Un impercettibile
movimento increspò per un attimo il sopracciglio di Xena, moto
che però non sfuggì all’armatore, il quale - erroneamente
- lo interpretò come un gesto di disappunto.
- Sarà il tuo vice, che ti piaccia o no, Xena. I miei uomini
avevano bisogno di un punto di riferimento, in fondo. Già non
hanno mandato giù il fatto di dover obbedire ad una donna…
- si schiarì la voce, come se dovesse trovare le parole giuste
per continuare, - Anche se molti di loro ti conoscono e sanno quanto
vali, è stato difficile convincerli che valesse la pena lavorare
con te. - di nuovo tossicchiò.
Xena lo osservò pensierosa: era molto più facile pensare
che Tenacle avesse messo Apollodoro a capo della ciurma per tenere
d’occhio i movimenti della principessa guerriera che non credere
alla storia del malcontento fra gli uomini. Ma l’armatore aveva
fatto male i propri conti: la guerriera conosceva Apollodoro dai tempi
in cui scorazzava per la Grecia col suo esercito e tutti la conoscevano
come Xena la Distruttrice - o anche con epiteti peggiori, a dir il
vero -.
“ Credo resterà sorpreso, il mio caro Apollo…”
sorrise tra sé la donna, “Vanitoso com’è
non accetterà che io sia rimasta giovane a suo dispetto! Sarà
divertente…” si disse, mentre usciva dalla stanza di Tenacle
e portava Argo II alla stalla. Guardò in direzione del molo
ed individuò il marinaio dai capelli radi e bianchi che la
stava osservando con gli occhi sgranati: Apollodoro. - Molto divertente
-, sentenziò divertita Xena, incamminandosi a passo sicuro
verso la nave che le era stata assegnata.
- Svelti, venite
fuori di lì… Ateniesi… - sibilò con disprezzo
un marinaio, allungando la mano sporca e ruvida verso Olimpia e strattonando
la ragazza, senza troppi complimenti, fuori dalla stiva.
- In fila! - urlò un altro uomo, dai capelli lunghi e sporchi.
Qualcuno singhiozzò. Olimpia si guardò intorno e vide
Teseo che, insieme agli altri ragazzi, s’avviava giù
per la scaletta di legno. Il ragazzo intercettò lo sguardo
del bardo e le fece un segno quasi impercettibile.
Da dietro iniziarono a spingere e, quando fu la volta di Olimpia di
lasciare la nave, la ragazza, barcollando sulla passerella, poté
osservare al di là della balaustra dell’imbarcazione
l’immenso porto di Creta e la folla che s’era assiepata
intorno al misero gruppo dei condannati.
Sembrò alla ragazza che nessuno degli isolani parteggiasse
per Minosse: a giudicare dagli sguardi carichi di compassione e pena
che si rivolgevano al bardo ed ai suoi compagni, Olimpia capì
che anche i cretesi erano stanchi ed amareggiati da quello che anche
per loro, ormai, doveva essere un incubo giornaliero.
- Coraggio… - qualcuno sussurrò dalla folla.
- Siate forti … - altri sussurri.
- Che gli dei vi proteggano… - Olimpia non riuscì a nascondere
il proprio disgusto di fronte all’affermazione: il solo pensiero
degli dei dell’Olimpo le dava la nausea. In parte, quella sciagura
era proprio dovuta a loro. Dov’erano ora? Morti, per la maggior
parte… E, fortunatamente, quelli ancora vivi erano troppo distratti
dalle loro beghe personali per preoccuparsi degli affari umani.
“Belur, guidami.” Disse tra sé il bardo. “Non
ti chiedo di salvarmi, ma solo di aiutarmi a fare le scelte giuste.”.
Si sentì più sollevata: l’unica garanzia di salvezza
(se di garanzia si poteva parlare) era quella di mantenere il sangue
freddo. Olimpia sapeva che la cosa più importante era riuscire
a restare calmi e ragionare.
La folla si divise improvvisamente in due ali. Nel varco, provocato
da un gruppo di guardie reali, i presenti intravidero l’avvicinarsi
di una portantina, sostenuta da quattro uomini prestanti e color dell’ebano.
Le cortine erano di pesante tela, di un color porpora acceso, impreziosite
da una greca d’oro che correva per tutto l’orlo inferiore.
Dagli sbalzi del tessuto pendevano tante piccole pietre preziose che,
cozzando dolcemente tra loro, emettevano un dolce e continuo tintinnio.
