episodio n. 13
stampa

2
3
4
5

ATTO 1

- CINQUANTA DENARI??!! Per gli dei, ma siamo pazzi? - Xena batté rumorosamente i pugni sul banco di legno di fronte a lei.
- Senti, è un prezzo onesto e sai che delle mie navi ci si può fidare… - le rispose tranquillamente l’armatore, senza guardarla negli occhi.
- Ma è un furto bello e buono! - continuò stizzita la donna, - I tuoi mercantili lasciano tutti i giorni il porto per dirigersi alle Cicladi o alle Sporadi: tu non fai altro che dare passaggi su delle bagnarole che puzzano di salamoia e li fai pagare come se ci facessi imbarcare su navi di lusso! - le nocche delle dita divennero bianche per la pressione esercitata dai pugni contratti.
- Cinquanta denari: non un soldo di meno. - l’uomo continuò imperturbabile a consultare alcune pergamene di fronte a lui. Xena si rese conto di non aver possibilità contro la testardaggine di quel mercante.
- Tieniti le tue navi: andrò a cercare qualcuno meno attaccato ai soldi di te. - gli scoccò un’occhiata di fuoco.
- Fa come credi, Xena. Ma non troverai un trasporto a miglior prezzo del mio: da quando i pirati hanno iniziato ad infestare nuovamente le coste, i prezzi sono saliti alle stelle. Te lo ripeto: la mia è una proposta generosa. -
- Tenacle, tu hai la stessa generosità del re Mida… Hai idea di quanto chiedi per viaggiare in compagnia dei tuoi barili di carne salata? Per non parlare di quella feccia che osi chiamare “ciurma addestrata”: avanzi di galera… -
- Quella “feccia” almeno si sa difendere. - la interruppe bruscamente il mercante - Non una delle mie navi è stata depredata od è colata a picco, in questi ultimi anni. E ti posso assicurare che non sempre Poseidone è stato clemente… -
- Mi duole ricordarti che Poseidone è casualmente defunto qualche anno fa… - lo incalzò Xena con piglio beffardo.
- … Sì, ne ho sentito parlare… A quanto pare è morto per colpa tua. Non ti dirò grazie né ti farò uno sconto, Xena: almeno prima potevo pregare il dio del mare di assicurare un viaggio tranquillo alle mie navi. Qualche volta funzionava... Ora invece, - guardò la donna di fronte a lui con fare astioso, - non so più a chi rivolgermi e neppure a chi dare la colpa se una tempesta mi fa perdere mezzo carico! - sbuffò rumorosamente, appoggiando le pergamene sul ripiano davanti a sé.
La guerriera alzò gli occhi al cielo in atto di rassegnazione: contro quello zuccone taccagno neppure i titani avrebbero potuto averla vinta. A meno che…
- Senti, ti faccio una proposta… - iniziò nel tono più conciliante che conoscesse: sapeva benissimo che le navi di Tenacle erano l’unico mezzo di trasporto che potesse essere considerato “sicuro” per un viaggio verso Thira.
- Non accetto baratti, Xena: hanno inventato il denaro molto tempo fa… - rispose secco ed irrisorio il mercante.
Xena respirò profondamente un paio di volte. “Calma - disse tra sé - Devo stare calma…”. Stirò le labbra in un sorriso e si sporse verso l’uomo, fissando i suoi occhi chiari nelle due iridi nere di fronte a lei.
- Le tue navi sono conosciute per essere almeno in grado di sopravvivere o scappare agli attacchi dei pirati e per questo tu fai buoni affari, giusto? -
- Giusto. - rispose l’uomo distrattamente.
- Bene. Se, anziché rischiare carichi e uomini ogni volta, le tue navi divenissero famose per aver respinto gli attacchi dei pirati, i tuoi affari migliorerebbero ulteriormente, vero? -
- Vero. - asserì l’uomo, stavolta più attento.
- Vero… E se, oltre a respingere, le tue navi fossero conosciute in tutta la Grecia per aver addirittura sconfitto i pirati, tu diventeresti il commerciante in assoluto più ricercato e faresti affari d’oro, non trovi? -
- Non… Certo, trovo, trovo! - s’affannò a rispondere Tenacle, dopo aver realizzato la portata della proposta di Xena. - Ma come… -
- Lascia fare a me: mettimi a disposizione la nave più veloce che hai, gli uomini migliori e una settimana di tempo e vedrai cosa saprò fare. - rispose trionfante la guerriera. “Olimpia non me la perdonerà facilmente… Almeno però, nel frattempo, avrà la possibilità di godersi ancora un po’ Atene e Omero e di abituarsi all’idea del viaggio…” pensò lievemente preoccupata, mentre posava uno sguardo di ghiaccio sul mercante di fronte a lei.
- Bella proposta, Xena… - iniziò l’uomo, - Ma sappi che non ho denari per pagare la tua impresa e quindi… -
- Non sono i denari che m’interessano. - lo interruppe la guerriera, - In cambio della mia, diciamo così, “prestazione”, voglio trasporto gratis per me e per chi viaggia con me, animali compresi. Qualsiasi sia la meta da me prescelta, ogni volta che ne avrò bisogno. Che ne dici? Si può fare? - sorrise suadente all’uomo che la guardava assorto, evidentemente impegnato a calcolare i pro e i contro della proposta.
Tenacle deglutì un paio di volte, poi rispose: - Si può fare… -
- Bene! - si felicitò la guerriera stringendogli calorosamente la mano.
- A patto che tu salpi stasera. - terminò l’uomo.
- E sia, - rispose Xena senza batter ciglio, - lasciami il tempo di trovare ed avvisare la mia compagna e poi partirò. -
- Affare fatto. - decretò Tenacle.
Xena uscì come un lampo e si diresse verso la stalla in cui aveva appena lasciato Argo II. Accarezzò dolcemente il muso del cavallo e, mentre lo imbrigliava, gli sussurrò all’orecchio: - Ragazza mia, torniamo di corsa in città: stasera salpo… Olimpia forse non la prenderà benissimo, ma era l’unico modo per avere un imbarco gratis! Che dici, la nostra biondina mi toglierà il saluto? - terminò, stirando le labbra in un sorriso ansioso.
Il palomino, in tutta risposta, nitrì rumorosamente e scrollò la testa.
- Già… - ponderò Xena, - Hai ragione… Mi sa proprio che Olimpia terrà il muso per un po’. - montò fluidamente in sella, - Ma che vuoi farci? A Thira ci dobbiamo andare in qualche modo… Ho fatto quel che ho potuto… - il cavallo scrollò di nuovo la testa, facendo ondeggiare la folta criniera color miele.
- Accidenti! Non ti ci mettere anche tu: è stata la prima cosa che m’è venuta in mente per sbloccare la situazione! - schioccò la lingua ed incitò Argo II, uscendo dalla stalla.

