La
fanciulla scosse la testa in segno d’assenso e corse a rifugiarsi.
- Omero, ascolta bene. - iniziò Olimpia, - Va ad aprire e comportati
come se ti fossi rassegnato a consegnare tua figlia. -
- Cosa??? No, io… -
- Va ad aprire, ho detto! - lo interruppe Olimpia. - Fidati: forse
c’è un modo per salvare tua figlia, ma devi fare come
ti dico. Quando le guardie del re saranno entrate, chiama senza esitazione
Ermione. Io mi sostituirò a lei e mi farò portare al
porto: so che Xena si trova lì e non avrò difficoltà
a farmi riconoscere da lei. Verrà in mio aiuto, così
mi salverò e, contemporaneamente, tua figlia non finirà
a Creta. Intesi? -
Il vecchio accennò un assenso col capo e le prese le mani:
- Sei stata mandata dal cielo, grazie! - gliele baciò con trasporto.
- Non ringraziarmi, Omero: lo faccio in nome della nostra amicizia.
- gli sorrise il bardo. - Ora va: andrà tutto bene, vedrai.
-
Olimpia stette a guardare l’uomo che si avviava barcollando
verso il portone e corse nel gineceo in cui si era rifugiata Ermione
poco prima.
Una volta lì, aiutata dalla ragazza, si drappeggiò con
cura un manto intorno al corpo, facendo attenzione a nascondere i
calzari coi sais e il tatuaggio sulla schiena, coprì il capo
con un velo e si preparò ad entrare in azione.
Omero, nel frattempo, aveva fatto entrare gli uomini di Egeo. Il capo
delle guardie non sembrava affatto contento del lavoro che aveva da
svolgere. Con fare contrito si avvicinò al vecchio e, appoggiandogli
una mano sulla spalla, gli disse: - E’ venuta l’ora, Omero.
Chiama tua figlia e consegnacela. Sai che non si può fare altrimenti…
- sospirò, - Chiamala. -
Omero raccolse un po’ di fiato e scandì a voce alta e
ferma: - Ermione, piccola, vieni: è ora. -.
Olimpia uscì dal gineceo con passo volutamente incerto, tenendo
il capo chino e le mani giunte davanti a sé. Arrivata davanti
al vecchio, s’inchinò in segno di rispetto e poi l’abbracciò
con trasporto. Mentre lo cingeva gli sussurrò: - Non preoccuparti,
andrà tutto bene. - poi gli diede un bacio sulla guancia e
si staccò da lui.
Una guardia le allacciò di malavoglia due bracciali di metallo
intorno ai polsi e la condusse fuori, dove si unì ad altre
ragazze, piangenti. Olimpia udì distintamente il tonfo che
il pesante portale fece alle sue spalle, chiudendosi, ed in cuor suo
sperò che Xena non si fosse già allontanata dal porto.
ATTO 1
- CINQUANTA DENARI??!!
Per gli dei, ma siamo pazzi? - Xena batté rumorosamente i pugni
sul banco di legno di fronte a lei.
- Senti, è un prezzo onesto e sai che delle mie navi ci si
può fidare… - le rispose tranquillamente l’armatore,
senza guardarla negli occhi.
- Ma è un furto bello e buono! - continuò stizzita la
donna, - I tuoi mercantili lasciano tutti i giorni il porto per dirigersi
alle Cicladi o alle Sporadi: tu non fai altro che dare passaggi su
delle bagnarole che puzzano di salamoia e li fai pagare come se ci
facessi imbarcare su navi di lusso! - le nocche delle dita divennero
bianche per la pressione esercitata dai pugni contratti.
- Cinquanta denari: non un soldo di meno. - l’uomo continuò
imperturbabile a consultare alcune pergamene di fronte a lui. Xena
si rese conto di non aver possibilità contro la testardaggine
di quel mercante.
- Tieniti le tue navi: andrò a cercare qualcuno meno attaccato
ai soldi di te. - gli scoccò un’occhiata di fuoco.
- Fa come credi, Xena. Ma non troverai un trasporto a miglior prezzo
del mio: da quando i pirati hanno iniziato ad infestare nuovamente
le coste, i prezzi sono saliti alle stelle. Te lo ripeto: la mia è
una proposta generosa. -
- Tenacle, tu hai la stessa generosità del re Mida… Hai
idea di quanto chiedi per viaggiare in compagnia dei tuoi barili di
carne salata? Per non parlare di quella feccia che osi chiamare “ciurma
addestrata”: avanzi di galera… -
- Quella “feccia” almeno si sa difendere. - la interruppe
bruscamente il mercante - Non una delle mie navi è stata depredata
od è colata a picco, in questi ultimi anni. E ti posso assicurare
che non sempre Poseidone è stato clemente… -
- Mi duole ricordarti che Poseidone è casualmente defunto qualche
anno fa… - lo incalzò Xena con piglio beffardo.
