- No, figliolo.
Tu dovrai portare con te molte delle mie carte e sarai appesantito
alquanto. Inoltre dovrai guidarmi con il tuo fischio, sai bene che
senza vista non potrei andare molto lontano. - sospirò, - Il
mio piano di fuga sarebbe stato impraticabile fintanto che fossimo
stati in due. Ma ora… Ci sei tu Xena… - sorrise, - Si
può dare inizio alle danze, Minosse. - sibilò con ira
repressa.
- Dovremmo partire di notte. - disse Icaro, ritirandosi dalla finestra,
- Ma la luna è piena ed illumina il cielo come una torcia e
le guardie si sono accorte che c’è qualcosa che non va
e stanno allerta: ne hai uccisa una, per caso? -
Xena alzò le spalle: - Dovevo, o non sarei mai arrivata quassù…
-
- Beh, ciò che è fatto è fatto. - tagliò
corto Dedalo. - Non possiamo aspettare oltre, comunque. Non ci siamo
solo noi di mezzo, ora, e il tempo è prezioso. - sorrise comprensivo,
- Poco prima dell’alba le guardie si danno il cambio. Proprio
in quel momento, solitamente, la brezza marina che soffia da ovest
si rafforza ed è ciò che fa al caso nostro. Nel grigiore
che precede l’aurora sarà difficile distinguerci e potremo
librarci in alto, liberi… - il suo tono si fece sognante, -
Quando e se le guardie si accorgeranno della nostra fuga, noi saremo
già distanti. E comunque ci saresti tu, Xena, a distrarle.
-
- Ben volentieri. - rispose la donna seriamente. - Ma ora spiegami
come usare queste ali… - disse, avvicinandosi al vecchio, che
iniziò la sua lezione di volo.
“Strano
come i sensi, quando la paura aumenta e sembra potersi fare tangibile,
accrescano le proprie capacità e si affinino, fino a divenire
qualcosa di superiore alla portata umana, fondendosi in una sola,
grande sensazione, capace di prevedere con esattezza ciò che
accadrà, dare la percezione palpabile di quale piega prenderà
il destino che sta in attesa…” Olimpia si ricordò,
improvvisamente, di un suo vecchio racconto, quello in cui narrava
l’incontro con il Distruttore, il figlio di Speranza. Anche
in quel frangente lo sgomento aveva assunto proporzioni sbalorditive,
scardinando ogni logica ed ogni senso.
La ragazza camminava poco dietro Teseo, che reggeva la fiaccola con
mano sempre meno salda, segno che anche in lui il panico aveva fatto
presa. La matassa si srotolava lentamente tra le mani del giovane
mentre, con cautela, si facevano strada tra gli alti muri del labirinto.
Entrambi avevano sfilato le armi da sotto le vesti e Olimpia aveva
sbalordito il giovane lacerando la sontuosa veste, fino ad ottenerne
un indumento più adatto alla lotta e, nella migliore delle
loro ipotesi, alla fuga. Com’era stato loro predetto da Arianna,
lo spago era stato utilissimo: più di una volta si erano ritrovati
di fronte ad una via già percorsa e se n’erano resi conto
solo rivedendo il filo teso.
Da distanze incalcolabili erano giunte alle loro orecchie grida inconsulte
e disperate, cariche d’orrore e panico seguite e, talvolta,
superate in altezza, da versi animali che, da soli, sarebbero bastati
a togliere la ragione. La dolorosa coscienza, poi, di ciò che
era seguito alle grida, li aveva ridotti ad un silenzio forzato e
stremante, teso solo ad aumentare la loro percezione di pericolo incombente.
L’umidità si stava facendo via via più persistente,
così come il puzzo di letame che se, all’inizio, era
stato solo vagamente percepibile, ora si era fatto pungente ed impregnava
l’aria, insieme a qualcosa di non ben definito, un retrogusto
dolciastro, che s’appiccicava alla gola e mozzava il fiato.
Ad un certo punto, svoltato un angolo, Teseo inciampò in qualcosa
sul pavimento ed andò a sbattere contro un braciere, spento
chissà da quanto tempo, che stramazzò a terra provocando
un rumore notevole. Olimpia s’arrestò all’istante.
I due trattennero il fiato simultaneamente: il labirinto s’era
fatto improvvisamente silente.
