica.
-
Olimpia intervenne secca: - E quando mai se ne sono stati fuori dagli
affari umani, quelli?... -
- Già… - incalzò Ermione tristemente.
- Egeo interpellò un oracolo, che gli consigliò di arrendersi
a Minosse, e così avvenne. Sembrava tutto risolto, invece…
- Omero s’interruppe, scosso dal pianto. Al suo posto riprese
la figlia: - Invece il re di Cnosso impose un orrido “risarcimento”,
se così vogliamo chiamarlo. Ogni nove anni sette fanciulli
e sette fanciulle dovevano partire per Creta. - rabbrividì
vistosamente. - Per non fare mai più ritorno… - terminò
con sforzo notevole.
- Ridotti in schiavitù e venduti? - chiese esterrefatta Olimpia.
- Peggio… - rispose Ermione, - Iniziarono a circolare strane
dicerie. Racconti orribili riguardanti un labirinto costruito sotto
il palazzo di Minosse… Dentro al quale si nascondeva un mostro
affamato di carne umana. Nessuno di quelli che l’avevano visto
in volto riuscì mai a tornare per raccontare la propria esperienza.
Se ne conosceva, e tuttora è tutto ciò che solo si sa
di lui, soltanto il nome: Asterione. -
- Tre figli! - urlò d’un tratto Omero, piegandosi su
se stesso, - Tre figli ho perso per la vanità di Egeo! - si
coprì di nuovo il volto con le mani e rimase così, piegato
in due, scosso dai singulti e dagli spasimi di un pianto sconsolato,
quanto per sempre inconsolabile.
Come a dare voce al silenzio del padre, Ermione riprese a parlare:
- Mia sorella fu tra i fanciulli della seconda spedizione mandata
a Creta: Egeo non s’era fatto scrupoli d’inviare alla
morte i figli altrui. I miei fratelli, più grandi di lei, partirono
alle volte di Cnosso, per liberarla. Nessuno dei tre tornò
e di loro non si seppe più nulla. Io ai tempi ero piccola…
Mi salvai per questo. - sospirò mestamente. - Ora, però,
altri nove anni sono trascorsi ed è venuto il mio tempo. -
- NO!!! - urlò disperato Omero. - NO!! Non anche lei! - alzò
lo sguardo cieco verso la ragazza al suo fianco, - Non tu, bambina
mia, non tu! -
Olimpia guardava con montante preoccupazione quella scena straziante
e decise seduta stante che avrebbe consultato Xena per cercare una
soluzione al problema dell’amico. Purtroppo per lei, non vi
fu tempo abbastanza.
Improvvisamente, si udì un battere furioso alla porta. Olimpia
si guardò intorno, mentre nella sua mente formulava velocemente
un piano d’azione.
- Aprite! In nome del re Egeo! Aprite! - la voce possente di una guardia
accompagnava i tonfi alla porta.
I tre scattarono in piedi simultaneamente. - Presto, - incitò
Olimpia, - Ermione, chiuditi nel gineceo! Non muoverti di lì
finché non se ne saranno andati! Qualunque cosa accada, non
muoverti di lì, intesi? -
La fanciulla scosse la testa in segno d’assenso e corse a rifugiarsi.
- Omero, ascolta bene. - iniziò Olimpia, - Va ad aprire e comportati
come se ti fossi rassegnato a consegnare tua figlia. -
- Cosa??? No, io… -
- Va ad aprire, ho detto! - lo interruppe Olimpia. - Fidati: forse
c’è un modo per salvare tua figlia, ma devi fare come
ti dico. Quando le guardie del re saranno entrate, chiama senza esitazione
Ermione. Io mi sostituirò a lei e mi farò portare al
porto: so che Xena si trova lì e non avrò difficoltà
a farmi riconoscere da lei. Verrà in mio aiuto, così
mi salverò e, contemporaneamente, tua figlia non finirà
a Creta. Intesi? -
Il vecchio accennò un assenso col capo e le prese le mani:
- Sei stata mandata dal cielo, grazie! - gliele baciò con trasporto.
- Non ringraziarmi, Omero: lo faccio in nome della nostra amicizia.
- gli sorrise il bardo. - Ora va: andrà tutto bene, vedrai.
-
Olimpia stette a guardare l’uomo che si avviava barcollando
verso il portone e corse nel gineceo in cui si era rifugiata Ermione
poco prima.
Una volta lì, aiutata dalla ragazza, si drappeggiò con
cura un manto intorno al corpo, facendo attenzione a nascondere i
calzari coi sais e il tatuaggio sulla schiena, coprì il capo
con un velo e si preparò ad entrare in azione.
Omero, nel frattempo, aveva fatto entrare gli uomini di Egeo. Il capo
delle guardie non sembrava affatto contento del lavoro che aveva da
svolgere. Con fare contrito si avvicinò al vecchio e, appoggiandogli
una mano sulla spalla, gli disse: - E’ venuta l’ora, Omero.
Chiama tua figlia e consegnacela. Sai che non si può fare altrimenti…
- sospirò, - Chiamala. -
Omero raccolse un po’ di fiato e scandì a voce alta e
ferma: - Ermione, piccola, vieni: è ora. -.
Olimpia uscì dal gineceo con passo volutamente incerto, tenendo
il capo chino e le mani giunte davanti a sé. Arrivata davanti
al vecchio, s’inchinò in segno di rispetto e poi l’abbracciò
con trasporto. Mentre lo cingeva gli sussurrò: - Non preoccuparti,
andrà tutto bene. - poi gli diede un bacio sulla guancia e
si staccò da lui.
Una guardia le allacciò di malavoglia due bracciali di metallo
intorno ai polsi e la condusse fuori, dove si unì ad altre
ragazze, piangenti. Olimpia udì distintamente il tonfo che
il pesante portale fece alle sue spalle, chiudendosi, ed in cuor suo
sperò che Xena non si fosse già allontanata dal porto.
di
Dori