- … Sì, ne ho sentito parlare… A quanto pare è
morto per colpa tua. Non ti dirò grazie né ti farò
uno sconto, Xena: almeno prima potevo pregare il dio del mare di assicurare
un viaggio tranquillo alle mie navi. Qualche volta funzionava... Ora
invece, - guardò la donna di fronte a lui con fare astioso,
- non so più a chi rivolgermi e neppure a chi dare la colpa
se una tempesta mi fa perdere mezzo carico! - sbuffò rumorosamente,
appoggiando le pergamene sul ripiano davanti a sé.
La guerriera alzò gli occhi al cielo in atto di rassegnazione:
contro quello zuccone taccagno neppure i titani avrebbero potuto averla
vinta. A meno che…
- Senti, ti faccio una proposta… - iniziò nel tono più
conciliante che conoscesse: sapeva benissimo che le navi di Tenacle
erano l’unico mezzo di trasporto che potesse essere considerato
“sicuro” per un viaggio verso Thira.
- Non accetto baratti, Xena: hanno inventato il denaro molto tempo
fa… - rispose secco ed irrisorio il mercante.
Xena respirò profondamente un paio di volte. “Calma -
disse tra sé - Devo stare calma…”. Stirò
le labbra in un sorriso e si sporse verso l’uomo, fissando i
suoi occhi chiari nelle due iridi nere di fronte a lei.
- Le tue navi sono conosciute per essere almeno in grado di sopravvivere
o scappare agli attacchi dei pirati e per questo tu fai buoni affari,
giusto? -
- Giusto. - rispose l’uomo distrattamente.
- Bene. Se, anziché rischiare carichi e uomini ogni volta,
le tue navi divenissero famose per aver respinto gli attacchi dei
pirati, i tuoi affari migliorerebbero ulteriormente, vero? -
- Vero. - asserì l’uomo, stavolta più attento.
- Vero… E se, oltre a respingere, le tue navi fossero conosciute
in tutta la Grecia per aver addirittura sconfitto i pirati, tu diventeresti
il commerciante in assoluto più ricercato e faresti affari
d’oro, non trovi? -
- Non… Certo, trovo, trovo! - s’affannò a rispondere
Tenacle, dopo aver realizzato la portata della proposta di Xena. -
Ma come… -
- Lascia fare a me: mettimi a disposizione la nave più veloce
che hai, gli uomini migliori e una settimana di tempo e vedrai cosa
saprò fare. - rispose trionfante la guerriera. “Olimpia
non me la perdonerà facilmente… Almeno però, nel
frattempo, avrà la possibilità di godersi ancora un
po’ Atene e Omero e di abituarsi all’idea del viaggio…”
pensò lievemente preoccupata, mentre posava uno sguardo di
ghiaccio sul mercante di fronte a lei.
- Bella proposta, Xena… - iniziò l’uomo, - Ma sappi
che non ho denari per pagare la tua impresa e quindi… -
- Non sono i denari che m’interessano. - lo interruppe la guerriera,
- In cambio della mia, diciamo così, “prestazione”,
voglio trasporto gratis per me e per chi viaggia con me, animali compresi.
Qualsiasi sia la meta da me prescelta, ogni volta che ne avrò
bisogno. Che ne dici? Si può fare? - sorrise suadente all’uomo
che la guardava assorto, evidentemente impegnato a calcolare i pro
e i contro della proposta.
Tenacle deglutì un paio di volte, poi rispose: - Si può
fare… -
- Bene! - si felicitò la guerriera stringendogli calorosamente
la mano.
- A patto che tu salpi stasera. - terminò l’uomo.
- E sia, - rispose Xena senza batter ciglio, - lasciami il tempo di
trovare ed avvisare la mia compagna e poi partirò. -
- Affare fatto. - decretò Tenacle.