Mentre Xena lasciava al galoppo la piazza del porto, la mesta processione dei giovani in partenza per Creta giungeva allo stesso piazzale, ma da una via diversa.
Olimpia, impegnata a scandagliare tutto ciò che la circondava alla ricerca di Xena, riuscì ad intravedere la propria compagna allontanarsi ma non fece in tempo neppure ad escogitare un modo per attirare la sua attenzione.
- Maledizione… - bofonchiò stizzita. - E adesso? -
- “Maledizione” non è un termine che si addica ad una giovane di rango. - una voce maschile, vagamente canzonatoria, le giunse alle spalle.
Olimpia si voltò, indecisa se sferrare una gomitata sul naso del possessore della voce o affrontarlo a parole poco consone “ad una giovane di rango”.
Invece, fu sorpresa quando il ragazzo, poco più che ventenne, si portò un dito alle labbra, chiedendole di non parlare.
- Shttt… non dire una parola… - le sorrise benevolo, - Già qualcuno tra noi nutriva dubbi che tu fossi la figlia di Omero, benché nessuno l’avesse mai vista prima d’ora. Se ti lasci andare anche a certe affermazione, pure la più tonta delle guardie capirà che non sei Ermione. - Di nuovo le sorrise, scoprendo denti bianchissimi e perfetti.
Olimpia lo osservò attentamente: a differenza degli altri, una barba incipiente ma ben curata gli cresceva sul mento, lunghi capelli ricci e neri come la pece gl’incorniciavano il viso abbronzato, tenuto ostinatamente chino dal giovane.
- Io sono Teseo. Molto piacere. - le disse all’improvviso, con aria circospetta, tendendole la mano imbrigliata dalle catene.
Riscuotendosi, la ragazza rispose: - Piacere, Olimpia da Poteidaia… - e gli strinse la mano.
- Caspita! Che presa! - esclamò sommessamente il giovane. - Avevo ragione: ti muovi con passo troppo fluido ed hai una presa ferma e forte… Da sotto le vesti s’intravede il guizzo di muscoli tonici e ben allenati. Tu sei un’atleta, non una fanciulla che sa solo ricamare… Non è così? -
- Già. - rispose imbarazzata il bardo, - Si nota così tanto? -
Teseo fece un cenno affermativo con la testa. Olimpia si sentì in dovere di dare una spiegazione.
- Ho preso il posto di Ermione, per evitare l’ennesimo dolore al mio caro amico Omero. Ha già perso tre figli, non avrebbe resistito a quest’ultimo strazio... -
- Ma così ti sei condannata a morte: che senso ha? - la interruppe incredulo il giovane. - Noi siamo stati prescelti, ma tu eri libera di andartene per la tua strada: perché una scelta del genere? Vale così poco la tua vita? Non hai nessuno a casa, che ti aspetti, Olimpia da Poteidaia? - Teseo enfatizzò le ultime parole, puntando i suoi occhi azzurri negli occhi di Olimpia. La ragazza abbassò lo sguardo.
- Sì, c’è qualcuno… - sospirò, - Speravo appunto di trovarla qui e di affrontare con lei le guardie per rimandarvi tutti liberi alle vostre case… -
- Invece… - la incalzò il giovane.
- Invece, mentre noi arrivavamo al porto, l’ho vista partire al galoppo, diretta verso la città. Sicuramente mi aspetterà per stasera alla locanda, come da accordi, e quando inizierà a preoccuparsi per la mia assenza noi saremo già in alto mare. - sbuffò e colpì con stizza un sasso, lanciandolo poco distante. - Per gli dei! Per una volta che prendo l’iniziativa… - scosse con impotenza le catene che le serravano i polsi, la mente impegnata ad escogitare una scappatoia al pasticcio in cui s’era cacciata.
