episodio n. 13
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- Se continui così non solo sarà l’ultima cosa che fai tu, ma anche l’ultima MIA! Hai idea che, non appena scoprirà che non siamo più nelle nostre stanze, Minosse ci sguinzaglierà dietro tutte le guardie del palazzo?? - lo incalzò la ragazza, - Come minimo non avremo neppure il tempo di dire “alfa” e saremo già belli e pronti per Asterione! -
- E se anche fosse? Devo forse ricordarti che domani è il nostro ultimo giorno? La luna è quasi pronta per splendere piena in cielo: questa è l’ultima notte che ci sia concessa e io non voglio sprecarla dormendo. -
Olimpia lo guardò comprensiva. - Se ti dicessi come avrei preferito trascorrerla io, l’ultima notte… - sbuffò malinconica, - E sia. Ma facciamo presto, intesi? Due parole al massimo e niente sdolcinature! -
- Dei! Mi sembri la mia nutrice! Va bene, va bene! Ma ora andiamo… - rispose Teseo divertito ed ansioso.
Girarono l’angolo, silenziosi come felini. Il corridoio, illuminato solo da due torce ai suoi estremi, era disadorno, in completo contrasto con lo sfarzo del resto del palazzo.
- Questa la dice lunga… - osservò Olimpia seriamente, - sul rapporto tra padre e figlia. Sembra che il re non abbia in gran stima la principessa… -
- Già. - concordò Teseo, - Basti pensare che l’ha velatamente accusata di mettere fine alla sua dinastia. - il suo sguardo si fece vago, - I padri possono divenire il peggiore dei nemici, talvolta. -
Il bardo lo guardò, ma non disse nulla.
Il gineceo sembrava deserto: non una guardia od un eunuco a presidiare gli ingressi. D’un tratto, i giovani sentirono un leggero fruscio provenire dalle loro spalle. Voltatisi all’improvviso, intravidero una figura muoversi furtivamente nel buio. Teseo ed Olimpia s’irrigidirono contro il muro. La ragazza tese le orecchie e si concentrò sui rumori percepiti.
- Hai visto? - chiese il giovane ansiosamente.
- Shht… - sussurrò il bardo, assorto. - Sembra che qualcuno ci stia spiando da dietro la statua di Minerva… Sta per muoversi ancora… - rispose, ad occhi chiusi.
Infatti, la figura si mosse di nuovo, strisciando nell’ombra ed acquattandosi nei pressi di un’altra statua. I due giovani, messi in allarme, tentarono di raggiungere la porta della camera di Arianna, ma qualcosa sibilò nel buio ed afferrò con una stretta poderosa ambedue le caviglie di Teseo, che cadde con un tonfo secco sul pavimento, mentre Olimpia si scansava repentinamente.
- Dannazione! - imprecò il principe, portando le mani ai piedi. - Cosa diavolo… -
Una sostanza appiccicosa colava dalle corde, che gli si erano ingarbugliate attorno alle caviglie in un groviglio inestricabile.
Olimpia estrasse i sais dai calzari, nel momento stesso in cui l’ombra che li aveva seguiti si staccò dal muro e si avvicinò loro con passo felpato.
- Chi ho il piacere di conoscere? - chiese una voce femminile, dolce e beffarda al tempo stesso.
- Teseo di Atene ed Olimpia da Potidea, maestà - rispose quietamente il bardo, rinfoderando le armi.
- Cosa? - chiese il giovane principe, ancora sbalordito per la caduta e per la sorpresa, - Olimpia, come hai fatto a capire…? - ma s’interruppe senza fiato quando, dall’ombra in cui avanzava, Arianna si mostrò loro alla flebile luce delle torce. Indossava quello che, apparentemente, doveva essere un abito da combattimento. A Olimpia ricordò molto quello indossato da Xena a Highuchi e, per un attimo, il bardo rivide la propria compagna poco prima di partire per andare a combattere - e a morire - nei boschi del Giappone. Scosse il capo per scacciare quei cattivi pensieri e dedicò la propria attenzione alla principessa.
- Quel nodo non si districherà mai, se continui a tirare così. - disse serenamente la ragazza al principe ateniese, indaffarato nel tentativo di liberarsi e goffamente steso in una posizione bizzarra. - Vieni, - lo invitò ad alzarsi, - saltella fino alla mia camera: lì ho il necessario per sciogliere l’intruglio che t’inzacchera la pelle. - fece appoggiare il giovane alla propria spalla, mentre Olimpia passava a sostenerlo dall’altra parte.