Xena uscì come un lampo e si diresse verso la stalla in cui
aveva appena lasciato Argo II. Accarezzò dolcemente il muso
del cavallo e, mentre lo imbrigliava, gli sussurrò all’orecchio:
- Ragazza mia, torniamo di corsa in città: stasera salpo…
Olimpia forse non la prenderà benissimo, ma era l’unico
modo per avere un imbarco gratis! Che dici, la nostra biondina mi
toglierà il saluto? - terminò, stirando le labbra in
un sorriso ansioso.
Il palomino, in tutta risposta, nitrì rumorosamente e scrollò
la testa.
- Già… - ponderò Xena, - Hai ragione… Mi
sa proprio che Olimpia terrà il muso per un po’. - montò
fluidamente in sella, - Ma che vuoi farci? A Thira ci dobbiamo andare
in qualche modo… Ho fatto quel che ho potuto… - il cavallo
scrollò di nuovo la testa, facendo ondeggiare la folta criniera
color miele.
- Accidenti! Non ti ci mettere anche tu: è stata la prima cosa
che m’è venuta in mente per sbloccare la situazione!
- schioccò la lingua ed incitò Argo II, uscendo dalla
stalla.
Mentre Xena lasciava
al galoppo la piazza del porto, la mesta processione dei giovani in
partenza per Creta giungeva allo stesso piazzale, ma da una via diversa.
Olimpia, impegnata a scandagliare tutto ciò che la circondava
alla ricerca di Xena, riuscì ad intravedere la propria compagna
allontanarsi ma non fece in tempo neppure ad escogitare un modo per
attirare la sua attenzione.
- Maledizione… - bofonchiò stizzita. - E adesso? -
- “Maledizione” non è un termine che si addica
ad una giovane di rango. - una voce maschile, vagamente canzonatoria,
le giunse alle spalle.
Olimpia si voltò, indecisa se sferrare una gomitata sul naso
del possessore della voce o affrontarlo a parole poco consone “ad
una giovane di rango”.
Invece, fu sorpresa quando il ragazzo, poco più che ventenne,
si portò un dito alle labbra, chiedendole di non parlare.
- Shttt… non dire una parola… - le sorrise benevolo, -
Già qualcuno tra noi nutriva dubbi che tu fossi la figlia di
Omero, benché nessuno l’avesse mai vista prima d’ora.
Se ti lasci andare anche a certe affermazione, pure la più
tonta delle guardie capirà che non sei Ermione. - Di nuovo
le sorrise, scoprendo denti bianchissimi e perfetti.
Olimpia lo osservò attentamente: a differenza degli altri,
una barba incipiente ma ben curata gli cresceva sul mento, lunghi
capelli ricci e neri come la pece gl’incorniciavano il viso
abbronzato, tenuto ostinatamente chino dal giovane.
- Io sono Teseo. Molto piacere. - le disse all’improvviso, con
aria circospetta, tendendole la mano imbrigliata dalle catene.
Riscuotendosi, la ragazza rispose: - Piacere, Olimpia da Potidea…
- e gli strinse la mano.
- Caspita! Che presa! - esclamò sommessamente il giovane. -
Avevo ragione: ti muovi con passo troppo fluido ed hai una presa ferma
e forte… Da sotto le vesti s’intravede il guizzo di muscoli
tonici e ben allenati. Tu sei un’atleta, non una fanciulla che
sa solo ricamare… Non è così? -
- Già. - rispose imbarazzata il bardo, - Si nota così
tanto? -
Teseo fece un cenno affermativo con la testa. Olimpia si sentì
in dovere di dare una spiegazione.
- Ho preso il posto di Ermione, per evitare l’ennesimo dolore
al mio caro amico Omero. Ha già perso tre figli, non avrebbe
resistito a quest’ultimo strazio... -
- Ma così ti sei condannata a morte: che senso ha? - la interruppe
incredulo il giovane. - Noi siamo stati prescelti, ma tu eri libera
di andartene per la tua strada: perché una scelta del genere?
Vale così poco la tua vita? Non hai nessuno a casa, che ti
aspetti, Olimpia da Potidea? Nessuno con cui vorresti passare il resto
dei tuoi giorni? - Teseo enfatizzò le ultime parole, puntando
i suoi occhi azzurri negli occhi di Olimpia. La ragazza abbassò
lo sguardo.
- Sì, c’è qualcuno… - sospirò, -
Speravo appunto di trovarla qui e di affrontare con lei le guardie
per rimandarvi tutti liberi alle vostre case… -
- Invece… - la incalzò il giovane.