Le guardie di Egeo fecero sistemare i quattordici ragazzi in fila, uno dietro l’altro, davanti alla passerella della nave cretese. Con garbo, passarono a controllare le chiusure delle catene, lasciando qua e là parole di conforto ai malcapitati.
Giunto davanti ad Olimpia che, per necessità, teneva il capo chino, il capitano delle guardie si fermò sospirando.
- Ho sempre ammirato tuo padre, Ermione. - disse sommessamente, - Per il suo coraggio e per la sua forza. Il cielo sa quanto vorrei potergli evitare questo strazio. - sospirò, - Quanto vorrei poterlo evitare a te. - alzò il mento, posando uno sguardo ostile e fiero sulle guardie cretesi, che stavano iniziando la loro discesa dal ponte della nave. - Finirà mai questo scempio? - chiese amaramente, più a se stesso che ad Olimpia.
- Addio. - mormorò in un soffio.
- Addio… - rispose Olimpia, sempre senza alzare il capo.
All’improvviso, il bardo sentì una mano sulla spalla.
- Se sei una guerriera potresti fare al caso mio, Olimpia. - le sussurrò piano Teseo, da dietro. - Stanotte, nella stiva, quando tutti dormiranno, esci dal gruppo delle ragazze e fatti riconoscere: ti spiegherò il mio piano. -
- Ma… - iniziò Olimpia.
- Non ora. - la interruppe il giovane, - Nessuno ci deve sentire. Stanotte. - ripeté, - Nella stiva. -
I soldati cretesi presero con baldanza il posto di quelli ateniesi ed iniziarono ad imbarcare i ragazzi, spingendoli malamente su per la passerella di legno.
- Avanti, piccoli rampolli bastardi! - sibilò il capitano della nave, sfoggiando un sorriso subdolo, - Mostrate a tutti quanto coraggio hanno gli ateniesi! Comportatevi da uomini, per una volta nella vita! Non siete felici? - di nuovo deformò la bocca in un ghigno, - Andrete in visita al grande Asterione in persona! Ospiti d’onore al suo… banchetto! - tutte le guardie, nessuna esclusa, risero alla strana affermazione del capitano.
La ragazza davanti ad Olimpia scoppiò in singhiozzi, quando con una spinta rude fu fatta salire sulla traballante passerella di legno. Le guardie cretesi accompagnarono la salita della giovane con commenti lascivi e volgari.
Olimpia deglutì con forza, ricacciando in gola le parole che le si erano formate automaticamente in bocca appena udito il capitano e i suoi sottoposti. “Meglio tacere, per ora. Non mettiamoci nei guai subito. Stiamo a sentire quel che Teseo ha da proporre, prima…”, decise. Si passò le dita, alternativamente, sui due polsi, pigiando sui punti di pressione che Xena le aveva pazientemente insegnato a riconoscere e che le avrebbero permesso di non soffrire di mal di mare durante la navigazione.
“Devo restare lucida” pensò “Non posso permettermi nausea e mal di stomaco, o sarà la fine”.
Una rozza spinta sulla schiena la fece scendere pesantemente dalla passerella: si ritrovò sul ponte della nave, in mezzo a tutti gli altri.
Quando tutti furono saliti, il capitano ordinò di mollare gli ormeggi. Le vele si gonfiarono con un’improvvisa tensione a la nave si staccò lentamente dal pontile, dirigendosi verso il largo.
Olimpia osservò preoccupata la riva, che si allontanava sempre di più.
“Quando si è in ballo, si deve ballare”, pensò stizzita. “Io odio ballare da sola… Maledizione, Xena, perché non sei qui ??”.