“Questo silenzio non è buono…” pensò
Olimpia, tenendo saldi i sais tra le mani. “Asterione dev’essersi
accorto che qualcuno sta girando ancora in casa sua…”
Teseo le si avvicinò carponi: - Non ho visto cosa m’ha
fatto cadere… - sussurrò concitato, - Tu hai capito cosa
fosse? - cercò con le mani la torcia e soffiò sulla
brace non ancora spenta: la fiamma si rinvigorì all’istante.
- Vediamo subito… - il giovane si alzò e illuminò
il luogo in cui era caduto. La luce mostrò ciò che nessuno
avrebbe voluto vedere.
- Dei… - esclamò inorridita Olimpia, - E’ un uomo
o una donna? - si portò meccanicamente una mano alla bocca.
- Difficile a dirsi… - constatò impietrito Teseo di fronte
al corpo straziato. - Minosse… Bastardo… - sibilò
con ira.
- Andiamo avanti, è meglio. - lo esortò il bardo, -
Prima troviamo Asterione, prima finirà quest’incubo e
torneremo a casa sicuri che non si ripeterà mai più.
- strattonò per un braccio Teseo, che s’allontanò
di malavoglia dal luogo.
- Sbaglio o quella è un’apertura? - indicò Olimpia,
puntando un sai verso un minuscolo tondo, aperto chissà come
nella sommità della volta.
- Sembrerebbe… - Teseo aguzzò la vista.
- Già, - proseguì Olimpia, - Che sia l’indizio
che ci stiamo avvicinando al centro del labirinto? - sospirò,
- In teoria proprio lì dovrebbe essere il rifugio del principe…
-
- Avviciniamoci, ma stiamo attenti: potrebbe nascondersi ovunque.
- sussurrò il giovane.
- Vent’anni qui dentro… Se non fosse per la sua ferocia,
potremmo anche provare pena per lui… - concluse Olimpia.
- Non farti neppure sfiorare dall’idea, capito? - le si rivolse
con piglio autoritario il principe: - Non merita pietà, così
come non ne ha per gli altri. -
Olimpia lo guardò: - Non sto dicendo che avrò pietà
per lui, ma solo che mi fa pena. A modo suo deve aver sofferto tant…
-
- Non dirlo!! - urlò Teseo, - Quali sofferenze può provare
un mostro che arriva a fare quello che hai visto poco fa?? -
- Abbassa la voce, stupido! - lo interruppe il bardo, mettendogli
una mano sulla bocca, - Abbiamo già attirato abbastanza la
sua attenzione… -
Il ragazzo si divincolò dalla presa con un movimento brusco
e si spostò di lato, appoggiandosi pesantemente al muro il
quale, per un meccanismo nascosto chissà dove, si mosse e girò
su se stesso di centottanta gradi lungo un asse centrale, chiudendosi
poi ermeticamente e frapponendosi tra i due compagni.
- Olimpia! - gridò Teseo battendo sulla parete
- Sono dall’altra parte! - rispose il bardo, raschiando con
le unghie le fessure nel muro, nel tentativo di riattivare il congegno.
- Maledizione! - imprecò, battendo il pugno sull’intonaco
umido, - Non funziona più: siamo separati! - riprese fiato,
- Teseo, proviamo a proseguire verso il lucernario. Battiamo sul muro
e parliamoci, ogni tanto, così sapremo di non esserci persi.
-
- D’accordo! Qui c’è una torcia, come stai a luce
tu? -
- Va tutto bene, non preoccuparti. Andiamo avanti… -
L’alba si
stava avvicinando. L’aurora tingeva di foschia i contorni delle
cose, preparando la natura ad un fresco risveglio. Xena guardava dalla
finestra l’andirivieni dei gabbiani dalla scogliera vicina e
si chiedeva in cuor suo come avrebbe fatto ad emularne il volo. Robuste
fibbie di cuoio le imbrigliavano i tricipiti, le spalle, il busto
e la vita, fissandole alla schiena due possenti ali bianche, morbide
e flessuose, completamente ricoperte da fitte penne e piume vaporose.
Ad ogni movimento della guerriera, le estremità posticce rispondevano
perfettamente, sincronizzandosi precisamente con i guizzi muscolari
della donna. Xena sorrise: “Se Olimpia potesse vedermi…Altro
che l’elmo di Mercurio!”, inspirò a pieni polmoni,
alzò le braccia e gonfiò i muscoli: le ali frullarono
vistosamente.
- Eccezionale, vero? -
Xena si voltò: Icaro avanzava nella stanza con passo fluido.