- Invece, mentre noi arrivavamo al porto, l’ho vista partire
al galoppo, diretta verso la città. Sicuramente mi aspetterà
per stasera alla locanda, come da accordi, e quando inizierà
a preoccuparsi per la mia assenza noi saremo già in alto mare.
- sbuffò e colpì con stizza un sasso, lanciandolo poco
distante. - Per gli dei! Per una volta che prendo l’iniziativa…
- scosse con impotenza le catene che le serravano i polsi, la mente
impegnata ad escogitare una scappatoia al pasticcio in cui s’era
cacciata.
Le guardie di Egeo fecero sistemare i quattordici ragazzi in fila,
uno dietro l’altro, davanti alla passerella della nave cretese.
Con garbo, passarono a controllare le chiusure delle catene, lasciando
qua e là parole di conforto ai malcapitati.
Giunto davanti ad Olimpia che, per necessità, teneva il capo
chino, il capitano delle guardie si fermò sospirando.
- Ho sempre ammirato tuo padre, Ermione. - disse sommessamente, -
Per il suo coraggio e per la sua forza. Il cielo sa quanto vorrei
potergli evitare questo strazio. - sospirò, - Quanto vorrei
poterlo evitare a te. - alzò il mento, posando uno sguardo
ostile e fiero sulle guardie cretesi, che stavano iniziando la loro
discesa dal ponte della nave. - Finirà mai questo scempio?
- chiese amaramente, più a se stesso che ad Olimpia.
- Addio. - mormorò in un soffio.
- Addio… - rispose Olimpia, sempre senza alzare il capo.
All’improvviso, il bardo sentì una mano sulla spalla.
- Se sei una guerriera potresti fare al caso mio, Olimpia. - le sussurrò
piano Teseo, da dietro. - Stanotte, nella stiva, quando tutti dormiranno,
esci dal gruppo delle ragazze e fatti riconoscere: ti spiegherò
il mio piano. -
- Ma… - iniziò Olimpia.
- Non ora. - la interruppe il giovane, - Nessuno ci deve sentire.
Stanotte. - ripeté, - Nella stiva. -
I soldati cretesi presero con baldanza il posto di quelli ateniesi
ed iniziarono ad imbarcare i ragazzi, spingendoli malamente su per
la passerella di legno.
- Avanti, piccoli rampolli bastardi! - sibilò il capitano della
nave, sfoggiando un sorriso subdolo, - Mostrate a tutti quanto coraggio
hanno gli ateniesi! Comportatevi da uomini, per una volta nella vita!
Non siete felici? - di nuovo deformò la bocca in un ghigno,
- Andrete in visita al grande Asterione in persona! Ospiti d’onore
al suo… banchetto! - tutte le guardie, nessuna esclusa, risero
alla strana affermazione del capitano.
La ragazza davanti ad Olimpia scoppiò in singhiozzi, quando
con una spinta rude fu fatta salire sulla traballante passerella di
legno. Le guardie cretesi accompagnarono la salita della giovane con
commenti lascivi e volgari.
Olimpia deglutì con forza, ricacciando in gola le parole che
le si erano formate automaticamente in bocca appena udito il capitano
e i suoi sottoposti. “Meglio tacere, per ora. Non mettiamoci
nei guai subito. Stiamo a sentire quel che Teseo ha da proporre, prima…”,
decise. Si passò le dita, alternativamente, sui due polsi,
pigiando sui punti di pressione che Xena le aveva pazientemente insegnato
a riconoscere e che le avrebbero permesso di non soffrire di mal di
mare durante la navigazione.
“Devo restare lucida” pensò “Non posso permettermi
nausea e mal di stomaco, o sarà la fine”.
Una rozza spinta sulla schiena la fece scendere pesantemente dalla
passerella: si ritrovò sul ponte della nave, in mezzo a tutti
gli altri.
Quando tutti furono saliti, il capitano ordinò di mollare gli
ormeggi. Le vele si gonfiarono con un’improvvisa tensione a
la nave si staccò lentamente dal pontile, dirigendosi verso
il largo.
Olimpia osservò preoccupata la riva, che si allontanava sempre
di più.
“Quando si è in ballo, si deve ballare”, pensò
stizzita. “Io odio ballare da sola… Maledizione, Xena,
perché non sei qui ??”.
Argo II varcò
l’ingresso della città sollevando una consistente polvere
rossastra. Xena rallentò l’andatura del destriero solo
quando fu davanti alla soglia della locanda. Smontò fluidamente
da cavallo e s’avviò a grandi passi dentro il locale,
lasciando il palomino legato per le redini ad un anello infisso nel
muro.