Con una calma quasi soffocante, i quattro uomini si portarono al centro
del piazzale, proprio di fronte ai ragazzi ateniesi. Appoggiarono
delicatamente la portantina a terra e si mantennero immobili accanto
ai propri sostegni.
Per un interminabile istante nessuno fiatò: la piazza sembrò
bloccarsi, come se il corso del tempo fosse stato rallentato gradatamente,
fino ad arrestarsi del tutto.
Poi, come per miracolo, la gente iniziò ad ondeggiare e il
silenzio irreale si sciolse in un ininterrotto mormorio.
Le guardie reali scrutavano preoccupate la folla che, lentamente,
avanzava verso la portantina.
All’improvviso, una mano, pallida e raggrinzita, quasi completamente
ricoperta da anelli d’oro, sbucò dalle tende e le scostò.
Olimpia osservò incuriosita la situazione: l’uomo che
vide apparire da dietro le cortine era un vecchio, dall’aspetto
fragile e macilento. Possibile fosse quello il terribile Minosse?
Con fatica il monarca si sporse dalla lettiga ed appoggiò i
piedi a terra. Quello che doveva essere il capo delle guardie reali
corse ad aiutarlo, si inchinò e gli porse la mano, tenendo
il capo rispettosamente basso.
Il vecchio si guardò intorno e, con un sospiro, si rivolse
ai giovani ateniesi. La sua voce parve giungere dall’Ade, tanto
suonava distante e faticosa.
- Lo so… Potrebbe suonare strano che proprio io venga a darvi
il benvenuto… - si fermò e respirò affannosamente.
- Sono il re di quest’isola. Signore assoluto di tutto ciò
che potete vedere. - allungò una mano scarna, indicando il
porto, le case, il mare e le persone presenti. - Gli dei non sono
stati clementi con me. Avevo un figlio e la boriosità del vostro
re l’ha ucciso. Al mio secondogenito è stato strappato
il trono da un fato crudele, ancora prima che nascesse… - la
sua voce fu un sibilo carico di rancore, - Ora ho solo una figlia,
che porterà il mio trono come dono di nozze ad uno straniero
qualsiasi. Il mio regno finirà con me... - Nei suoi occhi acquosi
brillò uno sprazzo d’ira repressa. - Per colpa della
vostra città, tutto ciò che ho costruito andrà
in rovina! - gridò con voce malferma. - Niente di me resterà,
dopo che sarò morto! Ecco perché ho deciso di presentarmi
da Caronte con molti di voi. Atene mi deve almeno questo: ripagarmi
con i suoi figli per il figlio che mi ha tolto! - sorrise, di un compiacimento
maligno, quasi folle. - Ho chiesto personalmente a mio figlio Asterione
di prepararvi per il viaggio. - osservò lentamente ciascuno
dei prigionieri, la bocca storta in un ghigno malvagio.
Olimpia sussultò: dunque Asterione era il figlio di Minosse?
Il “mostro affamato di carne umana” di cui parlavano Omero
ed Ermione era dunque il principe di Creta? Com’era possibile?
Il vecchio monarca parlò di nuovo: - Il mio figliolo è
già pronto: vi aspetta con ansia. Adora fare felice il proprio
padre… - di nuovo fissò lo sguardo, stavolta sulla folla.
- E se tra i presenti qualcuno dovesse trovare poco … piacevole
il trattamento che riservo ai nostri ospiti dell’Attica, mio
figlio sarà lieto di accogliere anche questo “qualcuno”
nella sua dimora. - lo sguardo si fece tagliente, - Come ben sapete,
Asterione non è tipo che faccia differenze. E’ di …
bocca buona, lui … - rise compiaciuto delle proprie parole.
Al suo riso fece eco quello del comandante della nave, seguito poi
da tutti i marinai. Il capo delle guardie reali, invece, non si scompose,
ma manifestò il proprio disappunto stringendo convulsamente
tra le dita l’elsa della spada appesa al proprio fianco.
Olimpia sentì crescere l’ansia dentro di sé. Quel
vecchio re doveva essere impazzito, di sicuro, ma nessuno sembrava
poter porre rimedio alla sua cattiveria o, quanto meno, essere interessato
a farlo. Questo Asterione doveva essere l’uomo più crudele
che esistesse sulla terra, a giudicare dal terrore che era capace
di suscitare nella gente. Possibile che nessuno si rendesse conto
della situazione? Possibile che la coscienza di tutti fosse insensibile
di fronte alla barbarie che si compiva ogni nove anni? Si girò
e guardò Teseo. Il ragazzo fissava un punto preciso della folla,
lo sguardo rapito e attento.