Insieme, giunsero alla camera della principessa e, una volta dentro, la ragazza sbarrò con un pesante chiavistello l’ingresso.
- Ecco, così non ci disturberà nessuno. - sospirò soddisfatta.
- Principessa, - chiese cortesemente il bardo, - nessun servitore sta ai vostri ordini? -
La fanciulla si fece triste, ma sorrise: - Non più, più o meno dalla morte di mio fratello Androgeo. Mio padre, appena terminato il lutto, impose agli eunuchi di andarsene e mi lasciò la nutrice. Ma era vecchia, povera donna, e qualche anno fa se n’è andata nei Campi Elisi… Che almeno lei sia felice... - fissò gli occhi scuri in quelli di Olimpia. - Per favore, chiamami Arianna: gli appellativi reali m’infastidiscono. -
- Come vuoi, Arianna. - rispose prontamente il bardo.
- Scusate se v’interrompo. - fece Teseo dall’angolo in cui s’era accoccolato, invischiato sempre di più nella sostanza appiccicaticcia di cui erano inzuppate le corde. - Potreste lasciare le presentazioni a dopo e darmi una mano a liberarmi da quest’inferno? -
Le proteste del principe furono accolte dalle due con un sorriso di puro divertimento: - Eccoci, brontolone! - disse Olimpia, mentre s’avvicinava con passo intenzionalmente lento.
Dopo qualche minuto, le gocce che Arianna aveva versato sulle corde avevano sortito il loro effetto: Teseo stava finalmente in piedi, ritto ed intento a sciacquarsi le mani, dopo essersi ripulito per bene caviglie e polpacci.
- Cosa diamine c’era in quelle corde? - chiese incuriosito.
- Mi dispiace deluderti: non lo so. - rispose candidamente Arianna, - L’inventore è il saggio al servizio di mio padre, Dedalo. E’ lui che ha studiato le piante e ne ha tratto questo liquido… Mi ha anche fornito il “solvente”, come lo chiama lui. Si tratta di quelle gocce che ti ho versato addosso pochi minuti fa. - concluse con un sorriso disarmante.
Teseo, che s’era bloccato in contemplazione di quegl’occhi color della brace, si riscosse, non appena un poderoso pizzicotto gl’infiammò la coscia.
- Smetti di sbavare, o faremo tutti un bel bagno, tra poco! - gli sibilò da dietro Olimpia. Il bardo si spostò a fianco del giovane. - Arianna, - riprese, - sai combattere molto bene. Hai avuto un buon maestro. -
- Oh, no… Non in senso stretto, almeno. - gli altri due le riservarono uno sguardo incredulo, - Beh, per dirla tutta: ho passato tanto di quel tempo ad osservare le guardie di mio padre allenarsi, che ho finito con l’imparare. Di sera, nel mio giardino, Icaro mi raggiungeva per fare pratica… -
- Chi sarebbe Icaro? Tuo fratello? – chiese, curioso e un vagamente invidioso, Teseo.
- No! - rispose con un sorriso malinconico la principessa, - E’ il figlio di Dedalo. Ci vedevamo tutti i giorni, prima che mio padre lo facesse rinchiudere insieme al genitore nella torre che dà sul mare, con l’accusa di alto tradimento. - sospirò profondamente.
- Attentò alla tua vita? - chiese Olimpia.
- Non l’avrebbe mai neppure immaginato. Per me era come un fratello. Ed io una sorella per lui. - guardò fuori dalla finestra, perdendo lo sguardo nell’oscurità. - Mio padre fece accecare Dedalo e lo accusò d’aver inviato la mappa del castello di Cnosso agli ateniesi. In realtà, lo fece rinchiudere perché non svelasse a nessuno come uscire dall’antro in cui vive mio fratello Asterione. -
- Che figlio di… Ahi! - un nuovo pizzicotto interruppe Teseo.
- Asterione… - iniziò Olimpia, - Nessuno ci dice nulla di lui: circolano solo voci alquanto misteriose e raccapriccianti… - per un attimo le sovvenne l’incubo di qualche giorno prima e rabbrividì. - Tuo padre ne parla come se fosse un giovane sadico. - aspettò che Arianna reagisse.