Argo II varcò l’ingresso della città sollevando una consistente polvere rossastra. Xena rallentò l’andatura del destriero solo quando fu davanti alla soglia della locanda. Smontò fluidamente da cavallo e s’avviò a grandi passi dentro il locale, lasciando il palomino legato per le redini ad un anello infisso nel muro.
La guerriera salì a due a due i gradini che portavano al piano superiore e bussò alla porta della camera che divideva con Olimpia. Non ricevendo risposta, aprì. Tutto era in ordine, proprio come quando l’aveva lasciata quella mattina.
“Strano”, pensò, “Eravamo d’accordo che ci saremmo trovate qui nel pomeriggio, e l’ora è già passata. Dove si sarà cacciata Olimpia?”.
- Sta cercando la sua amica? Non è ancora tornata da questa mattina… - Xena si voltò e si ritrovò a poca distanza dal viso il naso paonazzo della moglie dell’oste. La donna le rivolse un sorriso sdentato e le porse una pergamena. - Questo è stato portato poco fa da un servitore. Ha detto di consegnarlo a lei, nel caso fosse tornata sola, senza la sua amica. - Osservò curiosa, mentre Xena spaccava con un colpo secco il sigillo, lasciandolo cadere a terra, e srotolava con impazienza la pergamena. - Così, quando l’ho vista arrivare al galoppo… tutta sola… - l’ostessa allungò gli occhi per tentare di capire cosa fosse scritto in quel rotolo, mentre lo sguardo di Xena s’incupiva sempre più. - Allora ho pensato: “Forse è il caso che io…” - Fu interrotta dalla guerriera che, scostatala bruscamente e senza rivolgerle la benché minima attenzione, si precipitò verso le scale e scomparve.
- Hei, hei! Che modi! Ma si può? - Si chinò a raccogliere il frammento di ceralacca caduto poco prima, - Mmm, che bel sigillo… - lo rimirò, facendolo girare tra le dita grassocce, - Chissà a chi appartiene? Che strano segno… Sembra una… Una…? Lira… Mah! - udì il nitrito di Argo II, che si allontanava velocemente, incitato a gran voce dalla padrona. - E comunque non ci si comporta così! - gridò la donna al rettangolo di luce che entrava dalla finestra affacciata sulla via.