Olimpia seguì il filo invisibile che univa gli occhi del ragazzo
alla gente e scorse una fanciulla dai lunghi capelli scuri, intenta
ad osservare Teseo con la stessa attenzione. Era pallida, con occhi
neri, quasi di brace: portava un velo leggero, che le copriva in parte
la fronte candida. Teneva le spalle ben ritte: ad Olimpia sembrò
che il suo atteggiamento fosse piuttosto fiero e che il colore dell’incarnato
indicasse una vita per lo più passata tra le mura domestiche.
Una nobile, molto probabilmente.
Quando la fanciulla intercettò il suo sguardo, il bardo abbassò
gli occhi, sorridendo tra sé: “Eh, gli uomini…”,
si disse.
Tornò a guardare la folla. La ragazza era scomparsa.
- L’hai vista anche tu? - le chiese Teseo quando, incolonnati
dietro la portantina, i quattordici s’incamminarono verso la
reggia di Minosse.
- Chi? - chiese in tono ingenuo Olimpia.
- Ma dai! Quella ragazza giù al porto… L’hai vista?
-
- E se anche l’avessi vista? - sorrise Olimpia. Poi, di fronte
allo sguardo deluso dell’amico: - Comunque sì, l’ho
notata. Molto bella, non c’è che dire. Dev’essere
nobile: era molto pallida, segno che non esce spesso di casa…
E poi quel velo: troppo raffinata la stoffa, per essere un abito da
popolana. -
Teseo rise: - Non direi che l’hai solo “notata”.
Direi piuttosto che l’hai “osservata”, e molto bene
anche! - le rivolse uno sguardo scherzoso, - Devo considerarti un
rivale? -
Olimpia lo guardò divertita: - Non preoccuparti, ho già
rivolto le mie attenzioni da un’altra parte! -
- Quella ragazza mi ha completamente rapito… - sussurrò
estasiato Teseo.
- No, ti sbagli. I Cretesi ci hanno rapiti e noi siamo qui per risolvere
la questione. - ribatté Olimpia. Il giovane ateniese sospirò.
Il gruppo giunse infine sotto le mura della reggia di Minosse. Il
pesante portone si aprì e il mesto corteo s’avviò
all’interno.
Quando si fu fermato nel cortile d’ingresso, di nuovo la portantina
fu posta a terra. Minosse scese con gesti malfermi e sostò
davanti agli ateniesi, quasi passasse in rassegna le proprie truppe.
- Questa notte sarete miei ospiti: darò una festa in vostro
onore, perché l’ospite è sacro a Creta come ad
Atene. Mio figlio Asterione non vi potrà partecipare: detesta
l’etichetta di corte. - sorrise, compiaciuto dalle proprie parole,
- Ma lo incontrerete, non temete: quando Selene splenderà alta,
nella sua pienezza, in cielo. - rise di nuovo, sommessamente, poi
sospirò: - Al banchetto sarà presente mia figlia Arianna:
le chiederò di suonare la lira per voi… - batté
due volte le mani ingioiellate e subito comparve uno stuolo di serve
e servitori che, divisi i maschi dalle femmine, portarono i quattordici
prigionieri nelle stanze loro riservate, perché si preparassero
alla festa regale.
Giunta nei pressi
dell’imbarcazione Xena si ritrovò di fronte al vecchio
compagno d’armi.
- Xena, ci si rivede. - l’apostrofò Apollodoro avvicinandosi
e tendendole la mano.
- A quanto pare. Ne è passato di tempo… - rispose la
guerriera, afferrando l’avambraccio dell’uomo con presa
salda.
- Già… Ma sembra che sia passato solo per me, accidenti.
- fece l’uomo con fare seccato, passandosi una mano tra i capelli
radi. - Hai scoperto l’elisir di lunga vita, Xena? Potevi anche
avvisarmi… -
Xena gli riservò uno sguardo divertito e gli sussurrò
all’orecchio: - Ciascuno ha i propri privilegi, Apollodoro…
-
L’uomo sorrise malizioso: - Dicono che tu sia tornata dall’Ade…
- la guardò preoccupato, - Dicevano che un intero esercito,
mille uomini, era riuscito a sconfiggerti solo dopo che avevi abbattuto
molti soldati. Dicevano… - sospirò, - che t’avevano
staccato la testa, Xena… - la guardò seriamente. - M’era
dispiaciuto sapere che la tua fine era stata tanto crudele…
- le sorrise.