La guerriera salì a due a due i gradini che portavano al piano
superiore e bussò alla porta della camera che divideva con
Olimpia. Non ricevendo risposta, aprì. Tutto era in ordine,
proprio come quando l’aveva lasciata quella mattina.
“Strano”, pensò, “Eravamo d’accordo
che ci saremmo trovate qui nel pomeriggio, e l’ora è
già passata. Dove si sarà cacciata Olimpia?”.
- Sta cercando la sua amica? Non è ancora tornata da questa
mattina… - Xena si voltò e si ritrovò a poca distanza
dal viso il naso paonazzo della moglie dell’oste. La donna le
rivolse un sorriso sdentato e le porse una pergamena. - Questo è
stato portato poco fa da un servitore. Ha detto di consegnarlo a lei,
nel caso fosse tornata sola, senza la sua amica. - Osservò
curiosa, mentre Xena spaccava con un colpo secco il sigillo, lasciandolo
cadere a terra, e srotolava con impazienza la pergamena. - Così,
quando l’ho vista arrivare al galoppo… tutta sola…
- l’ostessa allungò gli occhi per tentare di capire cosa
fosse scritto in quel rotolo, mentre lo sguardo di Xena s’incupiva
sempre più. - Allora ho pensato: “Forse è il caso
che io…” - Fu interrotta dalla guerriera che, scostatala
bruscamente e senza rivolgerle la benché minima attenzione,
si precipitò verso le scale e scomparve.
- Hei, hei! Che modi! Ma si può? - Si chinò a raccogliere
il frammento di ceralacca caduto poco prima, - Mmm, che bel sigillo…
- lo rimirò, facendolo girare tra le dita grassocce, - Chissà
a chi appartiene? Che strano segno… Sembra una… Una…?
Lira… Mah! - udì il nitrito di Argo II, che si allontanava
velocemente, incitato a gran voce dalla padrona. - E comunque non
ci si comporta così! - gridò la donna al rettangolo
di luce che entrava dalla finestra affacciata sulla via.
Xena cavalcò
col cuore in gola, mentre una ridda d’ipotesi si affastellava
nella sua mente. Olimpia inviata a Creta come ostaggio? Ma com’era
possibile? “Consegnatasi spontaneamente per salvare mia figlia…”,
diceva così la pergamena? La guerriera chiuse gli occhi e scosse
la testa: era troppo assurda quella situazione!
Spronò ulteriormente Argo II ed arrivò nel giro di pochi
minuti davanti al possente portone della villa di Omero. Con un balzo
smontò da cavallo e bussò con veemenza all’ingresso.
Molti passanti la guardarono incuriositi ed anche un po’ spaventati:
ebbero la netta sensazione - per altro del tutto fondata - che quella
donna avrebbe potuto strappare con un sol colpo di mano il pesante
batacchio di bronzo, se solo l’avesse voluto, tanta era la forza
che stava impiegando per annunciare il suo arrivo.
Ermione aprì lentamente la porta, tenendosi nascosta dietro
il battente perché nessuno dalla strada notasse la sua presenza.
- Benvenuta… - sussurrò alla guerriera, appena il portone
si fu chiuso alle sue spalle, - Tu sei Xena, vero? - abbozzò
un timido sorriso, allungando la mano pallida. - Io sono Ermione.
Vieni, mio padre ti sta attendendo in casa: le troppe emozioni di
oggi l’hanno spossato molto, ma ciò che è accaduto
ad Olim… -
Xena le si parò davanti e le mise le mani sulle spalle. La
ragazza dapprima la fissò spaventata poi, leggendo l’ansia
negli occhi azzurri che le stavano di fronte, si rilassò.
- Olimpia… - iniziò Xena, - Dov’è Olimpia,
ora? - non era un comando, era un’implorazione. Ermione si commosse
al pensiero che quella donna, sicuramente avvezza a battaglie e situazioni
faticose e spiacevoli, fosse così in pena per la propria amica
da non agire affatto come una guerriera. In quel momento le appariva
come le donne troiane dei racconti di suo padre, forti da sopportare
anni di dura guerra ma al contempo fragili di fronte alla sorte dei
loro mariti e figli caduti in battaglia.
- Dunque? - Xena scrollò debolmente la ragazza. - Dov’è?
Se facciamo alla svelta, forse riesco ancora a raggiungerla. -
- Al porto… - iniziò Ermione.