Sulle spalle portava un paio d’ali simili a quelle della donna,
ma nere. Dietro di lui veniva Dedalo, lentamente.
- Sei preoccupata, Xena? - chiese il vecchio. - Non devi. Funzioneranno,
stai certa: arriverai dalla tua amica in tempo, non temere. -
- M’interessa anche che voi ve ne andiate sani e salvi da qui.
- s’avvicinò ai due, - Quando sarete distanti dalla torre,
più o meno all’altezza della scogliera, noterete grossi
scogli affiorare dall’acqua: lì ha dato fondo la mia
nave. I miei uomini ci stanno aspettando, Dedalo. Sono amici: Apollodoro,
Castore, Chiro… Anche Anàssaro faceva parte della ciurma…
- sorrise, prendendo le mani del vecchio tra le sue, - Voglio che
planiate sulla nave o che vi facciate venire a prendere sulla spiaggia.
Voglio che siate salvi al mio ritorno, intesi? -
Dedalo strinse le mani alla donna e chinò il capo in cenno
d’assenso.
- Padre, è ora… - mise fretta il giovane Icaro, - Tra
poco sorgerà il sole e non potremo più prendere il volo.
- considerò, guardando dalla finestra.
I tre si riunirono al centro della stanza: Xena trascinò il
tavolo tra loro e vi salì. Appoggiò le mani all’architrave,
issandosi sopra e, carponi, aprì l’apertura che immetteva
sul tetto della torre.
- Ingegnoso, eh? L’abbiamo aperto tempo fa… Quelle tonte
di guardie non si sono mai accorte di nulla! - sorrise Icaro. Il giovane
aiutò il padre a salire sul tavolo: Xena si sporse dall’architrave
e, letteralmente, issò il vecchio verso l’apertura nel
tetto. Icaro volse un’ultima occhiata alla stanza dell’odiata
prigionia e raggiunse i due, già all’aperto.
- Aspettate che il vento soffi da ovest verso est… Dove sono
le guardie? - chiese ansioso Dedalo.
- Tutto sotto controllo. - rispose Xena.
- Bene, - sospirò il vecchio. Poi fece silenzio. Piano, la
brezza che veniva da ovest si fece via via più spavalda, finché
iniziò a tirare un forte vento, nella direzione del sole nascente.
- Ora! - esclamò lo studioso, - Ora! Volate, volate! - si mise
in piedi ed allargò le braccia: le ali si aprirono al comando
del loro creatore, il vento le gonfiò e sollevò i tre
che, lasciatisi cadere dal tetto, si librarono nel vuoto.
Una guardia fissò basita, per un attimo, quelle strane figure
poi, realizzando l’accaduto, diede l’allarme. Miriadi
di frecce si scaraventarono verso il cielo, sibilando. Il chakram
fece altrettanto, a traiettoria inversa, abbattendo scudi e archi
e sentinelle insieme.
- Andate! - gridò Xena, - Ci penso io qui! - schivò
una freccia, sterzando bruscamente su un lato. Il vento soffiava poderoso,
ora, gonfiando le piume e sibilando tra le penne candide.
Icaro puntò verso l’alto, richiamando con continui fischi
il padre, che volava con i sensi tesi, per raccogliere le indicazioni
del figlio.
Xena roteò su se stessa e puntò verso il basso, urlando
il suo grido di battaglia a pieni polmoni. L’aria sibilava attorno
alle sue orecchie, mentre gli occhi si facevano due fessure, per evitare
di lacrimare troppo.
- Provate a beccarmi, canaglie! - gridò la donna mentre, passando
tra le sentinelle, menava fendenti a destra e manca, abbattendo e
stordendo qua e là.
Allargò le braccia e il vento la portò via di nuovo,
prima che un drappello di uomini le si facesse in contro a capo chino.
La guerriera si voltò in cerca delle sagome dei suoi due amici
e li vide: lontani, sopra la scogliera, diretti esattamente verso
la nave che li aspettava al largo, per portarli a casa. Icaro volava
più in alto del padre e continuamente si abbassava verso il
vecchio, per poi riprendere quota.
“Icaro è troppo in alto!” pensò Xena, rivolgendo
l’ultimo sguardo alla coppia che s’allontanava sempre
più. In cuor suo sperò che Dedalo capisse a che pericolo
si fosse esposto il figlio, e lo richiamasse. Poi, intravide in lontananza
la sommità del labirinto e vi si diresse senza indugiare oltre.