- Qualsiasi sia stata, ora sono qui, Apollodoro. - lo rincuorò
con calma la guerriera, anche se la sua mandibola si contrasse di
scatto al ricordo del Giappone.
- Eh, già… Così, eccoti qui. L’erba cattiva
non muore mai… - l’uomo le appoggiò una mano sulla
spalla, ridendo bonariamente.
Xena rise di rimando - Se non sbaglio solevi dire: “Dipende
dall’erba”. Giusto, Apollodoro? -
Il marinaio puntò lo sguardo verso l’orizzonte e divenne
malinconico: - Probabilmente io non sono l’erba giusta…
- mormorò.
La guerriera capì: - No, Apollodoro: ti sbagli. La mia eccezionale
longevità è solo frutto del capriccio degli dei e del
destino. Non sai quanto mi sia costato “guadagnare” tutti
questi anni… Ho perso l’infanzia di mia figlia, non ho
potuto dire addio a mia madre… -
- Irene? Lo so, mi dispiace. In quel periodo ero in Egitto, ma se
solo avessi potuto, avrei raso al suolo Amphipolis e tutti quei bastardi
che l’hanno giustiziata. - guardò la donna che gli stava
di fronte: - Ma dimmi, hai una figlia, Xena? Meraviglioso! - le sorrise,
- Non sapevo avessi deciso di sposarti… -
Xena assunse un’espressione divertita: - No, niente matrimonio!
E’ una storia lunga, Apollodoro. Abbiamo tempo, stanotte: te
la racconterò, se vorrai ascoltarmi. -
- Muoio dalla curiosità, Xena: ho arretrati di ben 25 anni!
- ribatté l’uomo.
- 28, per la precisione! - fece eco Xena, strizzandogli l’occhio.
Salirono velocemente su per la scaletta di legno e atterrarono con
passo sicuro sul ponte della nave: - Il tragitto indicatovi da Tenacle
subirà una variazione. - Tutti i marinai interruppero il lavoro
a cui erano addetti. - Salpiamo alla volta di Creta. -
Xena si guardò attorno: un brusio di stupore si levò
dagli uomini che, lentamente, si stavano radunando intorno a lei.
- Qualsiasi sia la tua decisione, verremo con te. - iniziò
Apollodoro.
- Giusto. - Asserì qualcuno dal gruppo di uomini.
- Appena ho saputo che saresti stata il nostro capitano, ho radunato
alcuni “vecchi amici”… - riprese Apollodoro.
- Cosa… - iniziò la donna.
- Guardati in giro, Xena: non ci riconosci? - sorrise il vecchio.
Xena passò in rassegna i volti bruciati dal sole e dalla salsedine:
ma sì! Anche se invecchiati, poteva riconoscervi molti degli
uomini che erano stati con lei sui campi di battaglia, i pochi che
le erano rimasti comunque amici, dopo la sua decisione di interrompere
la sua “carriera” criminale.
La donna sorrise, mentre gli uomini le si facevano lentamente in contro.
Dal gruppo si staccò un uomo di mezz’età, il viso
color cuoio, solcato da profonde rughe.
- Xena… - iniziò incerto.
- Castore… - lo riconobbe la donna.
- Parlo anche in nome dei miei compagni e non credo che mi smentiranno
se affermo che siamo orgogliosi di salpare con te. - un mormorio d’assenso
si levò dalla ciurma. - Tenacle è un armatore scaltro
ma pusillanime e gretto. Molti di noi sono morti a causa dei suoi
ordini inetti. - sospirò. - Molti di noi sanno che non torneranno
da questo viaggio, Xena, ma morire per un capitano valoroso è
un onore a cui un buon soldato non deve sottrarsi. - poi, rivolto
ai compagni gridò, levando un braccio: - Per Xena! -
Gli fecero eco gli altri: - Per Xena! -
La guerriera sorrise: - Si salpa alla volta di Creta: sorprenderemo
i pirati alle spalle. - rivolgendosi ad Apollodoro e Castore: - Tutti
si aspettano che li attacchiamo da nord, ma così saremmo in
mare aperto e senza un appiglio a cui attraccare. In questo modo,
invece, giochiamo il fattore sorpresa: le acque di Creta sono capricciose,
nessuno s’aspetta che ci dirigiamo da quella parte. - puntò
gli occhi chiari in mare aperto: - Olimpia, presto sarò da
te. Sii forte… - sussurrò.
Apollodoro, alle sue spalle, sorrise compiaciuto: “Finalmente
si ricomincia a vivere!”, si disse.