La giovane sorrise tristemente: - Mio fratello, sì… - sospirò di nuovo. - Dunque. Quando io avevo meno di un anno di vita, mia madre morì nel dare alla luce il suo ultimogenito, Asterione, appunto. Mio padre, sconvolto dall’accaduto, fece chiamare i più dotati architetti dell’epoca per commissionare loro, nella versione ufficiale, un gran mausoleo per la sposa. - sorrise di nuovo e, ad Olimpia, sembrò che fosse un gesto di rassegnazione, - In realtà, scelto tra loro Dedalo, gli fece realizzare un enorme labirinto, poco distante dalla reggia. E’ lì che è rinchiuso da vent’anni mio… fratello… - tacque.
Olimpia e Teseo si scambiarono un’occhiata e il ragazzo parlò: - Perché… -
Intuendo la domanda, Arianna lo interruppe: - Perché sta chiuso lì? - sorrise ancora, questa volta ironicamente, - Perché Asterione non potrebbe essere lasciato in altre parti. Lui non è… - si fermò, come a scegliere il termine adatto, - Non è… del tutto… umano. Ecco, io non dovrei saperlo. - nei suoi occhi s’accese improvvisa la rabbia, - Ma non sono stupida e nessuno bada che io esca o meno dalla reggia. Così sono solita andarmene tra la gente ed ascoltare i racconti. Io non ho mai visto Asterione, ma ciò che ho saputo di lui ha fatto nascere in me sentimenti contrastanti. In parte, non è colpa sua… Mio fratello non nacque per volontà umana, ma per capriccio divino. -
- Ci risiamo! - la interruppe Teseo, - Atene e Creta sono in lotta per lo stesso motivo… - sospirò irato.
- Nettuno in persona architettò la vendetta. - riprese Arianna. - Fece invaghire mia madre di un bellissimo toro. Da quell’animale lei concepì una creatura che la straziò fino ad ucciderla, quando venne alla luce. Una creatura che, nascendo, commise il suo primo omicidio, ecco cos’è mio fratello: “Asterione, il mangiatore d’uomini”.
- Dei… - Teseo ed Olimpia, sconvolti e disgustati dall’abominio, parlarono all’unisono.
- Non nominate gli dei, almeno in mia presenza: non sono i benvenuti, qui. - li riprese secca la principessa. Poi, come resasi conto d’aver esagerato un po’: - Scusate: non m’accorgo mai che questa storia sconvolge. Io ci convivo da sempre… - abbassò gli occhi. - Ecco perché ero al porto quando siete arrivati. -
Gli altri due la guardarono curiosi.
- Cercavo di mettermi in contatto con qualcuno. - guardò Teseo e arrossì violentemente, - Sono stata fortunata, a quanto pare. - sorrise. - Non potreste uscire dal labirinto senza un aiuto: è un’enorme costruzione, in parte sotterranea, con il soffitto a cupola, nel quale si apre un lucernario, talmente in alto che la poca luce che vi filtra non arriva al pavimento. C’è una sola apertura: l’ingresso. Non sono state costruite uscite. - il suo sguardo si fece duro. - Chi vi entra non esce più, né vivo né morto. A meno che… -
- Non sia così fortunato da incontrarti. - concluse Teseo, appena ripresosi dal medesimo rossore della principessa.
- Appena entrati, domani, legate il capo di questa matassa ad uno dei ganci per le fiaccole e svolgete il filo man mano proseguite. Riavvolgendolo, trovereste la strada a ritroso. Sempre che Asterione non vi trovi prima… - passò un grosso gomitolo di spago ad Olimpia.
- Ha punti deboli tuo fratello? - chiese il bardo, - Com’è fatto? -
- Tutto ciò che so è che ha ereditato parte del corpo umano, parte di quello taurino. - sospirò, - Mi dispiace, non so altro. -
- Ci hai detto tantissimo, non pensare di non esser utile! - affermò Teseo, prendendo tra le sue le mani della ragazza, - Grazie a te, domani sopravvivremo e, con un po’ di fortuna, metteremo fine alla schiavitù di Atene. –
“Un po’ tanta fortuna, mi sa…” pensò Olimpia guardando, dalla finestra della camera, il mare, illuminato a sprazzi dalla luna piena, seminascosta dalle nuvole. “Xena, dove sei? Amore, perché non sei qui?”

- Capitano, è necessario che scenda sotto coperta. - Castore interruppe i pensieri di Xena che, lo sguardo fisso verso gli scogli, osservava assorta il relitto della nave pirata che, bruciando, affondava lentamente nelle acque cretesi.
La donna si voltò, mostrando al marinaio la profonda ferita sulla guancia, che si era procurata combattendo. L’uomo che l’aveva prodotta aveva pagato caro tale atto, comunque.