- Olimpia! –
gridò Teseo, battendo contemporaneamente la mano sulla parete
che lo separava dalla ragazza.
- Sono qui! Non preoccuparti! - Gli fece eco il bardo.
Olimpia sbuffò il suo disappunto, tirando un calcio ad un sasso
accanto al suo piede: non ci voleva, non ci voleva proprio. Separati
erano deboli ed esposti ad Asterione in qualsiasi momento: non sarebbe
bastato richiamare l’altro in proprio soccorso, nel momento
del bisogno, con di mezzo un muro a dividerli.
- Maledizione! – sibilò la ragazza.
- Olimpia, tutto bene? – chiese la voce amica.
- Sì Teseo, va tutto bene. Continua a picchiare sul muro, usa
di meno la voce: è meglio… - il bardo iniziava seriamente
ad innervosirsi: possibile che il principe non capisse in che pericolo
potevano incappare, soli per giunta, se avesse continuato ad essere
tanto incauto?
- E sia. – rispose Teseo, - Ma fa lo stesso anche tu: altrimenti
mi preoccupo. –
Per ciò che sembrò un’eternità, i due mimarono
reciprocamente il battito sulla parete fradicia d’umidità.
Olimpia si stava concentrando sempre di più: i suoi sensi si
stavano preparando ad un possibile attacco. La ragazza sapeva di dover
star all’erta: non era una scampagnata e non c’erano molte
possibilità di cavarsela senza lottare fino all’ultimo.
All’ultimo sangue… Si concentrò e si mise in ascolto
dei suoni che la circondavano. Passi, molto lontani, crepitii di torce
accese chissà dove. Qualche gemito. Percepì, netto,
un suono gutturale, prolungato, molto basso. Non sapeva dire da dove
provenisse con esattezza, ma lo sentiva nettamente.
D’un tratto, s’accorse che l’unico suono che non
udiva più era quello del battito sul muro di Teseo: deve s’era
cacciato quel ragazzo?
Olimpia s’impose di restare calma.
- Teseo? – provò. La sua voce rimbombò verso l’alto,
scalando il muro che, in teoria, doveva separarla dal principe. –
Teseo, sei lì? Tutto bene? -
Nulla. Non una parola, non un segnale.
Possibile? Eppure non aveva sentito richieste d’aiuto o grida.
Che fosse suo quel gemito di poco prima? No, non era possibile…
Ad un tratto un rumore secco, come di ramo che si spezza, la colse
all’improvviso. Olimpia si voltò di scatto ed inciampò
in ciò che restava di una trave, caduta a terra chissà
quando e chissà da dove. La torcia atterrò poco distante
e rotolò sulla terra battuta.
Quando toccò terra, il bardo s’accorse d’esser
precipitata su un mucchio di paglia. Strinse le pagliuzze tra le dita,
rialzandosi, mentre il suo olfatto percepiva forte, pungente, un odore
ormai famigliare: sterco. Sterco di vacca.
Si guardò intorno: si trovava in un’enorme stanza. Evidentemente
era giunta alla fine della parete che la separava da… Già,
ma dov’era Teseo? Si sarebbe dovuto trovare anche lui lì.
“Se i corridoi fossero stati paralleli. Ma, evidentemente, non
lo erano… E bravo Dedalo…” rilevò ironicamente
Olimpia.
Tutt’intorno a lei le pareti, ben squadrate e scure, si alzavano
verso un soffitto che la fioca luce della torcia non permetteva neppure
di cogliere. Molto lontano si poteva intravedere un flebile raggio
di luce filtrare dal lucernario, che sembrava ritagliato direttamente
nella volta celeste. Olimpia scorse, dietro l’angolo di un muro,
il riflesso di un’ombra nera: doveva esserci un’altra
stanza, accanto a quella.
Ma… Il riflesso. L’ombra nera… Il sogno: dunque
era reale. Lei era già stata lì.
“Ci siamo.” Pensò risoluta, “Uno di noi due
non uscirà vivo da qui, Asterione”. Espirò velocemente,
per calmare il battito del cuore, troppo accelerato.
Si alzò e s’avvicinò alla parete. Girato l’angolo,
scorse la figura, rannicchiata accanto ad un piccolo falò.
Sembrava intenta a nutrirsi e, seppure da quella posizione Olimpia
non avrebbe potuto giurarci, la ragazza sapeva perfettamente di cosa
si stava sfamando…
- Belur, fa che non sia Teseo… - mormorò la ragazza avvicinandosi.