- Mollare gli ormeggi! - gridò il capitano: - Si parte! -
L’ancora fu levata e la nave, lentamente, si staccò dal
pontile; le vele si dispiegarono al vento e, gonfie, spinsero l’imbarcazione
verso il largo.
Olimpia odorò
rapita, per l’ennesima volta, la fragranza che le era rimasta
sulla pelle dopo il bagno. Le c’era voluta molta destrezza per
nascondere, mentre si spogliava, i sais e il sacchetto di polvere,
prima che le serve li trovassero e li facessero sparire insieme alla
sua biancheria. Era importante che lei li potesse ritrovare dove li
aveva lasciati: nella camera, sotto il giaciglio in cui, secondo Minosse,
avrebbe dovuto trascorrere le ultime notti prima di incontrare Asterione.
Bussarono alla porta.
- Avanti. - Olimpia non aveva dimenticato chi doveva interpretare:
aveva preteso, simulando un capriccio da nobile ragazza viziata, di
fare il bagno in solitudine. Il tatuaggio sulla schiena avrebbe destato
non pochi sospetti tra le ancelle e poi, da loro, certo sarebbero
arrivati alle orecchie del re. Meglio non tentare la sorte, quindi.
- Signora, il re l’attende nella sala grande. - la guardia disse
con tono dimesso. Lanciò uno sguardo fugace alla ragazza nella
stanza: certo la trovava attraente, un vero peccato che fosse destinata
al figlio del re. - Venga: la condurrò io al banchetto. -
Olimpia abbassò il capo e sorrise. Si sistemò lo spillone
d’oro che le fissava l’abito alla spalla sinistra ed uscì
dalla stanza. Il corridoio era ben illuminato. La guardia camminava
dietro di lei: improvvisamente fu tentata di rivolgergli la parola.
- Che tipo è questo Asterione? - chiese con finta noncuranza.
- Fa il prezioso e non si mostra in giro. -
La guardia tossicchiò, ma non rispose.
- Beh, dev’essere proprio strano. Suo padre dà una festa
in suo onore e lui non si presenta. Che fa, per occupare il tempo:
il mercante di schiavi? Tiene le donne per il suo harem e vende gli
uomini? - punzecchiò il bardo. - Oppure… Oppure li costringe
a divenire eunuchi e li tiene come servi… Sì, dev’essere
così… - terminò Olimpia fingendo un’assoluta
ingenuità.
- Signora… - la interruppe il giovane alle sue spalle, in tono
addolorato. - Non prenda alla leggera Asterione. Inutile illudersi…
Sa bene anche lei che non finirà in un harem. - sospirò.
- Cerchi di non perdersi, una volta varcato l’ingresso dell’antro.
Trovi dei punti di riferimento e non si perda, signora. Forse così
si potrà salvare… -
- Perdermi? Perché dovrei perdermi? - iniziò Olimpia.
- Shhht. - disse la guardia. - Siamo arrivati. - Aprì la porta
e cedette il passo al bardo.
La scena che si presentò agli occhi della giovane fu a dir
poco estasiante: il salone, illuminato da innumerevoli bracieri, era
interamente decorato con affreschi rappresentanti delfini guizzanti
in acque cristalline e giovani dalla pelle ambrata e i lunghi capelli
ondulati colti nell’attimo in cui li cavalcavano e li coinvolgevano
(o si lasciavano coinvolgere?) nei loro giochi. Il pavimento era stato
rivestito di morbidi tappeti color porpora, sui quali erano stati
sistemati grossi cuscini dagli svariati colori, sempre in tinte calde.
Le ancelle trasportavano senza posa larghi vassoi, stracolmi di vivande
succulente. Ad Olimpia sovvenne, improvviso, il ricordo del banchetto
dato da Xena nella locanda di Amphipoli per trascinare Lucifero dal
Cielo agl’Inferi. Sorrise a se stessa: com’era sensuale
la sua donna, in quel vestito nero, aderente, quella sera! Avrebbe
voluto non dover fingere interesse per Virgilio e prendere, invece,
il posto di Lucifero accanto a Xena: posto che, dopotutto, le apparteneva
di diritto. Avrebbe voluto poter dimostrare davanti a tutti i presenti
che era lei, solo lei, a poter vantare diritti sulla Principessa Guerriera.
Che solo lei sapeva darle quello di cui aveva bisogno, nulla a che
vedere col potere o la gloria: solo amore, amore incondizionato, fisico
e spirituale.