Sospirò: - Ci sta lasciando? - chiese tristemente.
L’uomo di fronte a lei abbassò gli occhi. - Temo di sì. Non credo supererà la notte, anche se le tue cure sono state tempestive... - guardò di nuovo la guerriera, - Xena, non devi essere triste per lui: ha combattuto da vero soldato, sta morendo per una cosa in cui ha creduto fino in fondo. Non pensare di essere tu la causa di tutto. -
La donna si staccò dalla balaustra e s’avviò verso le scale che portavano in coperta, seguita da Castore.
Entrati nella cabina, i due si avvicinarono al giaciglio del moribondo.
- Anàssaro, sono io. - la voce di Xena era flebile quanto la luce della candela che illuminava il viso pallido dell’uomo.
Il timoniere aprì a fatica gli occhi ed abbozzò un sorriso: - Capitano… Abbiamo vin…to… - una smorfia di dolore sconvolse i lineamenti induriti dal sole e dalla salsedine.
- Sì, grazie a te… - la donna gli prese la mano e gli sorrise: un sorriso dolce e materno. Castore la guardò stupefatto: non aveva mai visto Xena in questo modo e, in cuor suo, s’era chiesto cosa l’avesse fatta cambiare così tanto e, forse, s’era anche dato la risposta: Olimpia, la sua compagna. Gli piaceva la “nuova” Xena, molto più di quella che era stata chiamata “il Distruttore di Nazioni”. Sì, molto di più. Potenza dell’amore? Mah, possibile…Però riconosceva a quella ragazza, che per altro non aveva mai visto, l’onore d’aver reso all’umanità il più grande dei doni: qualcuno che si prendesse cura di lei… E non era cosa da poco.
- Xena… - il moribondo raccolse le forze per parlare: - Le carte… - indicò con mano malferma la propria sacca, riversa su una panca. La donna corse a prenderla e ne estrasse le carte nautiche del marinaio.
- Queste? - sorrise, - Grazie, me ne occuper… - Anàssaro l’interruppe.
- No… Quella più piccola… - gemette flebilmente. - Pren…dila… - aveva fretta, doveva dire tutto prima di morire. Non c’era scelta: ora o mai più. - La scogliera… - iniziò.
- La vedo. - incalzò Xena, capendo le intenzioni dell’uomo.
- Tra le rocce a punta… Passaggio sotto il mare… - prese fiato: - Dedalo lo… Disse… Anni fa… - si fermò, squassato da un tremendo colpo di tosse.
- Riposa, amico, parleremo dopo. - lo interruppe la donna, tastandogli il polso con occhi tristi.
- No!- il timoniere usò le poche forze per imporsi. - Ora. Non c’è tempo… - chiuse gli occhi, - Nuota sotto e trova la via, Xena… Sali le scale e sarai fuori. - riprese fiato, - La torre che vedrai è la sua prigione… - strinse spasmodicamente la mano della donna. - Salutalo per me… - sorrise, - Era il mio migliore amico… -
- Ti onoreremo insieme, Dedalo ed io, non temere. - rispose dolcemente la donna, - Ora riposa, grande guerriero. -
- Trovala, Xena, e riportala a casa… Con te… - l’uomo le sorrise benevolmente.
Xena lo guardò: - Olimpia? - come poteva saperlo??? - Intendi Olimpia? -
- Sì…… E’ il tuo bene… Più prezioso… - esalò Anàssaro, chiudendo gli occhi. La presa della sua mano si fece via via più debole, fino a cessare del tutto.
“Il mio bene più prezioso…” pensò Xena, lasciando la stretta e girandosi verso Castore, con il volto sconvolto: - E’ morto. Voglio che lo si onori con un banchetto! Chiama Pannòto e digli di preparare focacce e carne e di togliere dalla stiva il vino. - sospirò, - In quanto alla sepoltura, lo lasceremo al mare: era la sua essenza. -
- Agli ordini, capitano. - obbedì Castore, sparendo verso la cambusa.
Xena mise due monete sugl’occhi di Anàssaro e gli congiunse le mani sul petto. - Grazie, amico. - gli sussurrò piano.
In quel momento entrò Apollodoro, zoppicando.
- Che gli dei lo abbiano in gloria, Xena: era un ottimo combattente ed il miglior timoniere che abbia mai conosciuto… - sospirò il vecchio.