La figura si bloccò ed alzò la testa. In un lampo fu
in piedi: Olimpia intravide due occhi rossi che la fissavano con ira.
Sentì la creatura espirare forte l’aria dal naso. Asterione
gettò in un angolo ciò con cui stava armeggiando accanto
al fuoco; Olimpia, a differenza del sogno, non guardò nell’oscurità.
Sapeva perfettamente che, se avesse guardato, il terrore l’avrebbe
afferrata per non lasciarla andare più.
La ragazza sfilò i sais dagli stivali. La creatura avanzò,
il passo lento e deciso, sbuffò ancora, gli occhi rossi fissi
nei suoi. Il cappuccio che le ricopriva il capo scivolò sulle
spalle: Olimpia vide ciò che aveva già visto in sogno
e che l’aveva fatta urlare.
Un possente collo nero si stagliava al di sopra di enormi spalle umane,
appartenenti ad un altrettanto enorme corpo.
Il muso taurino di Asterione portava, proprio al centro, tra gli occhi,
una macchia bianca, unica stella su di una testa completamente nera.
Poco distanti dalle orecchie, facevano bella mostra di sé le
corna, lunghe, arcuate e, cosa ancor più temibile, appuntite
come spade.
Olimpia squadrò il mostro e calcolò che, con un po’
di fortuna, la sua agonia sarebbe finita presto. Ma non sarebbe morta
senza lottare, questo mai.
“Xena...” Pensò sospirando, mentre caricava il
peso del proprio corpo su una gamba, pronta a respingere il primo
attacco di Asterione. “Amica mia, spero tu possa capire che
non avevo altra scelta…”
Il mostro attaccò, caricando. Avanzò a mani tese e testa
bassa, con l’evidente intenzione d’incornare il bardo.
Il quale, dal canto suo, oppose alla forza bruta l’agilità.
Olimpia si scansò di lato e colpì con un sai l’avambraccio
di Asterione. La bestia emise un muggito spaventoso ma sembrò
non recedere dall’intento di eliminare l’avversaria.
- Hai deciso di farmi dannare, Asterione? – gridò beffardamente
la giovane.
Il mostro sbuffò furioso dalle nari e iniziò di nuovo
la corsa verso Olimpia. La ragazza poteva vedere la furia cieca saettare
dalle iridi rosse della bestia e decise seduta stante che non sarebbe
stata quella l’ultima immagine che avrebbe visto in vita sua.
- Forza! – gridò, quand’ebbe scansato e nuovamente
colpito al braccio il mostro, - Tutto qui quello che sai fare? -
Come se colpito dalla frase della ragazza, Asterione si voltò
di scatto e prese di nuovo la rincorsa ma, anziché lanciarsi
a mani tese, una volta arrivato nei presi di Olimpia, fece perno su
una gamba e roteò, colpendo la ragazza alle ginocchia ed atterrandola.
Pur dolorante, Olimpia si rialzò, giusto in tempo per vedere
la bestia saltarle addosso.
A terra, i due rotolarono nella polvere. Asterione, possente, schiacciava
Olimpia al suolo e, con le mani, la stringeva alla gola. La ragazza
si sentì venire meno. Aveva un braccio bloccato sotto la schiena,
in una posizione dolorosissima. Sperò di non esserselo fratturato:
il dolore era troppo lancinante.
Tentò di staccare il mostro con un colpo di reni, ma Asterione
era decisamente massiccio e a nulla servivano i deboli tentativi del
bardo.
L’altra mano annaspava nella polvere, alla ricerca del sai,
finito poco distante.
Asterione avvicinò il proprio muso al viso di Olimpia, che
percepì netto e pungente il fiato della bestia: putrido e ammorbante.
- No caro! Non diventerò carne per te! – gridò
disperata mentre, con sforzo sovrumano, le dita raggiungevano ed afferravano
il sai ed il braccio, come dotato di vita propria, sferrava un colpo
micidiale ficcando, fino all’elsa, l’arma nella schiena
del mostro.
Asterione emise un urlo agghiacciante e si divincolò, lasciando
la stretta. Olimpia rotolò di lato, e si guardò la spalla
dolente. Era tumefatta ed aveva una forma strana: non c’era
dubbio, se non rotta, era quantomeno lussata.