- Io vengo dal porto! E non l’ho vista… - Un istante di
riflessione e la guerriera realizzò: - A meno che non sia arrivata
lì mentre io mi allontanavo… Avevo così fretta
di tornare alla locanda… Maledizione! - Si morse il labbro,
corrucciando la fronte. - Dove sono diretti? Devo organizzarmi, Ermione:
dove sono diretti?? -
- Alla reggia di Minosse. - Una voce maschile proruppe dal colonnato.
Xena si voltò e vide un uomo avanzare lentamente, sorretto
da un giovane servitore.
- Omero? - chiese la guerriera.
- Proprio io… - il vecchio sospirò. - Sono addolorato
Xena, per ciò che è accaduto ad Olimpia. Avevo sperato
che lei ti trovasse, una volta giunta al porto: anche Olimpia era
convinta di poterti incontrare là. - si fermò, scrutando
con gli occhi semi ciechi la donna di fronte a lui.
- Non l’ho vista… - si rammaricò Xena. Poi, con
veemenza: - Dimmi, Omero, come posso raggiungerla? La nave avrà
già levato gli ormeggi da un pezzo, ormai. Sai dove sono diretti.
Puoi darmi anche altre informazioni? Cosa troverò quando arriverò
laggiù? -
Il vecchio si schiarì la voce: - Minosse ha reso praticamente
inespugnabile la sua reggia e più ancora l’antro in cui
si trova Asterione… Mi dispiace, non so dirti di più.
- sospirò sommessamente. - Se penso che tutto questo è
accaduto a causa mia… -
Xena assunse, per quanto le fosse possibile, un’espressione
rassicurante. - Non preoccuparti, Omero. - sforzò un sorriso,
- Olimpia è intelligente e saprà cavarsela, almeno finché
non arrivo in suo aiuto. Mi fido di lei e del suo buonsenso. - guardò
Ermione ed il padre, in atto di commiato. - Ora vado: prima arrivo
a Creta, prima trovo il modo di entrare nella reggia e… -
- Se il padrone mi concede il permesso di parlare, avrei una cosa
da dire che, credo, sia importante. - la interruppe con voce flebile
il servitore di Omero.
Il vecchio aedo sorrise al ragazzo: - Ma certo, Phente, sai che puoi
esprimerti liberamente… -
- Beh… Mia madre è nata a Creta. Quando ero piccolo,
mi raccontava che, per poter nascondere il mostruoso Asterione, Minosse
avesse fatto costruire un labirinto, proprio sotto la sua reggia.
A tal scopo aveva fatto chiamare il più abile degli architetti:
Dedalo. -
A Xena quel nome suonò familiare, ma non lo diede a vedere
e lasciò che il ragazzo proseguisse nel racconto.
- Dopo che il progetto fu pronto e l’opera fu completata, Minosse
fece accecare l’architetto e lo fece rinchiudere con la famiglia
in una torretta della reggia, in modo che non potesse più scappare,
né confidare ad alcuno il segreto del labirinto… -
- Cioè: come uscire una volta che vi si è entrati. -
terminò Xena.
- Sì. - confermò il ragazzo.
- E’ ancora vivo, questo Dedalo? - chiese Xena avvicinandosi
al portone.
- Non so… - rispose Phente, - Ma a Creta era molto benvoluto:
tutti lo conoscevano… e tutti detestano Minosse per il trattamento
che gli ha riservato. -
- Se è così, basterà chiedere. - affermò
Ermione.
- Già, potete contarci. - concluse la guerriera. Poi, con un
cenno di saluto, uscì dall’abitazione di Omero e spronò
Argo II al galoppo, in direzione del porto.
- Che gli dei ti benedicano, Xena. E proteggano Olimpia dall’ira
di Asterione… - sospirò mestamente l’aedo.
Lo sciabordio
costante delle onde che s’infrangevano ritmicamente contro lo
scafo della nave divenne un suono cupo di tamburi, il rimbombo costante
di voci oranti. Olimpia aprì gli occhi e si ritrovò
stesa su un altare di pietra, braccia e gambe legate alle estremità
del tavolato. Il suo olfatto percepì nettamente l’odore
acre del fumo. Olimpia poteva sentire il fuoco in costante avvicinamento,
strisciante, insidioso, malefico.