- Già… Prima di morire mi ha rivelato l’esistenza di un passaggio per la torre in cui dovrebbe esser prigioniero Dedalo… -
- Sì? Ah… - sovvenne il vecchio, - E’ possibile: Anàssaro e Dedalo erano molto amici. Prima della sua incarcerazione, Dedalo invitava spesso Anàssaro a corte. Deve averglielo mostrato lui… Fidati: questa buon’anima non t’avrebbe indicato la via sbagliata in punto di morte. - appoggiò una mano sulla spalla della guerriera. - Aveva capito il perché del nostro viaggio a Creta, Xena: voleva che tu arrivassi in tempo per salvare Olimpia, a tutti i costi. - le sorrise. - Segui il suo consiglio e vai, non preoccuparti per noi: hai un compito ben più importante da svolgere. Ti aspetteremo qui, al largo. Quando avrai fatto ciò che devi, mandaci il segnale che usavamo anni fa, ricordi? Puoi prendere ciò che ti serve nella stiva. -
- Sì, ricordo… - rispose la donna. - Ma, prima, onoriamo questo eroe. - disse risoluta e s’avviò verso il ponte con passo deciso.

Il corpo del timoniere scivolò dall’asse su cui era stato sistemato ed affondò velocemente nelle profondità marine. Xena e la truppa stettero in silenzio a guardare l’ombra scura che scendeva sempre di più, finché la sagoma prese il colore dei flutti, e fu solo il profondo blu del mare a riempire i loro occhi.
- Xena, è ora. - l’apostrofò Apollodoro. - Tieni: ti ho sistemato un po’ di cose… C’è anche il nostro segnale preferito, come ai vecchi tempi! - le allungò una bisaccia di pelle, lavorata in modo da essere impermeabile a lungo.
La guerriera lo ringraziò e si sistemò la borsa, allacciandola bene alla schiena.
- La nave non può avvicinarsi più di così, capitano. - la informò Castore, - Rischieremmo lo scafo e… -
- Non preoccuparti. - lo interruppe Xena, - A nuoto me la cavo ancora bene: arriverò fin là in un battibaleno, fidati. E poi, - disse, sgranchendosi le spalle con movimenti rotatori, - il nuoto fa bene a tutto il corpo, no? - sorrise, - Bene: farò un po’ di ginnastica! - la tensione accumulata dagli uomini si sciolse al tentativo umoristico del loro capitano. Xena si avvicinò alla balaustra, salutò la ciurma e si tuffò in acqua. Con poche bracciate poderose raggiunse gli scogli indicati da Anàssaro. Si portò al centro dello slargo tra le rocce, prese un grosso respiro e s’immerse.
Dalla nave Apollodoro ed il resto dei marinai restarono per alcuni minuti ad osservare. Poi il vecchio si voltò ed esortò la ciurma: - Non stiamo qui come babbei! Ripariamo la nave e teniamoci pronti: sono sicuro che il nostro capitano tra poco si rifarà vivo: non le succederà nulla di grave, vedrete. Dobbiamo essere pronti ad accogliere Xena come si deve! - gli uomini annuirono e si sparpagliarono alacremente per l’imbarcazione.
Xena trovò facilmente l’antro sottomarino che il timoniere le aveva indicato: riemerse con un ansito, in completo debito d’ossigeno. Si sdraiò sulla rena per qualche istante, il tempo per riprendersi dallo sforzo dell’apnea e superare il dolore lancinante ai polmoni, poi si alzò. Controllò che il contenuto della borsa fosse integro e s’avviò per gli scivolosi gradini di pietra che portavano in superficie. La scala era ricoperta d’incrostazioni e di melma viscida: nessuno doveva averla percorsa da anni. Xena camminava a tentoni, nel buio più completo, i sensi completamente vigili. Arrivata in cima, trovò l’uscita ostruita da un leggero muro di calce, sicuramente uno stratagemma per nascondere a sguardi indesiderati il passaggio segreto. Con un paio di colpi ben assestati, la guerriera abbatté la parete e fu all’aperto.
- Per gli dei… - sospirò, inspirando avidamente l’aria fresca di Creta.
Scorse immediatamente la torre di cui le aveva parlato Anàssaro. Estrasse una fune dalla bisaccia e, mentre s’accingeva a fissarla all’arpione che si era portata, scorse una guardia affacciata ad una torretta difensiva.
Il chakram volò sibilando nell’aria notturna: l’uomo cadde, ancora prima di rendersi conto di ciò che stava succedendo e senza emettere alcun suono.