La bestia cercava di raggiungere con le mani il sai conficcato nella
sua schiena, ma inutilmente.
“Siamo pari…” sorrise beffarda Olimpia. Il dolore
alla spalla le toglieva il fiato.
Asterione restò immobile per qualche istante poi, dopo aver
scrollato più di una volta le spalle, si voltò nuovamente
verso il bardo.
Olimpia, barcollante, asciugò con la mano sana un rivoletto
di sangue che le colava sugli occhi. Il taglio nella cute non era
profondo, ma sanguinava abbondantemente. La ragazza si sentiva stremata…
E Asterione stava per attaccare di nuovo. Sarebbe sopravvissuta, stavolta?
Impugnò saldamente il sai e si preparò ad accogliere
il mostro.
Contemporaneamente ad Asterione, anche Olimpia iniziò a correre
verso l’avversario.
- Ahh! – gridò la ragazza, mentre percorreva quei pochi
metri. Scaricò la sua rabbia in un nuovo urlo di nuovo, menando
un fendente e parandone uno. Asterione l’afferrò per
il braccio ferito e Olimpia gridò il suo dolore a pieni polmoni.
La bestia, con la mano libera, la prese per la gola e la sollevò
da terra. Miriadi di luci bianche esplosero davanti agli occhi della
ragazza.
“Xena…Addio…” pensò il bardo.
- Olimpiaaaa! – gridò qualcuno alle sue spalle, ma il
ronzio nelle sue orecchie era troppo forte perché potesse distinguere
bene la voce.
- Xena… - mormorò flebilmente il bardo.
La figura giunta all’improvviso si lanciò contro Asterione,
che scaraventò Olimpia contro il muro accanto, come un oggetto
inutile.
La ragazza si accasciò al suolo, perdendo momentaneamente i
sensi.
- Olimpiaaaa! – questa volta la voce le giunse nitida alle orecchie.
Il bardo aprì gli occhi e guardò verso il lucernaio:
una figura alata scendeva velocemente dal cielo. Sembrava un Arcangelo,
ma non lo era.
Olimpia sorrise: - Xena! – si mise a sedere e rise: - Xena,
Xeeeenaaa!!! – poi fu attirata dalla lotta che si stava svolgendo
poco distante da lei: Teseo, aggrappato alla schiena del mostro, si
teneva saldamente all’impugnatura del sai, mentre Asterione
scrollava la schiena con colpi furibondi nel tentativo di atterrare
il nemico.
Olimpia fu in piedi e, pur dolorante, s’avvicinò ai due
lottatori. Il mostro si voltò verso di lei ed iniziò
a prendere la rincorsa. Il bardo sapeva di avere un asso nella manica:
sfilò dalla gamba il sacchetto di polvere fenicia e lo gettò
sugli occhi della bestia, proprio mentre questa s’apprestava
ad esserle addosso. L’involucro s’aprì ed il suo
contenuto polveroso invase gli occhi del “principe”.
- …Si ricordi di non toccarsi gli occhi né la bocca dopo
averla armeggiata: si lavi abbondantemente le mani e le deterga con
un po’ di cenere. In caso contrario, tutto le brucerebbe indicibilmente…
- ricordò trionfalmente Olimpia, mentre Asterione urlava inferocito
e per il dolore, portandosi le mani enormi agli occhi e scuotendo
la testa freneticamente.
Allora Teseo sollevò la spada, la conficcò proprio alla
base del collo del mostro e, con un balzo, si staccò da esso.
Asterione avanzò ancora verso il bardo, a mani tese, sbuffando
e muggendo; ma la sua potenza andava scemando.
Dall’alto si udì giungere un sibilo: il chakram sbatté
contro la parete e rimbalzò verso il trio: Olimpia si scostò
velocemente osservando l’arma che, senza arrestarsi nella sua
corsa, spiccò la testa della bestia dal busto e si perdette
nell’oscurità.
Il corpo di Asterione fece mezzo giro su se stesso e precipitò
al suolo con un pesante tonfo.
Olimpia si voltò in tempo per vedere una figura, circondata
da un polverio bianco, che si avvicinava correndo. Il dolore la sopraffece,
la vista le si annebbiò ed ebbe la netta sensazione di precipitare
in un baratro.
Due braccia forti giunsero a sorreggerla: Olimpia aprì gli
occhi per un istante e si trovò riflessa in due iridi blu.