Intravide Teseo all’altro capo della sala e, senza fretta, lo
raggiunse. Doveva rendere il più possibile credibile l’interpretazione
della “ragazza di buona famiglia”.
- Accidenti, sei bellissima! - le venne in contro il ragazzo, con
fare cordiale. - E che ottimo profumo… Se non fossi già
impegnata, chiederei la tua mano. - Scherzò Teseo.
- Ah, sì? - rispose alla schermaglia il bardo, - Non pensi
già più a quella bella ragazza del porto? Certo, tuo
padre preferirebbe una nobile, ad una guerriera. -
- Mio padre? - rispose secco e triste il giovane, - Sì, proprio
lui! Non glie n’é mai importato granché delle
scelte che faccio. Pensa: non sa neppure che sono qui. -
- Cosa? - esclamò Olimpia. - Ma com’è possibile?
- chiese esterrefatta.
- Semplice: mi sono offerto spontaneamente. Lui non l’ha ancora
saputo, a quanto pare. - rispose seriamente Teseo, - Ero d’accordo
con le guardie… ed ho pagato bene il silenzio dei servi…
-
- Hai preso accordi con le guardie reali? E nessuno ha detto nulla?
-
- Non ci si può opporre alle decisioni di un principe, Olimpia.
- gli occhi chiari si fissarono in quelli increduli della ragazza.
- Tu… Tu sei un principe? -
- Già! - sorrise sarcastico, - Sono Teseo, figlio di Egeo,
re di Atene. - le parole furono dette come per liberarsi da un peso
insostenibile.
Olimpia stava per ribattere alla presentazione del giovane quando,
con un battito di mani, quello che sicuramente doveva essere il ciambellano
di corte attirò l’attenzione dell’intera sala.
- Mie signore e signori, gentili ospiti. Il mio padrone, il signore
di questa terra, sovrano indiscusso d’ogni cosa, vivente e non,
ha avuto la compiacenza di allietare le vostre ore qui a palazzo con
questa festa. – guardò con sguardo mellifluo i presenti
in sala, - Per compiacervi ancora di più, ha chiesto alla principessa
di Creta, d’incantarvi col suo soave canto, cosa che la principessa
ha lietamente accettato di fare… -
La sospensione nelle parole dell’uomo sembrò ad Olimpia
più la conferma della reticenza della ragazza che quella del
suo assenso incondizionato e felice.
- Signori, onorate l’ingresso di Arianna, principessa di Creta!
-
Il ciambellano si scostò impercettibilmente e sulla soglia
comparve una figura snella ed elegante. Il bardo percepì nettamente
il fiato mozzato del giovane principe al suo fianco che, come lei,
aveva riconosciuto nella principessa la fanciulla che li aveva osservati
al porto, per tutto il tempo del discorso del re, e poi era svanita
nel nulla.
- E’ lei… - mormorò rapito Teseo.
- Già… - ponderò Olimpia. – Chissà
che ci faceva al porto, tutta sola… -
- Qualsiasi cosa facesse, spero mi abbia visto, come io ho visto lei…
- esclamò il principe.
- No, Teseo, tu non l’hai vista, tu l’hai mangiata con
gli occhi: è diverso. – ribatté Olimpia ridendo.
I due s’incamminarono verso il centro della sala e presero posto
a sedere: Olimpia su un grosso triclinio, coperto da un drappo cremisi;
Teseo sistemò alcuni grossi cuscini dorati ai piedi del letto
e vi si sdraiò.
- Vorrei aver potuto vedere la tua reazione, - continuò il
giovane, rapito dalla ragazza che, nel frattempo, aveva preso il suo
posto ed iniziava a pizzicare con dita agili le corde della lira,
- il giorno che per la prima volta hai visto Xena: scommetto che è
stata simile alla mia, in tutto e per tutto, o sbaglio? -
- Shht! - gli ordinò Olimpia.
La sala si riempì di una musica melodiosa e struggente: Arianna
cantava di un eroe partito per la guerra e non ancora tornato e della
sua compagna fedele, rimasta a casa in attesa del suo ritorno. Un
nodo si strinse nella gola del bardo: - Xena… - mormorò
piano. Alcune lacrime scesero a bagnarle il viso.