Xena terminò di sistemare l’arpione e lo lanciò con mira precisa verso la sommità della torre. Teneva come punto di riferimento l’unica finestra aperta in quella parete di pietra, in quel momento illuminata da una fioca luce. Sicuramente, pensò la guerriera, la stanza in cui Minosse teneva prigioniero Dedalo.
Iniziò la scalata spostandosi con facilità verso la cima e si fermò solo poco prima di raggiungere la finestra.
- Dedalo! - chiamò a voce bassa, ma abbastanza chiaramente da poter essere comunque udita. Nessuna risposta. - Dedalo!! - Xena riprovò con maggior veemenza. Questa volta udì distintamente alcuni rumori provenire dall’interno. Un voltò spuntò dall’apertura sopra la sua testa.
- Chi è? - chiese una voce malferma. L’uomo, incuriosito, si sporse ancora di più. – Chi è?? –
- Dedalo, sono Xena… Ricordi? – rispose Xena, sempre più preoccupata dai rumori che iniziava a sentire, provenienti dalla torretta da cui era caduta la guardia: il corpo doveva esser stato scoperto.
- Non ricordo e non ti conosco! – ribatté l’uomo, diffidente, anche se la voce denotava un’incrinatura nel sospetto.
- Anàssaro mi ha detto…Vengo per liberarti, Dedalo. Lasciami entrare! – chiese con fermezza Xena, risalendo ancora di più la corda.
La testa dell’uomo si ritrasse e la guerriera poté aggrapparsi al davanzale di pietra consunta. Si issò e si lasciò cadere all’interno della stanza, ritirando celermente la fune che le era servita per l’arrampicata. Poi, Xena si voltò.
Un giovane la osservava compostamente da un lato semibuio della stanza, mentre il vecchio Dedalo, a ridosso del muro, le mostrava ciò che restava dei suoi occhi: un’orrida cicatrice, che gli attraversava il volto, da una tempia all’altra.
- Chi sei? – chiese semplicemente il ragazzo. – Noi non siamo armati e non abbiamo né denaro né gioielli: cadi male se cerchi ricchezze qui… - non c’era, nell’atteggiamento del giovane, alcun segno di timore od astio.
- Calmati, Icaro. – lo interruppe il vecchio cieco. – Conoscevo Xena, la “Distruttrice di Nazioni”… Poi ho saputo che aveva cambiato vita, che difendeva i deboli dai signori della guerra. Ma tempo fa mi giunse anche la notizia della sua morte. Dunque, come puoi essere tu Xena? –
- Verifica tu stesso. – rispose pacatamente la donna.
Dedalo si avvicinò alla guerriera, allungò la mano tremula ed iniziò a sfiorarle il viso con tocchi delicati. Sul volto del saggio si disegnò uno stupore senza parole.
- Come può essere… - ancora i polpastrelli indagarono curiosi sulle fattezze della donna, sfiorarono la ferita che le attraversava la guancia, salirono verso gli occhi e indugiarono sulla fronte, - Come puoi essere tu, Xena? Gli anni sono passati per tutti… -
- Ma non per me, vero? – concluse al posto suo la guerriera. – E’ una storia lunga, Dedalo. – sospirò, - Se avessimo tempo passerei ore a raccontartela, ma non possiamo aspettare. Ho fretta e ho bisogno del tuo aiuto. Devo liberare la mia amica da Asterione e… -
Al sentire nominare il mostro il vecchio si ritirò, incespicando, accanto al focolare, mentre il figlio si alzò di scatto, correndo a sorreggere l’infermo genitore.
- Lasciaci in pace! – gridò Icaro in preda all’ira, - Non vogliamo aver a che fare con quella bestia: non abbiamo già pagato abbastanza per l’abominio degli dei? – strinse convulsamente le spalle del genitore, a rafforzare il contatto ed il senso di protezione che già emanava forte dalla sua figura. Xena si avvicinò di qualche passo.
- Non temete: non voglio trascinarvi in qualcosa di pericoloso… - si accostò ancora di più: voleva che i due capissero. – Anàssaro mi ha detto come raggiungerti e che tu sai come farmi arrivare nell’antro di Asterione senza che alcuno mi veda. – prese tra le sue le mani del vecchio, senza che Icaro facesse nulla per fermarla. – Mi aiuterai? – il suo viso esprimeva tutta l’angoscia del mondo.
- Anàssaro ti ha detto come raggiungermi… - gemette Dedalo, - Non l’avrebbe mai fatto se… - la certezza lo colpì dolorosamente, - E’ morto, vero? –
Xena non rispose, ma tanto bastò per dare conferma al vecchio. – Riposa in pace, amico… - sussurrò.