Xena cavalcò col cuore in gola, mentre una ridda d’ipotesi si affastellava nella sua mente. Olimpia inviata a Creta come ostaggio? Ma com’era possibile? “Consegnatasi spontaneamente per salvare mia figlia…”, diceva così la pergamena? La guerriera chiuse gli occhi e scosse la testa: era troppo assurda quella situazione!
Spronò ulteriormente Argo II ed arrivò nel giro di pochi minuti davanti al possente portone della villa di Omero. Con un balzo smontò da cavallo e bussò con veemenza all’ingresso. Molti passanti la guardarono incuriositi ed anche un po’ spaventati: ebbero la netta sensazione - per altro del tutto fondata - che quella donna avrebbe potuto strappare con un sol colpo di mano il pesante batacchio di bronzo, se solo l’avesse voluto, tanta era la forza che stava impiegando per annunciare il suo arrivo.
Ermione aprì lentamente la porta, tenendosi nascosta dietro il battente perché nessuno dalla strada notasse la sua presenza.
- Benvenuta… - sussurrò alla guerriera, appena il portone si fu chiuso alle sue spalle, - Tu sei Xena, vero? - abbozzò un timido sorriso, allungando la mano pallida. - Io sono Ermione. Vieni, mio padre ti sta attendendo in casa: le troppe emozioni di oggi l’hanno spossato molto, ma ciò che è accaduto ad Olim… -
Xena le si parò davanti e le mise le mani sulle spalle. La ragazza dapprima la fissò spaventata poi, leggendo l’ansia negli occhi azzurri che le stavano di fronte, si rilassò.
- Olimpia… - iniziò Xena, - Dov’è Olimpia, ora? - non era un comando, era un’implorazione. Ermione si commosse al pensiero che quella donna, sicuramente avvezza a battaglie e situazioni faticose e spiacevoli, fosse così in pena per la propria amica da non agire affatto come una guerriera. In quel momento le appariva come le donne troiane dei racconti di suo padre, forti da sopportare anni di dura guerra ma al contempo fragili di fronte alla sorte dei loro mariti e figli caduti in battaglia.
- Dunque? - Xena scrollò debolmente la ragazza. - Dov’è? Se facciamo alla svelta, forse riesco ancora a raggiungerla. -
- Al porto… - iniziò Ermione.
- Io vengo dal porto! E non l’ho vista… - Un istante di riflessione e la guerriera realizzò: - A meno che non sia arrivata lì mentre io mi allontanavo… Avevo così fretta di tornare alla locanda… Maledizione! - Si morse il labbro, corrucciando la fronte. - Dove sono diretti? Devo organizzarmi, Ermione: dove sono diretti?? -
- Alla reggia di Minosse. - Una voce maschile proruppe dal colonnato. Xena si voltò e vide un uomo avanzare lentamente, sorretto da un giovane servitore.
- Omero? - chiese la guerriera.
- Proprio io… - il vecchio sospirò. - Sono addolorato Xena, per ciò che è accaduto ad Olimpia. Avevo sperato che lei ti trovasse, una volta giunta al porto: anche Olimpia era convinta di poterti incontrare là. - si fermò, scrutando con gli occhi semi ciechi la donna di fronte a lui.
- Non l’ho vista… - si rammaricò Xena. Poi, con veemenza: - Dimmi, Omero, come posso raggiungerla? La nave avrà già levato gli ormeggi da un pezzo, ormai. Sai dove sono diretti. Puoi darmi anche altre informazioni? Cosa troverò quando arriverò laggiù? -
Il vecchio si schiarì la voce: - Minosse ha reso praticamente inespugnabile la sua reggia e più ancora l’antro in cui si trova Asterione… Mi dispiace, non so dirti di più. - sospirò sommessamente. - Se penso che tutto questo è accaduto a causa mia… -
Xena assunse, per quanto le fosse possibile, un’espressione rassicurante. - Non preoccuparti, Omero. - sforzò un sorriso, - Olimpia è intelligente e saprà cavarsela, almeno finché non arrivo in suo aiuto. Mi fido di lei e del suo buonsenso. - guardò Ermione ed il padre, in atto di commiato. - Ora vado: prima arrivo a Creta, prima trovo il modo di entrare nella reggia e… -
- Se il padrone mi concede il permesso di parlare, avrei una cosa da dire che, credo, sia importante. - la interruppe con voce flebile il servitore di Omero.
Il vecchio aedo sorrise al ragazzo: - Ma certo, Phente, sai che puoi esprimerti liberamente… -
- Beh… Mia madre è nata a Creta. Quando ero piccolo, mi raccontava che, per poter nascondere il mostruoso Asterione, Minosse avesse fatto costruire un labirinto, proprio sotto la sua reggia. A tal scopo aveva fatto chiamare il più abile degli architetti: Dedalo. -
A Xena quel nome suonò familiare, ma non lo diede a vedere e lasciò che il ragazzo proseguisse nel racconto.
- Dopo che il progetto fu pronto e l’opera fu completata, Minosse fece accecare l’architetto e lo fece rinchiudere con la famiglia in una torretta della reggia, in modo che non potesse più scappare, né confidare ad alcuno il segreto del labirinto… -
- Cioè: come uscire una volta che vi si è entrati. - terminò Xena.
- Sì. - confermò il ragazzo.
- E’ ancora vivo, questo Dedalo? - chiese Xena avvicinandosi al portone.
- Non so… - rispose Phente, - Ma a Creta era molto benvoluto: tutti lo conoscevano… e tutti detestano Minosse per il trattamento che gli ha riservato. -
- Se è così, basterà chiedere. - affermò Ermione.
- Già, potete contarci. - concluse la guerriera. Poi, con un cenno di saluto, uscì dall’abitazione di Omero e spronò Argo II al galoppo, in direzione del porto.
- Che gli dei ti benedicano, Xena. E proteggano Olimpia dall’ira di Asterione… - sospirò mestamente l’aedo.