- Xena, il vento
è favorevole: avanti così e arriveremo presso Creta
in meno del previsto. -
- Apollodoro, devo confessarti una cosa… - gli occhi della guerriera
si fissarono, prima, in quelli del vecchio, per poi vagare verso l’orizzonte
tinto dalle prime luci dell’alba. - Quando ho accettato l’incarico
da Tenacle l’ho fatto solo per tornaconto personale. - l’uomo
accennò ad una risposta, subito interrotto dalla donna, - Aspetta,
lasciami finire. Non per soldi o per gloria: è passato il tempo
per quel tipo di “gesta” e di quel periodo non smetterò
mai di pentirmi… - si schiarì la voce. - Chiesi a Tenacle
di lasciarmi il comando della nave per sbaragliare i pirati, sì,
ma solo per poter ottenere un passaggio per Thira. -
L’uomo la guardò bonariamente: - Se è per questo,
Xena, non mi sembra un segreto inconfessabile… -
- No. Non è questo. - proseguì la donna, - Quando presi
accordi, inclusi come passeggero anche la mia compagna, Olimpia. -
- Ne ho sentito parlare: è il bardo che viaggia con te, giusto?
- intervenne Apollodoro. - M’è sembrato strano non vederla
con te, infatti: so che avete affrontato sempre tutto insieme, che
siete legate ed è difficilissimo separavi… -
La donna espirò profondamente: - Neppure la morte vi è
riuscita, Apollodoro. E’ stato il suo amore a riportarmi in
vita. -
Lo sguardo che l’uomo posò sulla guerriera non era di
biasimo, ma neppure giudice: - E’ la tua compagna nel senso
che è la tua amante, vero? Non solo “compagna di viaggio”,
quindi. - La guerriera annuì. Il vecchio riprese: - Ecco perché
tutta questa preoccupazione, la smania di partire velocemente, la
tristezza nel tuo sguardo… -
- Olimpia sarebbe dovuta restare ad Atene in attesa del nostro ritorno
dalla spedizione. Ieri, invece, s’è offerta volontariamente
come ostaggio di Minosse ed è stata imbarcata per Cnosso…
- la voce della guerriera si fece roca di rabbia. - Forse aveva sperato
d’incontrarmi al porto, chissà. Nella mia fretta di tornare
ad avvisarla dell’ “affare” che avevo concluso,
non l’ho vista… -
Apollodoro le pose amichevolmente una mano sulla spalla: - Capisco…
Ti senti in colpa per non averla vista? - la donna non rispose. -
Beh, ascolta bene, Xena: la tua compagna ha scelto da sé cosa
fare e come comportarsi. Ha fatto i suoi conti e, forse, li ha sbagliati.
Certo, ora avrà bisogno d’aiuto, ma non da parte di una
persona che si macera nel rimpianto di “non essere arrivata
a tempo”. Ha bisogno di una persona forte e risoluta, che ha
preso in prestito una nave, che sbaraglierà i pirati e che
la salverà. Perché tu hai intenzione di fare questo,
vero? I pirati sono una scusa e anche la deviazione per Creta lo è,
giusto? - il viso schietto dell’uomo rinfrancò la guerriera,
che annuì silenziosamente.
- Non c’è problema, Xena: per la prima volta dopo tanti
anni tutti noi abbiamo l’occasione di tornare a vivere veramente,
grazie al tuo comando. Su questa nave siamo a tua completa disposizione,
capitano. - Apollodoro aprì le labbra in un sorriso cordiale
e fiducioso. Poi, come se avesse realizzato improvvisamente: - Cnosso,
hai detto? Xena… Ricordi Dedalo? Quel ragazzo solitario, che
amava scarabocchiare sulle pergamene progetti strambi… Quello
che ti fece da scudiero per un po’ di tempo… -.
- Finché non sparì nel nulla? Sì, Apollodoro,
lo ricordo bene. So già cosa vuoi dirmi: è a Creta e,
se è ancora vivo, è messo proprio male: pare che Minosse
l’abbia fatto prigioniero con tutta la famiglia dopo che per
lui aveva realizzato un’opera grandiosa… -
- Fidati dei tiranni ed ecco cosa accade! - brontolò il vecchio.
- Già. Comunque le sue invenzioni non erano poi tanto bislacche:
ho provato ad assemblare pelle di capra su una croce di legno, come
aveva disegnato lui, ricordi? Beh, vola davvero, Apollodoro: vola
alto come un’aquila! -
Gli occhi dell’uomo si sgranarono: - E bravo Dedalo! - considerò,
- E noi che lo schernivamo tutto il giorno! - Rise.
- Creta, Creta in vista! - Castore entrò sottocoperta con una
tale veemenza che sia Xena sia Apollodoro sussultarono.
- Va bene, Castore. - lo placcò la guerriera, - Ora puoi anche
calmarti. - Sorrise bonariamente.