- Perché vuoi raggiungere il labirinto del mostro? – chiese curioso Icaro, - Nessuno sano di mente si recherebbe in visita da Asterione. - ironizzò.
- Circa una settimana fa Olimpia, la mia migliore amica, è stata presa insieme ad altri tredici giovani ad Atene ed è stata condotta qui, per il sacrificio rituale… - sospirò Xena. – Sono venuta qui con l’intento di salvarla e niente e nessuno mi persuaderà del contrario. – il suo tono non lasciava spazio a repliche.
- Dev’essere proprio una grande amicizia la vostra, se ti ha portato ad una decisione così grave: Asterione non è un mostro comune. – ribatté il vecchio. – Arrivi comunque in un buon momento: la luna non è ancora piena in cielo, solitamente Minosse aspetta il plenilunio per dar atto alla vendetta. – si strofinò i pochi capelli, nell’atto di chi sta rimuginando qualcosa. – Posso aiutarti, Xena, a patto che tu aiuti noi. –
La donna tacque, aspettando che Dedalo continuasse.
- Vedi, - iniziò il vecchio, - Da anni ormai siamo segregati qui: Minosse mi accusò di spionaggio ai danni della Corte e mi fece accecare, giustificando l’atto come la legittima punizione per una spia. – sospirò, seppure senza ira, - In realtà voleva semplicemente impedirmi di rivelare ad altri il segreto che nasconde nel mausoleo di Parsifae. Non è solo la tomba della regina, ma è anche… -
- La tana del mostro. – terminò Xena, - Lo so. Proprio per questo chiedo il tuo aiuto, Dedalo: so che puoi darmi le indicazioni per arrivare in tempo e salvare la mia Olimpia… -
- La tua Olimpia… - ponderò il vecchio, sorridendo dolcemente, - Bene, - disse, staccandosi dal figlio ed avvicinandosi al tavolo, - qui, da qualche parte, ho ancora un foglio di pergamena pulito… - cercò, sparpagliando le carte davanti a sé, come se potesse effettivamente vedere in mezzo alla confusione di fogli che aveva dinnanzi. Incredibilmente, estrasse dal caos di pergamene un rotolo intonso e lo srotolò sul piano di legno. Prese uno strano oggetto, simile ad uno stilo, ma in grado di tracciare segni neri e, con mano ferma, iniziò a tracciare un disegno.
- Vedi? – chiese, interrompendo per un attimo l’opera, - Questo è il mausoleo della Regina… - indicò col dito consunto un punto del disegno: - Qui c’è l’ingresso, il solo ed unico. Ho progettato personalmente, senza collaboratori, l’interno: nessuno può sapere i segreti di questo labirinto, a parte me. Volevo fosse annoverato tra le Meraviglie del Mondo, non tra le mostruosità… - sospirò sommessamente. – A meno che tu non abbia una mappa molto precisa, non ne usciresti mai viva, Xena. Mi ci vorrebbe troppo tempo per disegnartene una a memoria… Ma c’è un altro modo. – si schiarì la voce. – Puoi entrare dal lucernaio. –
- Ma è posto molto in alto, Dedalo. – lo interruppe la guerriera, - Una volta entrata, dovrei usare una fune lunghissima per calarmi fino al pavimento! Dove la trovo? Non ho tempo… –
Il saggio sorrise: - E chi t’ha detto che devi calarti con una fune, Xena? – si staccò dal tavolo e s’avviò verso il lato più buio della stanza, seguito da Icaro. Xena stette a guardare.
Quando il duo tornò alla luce del fuoco, Dedalo reggeva tra le mani qualcosa di lungo e vaporoso, che sfiorava il pavimento con le sue punte.
- Tu entrerai volando. - dichiarò il vecchio, raggiante.

ATTO 4

- Avanti! Camminate! – la guardia addetta allo spostamento dei prigionieri strattonò di malavoglia la catena che imbrigliava i polsi dei giovani ateniesi. Olimpia e Teseo si scambiarono uno sguardo fugace. Il piano era stato messo a punto insieme ad Arianna durante la notte: Teseo aveva nascosto la matassa di spago ed il pugnale sotto la mantella che indossava abitualmente. Per il bardo non era stato altrettanto facile, vista l’impalpabilità della veste fornitale dal re, ma alla fine era riuscita a celare i sais legandoli, incrociati, dietro la schiena e a fissare il sacchetto di polvere, acquistata ad Atene, alla coscia. Non sapeva perché, ma era certa che sarebbe potuto tornarle utile. O, almeno, così sperava.