Lo sciabordio costante delle onde che s’infrangevano ritmicamente contro lo scafo della nave divenne un suono cupo di tamburi, il rimbombo costante di voci oranti. Olimpia aprì gli occhi e si ritrovò stesa su un altare di pietra, braccia e gambe legate alle estremità del tavolato. Il suo olfatto percepì nettamente l’odore acre del fumo. Olimpia poteva sentire il fuoco in costante avvicinamento, strisciante, insidioso, malefico.
“Dahok”, pensò con rabbia, mentre scuoteva con impeto le catene che la bloccavano sulla pietra. - No! - gridò con tutto il fiato possibile, anche se dalla sua gola non uscì alcun suono. Iniziò a dimenarsi violentemente, strattonando con tutte le forze le maglie metalliche infisse nella roccia. - Xena! - gridò, - Xenaaaa! - ancora la sua voce non si presentò all’appello.
Repentinamente, l’odore del fuoco fu sostituito da un altro. All’inizio Olimpia non lo ricollegò a nulla, ma poi il suo olfatto lo catalogò: sterco. Sterco di vacca.
La ragazza si sentì libere le estremità e, quando le guardò, si scoprì stesa su un giaciglio di paglia.
“Sono in una stalla”, rifletté il bardo. “Una stalla molto grande.” Considerò guardandosi intorno, “Molto calda e poco pulita…”, annusò ripetutamente l’aria. Le pareti, ben squadrate e scure, si alzavano verso un soffitto che la fioca luce delle torce non permetteva neppure di cogliere. Molto lontano si poteva intravedere un flebile raggio di luce filtrare da un lucernario che sembrava ritagliato direttamente nella volta celeste. Olimpia scorse, dietro l’angolo di un muro, il riflesso di un’ombra nera. - Xena? - chiamò la ragazza. Questa volta la voce fece il proprio dovere. - Xena! - pronunciò con più coraggio Olimpia.
Nulla si mosse. Olimpia si alzò e s’avvicinò alla parete. Girato l’angolo, scorse una figura, rannicchiata accanto ad un piccolo falò. Sembrava intenta a nutrirsi ma, da quella posizione, Olimpia non avrebbe potuto giurarci…
- Xena… - mormorò la ragazza avvicinandosi. La figura si bloccò ed alzò la testa. In un lampo fu in piedi: Olimpia intravide due occhi rossi che la fissavano con ira. Sentì la creatura espirare forte l’aria dal naso. Quella “cosa” gettò in un angolo ciò con cui stava armeggiando accanto al fuoco; Olimpia guardò nell’oscurità e l’orrore quasi le tolse la ragione: non si trattava di un oggetto qualsiasi, ma di un braccio! La ragazza iniziò ad indietreggiare ma, ben presto, si ritrovò con le spalle al muro. La creatura avanzò, il passo lento e deciso, sbuffò ancora, gli occhi rossi fissi nei suoi. Il cappuccio che le ricopriva il capo scivolò sulle spalle: questa volta Olimpia non poté esimersi dall’urlare…