“Sono salva… Sono a casa…”, fu l’ultima
cosa in grado di pensare, prima che tutto divenisse nuovamente nero
come pece.
EPILOGO
- Sta buona e
ferma, o farò un pasticcio e la spalla non andrà a posto
come si deve! – Xena finì di sistemare la fasciatura
alla spalla di Olimpia, annodandola gentilmente.
- Ecco, - disse amabilmente, - ora è bloccata nella posizione
giusta. – I suoi occhi presero un’espressione divertita,
- Così adesso sai cosa può succedere quando ci si scontra
con qualcuno più grande e grosso di te, completamente sola…
- diede un buffetto alla guancia della ragazza seduta sul giaciglio.
Olimpia sorrise: - Lo so, lo so… Ma se qualcuno non si fosse
perso proprio all’ultimo momento e qualcun altro non avesse
tardato a planare, divertendosi ad interpretare la parte dell’Arcangelo,
non sarei stata costretta a fare tutto da sola… -
- Olimpia, scherzavo! – si schermò la guerriera, - Hai
agito bene, lo sai: sono fiera di te. Ti sei comportata esattamente
come avrei fatto io nella stessa situazione. – sorrise amorevole
agli occhi verdi che la fissavano assorti. – L’idea di
usare la polvere, poi… Fantastica! – rise.
- Già… Mi spiace, quella polvere era un regalo per te…
Sarebbe dovuta servire per i tuoi bagni. Un piccolo regalo buttato
via… - si schiarì la voce e riprese, – Xe, che
mi dici di Dedalo? Come sta? Mi dispiace… Povero vecchio: Icaro
era il suo unico figlio… - cambiò discorso la ragazza.
- Già. – rispose tristemente Xena, sospirando. –
Sta accettando la cosa. In fondo non è colpa sua: Icaro s’è
spinto troppo in alto e il sole ha sciolto la cera che teneva unite
le penne all’intelaiatura delle ali… Precipitare da quell’altezza
l’ha ucciso sul colpo. -
- Il corpo è stato recuperato? – chiese Olimpia apprensiva.
– Forse dargli degna sepoltura lenirà i sensi di colpa
del padre… -
- Chiro e Castore hanno organizzato una scialuppa e sono partiti prima
dell’alba. Chiro viene da Simi: prima d’imbarcarsi faceva
il pescatore di spugne, come tutti gli abitanti di quell’isola.
E’ un ottimo nuotatore e può restare immerso per lunghissimo
tempo: troveranno Icaro, vedrai. – Xena scostò una ciocca
di capelli dalla fronte di Olimpia, attraversata dal taglio già
debitamente ricucito. La guerriera passò con delicatezza un
dito sulla ferita: - Questo taglio si rimarginerà presto, vedrai…
-
Olimpia, a sua volta, allungò la mano e accarezzò la
ferita sulla guancia di Xena: - Anche il tuo, vero? -
- Certo! L’ho curato io personalmente! -
Lo sguardo di Olimpia si rabbuiò per un attimo, fanciullescamente
- E il mio? – chiese con finto risentimento.
- Sicuro! L’ho cucito con queste manine… - Xena mosse
le mani, muovendo immaginarie marionette.
- E resterà il segno? – Olimpia mise il broncio.
- No, no: neppure l’ombra! – ribatté la guerriera.
- Volevo ben vedere! – disse il bardo.
Entrambe le donne risero di cuore.
- Ah, mi sento proprio a casa! – esclamò Olimpia, sorridendo.
- Tutto è bene quel che finisce bene… - dichiarò
d’un tratto Xena - Per un attimo ho creduto di perderti…
-
- Ma non è successo, di che ti preoccupi? -
- Ho tardato ad arrivare… Ancora poco e poteva essere troppo
tardi… -
- Xe, non ti crucciare. Sei sempre la solita! Tutto il pasticcio è
iniziato perché io non ho calcolato i tempi e le probabilità.
E poi, dimentichi l’intervento di Teseo… -
- No, non lo dimentico affatto: non fosse stato per lui tu adesso
non saresti qui… -
- Visto? – la bionda sorrise e fece segno alla guerriera di
sedersi sul letto. – Ora che faremo? Ci fermiamo a Creta o torniamo
ad Atene? – chiese tranquillamente il bardo.
- Torniamo ad Atene: Teseo vuole presentare Arianna ad Egeo. –
sorrise, - A quanto pare quei due fanno sul serio! – strizzò
l’occhio all’amica.