Sarebbe stato facile per loro scappare durante la notte, mentre ancora si trovavano nelle stanze della principessa, ma avevano deciso di restare ed affrontare insieme il mostro, per liberare una volta per tutte Atene (e anche Creta, perché no?) da Asterione. Arianna aveva parlato chiaro: una volta abbattuto il fratello, avrebbe radunato le guardie reali, che le erano fedeli ed erano stanche dei continui colpi di testa di Minosse, ed avrebbe spodestato il re, divenendo sovrana di Creta. Teseo s’era mostrato tiepido di fronte a tale prospettiva: non sarebbe stato facile per lui, principe di una terra da tempo nemica di Micene, chiederne in moglie addirittura la regina! Ma s’era perdutamente innamorato di Arianna ed il solo pensiero di non rivederla più gli dava il tormento. Motivo in più per liberarsi di Asterione nel più breve tempo possibile…
- Tra poco il sole calerà e Selene splenderà piena, nel cielo notturno. - il discorso di commiato del re di Creta era iniziato all’improvviso, senza che nessuno dei presenti se ne rendesse conto. - Mio figlio vi attende con ansia… - sorrise, i suoi occhi brucianti di un’ira folle, - Brama d’incontrarvi! - il sovrano rise soddisfatto.
- Per dimostrarvi che non sono un monarca sanguinario, ma che credo nella sacralità dell’ospite, ho fatto preparare per voi una bisaccia con del cibo ed un otre d’acqua. Non vorrei che alcuno, nell’antro, morisse di fame… - ironizzò crudele, - Proprio nessuno… - terminò con voce stridula.
- Bastardo… - sibilò Teseo, con gli occhi bassi ed i pugni contratti.
- Sta calmo e concentrati, - lo riprese Olimpia, - Non permettere all’ira di sconvolgere la tua attenzione: dovremo mantenere i sensi completamente all’erta, se vogliamo fare la festa al cocco di papà. -
Una guardia passò a distribuire la sacca e subito le fece eco un’altra, consegnando la ghirba a ciascun morituro. L’aria si era fatta pesante, carica di oscuri presagi. Qualcuna, tra le ragazze ateniesi, scoppiò in un pianto dirotto, dimenticando l’austera dignità imposta dall’essere di sangue nobile. Molti dei giovani, invece, stavano impietriti, completamente basiti davanti all’imminente, orribile fine.
Il sole iniziò a sparire dietro la collina che costituiva il mausoleo della regina Parsifae mentre, all’opposto lato del cielo, s’iniziò ad intravedere la luna piena, che andava via via aumentando il proprio sfavillio lattiginoso.
- Aprite le porte! - gridò il vecchio monarca con fare soddisfatto.
L’immane portone iniziò a cigolare sui pesanti cardini di bronzo: ogni anta necessitava della forza di quattro uomini per essere spostata. Quando i battenti furono aperti, una folata d’aria gelida ed umida soffiò dal profondo dell’antro, facendo rabbrividire i presenti. Olimpia si strinse le braccia, passando le mani ripetutamente sulla pelle, nel tentativo di procurarsi un po’ di calore.
- Quel posto è terrificante… - sospirò a Teseo, - Neppure l’Ade era tanto… -
- E tu saresti stata anche nell’Ade? - la interruppe il principe.
Olimpia gli riservò uno sguardo che non lasciava dubbi. Il giovane scosse leggermente la testa: - Quante scoperte su di te avrò ancora l’onore di fare, Olimpia da Potidea? -
La ragazza sorrise compostamente. Non aveva idea di cosa sarebbe accaduto nelle ore successive e non si curava affatto del giudizio degli altri: in quel momento, l’unico pensiero fisso per lei era di sopravvivere ad ogni costo e tornare ad Atene, a casa, da Xena. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ritrovare la propria compagna. In cuor suo sentiva che Xena le era molto vicina, ma era una sensazione vaga, appena percepibile. Tanto, comunque, le bastava per affrontare a muso duro Asterione ed i suoi orrori. “Mi manchi, Xena. Dei, come mi manchi. Ma tornerò da te: sarai fiera di me, vedrai.”. Sorrise a se stessa, mentre una mano l’accompagnava all’interno dell’antro, spingendola delicatamente per la schiena.
Poi il portone si chiuse alle sue spalle. E fu tutto buio.


di Dori

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