Insieme, i tre si avviarono sul ponte della nave. Le scogliere di
Creta si stagliavano chiare in lontananza. Xena socchiuse gli occhi
e desiderò d’essere già arrivata sulla terraferma.
Desiderò di avere Olimpia al sicuro nella stretta delle sue
braccia.
- Nave a tribordo! - gridò qualcuno dalla vedetta dell’imbarcazione:
Xena, Apollodoro e Castore si precipitarono alla balaustra della nave.
- Volevi i pirati, Apollodoro? - chiese ironicamente la guerriera.
- Bene: eccoti i pirati! -
Apollodoro ebbe un moto di gioia: - Finalmente! - gridò a pieni
polmoni, battendo le mani come un fanciullo. Xena e Castore risero
divertiti. Poi, la donna si fece serie: - Uomini, ai vostri posti!
Chiro, portami la mappa di Creta immediatamente! Anàssaro,
tieniti a distanza dalla scogliera, ma non dirigerti verso i pirati:
dobbiamo dar loro l’impressione di averli visti e di star scappando.
- Fissò lo sguardo alla sagoma dell’imbarcazione, lontana
all’orizzonte.
- Credi che ci abbiano avvistati, Xena? - chiese Castore.
- Penso di sì: siamo una nave mercantile, in fondo. Siamo il
loro obiettivo. Poveri: non sanno ciò che li aspetta! - la
donna si voltò verso l’equipaggio: - Prendete le spade
e le lance! Portate i rostri e sistemateli nelle posizioni che vi
ho indicato ieri! Sistemate le sacche di Fuoco Greco sulle catapulte:
devono pensare che sia un carico normale. - Si rivolse ad Apollodoro:
- Se la tua gamba ti dà problemi chiama, intesi? Chiama: non
aspettare un attimo e chiamami! - gli poggiò ambedue le mani
sulle spalle: - Ho bisogno di te vivo, chiaro? Non fare l’eroe
per nulla. -
Il vecchio le rispose serio: - Fidati. Lo farò. -
- Non ti perdonerei la disobbedienza. - fece Xena, mal celando un
sorriso: - Dimostrami che sei quel tipo di erba cattiva, Apollodoro.
-
- Quella che non muore mai? Va bene: ci sto! - entrambi risero di
cuore.
- Capitano! - gridò l’uomo di vedetta, - La nave si sta
dirigendo verso di noi: ci raggiungerà tra poco! -
- Perfetto! - esclamò Xena, - Partéo, sistema le fiaccole
come t’ho mostrato! - dispiegò davanti a sé la
mappa della costa cretese ed indicò al timoniere la rotta da
tenere: - Quando ti do il segnale, vira a babordo e, giunto nei pressi
di questi scogli, - indicò col dito un punto sulla carta, -
vira di nuovo a tribordo, finché non raggiungi questo punto,
chiaro? - Anàssaro annuì vistosamente, anche se sul
suo viso si disegnò uno sguardo preoccupato.
Xena lo percepì immediatamente: - Fidati, so quel che dico.
Sei il miglior timoniere che conosca… - guardò l’uomo
seriamente, - Se avranno il fegato di seguirci, se la dovranno vedere
con gli scogli sommersi e allora sì che ne vedremo delle belle!
- rise, seguita da Anàssaro, che sembrò più risollevato.
In pochi passi fu sul ponte di prua da dove, a gran voce, incitò
i suoi uomini: - Forza! Come ai vecchi tempi, ragazzi! Facciamo vedere
a quei bastardi di chi bisogna aver paura!!! La vittoria è
già nostra!!! -
- Sì!!!!! - urlarono all’unisono i marinai.
ATTO 3
- Dove stiamo
andando? - chiese a bassa voce Olimpia, letteralmente trascinata per
un braccio da Teseo lungo un corridoio semibuio del palazzo di Cnosso.
- Zitta… - l’ammutolì il ragazzo, - voglio vedere
dov’è finita Arianna. -
- E ti servo io? - il bardo si fermò di colpo, strattonando
all’indietro il giovane che, per poco, non perdette l’equilibrio.
- Dannazione, mi scordo sempre della tua forza… - sbuffò
il principe. - Sì, cara, mi servi: se andassi da solo rischierei
di farmi beccare dalle sentinelle… -
- Così ti serve il “palo”, giusto? - intervenne
Olimpia.
- Hai capito bene. Dai Olimpia, dammi una mano: devo, devo assolutamente
conoscere quella ragazza, fosse anche l’ultima cosa che faccio!
- implorò il giovane.
di
Dori