“Dahok”, pensò con rabbia, mentre scuoteva con
impeto le catene che la bloccavano sulla pietra. - No! - gridò
con tutto il fiato possibile, anche se dalla sua gola non uscì
alcun suono. Iniziò a dimenarsi violentemente, strattonando
con tutte le forze le maglie metalliche infisse nella roccia. - Xena!
- gridò, - Xenaaaa! - ancora la sua voce non si presentò
all’appello.
Repentinamente, l’odore del fuoco fu sostituito da un altro.
All’inizio Olimpia non lo ricollegò a nulla, ma poi il
suo olfatto lo catalogò: sterco. Sterco di vacca.
La ragazza si sentì libere le estremità e, quando le
guardò, si scoprì stesa su un giaciglio di paglia.
“Sono in una stalla”, rifletté il bardo. “Una
stalla molto grande.” Considerò guardandosi intorno,
“Molto calda e poco pulita…”, annusò ripetutamente
l’aria. Le pareti, ben squadrate e scure, si alzavano verso
un soffitto che la fioca luce delle torce non permetteva neppure di
cogliere. Molto lontano si poteva intravedere un flebile raggio di
luce filtrare da un lucernario che sembrava ritagliato direttamente
nella volta celeste. Olimpia scorse, dietro l’angolo di un muro,
il riflesso di un’ombra nera. - Xena? - chiamò la ragazza.
Questa volta la voce fece il proprio dovere. - Xena! - pronunciò
con più coraggio Olimpia.
Nulla si mosse. Olimpia si alzò e s’avvicinò alla
parete. Girato l’angolo, scorse una figura, rannicchiata accanto
ad un piccolo falò. Sembrava intenta a nutrirsi ma, da quella
posizione, Olimpia non avrebbe potuto giurarci…
- Xena… - mormorò la ragazza avvicinandosi. La figura
si bloccò ed alzò la testa. In un lampo fu in piedi:
Olimpia intravide due occhi rossi che la fissavano con ira. Sentì
la creatura espirare forte l’aria dal naso. Quella “cosa”
gettò in un angolo ciò con cui stava armeggiando accanto
al fuoco; Olimpia guardò nell’oscurità e l’orrore
quasi le tolse la ragione: non si trattava di un oggetto qualsiasi,
ma di un braccio! La ragazza iniziò ad indietreggiare ma, ben
presto, si ritrovò con le spalle al muro. La creatura avanzò,
il passo lento e deciso, sbuffò ancora, gli occhi rossi fissi
nei suoi. Il cappuccio che le ricopriva il capo scivolò sulle
spalle: questa volta Olimpia non poté esimersi dall’urlare…
- Nooooo! Xena! Xenaaa! - Olimpia si mise a sedere di getto, gli occhi
chiusi, le mani contratte a pugno, il respiro affannoso.
- Fate silenzio, bastardi! - urlò un uomo da chissà
dove.
La ragazza aprì lentamente gli occhi e, quand’essi si
furono abituati all’oscurità della stiva, riconobbe il
luogo in cui era stata rinchiusa insieme agli altri tredici condannati.
Qualcuno stava piangendo, non molto distante da lei. Qualcun altro,
al suo fianco, si lamentava nel sonno. Olimpia si chiese se quello
strano sogno fosse stato causato dal digiuno forzato, dai punti di
pressione pigiati troppe volte o con troppa forza oppure… “Oppure
è solo la paura… O… Una visione?”. Quest’ultimo
pensiero la colpì dolorosamente. Si sforzò di ricordare
cosa avesse visto sotto il cappuccio, ma le immagini non s’affacciavano
alla mente.
- Olimpia… - un improvviso sussurro alle spalle la fece sussultare.
- Chi è…? Ah, sei tu Teseo. - esclamò rincuorata
la ragazza. - Ho fatto un terribile sogno. Anche se aveva la nitidezza
di una situazione reale… - Olimpia si sforzava di ricordare
cosa l’avesse fatta urlare di paura, ma più si incaponiva
a cercare quell’immagine, più essa le sfuggiva.
- Come una premonizione? - chiese Teseo. Il bardo non notò
alcuna inflessione di scherno nella voce del giovane. - Hai doti di
chiaroveggenza, Olimpia? - domandò serio.
- Capita… Anche se non accade a comando… Non quando vorrei,
almeno. - sospirò la ragazza. - Una volta, però, è
servito a salvare la vita della mia… amica. E la mia con lei.
- il pensiero di Xena le strinse un nodo alla gola.
- E’ la persona che speravi d’incontrare al porto, vero?
- gli occhi chiari di Teseo parvero brillare nell’oscurità
della stiva.