- Nooooo! Xena! Xenaaa! - Olimpia si mise a sedere di getto, gli occhi chiusi, le mani contratte a pugno, il respiro affannoso.
- Fate silenzio, bastardi! - urlò un uomo da chissà dove.
La ragazza aprì lentamente gli occhi e, quand’essi si furono abituati all’oscurità della stiva, riconobbe il luogo in cui era stata rinchiusa insieme agli altri tredici condannati.
Qualcuno stava piangendo, non molto distante da lei. Qualcun altro, al suo fianco, si lamentava nel sonno. Olimpia si chiese se quello strano sogno fosse stato causato dal digiuno forzato, dai punti di pressione pigiati troppe volte o con troppa forza oppure… “Oppure è solo la paura… O… Una visione?”. Quest’ultimo pensiero la colpì dolorosamente. Si sforzò di ricordare cosa avesse visto sotto il cappuccio, ma le immagini non s’affacciavano alla mente.
- Olimpia… - un improvviso sussurro alle spalle la fece sussultare.
- Chi è…? Ah, sei tu Teseo. - esclamò rincuorata la ragazza. - Ho fatto un terribile sogno. Anche se aveva la nitidezza di una situazione reale… - Olimpia si sforzava di ricordare cosa l’avesse fatta urlare di paura, ma più si incaponiva a cercare quell’immagine, più essa le sfuggiva.
- Come una premonizione? - chiese Teseo. Il bardo non notò alcuna inflessione di scherno nella voce del giovane. - Hai doti di chiaroveggenza, Olimpia? - domandò serio.
- Capita… Anche se non accade a comando… Non quando vorrei, almeno. - sospirò la ragazza. - Una volta, però, è servito a salvare la vita della mia amica. E la mia con lei. - il pensiero di Xena le strinse un nodo alla gola.
- E’ la persona che speravi d’incontrare al porto, vero? - gli occhi chiari di Teseo parvero brillare nell’oscurità della stiva.
- Sì, è lei. Lei saprebbe sicuramente tirarci fuori da quest’impiccio. Se solo fosse qui… -
- Ma non c’è, Olimpia. Ci siamo io e te. - il giovane sorrise e appoggiò una mano sul braccio della ragazza. Olimpia sentì la presa forte di quella stretta: il palmo calloso, indurito dall’uso prolungato delle armi, proprio come le sue mani, da quando aveva intrapreso la sua vita da guerriera. Proprio come le mani di Xena.
- Hai ragione: non c’è. E sicuramente non vorrebbe vedermi in una situazione di stallo di fronte alle difficoltà. - tirò un lungo respiro e proseguì. - Bene. Avevi detto d’avere un piano, giusto? -
- Sì. E’ semplice. Quando saremo all’interno dell’antro in cui tengono Asterione ci nasconderemo in qualche anfratto ed attenderemo che la belva si faccia avanti… -
- Aspetta. Sei sicuro che si tratti di una grotta? - chiese la ragazza.
- Proprio sicuro no. - rispose Teseo. - Ma ho ascoltato un’infinità di racconti a riguardo e più o meno mi sono fatto un’idea di come debba essere la dimora di quel mostro. -
- Però, che io sappia, nessuno è mai tornato per raccontare come stiano realmente le cose. - lo incalzò Olimpia.
- Sì, anche questo è vero. Ma penso che non esista altra sistemazione per una creatura che si cibi di carne umana. Se fossi stato Minosse, l’avrei fatto rinchiudere in una cava, lontano da tutto e da tutti… -
- Speriamo… - disse pensieroso il bardo, - Sembrerà sciocco, ma il mio sogno non dava l’idea di una grotta… C’erano pareti in muratura… - si sforzò di ricordare.
- Magari ricordi male… - la interruppe Teseo. - Comunque, ho nascosto nei calzari un piccolo pugnale e, all’occorrenza, lo estrarrò per scassinare queste catene. - fece tintinnare il metallo avviluppato ai suoi polsi - E anche le tue. Per ora darebbe troppo nell’occhio, ma al momento giusto… Asterione non avrà scampo. -
Olimpia pensò con una fitta d’ansia che, contro la creatura che aveva visto in sogno, a poco sarebbero valsi un misero pugnale e due sais: la sicurezza infantile di Teseo sarebbe andata in briciole di fronte a quel mostro. In cuor suo sperò che l’incubo da cui si era da poco destata non fosse altro che l’effetto della stanchezza accumulata. Non disse nulla al suo compagno e lasciò che proseguisse nella spiegazione dettagliata del suo piano di fuga.