- Già, quel che si dice: “Amore a prima vista”!
– rispose Olimpia, - E poi? Hanno intenzione di stabilirsi a
Creta o ad Atene? -
- Credo che torneranno qui: Arianna deve riorganizzare il regno di
suo padre. Quel vecchio pazzo stava portando il paese al collasso.
Appena ha saputo della morte di Asterione, si è gettato dalla
scogliera. – esclamò Xena pensosa, - E poi, Egeo è
ancora in salute: credo che il trono di Atene attenderà Teseo
ancora per lungo tempo… -
- Mi sono persa un po’ di cose, eh? -
- A quanto pare… Ma avevi bisogno di dormire… -
- Xe, posso chiederti una cosa? – iniziò Olimpia dopo
un lungo momento di silenzio.
- Tutto quello che vuoi. – rispose la guerriera, disarmata di
fronte allo sguardo tenero della ragazza.
- So che ti sembrerà sciocco… - riprese Olimpia, - E
sei libera di dire di no… - prese fiato, - Senti… Hai
ancora quelle ali bianche? – abbassò gli occhi, timida.
- Sì… - rispose Xena senza capire dove il bardo volesse
andare a parare.
- Beh… Sai… Uff, quant’è difficile…
-
- Olimpia, parla… - la incoraggiò la mora.
- E va bene… - prese coraggio, - Ti sembrerà sciocco,
ma ho trovato molto… Come dire? Intriganti, ecco, quelle ali.
– sorrise, - Sai, è da quando siamo state Arcangeli che
ho un pensiero fisso… Beh, come dire… Tu le hai e io no…
-
Xena si alzò di scatto, lo sguardo impenetrabile. Olimpia la
guardò basita, certa d’aver in qualche modo offeso la
guerriera. Senza proferir parola, Xena lasciò la stanza e chiuse
la porta alle sue spalle. Olimpia si lasciò cadere sul letto,
contrita per il comportamento della donna.
Umettò due dita della mano libera e con esse spense la candela
appoggiata accanto al giaciglio. Nella stanza si fece buio.
- Lo sapevo… Come al solito ho parlato troppo… - si lamentò
il bardo, - Avrei dovuto chiederle cos’avesse fatto per arrivare
qui, chiederle come stesse e invece? Invece le ho anteposto i miei
desideri… - sospirò, - Logico che se la sia presa…
-
Ad un tratto la porta si aprì. Olimpia spalancò gli
occhi e vide avanzare verso di lei Xena. La guerriera, che indossava
un favoloso paio d’ali candide, reggeva una candela accesa in
una mano mentre, nell’altra, portava una splendida coppia d’ali
che, alla luce del lume, sembravano d’oro. Xena appoggiò
il lume accanto a quello spento, senza parlare e senza distogliere
lo sguardo dagli occhi di Olimpia.
- Dei… - riuscì a pronunziare la ragazza.
- Nah, niente dei in tutto questo: è il mio regalo per te…
Ci ho azzeccato, eh? Sapevo che ti sarebbero piaciute… - rise
la guerriera, mentre posava le ali a ridosso di una seggiola. - Quando
sono tornata alla torre di Dedalo per recuperare parte delle sue cose
le ho trovate tra i suoi strumenti. Probabilmente ne aveva costruite
di molte dimensioni… - fece aprire le sue con un movimento delle
spalle, – Certo, per ora non puoi ancora farcela, ma tra qualche
giorno… –
Olimpia l’attirò a sé e la catturò in un
grande abbraccio.
- Xe, sei un fenomeno! -
- Eh, modestamente… -
- M’insegnerai a volare? – chiese fanciullescamente Olimpia.
- Farò di più! Torneremo a casa volando! – esclamò
la guerriera.
Il bardo la guardò basita. – Ma Xe… A casa…
- balbettò.
- Certo! Non hai sempre detto che navigare ti fa male? Ora non t’inventerai
che, oltre al mal di mare, esiste anche il mal d’aria…
- rise di cuore, mentre Olimpia la guardava sempre più incerta
sul fatto che Xena stesse scherzando o fosse seria.
- Volevi farmi un regalo, Olimpia? Bene, il tuo sguardo ora vale più
di mille sacchetti di polvere fenicia, te lo giuro! –
Il cuscino che la colpì in pieno viso si aprì e liberò
nell’aria una miriade di piume candide, che si sparsero tutt’intorno,
come le risate delle due donne.
FINE
di
Dori