- Sì, è lei. Lei saprebbe sicuramente tirarci fuori
da quest’impiccio. Se solo fosse qui… -
- Ma non c’è, Olimpia. Ci siamo io e te. - il giovane
sorrise e appoggiò una mano sul braccio della ragazza. - La
ami molto, vero? - chiese, inaspettatamente.
Più che la domanda, Olimpia sentì la presa forte di
quella stretta: il palmo calloso, indurito dall’uso prolungato
delle armi, proprio come le sue mani, da quando aveva intrapreso la
sua vita da guerriera. Proprio come le mani di Xena. - Più
della mia stessa vita. - rispose serenamente.
Poi, prendendo fiato: - Hai ragione: Xena non c’è. E
sicuramente non vorrebbe vedermi in una situazione di stallo di fronte
alle difficoltà. - tirò un lungo respiro e proseguì.
- Bene. Avevi detto d’avere un piano, giusto? -
- Sì. E’ semplice. Quando saremo all’interno dell’antro
in cui tengono Asterione ci nasconderemo in qualche anfratto ed attenderemo
che la belva si faccia avanti… -
- Aspetta. Sei sicuro che si tratti di una grotta? - chiese la ragazza.
- Proprio sicuro no. - rispose Teseo. - Ma ho ascoltato un’infinità
di racconti a riguardo e più o meno mi sono fatto un’idea
di come debba essere la dimora di quel mostro. -
- Però, che io sappia, nessuno è mai tornato per raccontare
come stiano realmente le cose. - lo incalzò Olimpia.
- Sì, anche questo è vero. Ma penso che non esista altra
sistemazione per una creatura che si cibi di carne umana. Se fossi
stato Minosse, l’avrei fatto rinchiudere in una cava, lontano
da tutto e da tutti… -
- Speriamo… - disse pensieroso il bardo, - Sembrerà sciocco,
ma il mio sogno non dava l’idea di una grotta… C’erano
pareti in muratura… - si sforzò di ricordare.
- Magari ricordi male… - la interruppe Teseo. - Comunque, ho
nascosto nei calzari un piccolo pugnale e, all’occorrenza, lo
estrarrò per scassinare queste catene. - fece tintinnare il
metallo avviluppato ai suoi polsi - E anche le tue. Per ora darebbe
troppo nell’occhio, ma al momento giusto… Asterione non
avrà scampo. -
Olimpia pensò con una fitta d’ansia che, contro la creatura
che aveva visto in sogno, a poco sarebbero valsi un misero pugnale
e due sais: la sicurezza infantile di Teseo sarebbe andata in briciole
di fronte a quel mostro. In cuor suo sperò che l’incubo
da cui si era da poco destata non fosse altro che l’effetto
della stanchezza accumulata. Non disse nulla al suo compagno e lasciò
che proseguisse nella spiegazione dettagliata del suo piano di fuga.
ATTO 2
- Tenacle, dov’è
la ciurma che mi avevi promesso? -
- Calma, Xena. Quanta fretta! - l’armatore si sistemò
il bracciale d’argento sul polso scarno. - Stanno imbarcando
un po’ di provvigioni, visto che hai asserito di dover star
in mare almeno una settimana. - fissò i suoi due occhi acquosi
negli zaffiri della guerriera. - Ti ho procurato una ciurma d’eccezione:
i più valenti ex soldati dell’Attica, della Tracia, della
Cappadocia… -
- Ex mercenari, vorrai dire… - lo interruppe sardonica Xena.
- E sia. Dopotutto poco importa cosa siano o siano stati, no? L’importante
è che sappiano combattere bene e non abbiano paura di vedersela
con i pirati. -
- Ho intenzione di dirigermi verso Creta. - cambiò discorso
la donna, con piglio autoritario.
- Verso Creta? Ma quei dannati sono stati avvistati più a nord!
Così allunghi il viaggio… Xena, - il tono divenne stridulo,
- ti risulta forse che i miei forzieri producano oro da soli?? Sta
bene attenta che il tuo piano non diventi troppo oneroso o sarai costretta
a ripagarmi lavorando per me. E non sto scherzando. Io non scherzo
mai. -.
La mandibola di Xena si contrasse nervosamente.
- Non temere. So quel che faccio. - rispose la donna con voce fredda.
- Me lo auguro. - replicò Tenacle. - Va al molo. Là
cerca Apollodoro: è lui il capo in seconda. -
di
Dori