ATTO 2

- Tenacle, dov’è la ciurma che mi avevi promesso? -
- Calma, Xena. Quanta fretta! - l’armatore si sistemò il bracciale d’argento sul polso scarno. - Stanno imbarcando un po’ di provvigioni, visto che hai asserito di dover star in mare almeno una settimana. - fissò i suoi due occhi acquosi negli zaffiri della guerriera. - Ti ho procurato una ciurma d’eccezione: i più valenti ex soldati dell’Attica, della Tracia, della Cappadocia… -
- Ex mercenari, vorrai dire… - lo interruppe sardonica Xena.
- E sia. Dopotutto poco importa cosa siano o siano stati, no? L’importante è che sappiano combattere bene e non abbiano paura di vedersela con i pirati. -
- Ho intenzione di dirigermi verso Creta. - cambiò discorso la donna, con piglio autoritario.
- Verso Creta? Ma quei dannati sono stati avvistati più a nord! Così allunghi il viaggio… Xena, - il tono divenne stridulo, - ti risulta forse che i miei forzieri producano oro da soli?? Sta bene attenta che il tuo piano non diventi troppo oneroso o sarai costretta a ripagarmi lavorando per me. E non sto scherzando. Io non scherzo mai. -.
La mandibola di Xena si contrasse nervosamente.
- Non temere. So quel che faccio. - rispose la donna con voce fredda.
- Me lo auguro. - replicò Tenacle. - Va al molo. Là cerca Apollodoro: è lui il capo in seconda. - - Me lo auguro. - replicò Tenacle. - Va al molo. Là cerca Apollodoro: è lui il capo in seconda. -
Un impercettibile movimento increspò per un attimo il sopracciglio di Xena, moto che però non sfuggì all’armatore, il quale - erroneamente - lo interpretò come un gesto di disappunto.
- Sarà il tuo vice, che ti piaccia o no, Xena. I miei uomini avevano bisogno di un punto di riferimento, in fondo. Già non hanno mandato giù il fatto di dover obbedire ad una donna… - si schiarì la voce, come se dovesse trovare le parole giuste per continuare, - Anche se molti di loro ti conoscono e sanno quanto vali, è stato difficile convincerli che valesse la pena lavorare con te. - di nuovo tossicchiò.
Xena lo osservò pensierosa: era molto più facile pensare che Tenacle avesse messo Apollodoro a capo della ciurma per tenere d’occhio i movimenti della principessa guerriera che non credere alla storia del malcontento fra gli uomini. Ma l’armatore aveva fatto male i propri conti: la guerriera conosceva Apollodoro dai tempi in cui scorazzava per la Grecia col suo esercito e tutti la conoscevano come Xena la Distruttrice - o anche con epiteti peggiori, a dir il vero -.
“ Credo resterà sorpreso, il mio caro Apollo…” sorrise tra sé la donna, “Vanitoso com’è non accetterà che io sia rimasta giovane a suo dispetto! Sarà divertente…” si disse, mentre usciva dalla stanza di Tenacle e portava Argo II alla stalla. Guardò in direzione del molo ed individuò il marinaio dai capelli radi e bianchi che la stava osservando con gli occhi sgranati: Apollodoro. - Molto divertente -, sentenziò divertita Xena, incamminandosi a passo sicuro verso la nave che le era stata assegnata.

- Svelti, venite fuori di lì… Ateniesi… - sibilò con disprezzo un marinaio, allungando la mano sporca e ruvida verso Olimpia e strattonando la ragazza, senza troppi complimenti, fuori dalla stiva.
- In fila! - urlò un altro uomo, dai capelli lunghi e sporchi.
Qualcuno singhiozzò. Olimpia si guardò intorno e vide Teseo che, insieme agli altri ragazzi, s’avviava giù per la scaletta di legno. Il ragazzo intercettò lo sguardo del bardo e le fece un segno quasi impercettibile.
Da dietro iniziarono a spingere e, quando fu la volta di Olimpia di lasciare la nave, la ragazza, barcollando sulla passerella, poté osservare al di là della balaustra dell’imbarcazione l’immenso porto di Creta e la folla che s’era assiepata intorno al misero gruppo dei condannati.
Sembrò alla ragazza che nessuno degli isolani parteggiasse per Minosse: a giudicare dagli sguardi carichi di compassione e pena che si rivolgevano al bardo ed ai suoi compagni, Olimpia capì che anche i cretesi erano stanchi ed amareggiati da quello che anche per loro, ormai, doveva essere un incubo giornaliero.
- Coraggio… - qualcuno sussurrò dalla folla.
- Siate forti … - altri sussurri.
- Che gli dei vi proteggano… - Olimpia non riuscì a nascondere il proprio disgusto di fronte all’affermazione: il solo pensiero degli dei dell’Olimpo le dava la nausea. In parte, quella sciagura era proprio dovuta a loro. Dov’erano ora? Morti, per la maggior parte… E, fortunatamente, quelli ancora vivi erano troppo distratti dalle loro beghe personali per preoccuparsi degli affari umani.

di Dori

2
3
4
5

Stampa il racconto


www.xandrella.com